DIRITTO D'AUTORE


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26 novembre 2021

46/21. Circolare Ministero giustizia 9.9.2021 sull’obbligo di comunicazione di cui all'art. 8, c. 1, d.lgs. 28/2010 (Osservatorio Mediazione Civile n. 46/2021)

Circolare 9 settembre 2021.
Obbligo di comunicazione di cui all'art. 8, comma 1 d. lgs. 4 marzo 2010 n. 28 "Attuazione dell'art. 60 della l. 69/2009, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali".
Circolare interpretativa.

9 settembre 2021

Dipartimento per gli affari di giustizia

Direzione generale degli affari interni
Ufficio II – Reparto V
Albi e Registri

Agli Organismi di Mediazione 

OGGETTO: Obbligo di comunicazione di cui all’articolo 8, comma 1 del decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28 (“Attuazione dell'articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali”).

Circolare interpretativa.

Pervengono a questo Ufficio molteplici esposti e quesiti in ordine alla corretta interpretazione da attribuire all’articolo 8, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (“Attuazione dell'articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali”), disposizione concernente, per quanto qui interessa, l’obbligo di comunicazione, alla parte chiamata in mediazione, dell’avvenuta proposizione della domanda a opera della parte istante e della fissazione della data del primo incontro di mediazione a opera del responsabile dell’organismo.

In particolare, è oggetto di contrasto se, alla luce della disposizione normativa richiamata, tale obbligo gravi in via esclusiva sull’organismo, con la conseguenza di una totale irrilevanza della comunicazione eventualmente effettuata dalla parte istante alla parte chiamata, oppure se tale ultima comunicazione possa produrre un qualche effetto nei confronti della parte chiamata, alla stessa stregua della comunicazione proveniente dall’organismo.

Ebbene, al fine di dirimere ogni questione interpretativa, pare opportuno anzitutto richiamare la lettera della disposizione normativa de qua, nonché, nell’ottica di una interpretazione sistematica, le ulteriori norme rilevanti contenute nel medesimo decreto legislativo.

Si rammenta pertanto che, ai sensi del citato articolo 8, comma 1, “all'atto della presentazione della domanda di mediazione, il responsabile dell'organismo designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti non oltre trenta giorni dal deposito della domanda. La domanda e la data del primo incontro sono comunicate all'altra parte con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione, anche a cura della parte istante. Al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l'assistenza dell'avvocato. Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento …”.

Inoltre, il comma 2 della stessa disposizione prevede che “il procedimento si svolge senza formalità ...”.

L’articolo 5, poi, prevede al comma 1-bis che, in alcune materie ivi specificamente determinate, “l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale”, e al comma 2 che “il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell'istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l'esperimento del procedimento di mediazione; in tal caso, l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello”; precisa poi al comma 2-bis che “quando l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l'accordo”.

Infine, il comma 6 dispone che “dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all'articolo 11 presso la segreteria dell'organismo”.

Pare da ultimo opportuno rammentare anche quanto disposto dall’articolo 16 del decreto ministeriale 18 ottobre 2010, n. 180 (“Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell'elenco dei formatori per la mediazione, nonché l'approvazione delle indennità spettanti agli organismi, ai sensi dell'articolo 16 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28”), il quale stabilisce, ai commi 1 e 2, che “l'indennità comprende le spese di avvio del procedimento e le spese di mediazione. Per le spese di avvio, a valere sull'indennità complessiva, è dovuto da ciascuna parte per lo svolgimento del primo incontro un importo di euro 40,00 per le liti di valore fino a 250.000,00 euro e di euro 80,00 per quelle di valore superiore, oltre alle spese vive documentate che è versato dall'istante al momento del deposito della domanda di mediazione e dalla parte chiamata alla mediazione al momento della sua adesione al procedimento. L'importo è dovuto anche in caso di mancato accordo”.

Tanto premesso, deve ribadirsi, come finora sempre sostenuto da questo Dicastero, che l’obbligo di comunicazione in questione grava senz’altro, in via principale, sull’organismo di mediazione, il cui responsabile, ricevuta la domanda di mediazione, è tenuto – ai sensi del tenore letterale dell’articolo 8, comma 1, cit. – a designare il mediatore e fissare il primo incontro, essendo così, almeno inizialmente, l’unico soggetto in possesso dei dati (in particolare, il tempo, il luogo e le modalità dell’incontro) da comunicare alla parte chiamata.

È sull’organismo che grava infatti la responsabilità del buon andamento della procedura di mediazione o, quantomeno, dell’espletamento di un serio tentativo affinché essa abbia esito positivo, risultati che presuppongono entrambi che la parte chiamata sia portata a conoscenza della pendenza della procedura e sia posta in condizioni di parteciparvi. Di tal ché l’an e il quando dell’avvenuta comunicazione assumono importanza dirimente sia per il soddisfacimento della condizione di procedibilità di cui all’articolo 5, commi 1-bis, 2 e 2-bis, sia ai fini della interruzione della prescrizione e dell’impedimento della decadenza ai sensi del successivo comma 6.

Ritiene, tuttavia, questo ufficio, di dover rivedere, anche alla luce della più recente giurisprudenza di merito (v. Trib. Roma 4 giugno 2019 n. 11790, Corte d’Appello di Genova 13 giugno 2018 n. 946, Trib. Savona 24 novembre 2017 n. 1387, Trib. Parma 22 maggio 2017 n. 726), la propria posizione in ordine all’efficacia della eventuale comunicazione effettuata dalla parte istante.

Se è vero, infatti, che è il responsabile dell’organismo il soggetto gravato dell’obbligo di dare comunicazione alla parte chiamata, è vero anche che l’interesse della parte istante a soddisfare la condizione di procedibilità, interrompere la prescrizione ed evitare di incorrere in decadenza non può rischiare di restare frustrato ove il responsabile rimanga inerte, ritardando od omettendo di adempiere all’obbligo suddetto. In tal caso, infatti, sarebbe irragionevole non consentire alla parte istante, avuta notizia della fissazione del primo incontro, di darne comunicazione alla parte chiamata, adoperandosi in proprio per la produzione degli effetti suddetti in punto di procedibilità della domanda giudiziale, di prescrizione e di decadenza, con la conseguenza dunque che la comunicazione de qua si configura, a carico della parte istante, alla stregua di un onere (diversamente dall’obbligo gravante sul responsabile dell’organismo).

In tale ottica, re melius perpensa, deve pertanto ritenersi che l’eventuale comunicazione effettuata dalla parte istante sostituisca quella in ipotesi omessa o ritardata dall’organismo.

