=> Corte di Cassazione 8 giugno 2020, n. 10846
Alla luce della riforma del condominio di cui alla L. 11 dicembre 2012, n. 220, la condizione di procedibilità della
"controversie in materia di condominio" non può dirsi realizzata
allorché all’incontro davanti al mediatore l’amministratore partecipi sprovvisto della previa delibera assembleare
da assumere con la maggioranza di cui all’art. 1136 c.c. comma 2, non essendo
in tal caso "possibile" iniziare la procedura di mediazione e
procedere con lo svolgimento della stessa, come suppone il D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 8, comma 1. Si aggiunga che pur in relazione alle cause
inerenti all’ambito della rappresentanza istituzionale dell’amministratore,
questi non può partecipare alle attività
di mediazione privo della delibera dell’assemblea, in quanto
l’amministratore, senza apposito mandato conferitogli con la maggioranza di cui
all’art. 1136 c.c., comma 2, è altrimenti comunque sprovvisto del potere di disporre dei diritti sostanziali che sono
rimessi alla mediazione, e, dunque, privo del potere occorrente per la
soluzione della controversia. In tale evenienza, ancor prima che mancato, l’accordo
amichevole di definizione della controversia è privo di giuridica possibilità. Spetta
infatti all’assemblea (e non all’amministratore) il "potere" di
approvare una transazione riguardante spese d’interesse comune, ovvero di
delegare l’amministratore a transigere, fissando gli eventuali limiti
dell’attività dispositiva negoziale affidatagli (I) (II).
L’art. 71 quater disp. att. c.c. (inserito dalla L. 11 dicembre 2012, n. 220) al comma 1
indica quali siano le "controversie
in materia di condominio" che, ai sensi del D.Lgs.4 marzo 2010, n. 28, art. 5, comma 1, sono soggette alla condizione di
procedibilità dell’esperimento del procedimento di mediazione, tra le quali
certamente rientra la domanda avanzata
dall’amministratore di condominio per conseguire di condanna di una condomina
al pagamento dei contributi (I) (II).
Fonte: Osservatorio
Mediazione Civile n. 32/2020
Corte di Cassazione
Ordinanza n. 10846
8 giugno 2020
Omissis
Il Condominio ---, ha proposto ricorso articolato in unico motivo
(denunciando l’"omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa
un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c.,
n. 5") avverso la sentenza 10 settembre 2018, n. 17024, resa dal Tribunale
di Roma.
Resiste con controricorso P.M.
Il Condominio ---, aveva avanzato gravame contro la decisione
pronunciata in primo grado il 24 gennaio 2017 dal Giudice di pace di Roma. Il
Giudice di pace aveva dichiarato improcedibile la domanda dello stesso
Condominio volta alla condanna della condomina --- al pagamento della somma di
Euro 2.000,00, determinata dalla deliberazione assembleare di approvazione del
consuntivo per il 2015, in quanto l’attore, pur invitato dal giudice, non aveva
attivato la procedura di mediazione obbligatoria, a causa della mancata
adozione da parte dell’assemblea condominiale, nonostante il rinvio
dell’incontro di mediazione, della delibera di autorizzazione
all’amministratore di parteciparvi. Ad avviso del Tribunale, meritava conferma
la soluzione della questione raggiunta dal primo giudice, visto, appunto, che
la procedura di mediazione obbligatoria era rimasta infruttuosa per il difetto
dell’autorizzazione assembleare alla partecipazione dell’amministratore
(essendo la relativa riunione andata deserta). La decisione del giudice di
appello poggiò sul testo dell’art. 71 quater c.c., comma 3, disp. att.,
dovendosi nella specie dire mancata la procedura di mediazione, che si era
chiusa senza neppure sentire le parti e tentare la conciliazione a seguito
dell’inerzia dell’assemblea nel concedere la necessaria autorizzazione. Sempre
secondo il Tribunale, occorre distinguere il profilo della autonoma legittimazione
processuale dell’amministratore ad agire in giudizio per la riscossione dei
contributi dalla legittimazione dello stesso a partecipare alla procedura di
mediazione, spiegandosi nel secondo caso l’indispensabilità della delibera
dell’assemblea in base all’esigenza di conferire a chi interviene in mediazione
la "possibilità di disporre della lite, vale a dire di negoziare sulla res
controversa, salva poi la ratifica da parte dell’assemblea della proposta di
mediazione". La sentenza impugnata osservò, dunque, come il mancato
concreto svolgimento della mediazione fosse da addebitare al Condominio attore,
essendo rimasto insoddisfatto l’obbligo previsto dal D.Lgs. n. 28 del 2010,
art. 5 e successive modificazioni di attivare la procedura di mediazione,
obbligo che comporta non soltanto l’introduzione della stessa, ma anche di
presenziarvi "munito dei necessari poteri, essendo questi necessari per il
buon esito del procedimento".
L’unico motivo di ricorso del Condominio (omissis) , rubricato
"omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio", evidenzia come la mediazione
doveva dirsi, piuttosto, ritualmente introdotta e dunque svolta, seppur poi
negativamente chiusa, senza così comportare alcun riflesso sulla procedibilità
della domanda.
Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere rigettato
per manifesta infondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui
all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il
presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.
Il ricorrente ha presentato memoria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 2.
Va dapprima considerato come, nel vigore del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c.,
comma 1, n. 5, introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con
modifiche nella L. 7 agosto 2012, n. 134, non è proprio più configurabile in
radice il vizio di contraddittoria o insufficiente motivazione della sentenza,
atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un
fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le
parti. Neppure può ritenersi che il ricorrente abbia inteso far riferimento ad
una ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del medesimo art. 360 c.p.c., n.