Paiono deporre in tal senso la lettera dell’articolo 8, comma 1 (“la domanda e la data del primo incontro sono comunicate all'altra parte … anche a cura della parte istante”), e il principio dell’assenza di formalismo di cui all’articolo 8, comma 2, cit. che caratterizza in via generale la procedura di mediazione e che risulta peculiarmente specificato con riferimento proprio alle modalità della comunicazione (“con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione”), fermo restando che la modalità prescelta dovrà comunque garantire certezza dell’an e del quando ai fini sopra precisati, risultato peraltro vieppiù garantito dall’assistenza obbligatoria dell’avvocato ora richiesta dal ridetto articolo 8, comma 1.

Di tal ché, qualora nessuna comunicazione venga effettuata – nemmeno dalla parte istante, che pure non ha alcun obbligo in tal senso – la responsabilità dell’inadempimento graverà interamente sull’organismo, il quale non potrà invocare a sua giustificazione in nessun caso l’inerzia della parte (nemmeno se appositamente delegata); tuttavia, qualora quest’ultima abbia, di propria iniziativa o per richiesta dell’organismo, provveduto a effettuare la comunicazione, tenuto conto del dato testuale delle norme e in ottica di tutela sostanzialistica nel contesto di un procedimento deformalizzato, non è revocabile in dubbio la regolarità e l’efficacia del suddetto atto ai fini della instaurazione della procedura.

Non sembra invece di ostacolo alla ricostruzione ermeneutica qui proposta l’articolo 16 del decreto ministeriale n. 180/2010, il quale giustifica l’obbligo posto a carico delle parti di versare all’organismo le spese di avvio del procedimento attraverso la locuzione “per lo svolgimento del primo incontro”, il quale non può intendersi limitato al solo invio della comunicazione in questione, ma ricomprende tutta l’ulteriore attività prodromica alla comparizione delle parti: tanto è vero che tale obbligo di pagamento sorge a carico della parte istante “al momento del deposito della domanda di mediazione”, quindi anteriormente e a prescindere dall’invio della comunicazione da parte dell’organismo.

Tanto chiarito, si invitano gli organismi di mediazione ad attenersi d’ora innanzi ai principi suesposti, confidando nel comune impegno volto all’implementazione dell’istituto della mediazione, al fine ultimo di garantire il raggiungimento degli obiettivi di riduzione e tempestiva definizione dei procedimenti giudiziari.

Roma, lì 9 settembre 2021

Il Direttore generale
Giovanni Mimmo

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 46/2021
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

22 novembre 2021

45/21. Causa revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c.: no alla mediazione obbligatoria (Osservatorio Mediazione Civile n. 45/2021)

=> Tribunale di Bergamo, 13 maggio 2021 

La mediazione obbligatoria non è prevista dalla legge per la causa revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c., posto che tale azione non rientra nell’elencazione prevista dall’art. 5, d.lgs. 28 del 2010 sulle condizioni di procedibilità dell’azione civile (nella specie il giudice nota che oggetto della presente causa infatti non è né un contratto bancario o finanziario, né un contratto di fideiussione, perché l’azione ex art. 2901 c.c. ha quale petitum la declaratoria di inefficacia di un atto dispositivo del patrimonio -  donazione nel caso di specie - e quale causa petendi il pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore; nell’azione revocatoria ordinaria non è minimamente in discussione il contratto di fideiussione, che ha invece costituito il presupposto per l’ottenimento del decreto ingiuntivo, che costituisce il titolo esecutivo, da cui deriva il credito dell’attore (I).  

(I) Si veda l’art. 5, comma 1-bis, D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 (Osservatorio Mediazione Civile n. 38/2018).

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 45/2021
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

Tribunale di Bergamo
Sentenza
13 maggio 2021

Omissis 

Nel merito della causa va preliminarmente confermata l’ordinanza del 03/08/2018 con cui sono state rigettate le eccezioni di improcedibilità della domanda per mancato esperimento del tentativo di mediazione obbligatoria, nonché l’istanza di sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. Infatti come già ivi osservato la mediazione obbligatoria non è prevista dalla legge per la causa revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c., posto che tale azione non rientra nell’elencazione prevista dall’art. 5 della Legge n. 28 del 04/03/2010 sulle condizioni di procedibilità dell’azione civile.

Oggetto della presente causa infatti non è né un contratto bancario o finanziario, né un contratto di fideiussione, perché l’azione ex art. 2901 c.c. ha quale petitum la declaratoria di inefficacia di un atto dispositivo del patrimonio (donazione nel caso di specie) e quale causa petendi il pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore. Nell’azione revocatoria ordinaria non è minimamente in discussione il contratto di fideiussione, che ha invece costituito il presupposto per l’ottenimento del decreto ingiuntivo, che costituisce il titolo esecutivo, da cui deriva il credito dell’attore.

E’ perimenti infondata l’istanza di sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c., in quanto anche il credito eventuale, in veste di credito litigioso, è idoneo a determinare l'insorgere della qualità di creditore che abilita all'esperimento dell'azione revocatoria, ai sensi dell'art. 2901 c.c., contro l'atto di disposizione compiuto dal debitore, vale a dire che è sufficiente l'esistenza di una ragione di credito, ancorché non accertata giudizialmente.

Ne consegue che il giudizio promosso con l'azione revocatoria non è soggetto a sospensione necessaria a norma dell'art. 295 c.p.c. per il caso di pendenza di controversia avente ad oggetto l'accertamento del credito per la cui conservazione è stata proposta la domanda revocatoria, in quanto la definizione del giudizio sull'accertamento del credito non costituisce l'indispensabile antecedente logico-giuridico della pronuncia sulla domanda revocatoria, essendo d'altra parte da escludere l'eventualità di un conflitto di giudicati tra la sentenza che, a tutela dell'allegato credito litigioso, dichiari inefficace l'atto di disposizione e la sentenza negativa sull'esistenza del credito (così Cass. Civ. sez. U. ordinanza del 18/05/2004 n. 9440; Cass. Civ. sez. III del 10/03/2006 n. 5246; Cass. Civ. sez. III del 17/07/2009 n. 16722; Cass. Civ. sez. VI – III del 26/01/2012 n. 1129; Cass. Civ. sez. III del 14/05/2013 n. 11573; Cass. Civ. sez. I del 12/07/2013 n. 17257; Cass. Civ. sez. III n. 2673 del 10/02/2016; Cass. Civ. sez. 6 - 3, Ordinanza n. 3369 del 05/02/2019).

Passando a trattare la domanda di merito vanno innanzitutto richiamati i principi in materia di revocatoria ordinaria applicabili al caso di specie.

L'azione revocatoria ordinaria presuppone, per la sua esperibilità, la sola esistenza di un debito e non anche la sua concreta esigibilità. Pertanto, prestata fideiussione in relazione alle future obbligazioni del debitore principale, gli atti dispositivi del fideiussore (nella specie, la donazione della nuda proprietà dell’immobile) successivi alla prestazione della fideiussione, se compiuti in pregiudizio delle ragioni del creditore, sono soggetti alla predetta azione, ai sensi dell'art. 2901, n. 1, prima parte, c.c., in base al solo requisito soggettivo della consapevolezza del fideiussore di arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore (scientia damni).

L'acquisto della qualità di debitore da parte del fideiussore nei confronti del creditore procedente risale al momento della nascita del credito, sicché a tale momento occorre far riferimento per stabilire se l'atto pregiudizievole sia anteriore o successivo al sorgere del credito (in tal senso Cass. Civ. sez. VI – III Ordinanza del 09/10/2015 n 20376; Cass. Civ. sez. III del 15/02/2011 n. 3676; Cass. Civ. sez. III del 29/01/2010 n. 2066; Cass. Civ. sez. III del 09/04/2009 n. 8680).

“In tema di azione revocatoria ordinaria, allorché l'atto di disposizione sia successivo al sorgere del credito, l'unica condizione per l'esercizio della stessa è che il debitore fosse a conoscenza del pregiudizio per le ragioni del creditore, e, trattandosi di atto a titolo oneroso, che di esso fosse consapevole il terzo. La prova di tale atteggiamento soggettivo ben può essere fornita tramite presunzioni, il cui apprezzamento è devoluto al Giudice di merito, ed è incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato ed immune da vizi logici e giuridici” (Cass. Civ. n. 27546 del 30/12/2014; nello stesso senso Cass. Civ. n. 17327 del 17/08/2011; Cass. Civ. n. 15257 del 06/08/2004, Cass. Civ. n. 7452 del 05/06/2000; Cass. Civ. n. 6272 del 10/07/1997).

“In tema di azione revocatoria, la consapevolezza dell'evento dannoso da parte del terzo contraente – prevista quale condizione dell'azione dall'art. 2901, comma 1°., n. 2, c.c. – consiste nella generica conoscenza del pregiudizio che l'atto posto in essere dal debitore può arrecare alle ragioni dei creditori, non essendo necessaria la collusione tra terzo e debitore; d'altra parte, il requisito della scientia damni può essere provato per presunzioni” (Cass. Civ. n. 1068 del 18/01/2007), dal soggetto che lo allega (Cass. Civ. n. 24757 del 07/10/2008; Cass. Civ. n. 11577 del 09/05/2008; Cass. Civ. n. 11916 del 21/09/2001); e rimangono invece irrilevanti tanto l'intenzione del debitore di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore, quanto la relativa conoscenza o partecipazione da parte del terzo (così Cass. Civ. sez. III del 30/06/2015 n. 13343).

In relazione all’eventus damni per esperire l’azione revocatoria non occorre la totale compromissione della consistenza patrimoniale del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerto o difficile il soddisfacimento del credito, che può consistere non solo in una variazione quantitativa del patrimonio del debitore (per es. a seguito della dismissione di beni), ma anche in una modificazione qualitativa di esso, per es. in caso di conversione del patrimonio in beni facilmente occultabili o in una prestazione di facere infungibile, come la vendita di diritti reali su beni immobili, che determina il pericolo di danno costituito dalla eventuale infruttuosità di una futura azione esecutiva (in tal senso Cass. Civ. Sez. III Ordinanza n. 19207 del 19/07/2018; Cass. Civ. Sez. III n. 1896 del 09/02/2012¸ Cass. Civ. sez. III del 07/10/2008 n. 24757; Cass. Civ. sez. III del 15/02/2007 n. 3470; Cass. Civ. sez. III del 17/01/2007 n. 966).

In tale ultimo caso incombe sul debitore, e non sul creditore, l'onere probatorio di dimostrare che il proprio patrimonio residuo è sufficiente a soddisfare ampiamente le ragioni del creditore (così Cass. Civ. sez. II del 27/03/2007 n. 7507; Cass. Civ. Sez. III Ordinanza n. 19207 del 19/07/2018).

Applicando i sopra esposti principi al caso oggetto della presente decisione va osservato che X S.p.A. ha prodotto in giudizio il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Bergamo n. 6847/2014 del 10/11/2014, dichiarato provvisoriamente esecutivo il 19/05/2016 nel corso del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo (doc. n. 1 e n. 2 fascicolo attore). Detto decreto ingiuntivo è stata confermato nel giudizio di primo grado con sentenza del Tribunale di Bergamo n. 450/2017 del 22/02/2017 (doc. n. 3 fascicolo attore). Inoltre nel giudizio di appello promosso da --- avverso la sentenza n. 450/2017, la Corte di Appello di Brescia, con provvedimento del 13/12/2017, ha ritenuto prima facie non fondati i motivi di appello, respingendo l’istanza di sospensione della provvisoria esecutività della sentenza appellata (doc. n. 13 fascicolo attore). Infine il giudizio di appello è stato definito con la sentenza della Corte di Appello di Brescia n. 1192/2020 del 28/10/2020, che ha respinto l’appello proposto dalla signora --- (pag. 9 comparsa conclusionale attorea).

La documentazione prodotta è ampiamente sufficiente a ritenere idonea la legittimazione del creditore a proporre l’azione revocatoria sulla base del credito litigioso portato dal decreto ingiuntivo.

E per tale motivo sono irrilevanti nella presente causa tutte le deduzioni di parti convenute, con cui vengono contestati il credito della banca, la falsità della sottoscrizione della fideiussione rilasciata da --- e la sua conseguente nullità: tali questioni potranno eventualmente essere coltivate nella causa di impugnazione pendente avanti alla Corte di Appello di Brescia.

Infatti “la ragione di credito costituisce titolo di legittimazione dell’azione revocatoria, per cui non vi è da parte del Giudice di quest’ultima, un accertamento sia pure incidentale del credito, ma un accertamento in via principale in ordine alla non manifesta pretestuosità della ragione di credito quale titolo di legittimazione dell’azione” (in motivazione Cass. Civ. Ordinanza sez. III-VI n. 4212 del 19/02/2020).

Con riferimento al requisito dell’eventus damni va osservato che la circostanza dell’avvenuta spoliazione, a titolo gratuito, della nuda proprietà di un immobile (nello specifico un’abitazione civile e un’autorimessa - doc. 8 e 9 fascicolo attore) è operazione potenzialmente pregiudizievole alle ragioni del creditore e segnatamente della banca attrice, in quanto ha ridotto l’entità del patrimonio complessivo del debitore.