4, 12, n. 134, ipotesi integrabile allorché venga denunciata una anomalia
motivazionale che si sostanzia nella "mancanza assoluta di motivi sotto
l’aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente",
nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella
"motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile" (Cass. Sez.
U, 07/04/2014, n. 8053). La sentenza impugnata, d’altro canto, contiene
esaurientemente le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le
ragioni, in fatto e in diritto, della decisione. La controricorrente oppone
altresì l’inammissibilità della censura riferita al parametro dell’art. 360
c.p.c., comma 1, n. 5, per la regola emergente dall’art. 348 ter c.p.c., comma
5, la quale, tuttavia, opera in senso proprio allorché la sentenza di appello
risulti fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a
base della sentenza di primo grado, mentre il Tribunale di Roma ha condiviso
essenzialmente le ragioni di diritto su cui poggiava la pronuncia del Giudice
di pace. È poi da superare anche l’ulteriore di eccezione di inammissibilità
del ricorso per "violazione del principio di autosufficienza",
contenendo lo stesso, al contrario, le indispensabili minime specificazioni
relative ai fatti di causa, nonché agli atti ed i documenti che fondano la
censura. Ove peraltro il contenuto della doglianza del ricorrente voglia essere
ricondotto, più appropriatamente, alla denuncia di una violazione di norme di
diritto, occorre evidenziare come il Tribunale di Roma abbia comunque fatto
corretta applicazione del testo dell’art. 71 quater disp. att. c.c. (inserito
dalla L. 11 dicembre 2012, n. 220).
Tale norma al comma 1 indica quali siano le "controversie in
materia di condominio" che, ai sensi del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, art.
5, comma 1, sono soggette alla condizione di procedibilità dell’esperimento del
procedimento di mediazione, tra le quali certamente rientra la domanda avanzata
dall’amministratore di condominio per conseguire di condanna di una condomina
al pagamento dei contributi (come nella specie). Il medesimo art. 71 quater
disp. att. c.c., comma 3, aggiunge, quindi, che "al procedimento è
legittimato a partecipare l’amministratore, previa delibera assembleare da
assumere con la maggioranza di cui all’art. 1136 c.c., comma 2". L’art. 71
quater, comma 4, contempla poi l’ammissibilità di una proroga del termine di
comparizione davanti al mediatore per consentire di assumere la deliberazione
autorizzativa dell’assemblea, alla quale, infine, il comma 5 di tale
disposizione rimette l’approvazione della proposta di mediazione, da votare con
la medesima maggioranza occorrente per garantire la partecipazione dell’amministratore
alla procedura. L’art. 71 quater disp. att. c.c., comma 3, lettera, porta,
allora, a concludere, identicamente a quanto sostenuto dal Tribunale di Roma,
che la condizione di procedibilità della "controversie in materia di
condominio" non possa dirsi realizzata allorché, come avvenuto nel caso in
esame, all’incontro davanti al mediatore l’amministratore partecipi sprovvisto
della previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza di cui
all’art. 1136 c.c. comma 2, non essendo in tal caso "possibile"
iniziare la procedura di mediazione e procedere con lo svolgimento della
stessa, come suppone il D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, art. 8, comma 1. Non rileva
nel senso di escludere la necessità della delibera assembleare ex art. 71
quater disp. att. c.c., comma 3, il fatto che si tratti, nella specie, di
controversia che altrimenti rientra nell’ambito delle attribuzioni
dell’amministratore, in forza dell’art. 1130 c.c., e con riguardo alla quale
perciò sussiste la legittimazione processuale di quest’ultimo ai sensi
dell’art. 1131 c.c., senza necessità di autorizzazione o ratifica
dell’assemblea. Pur in relazione alle cause inerenti all’ambito della
rappresentanza istituzionale dell’amministratore, questi non può partecipare
alle attività di mediazione privo della delibera dell’assemblea, in quanto
l’amministratore, senza apposito mandato conferitogli con la maggioranza di cui
all’art. 1136 c.c., comma 2, è altrimenti comunque sprovvisto del potere di
disporre dei diritti sostanziali che sono rimessi alla mediazione, e, dunque,
privo del potere occorrente per la soluzione della controversia (arg. da Cass.
Sez. 3, 27/03/2019, n. 8473). Tale evenienza non corrisponde, dunque,
all’ipotesi contemplata dal D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, art. 5, comma 2 bis, il
quale dispone che "quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione
di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata
se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo", in
quanto, ancor prima che mancato, qui l’accordo amichevole di definizione della
controversia è privo di giuridica possibilità.
Spetta infatti all’assemblea (e non all’amministratore) il "potere"
di approvare una transazione riguardante spese d’interesse comune, ovvero di
delegare l’amministratore a transigere, fissando gli eventuali limiti
dell’attività dispositiva negoziale affidatagli (cfr. Cass. Sez. 2, 16/01/2014,
n. 821; Cass. Sez. 2, 25/03/1980, n. 1994). Parimenti, l’art. 1129 c.c., comma
9 (sempre introdotto dalla L. 11 dicembre 2012, n. 220) obbliga
l’amministratore ad "agire per la riscossione forzosa delle somme dovute
dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio nel quale sia
compreso il credito esigibile, a meno che non sia stato espressamente
dispensato dall’assemblea", non rientrando, quindi, tra le attribuzioni
dell’amministratore il potere di pattuire con i condomini morosi dilazioni di
pagamento o accordi transattivi senza apposita autorizzazione dell’assemblea.
Il ricorso va perciò rigettato e il ricorrente va condannato a
rimborsare alla controricorrente le spese del giudizio di cassazione.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento - ai sensi del
D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, - da parte del
ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare alla
controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in
complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali
e ad accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1
quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello
stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
AVVISO. Il
testo riportato non riveste carattere di ufficialità.