Il requisito dell’eventus damni presuppone, dal punto di vista processuale, non tanto una valutazione sull’effettivo pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore istante, bensì la mera dimostrazione da parte di quest’ultimo della pericolosità dell’atto impugnato, in termini di una possibile eventuale infruttuosità della futura azione esecutiva.

A riguardo era preciso onere probatorio della convenuta --- indicare gli eventuali ulteriori beni di sua proprietà, che potevano costituire la garanzia patrimoniale a favore del credito della banca attrice, in luogo dei beni immobili donati al figlio ---.

Ne consegue che detta operazione di vendita è revocabile a norma dell’art. 2901 c.c. Quanto alla scientia damni, va osservato che ---, cedendo gratuitamente al figlio --- un immobile facente parte del suo patrimonio, ha certamente avuto la consapevolezza di pregiudicare le ragioni della U S.p.A., posto che con detto atto dispositivo ha fatto venire meno la garanzia patrimoniale generica del creditore costituita, a norma dell’art. 2740 c.c., dall’intero patrimonio del debitore.

A riguardo non possono condividersi le considerazioni di parte convenuta --- in ordine al fatto che essa non avesse mai inteso rendersi garante della Società omissis Immobiliare S.r.l. (sul presupposto della falsità della sottoscrizione della fideiussione del 25/02/2010), cosicché essa non avrebbe affatto potuto agire con l’intento di diminuire le proprie garanzie patrimoniali in favore di un soggetto che, in realtà non sarebbe suo creditore.

Va infatti ricordato che, nonostante la contestazione di ---, la validità della fideiussione del 25/02/2010 è già stata oggetto di accertamento giudiziale nella sentenza del Tribunale di Bergamo n. 450/2017 del 22/02/2017 (doc. n. 3 fascicolo attore), che ha confermato il decreto ingiuntivo opposto. Detta sentenza, come sopra riportato, è stata anche confermata in sede di appello.

Può pertanto ragionevolmente ritenersi plausibile che la fideiussione del 25/02/2010 sia stata effettivamente sottoscritta da ---, con tutte le conseguenze del caso.

In conclusione la domanda attorea è meritevole di accoglimento.

A norma dell’art. 2655 c.c. la sentenza va annotata in margine alle trascrizioni dell’atto revocato.

Quanto all’intervento volontario di omissis. 

PQM 

Definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, in accoglimento della domanda di parte attrice, revoca e quindi dichiara inefficace a norma dell’art. 2901 c.c. e seg. nei confronti di U S.p.A. e del suo successore a titolo particolare omissis Finance s.r.l., l’atto pubblico di donazione omissis, con il quale --- ha donato al figlio --- la nuda proprietà, riservandosi l’usufrutto generale e vitalizio, delle unità immobiliari facenti parte del complesso immobiliare omissis; ordina omissis la trascrizione della presente sentenza a margine della trascrizione dell’atto revocato omissis; condanna parti convenute --- e ---, in solido fra loro, al pagamento a favore di parte attrice U S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, delle spese e competenze di causa liquidate in complessivi € 17.000,00, oltre 15% per spese generali, IVA e CPA come per legge ed oltre € 1.686,00 per rimborso spese documentate.

 

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

20 novembre 2021

44/21. Interruzione della decadenza: cosa si intende per comunicazione della domanda di mediazione alle altre parti? (Osservatorio Mediazione Civile n. 44/2021)

=> Tribunale di Busto Arsizio, 23 aprile 2021 

L’art.5, comma 6, d.lgs. 28 del 2010 individua il momento interruttivo del termine decadenziale in quello della comunicazione della domanda di mediazione “alle altre parti”. La formulazione della norma induce, da un lato, a respingere la tesi giurisprudenziale che attribuisce l’effetto interruttivo al mero deposito della domanda di mediazione presso l’Organismo competente e, dall’altro, a escludere che tale effetto consegua alla comunicazione della “domanda e della data del primo incontro” trasmessa dall’Organismo di Mediazione ex art.8, d.lgs. 28 del 2010. Sotto il primo angolo visuale, la giurisprudenza di legittimità ha di recente precisato che “in tema di equa riparazione per la non ragionevole durata del processo, l'istanza di mediazione che preceda la relativa domanda interrompe, ai sensi dell'art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 28 del 2010, il decorso del termine semestrale di decadenza di cui all'art. 4 della l. n. 89 del 2001 dal momento della sua comunicazione alle altre parti e non da quello del suo deposito” (Cassazione civile sez. II, 28/01/2019, n. 2273). La massima ora evocata, pienamente aderente alla lettera della disposizione, dev’essere qui ribadita, con la precisazione tuttavia che la “comunicazione” cui allude l’art. 5, comma 6, è quella trasmessa dalla parte istante alle altre parti ed avente ad oggetto la mera informazione circa l’avvenuto deposito dell’istanza. Essa pertanto non coincide con la comunicazione di cui all’art. 8, comma 1, del medesimo decreto, che può esser trasmessa direttamente dall’Organismo di mediazione oppure anche “a cura della parte istante”, e che ha ad oggetto la domanda di mediazione e la data del primo incontro (I).  

(I) Si veda l’art. 5, comma 1-bis, D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 (Osservatorio Mediazione Civile n. 38/2018).

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 44/2021
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

Tribunale di Busto Arsizio
Sentenza
23 aprile 2021

Omissis

1.1 Legittimazione, interesse ad agire e competenza.

Parte convenuta ha tempestivamente eccepito l’incompetenza del Tribunale adito, spettante invece al Giudice di Pace in base al criterio del valore. Assume parte attrice che l’importo della domanda dovrebbe determinarsi avendo riguardo non già all’intero ammontare del riparto, bensì all’importo che l’attore sarebbe tenuto a corrispondere in ragione della delibera impugnata, nel caso di specie pari ad euro 793,85.

Parte attrice ha contestato la fondatezza dell’eccezione, rilevando come l’impugnazione della delibera sia volta non solo a contestare il riparto, ma anche ad impugnare la nomina dell’amministratore, da considerarsi materia di valore indeterminabile e pertanto soggette alla cognizione del Tribunale.

Ad avviso di questo Giudice l’eccezione di incompetenza è infondata.

La giurisprudenza di legittimità, ribadendo un risalente orientamento (Cass. 2646 del 1973), ha di recente ribadito la competenza residuale del Tribunale ai sensi dell’art. 9 comma 2 c.p.c. nell’ipotesi in cui, fra i vizi della delibera condominiale impugnata, alcuni siano insuscettibili di valutazione economica, poiché il loro accoglimento non è di per sé idoneo a risolversi in un diretto effetto incrementativo sul patrimonio dell’attore (in questi termini, Cass. Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 15434 del 20/07/2020, Rv. 658730 - 01). In particolare l’assunto giurisprudenziale appena evocato concerne le doglianze relative ai “vizi formali” della delibera (quale nel caso di specie la mancata indicazione dei nominativi dei votanti e delle quote millesimali): “in tema di annullamento delle deliberazioni delle assemblee condominiali, posta la sussistenza dell'interesse ad agire anche quando la relativa azione sia volta esclusivamente alla loro rimozione, ove il vizio abbia carattere meramente formale e la delibera impugnata non abbia "ex se" alcuna incidenza diretta sul patrimonio dell'attore, la domanda giudiziale appartiene alla competenza residuale del tribunale, non avendo ad oggetto la lesione di un interesse suscettibile di essere quantificato in una somma di denaro per il danno ingiustamente subito ovvero per la maggior spesa indebitamente imposta” (Cass. Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 15434 del 20/07/2020, cit.).

Tale massima giurisprudenziale, seppur riferita ad un motivo d’impugnazione differente da quello relativo alla nomina dell’amministratore, risulta pienamente applicabile anche al caso di specie, atteso che anche la nomina dell’amministratore è inidonea a produrre effetti patrimoniali quantificabili e diretti sul patrimonio dei condomini. La doglianza, intrinsecamente indeterminabile, impedisce la quantificazione economica dell’intera domanda, con conseguente applicazione della competenza residuale del Tribunale ex art. 9 comma 2 c.p.c. Parte convenuta ha altresì eccepito la carenza di legittimazione ed interesse ad agire in capo al convenuto, sia in generale che con particolare riguardo alla contestata violazione dell’art. 1123 c.c. Anche tale eccezione risulta infondata. Parte attrice risulta interessata all’annullamento della delibera impugnata, in ragione del vantaggio economico che assume possa derivarne, e che si evicne dall’atto di citazione. Con particolare riguardo alla doglianza relativa all’art. 1123 c.c., l’interesse sussiste a prescindere dalla ripartizione delle spese, considerato che in relazione a quel medesimo punto della delibera è contestata dall’attore non solo l’erronea ripartizione della spesa, ma prima ancora la stessa approvazione della spesa, che secondo la tesi attorea risulta illegittima per violazione degli artt. 1129 e 1130 c.c. Sussiste inoltre il requisito della legittimazione, da ravvisarsi sul piano delle asserzioni attoree. Nel caso di specie l’attore risulta (per circostanza incontestata) condomino, e risulta altresì dissenziente rispetto all’approvazione della delibera in parola, con riguardo a tutti i punti che di essa sono stati contestati in questa sede. Sussistono pertanto i presupposti per l’impugnazione ex art. 1337 c.c.

1.2 Decadenza.

Parte convenuta ha altresì tempestivamente eccepito la decadenza ex art. 1137 comma 2 c.c., letto in combinato disposto con l’art. 5 comma 6 d.lgs. 28 del 2010, deducendo che la delibera impugnata sia stata adottata in data 21.6.2018, e che l’istanza di mediazione e l’avviso di fissazione del primo incontro sia stato comunicato al Condominio in data 24.7.2018.

Parte attrice assume la tempestività della propria domanda, atteso che il deposito dell’istanza di mediazione presso l’Organismo competente è avvenuto in data 20.7.2018. Deduce altresì che la comunicazione dell’avvenuto deposito dell’istanza di mediazione era stata comunque trasmessa dal difensore di parte attrice al Condominio in data 20.7.2018, prima della successiva comunicazione ufficiale avvenuta in data 24.7.2018.

Anche l’eccezione di decadenza, ad avviso dello Scrivente, è infondata.

L’art. 5 comma 6 d.lgs. 28 del 2010 individua il momento interruttivo del termine decadenziale in quello della comunicazione della domanda di mediazione “alle altre parti”.

La formulazione della norma induce, da un lato, a respingere la tesi giurisprudenziale che attribuisce l’effetto interruttivo al mero deposito della domanda di mediazione presso l’Organismo competente (vedasi Corte appello Brescia sez. II, 30/07/2018, n.1337), e dall’altro a escludere che tale effetto consegua alla comunicazione della “domanda e della data del primo incontro” trasmessa dall’Organismo di Mediazione ex art. 8 d.lgs. 28 del 2010.

Sotto il primo angolo visuale, la giurisprudenza di legittimità ha di recente precisato che “in tema di equa riparazione per la non ragionevole durata del processo, l'istanza di mediazione che preceda la relativa domanda interrompe, ai sensi dell'art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 28 del 2010, il decorso del termine semestrale di decadenza di cui all'art. 4 della l. n. 89 del 2001 dal momento della sua comunicazione alle altre parti e non da quello del suo deposito” (Cassazione civile sez. II, 28/01/2019, n.2273).

La massima ora evocata, pienamente aderente alla lettera della disposizione, dev’essere qui ribadita, con la precisazione tuttavia che la “comunicazione” cui allude l’art. 5 comma 6 è quella trasmessa dalla parte istante alle altre parti ed avente ad oggetto la mera informazione circa l’avvenuto deposito dell’istanza. Essa pertanto non coincide con la comunicazione di cui all’art. 8 comma 1 del medesimo decreto, che può esser trasmessa direttamente dall’Organismo di mediazione oppure anche “a cura della parte istante”, e che ha ad oggetto la domanda di mediazione e la data del primo incontro.

Tale soluzione interpretativa, recentemente accolta nella giurisprudenza di merito (Corte appello Milano sez. III, 27/01/2020, n.253) si impone alla luce di un duplice ordine di considerazioni.

In primo luogo, la lettera dell’art. 5 comma 6, nel sintagma “alle altre parti”, induce a ritenere che la comunicazione idonea a produrre l’effetto interruttivo debba provenire dalla parte istante, la quale risulta pertanto gravata dell’onere di provvedervi.

In secondo luogo, alla luce della ratio della disposizione e del diritto costituzionalmente tutelato di cui all’art. 24 Cost., non potrebbe ammettersi che l’effetto interruttivo della decadenza sia rimesso – almeno in parte – all’autonoma iniziativa di un soggetto terzo (ovvero l’Organismo di mediazione) rispetto al titolare del diritto azionato. La comunicazione di cui all’art. 8 è infatti successiva alla fissazione della data del primo incontro da parte dell’Organismo.

Orbene, nel caso di specie è incontestato (ed in ogni caso emerge documentalmente dal doc. 14 attoreo) che la comunicazione dell’avvenuto deposito dell’istanza di mediazione sia stata trasmessa da parte attrice a parte convenuta in data 20.7.2018, cioè nella stessa data del deposito dell’istanza di mediazione. Tale comunicazione risulta tempestiva rispetto al termine di cui all’art. 1337 comma 2 c.c., considerato che la delibera è stata adottata (per circostanza pacifica ed incontestata) in data 21.6.2018.

2. Esame nel merito della domanda.

In assenza di ulteriori questioni ostative, la domanda può essere esaminata nel merito omissis.

L’art. 1129 comma 10 c.c. prevede che l’incarico dell’amministratore, di durata annuale, “si intende rinnovato per eguale durata”. La lettera della disposizione depone nel senso di un rinnovo automatico, fondato sulla presunzione (semplice) di assenso al rinnovo da parte dell’assemblea; tale presunzione può essere vinta da una contraria manifestazione di volontà contraria dei condomini, diretta a revocare l’incarico o a prevedere espressamente nel regolamento condominiale la non rinnovabilità dello stesso. Un’interpretazione della norma nel senso inverso – cioè nel senso di escludere di regola il rinnovo, salvo che l’assemblea si determini espressamente nel senso di disporlo – risulta in contrasto con il tenore della disposizione.

Nel caso di specie, non è dato rinvenire nel regolamento condominiale (doc. 5 attoreo) alcuna espressione ostativa al rinnovo. L’art. 25, in linea con la previsione normativa, prevede infatti la durata annuale dell’incarico, ma non disciplina il suo rinnovo, né nel senso di riconoscerlo, né nel senso di escluderlo.

Pertanto la previsione di un rinnovo automatico nella delibera assembleare è in linea con il disposto normativo di cui all’art. 1129 comma 10 c.c., del quale recepisce il contenuto, e non contrasta con il regolamento condominiale.

2.2 Spese relative al consumo di acqua potabile.

L’attore contesta che, sia nel consuntivo 2017-2018 che nel preventivo 2018-19 (punti 1 e 4 dell’o.d.g.), le spese dell’acqua potabile gli siano state addebitate in base a 2 quote, in violazione dell’art. 14 del Regolamento Condominiale. Osserva l’attore che l’addebito doveva avvenire in base ad 1 quota, considerato che ( a partire dal 2001) egli abita da solo nel proprio appartamento.

Il Condominio eccepisce l’infondatezza di tale asserzione, alla luce della prassi condominiale consolidata di far gravare sui condomini proprietari di terrazzo (come l’attore) una quota aggiuntiva nel riparto spese di acqua potabile, a prescindere dal numero dei componenti del nucleo familiare.

Ad avviso di questo Giudice, anche tale doglianza attorea è priva di fondamento.

Da.’art. 14 del regolamento condominiale (doc. 5 attoreo) si ricava che “salvo usi particolari la spesa per il consumo dell’acqua potabile (…) sarà ripartita fra i condomini in base ai componenti della famiglia”. E’ altresì incontestato che l’appartamento attoreo sia munito di terrazzo.

E’ incontestato che l’attore, almeno a partire dal 2001, costituisca da solo nucleo familiare a sé stante.

Tuttavia, dalla documentazione prodotta dal convenuto, si evince l’esistenza di una prassi condominiale, che prevede l’addebito a Ul. e a taluni altri condomini di una componente di spesa aggiuntiva nel riparto delle spese dell’acqua potabile. Emerge altresì che al consolidamento di tale prassi abbia contribuito anche lo stesso attore, approvando in sede di riunione assembleare i consuntivi che disponevano tale ripartizione delle spese.

Dal consuntivo approvato nel 2004 (doc. 4 pag. 14) si evince l’attribuzione a carico di omissis di una quota aggiuntiva (pertanto di complessive 2 quote). Analogamente è a dirsi per il consuntivo approvato nel 2008, con particolare riguardo al doc. 5 pag. 17, e per il consuntivo approvato nel 2014, con riferimento al doc. 6 pag. 15.

Tali consuntivi – come emerge dai verbali di assemblea inseriti nei documenti ora citati – risultano approvati (anche) dall’attore, il quale in ogni caso non risulta aver formulato in sede di assemblea alcuna osservazione in merito al riparto delle spese dell’acqua potabile.

Pertanto deve concludersi che la previsione di un carico aggiuntivo di spesa costituisca una consolidata prassi condominiale, e può ragionevolmente concludersi che tale prassi sia giustificata dalla circostanza (non contestata) che l’appartamento attoreo sia dotato di terrazzo.

Tale prassi si presenta conforme al disposto del regolamento condominiale, che all’art. 14 fa per l’appunto salvi gli “usi particolari”.

2.3 Spese di manutenzione della porta del vano pattumiere e di fornitura e posa della guaina bituminosa del garage. Preventivo omissis.

2.4 Compensi extra dell’amministratore.

Parte attrice lamenta che la fattura n. 206-17, inerente alla voce “creazione registro anagrafico”, sia stata ingiustamente conteggiata nel consuntivo 2017-18 (punto 1 dell’ordine del giorno), trattandosi di attività non contemplata nel prospetto di compenso contenuto nell’offerta trasmessa dall’amministratore al Condominio, con conseguente violazione degli artt. 1129 e 1130 c.c.. Contesta inoltre che tale spesa sia stata erroneamente ripartita su tutti i condomini in parti uguali, in violazione dell’art. 1123 c.c. Contesta l’attore inoltre che le fattura n. 132-17 e n. 16-18 sia stata erroneamente conteggiata nel consuntivo fra le spese generali, contenendo oltretutto un importo eccessivo ed inadeguato.

Il Condominio eccepisce l’attinenza di tali questioni al merito delle decisioni assembleari, come tale insindacabile; rileva in ogni caso come tale spese siano giustificate, e che essa siano state adeguatamente vagliate dall’assemblea.

Ad avviso di questo Giudice, la doglianza attorea è infondata con riguardo alle fatture n. 132-17 e n. 16-18. Essa è invece fondata con riferimento alla fattura n. 206-17.

Per quanto attiene alle fatture n. 132 del 2017 e n. 16 del 2018, sia l’opportunità di includere una data spesa fra le “spese generali”, che la valutazione di congruità della spesa, afferiscono al merito della decisione assembleare, e pertanto si sottraggono al sindacato di questo Giudice. La giurisprudenza ha sul punto più volte precisato che “il sindacato dell'autorità giudiziaria sulle delibere delle assemblee condominiali non può estendersi alla valutazione del merito ed al controllo del potere discrezionale che l'assemblea esercita quale organo sovrano della volontà dei condomini, ma deve limitarsi al riscontro della legittimità” (così Cass. n. 454 del 2017).

Aderendo a tale assunto di fondo, la giurisprudenza di merito ha anche di recente concluso che “esulano dall'ambito del sindacato giudiziale sulle deliberazioni condominiali le censure inerenti la vantaggiosità della scelta operata dall'assemblea sui costi da sostenere nella gestione delle spese relative alle cose e ai servizi comuni” (Tribunale Roma sez. V, 12/05/2020, n.7106).

Con riguardo invece alla fattura n. 206-17, deve anzitutto evidenziarsi come la delibera assembleare impugnata contenga, seppur per relationem, un espresso e specifico elenco delle attività demandate all’amministratore. La delibera impugnata (doc. 2 attoreo, pag. 2), individua infatti i compensi dell’amministratore “come da offerta del 10.1.2014”. Quest’ultima (doc. 11 attoreo) prevede l’indicazione analitica di tutte le attività demandate all’amministratore, suddivise fra attività remunerate dal compenso “ordinario” ed attività extra di carattere “straordinario”. Nell’ambito delle attività di carattere ordinario, il doc. 11 prevede “le prestazioni di legge di cui all’art. 1130 c.c.”.

Orbene, tale ultima disposizione, al comma 1 n. 6), prevede appunto fra le prestazioni rimesse all’amministratore la tenuta del registro di “anagrafe condominiale”.

Pertanto, non può ravvisarsi violazione dell’art. 1129 comma 14 c.c., considerato che sia il compenso nel suo insieme, quanto la specifica prestazione attinente alla cura dell’anagrafe condominiale risultano individuati - o in ogni caso inequivocamente evincibili – nella delibera assembleare e nell’offerta da essa richiamata.

Deve ritenersi sussistente, invece, la violazione dell’art. 1130 c.c. Tale disposizione, come si è detto, annovera fra le attività istituzionali dell’amministratore quella di tenuta dell’anagrafe condominiale. In accordo con la giurisprudenza di legittimità, deve interpretarsi tale disposizione nel senso che “l'attività dell'amministratore, connessa ed indispensabile allo svolgimento dei suoi compiti istituzionali deve ritenersi compresa, quanto al suo compenso, nel corrispettivo stabilito al momento del conferimento dell'incarico per tutta l'attività amministrativa di durata annuale e non deve, pertanto, essere retribuita a parte. Peraltro, non opera, ai fini del riconoscimento di un compenso suppletivo, in mancanza di una specifica delibera condominiale, la presunta onerosità del mandato allorché (…) è stabilito un compenso forfettari a favore dell'amministratore” (Cassazione civile sez. II, 30/09/2013, n.22313; ma v. anche Trib. Milano, 25 gennaio 2018, n. 828).

Orbene, come si evince dalla fattura contestata (doc. 10 attoreo) la “creazione del registro anagrafico”, strettamente attinente (anzi, del tutto coincidente) con l’attività istituzionale di tenuta dell’anagrafe condominiale, è stata tuttavia fatturata come voce separata e aggiuntiva rispetto al “compenso ordinario”. Nel consuntivo (doc. 1 attoreo) essa è liquidata separatamente (a pag. 10, sotto la voce di spesa “creazione registro anagrafico”) rispetto al compenso ordinario per l’amministratore (liquidato a pag. 3 con la voce “Mariani Basilico s.r.l. compenso ordinario”).

Pertanto la delibera impugnata dev’essere annullata in relazione alla parte in cui approva nel rendiconto consuntivo 2017-18 la spesa relativa alla “creazione del registro anagrafico” per l’importo di euro 1189,50.

Si considera assorbita l’ulteriore doglianza attorea, relativa alla medesima parte della delibera, e riguardante la ripartizione della predetta spesa in relazione all’art. 1123 c.c. 3. Spese di lite.

Le spese sono decise a mente degli artt. 91 e ss. c.p.c. attualmente vigente, successiva alla novella del 2014: in forza di tali disposizioni, la parte che all’esito della decisione è soccombente deve rifondere le spese della parte vittoriosa, salva solo la soccombenza reciproca, la novità della questione trattata, il revirement della giurisprudenza su questioni decisive ovvero, come sancito dalla sentenza C. Cost. n. 77/2018, altre gravi ed eccezionali ragioni da esplicitarsi in motivazione. La disciplina delle spese si basa sul principio di causalità, in virtù del quale chi ha promosso un processo perso, o ha costretto altri a promuovere un processo per affermare il suo buon diritto, ne deve sopportare le conseguenze economiche, a prescindere dall’elemento soggettivo della colpa del soccombente o da profili sanzionatori: il principio di causalità risponde ad una funzione indennitaria o ripristinatoria, nel senso che la parte vittoriosa deve essere tenuta indenne delle spese sostenute per l’accertamento del suo buon diritto (o per l’accertamento dell’inesistenza del diritto altrui), pena la vanificazione del diritto di azione e di difesa in giudizio, di cui all’art. 24 Cost. (Cass. civ., sez. 3, 15.07.2008, n. 19456; conf.: Cass. civ, sez. 3, 20.02.2014, n. 4074) omissis.

PQM 

Il Giudice, definitivamente pronunciando per quanto di ragione, ogni diversa domanda, istanza, eccezione e difesa disattesa e respinta, così decide: accoglie parzialmente la domanda omissis volta all’annullamento della delibera dell’assemblea condominiale omissis; per l’effetto, annulla la delibera dell’assemblea condominiale omissis, limitatamente alla parte in cui, in relazione al punto 1) dell’ordine del giorno, approva nel rendiconto consuntivo 2017-18 la spesa relativa alla “creazione del registro anagrafico” per l’importo di euro 1189,50; rigetta tutti gli altri motivi di impugnazione avanzati da omissis; letti gli artt. 91 e ss cpc e il d.m. 10.03.2014 n. 55, condanna CONDOMINIO TIGLI A a pagare a favore di UL. JE. CL. a titolo di refusione di 1/5 delle spese del processo, la somma di: € 1356,60 per compenso; € 545,00 per rimborso spese vive ex actis; il 15% del compenso per rimborso forfetario spese generali, oltre CPA ed IVA, se e come dovuti per legge; compensati fra le parti i restanti 4/5 delle spese per compenso professionale.

 

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

15 novembre 2021

43/21. Controversie riguardanti i contratti di locazione di beni mobili: mediazione obbligatoria? (Osservatorio Mediazione Civile n. 43/2021)

=> Tribunale di Bologna, 22 aprile 2021

In relazione alla mediazione obbligatoria, disciplinata dall’art. 5, d.lgs. 28/2010, si ritiene che essa non sia applicabile alle controversie riguardanti i contratti di locazione di beni mobili. A favore di tale tesi milita l’identità delle materie richiamate dal disposto dell'art. 5 (locazione, comodato e affitto di azienda) rispetto a quelle indicate nell'art. 447-bis c.p.c. (I).  

(I) Si veda l’art. 5, comma 1-bis, D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 (Osservatorio Mediazione Civile n. 38/2018).

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 43/2021
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

Tribunale di Bologna
Sentenza
22 aprile 2021

Omissis

Va in primo luogo affrontata la questione pregiudiziale di rito concernente le condizioni di procedibilità della domanda.

Entrambe le eccezioni sono state sollevate da parte convenuta davanti al Tribunale di Palermo e in detta sede dovevano essere decise prima ancora della declinatoria di incompetenza, per cui il rilievo è tardivo in questa sede.

In ogni caso la scrivente rileva quanto segue.

In relazione alla mediazione obbligatoria, disciplinata dall’art.5 D.Lvo 28/2010, si ritiene che essa non sia applicabile alle controversie riguardanti i contratti di locazione di beni mobili.

A favore di tale tesi milita l’identità delle materie richiamate dal disposto dell'art. 5 (locazione, comodato e affitto di azienda) rispetto a quelle indicate nell'art. 447-bis c.p.c., benché la norma possa prestarsi anche ad un’interpretazione più estensiva.

Quanto alla negoziazione assistita, l’attrice all’udienza del 19.09.2019 ha dato atto di aver inoltrato a mezzo pec in data 5.7.2019 l’invito alla negoziazione assistita (riservandosi il deposito telematico, che non risulta mai effettuato), invito a cui controparte non avrebbe risposto; la circostanza non è stata contestata da parte convenuta in udienza e neppure nelle memorie ex art. 183 co. 6 c.p.c., che non ha curato di depositare; pertanto, nonostante la medesima insista nelle conclusioni precisate su entrambe le eccezioni di improcedibilità, la questione deve ritenersi superata, considerato che l’art. 3, D.L.132/2014 prevede unicamente che, in caso di omissione della condizione di procedibilità, il giudice debba limitarsi ad assegnare alle parti il termine per il relativo espletamento.

Passando alla seconda questione pregiudiziale sollevata da parte convenuta, inerente il difetto di legittimazione attiva di omissis, in quanto non proprietaria della vettura né al momento del sinistro né all’inizio del presente giudizio né successivamente, si osserva che: omissis.

Vi è dunque prova scritta che il bene sia stato acquistato da omissis, a nulla rilevando a chi spettasse la proprietà al momento del giudizio.

In ogni caso il libretto di circolazione menzionava il contratto di locazione, con la conseguenza che il conduttore, il quale a sua volta cede in sublocazione il bene, è tenuto a custodirlo osservando la diligenza del buon padre di famiglia in forza dell’art.1587 c.c. Inoltre il conduttore risponde della perdita e del deterioramento della cosa che avviene nel corso della locazione, qualora non provi che siano accaduti per causa a lui non imputabile nei confronti del suo dante causa ai sensi dell’art. 1588 c.c.; trattandosi di bene concesso in sublocazione, pertanto, la conduttrice omissis rispondeva nei confronti di omissis e omissis nei confronti del sublocatore.

La proprietà del bene non rileva nei rapporti tra le parti del contratto di locazione ai fini della legittimazione ad agire, essendo sufficiente che il locatore abbia piena disponibilità della cosa.

“In tema di legittimazione alla domanda di danni, deve ritenersi che il diritto al risarcimento può spettare anche a colui il quale, per circostanze contingenti, si trovi ad esercitare un potere soltanto materiale sulla cosa e, dal danneggiamento di questa, possa risentire un pregiudizio al suo patrimonio, indipendentemente dal diritto, reale o personale, che egli abbia all'esercizio di quel potere. È dunque tutelabile in sede risarcitoria anche la posizione di chi eserciti nei confronti dell'autovettura danneggiata in un sinistro stradale una situazione di possesso giuridicamente qualificabile come tale ai sensi dell'art. 1140 c.c.”. (Cass. 12 ottobre 2010, n. 21011; Cass. 12 gennaio 2011, n. 534; Cass., 23 febbraio 2006, n. 4003; Cass. 20 agosto 2003 n. 12215); nel caso di specie il conduttore omissis aveva la detenzione qualificata in forza del contratto di locazione con omissis, oltre ad esserne divenuto proprietario successivamente per le ragioni già esposte.

In definitiva, si fa prevalere l’effettivo potere sulla cosa danneggiata sulla formale intestazione nel pubblico registro automobilistico.

Sono agli atti il libretto del veicolo noleggiato e la fattura di acquisto del veicolo.

A conferma di quanto sopra si pongono le condizioni generali di contratto omissis.

Affermata in considerazione delle argomentazioni sopra esposte la legittimazione del locatore omissis, occorre valutare se sussista la responsabilità del conduttore in relazione ai danni provocati all’autovettura nel sinistro avvenuto in data 14.04.2015, dandosi per pacifico che il mezzo sia uscito di strada senza collidere con altri veicoli, si sia capottato ed abbia subito i danneggiamenti visibili nella documentazione fotografica prodotta da parte attrice omissis.

Il convenuto va pertanto dichiarato tenuto e condannato al risarcimento del danno patito da parte attrice a seguito della pressoché distruzione del veicolo noleggiato, quantificato in € 8000,00, già rivalutato, oltre interessi dalla domanda, come proposta davanti al Tribunale di Palermo, al saldo effettivo.

Proprio sulla scorta di tali valori la scrivente aveva formulato all’udienza del 19 settembre 2019 (cioè l’udienza successiva alla prima, nella quale era stata autorizzata la chiamata in causa del terzo richiesta dal convenuto, mai effettuata, e quindi prima ancora della concessione dei termini ex art. 183 c.p.c.) la proposta ex art. 185 bis c.p.c., che poneva a carico del convenuto l’importo complessivo di €7.000,00 comprese le spese legali, da versarsi entro il 31.12.2019, per definire la vertenza; la proposta era stata accettata dall’attrice, ma non dal convenuto, il quale soltanto all’udienza del 13 ottobre 2020, fissata per il suo interrogatorio formale e dopo il conferimento dell’incarico al CTU, ha proposto di chiudere la vicenda con il versamento di €3.000,00.

Va invece esclusa qualsivoglia responsabilità extracontrattuale ex art.2051 c.c. in capo al conduttore, posto che la norma citata disciplina il danno provocato dalla cosa in custodia, mentre nel presente giudizio si discute del danno provocato al conduttore alla cosa locata, sulla quale il predetto doveva esercitare la necessaria custodia.

Ne consegue che le spese di lite debbano essere integralmente poste a carico del convenuto, sulla cui qualità di consumatore nella conclusione del contratto di noleggio per cui è causa la scrivente ha motivo di dubitare, nonostante la sentenza resa dal Tribunale di Palermo, posto che tutta la corrispondenza intercorsa tra il predetto e omissis depone nel senso di configurare il contraente come professionista, nella sua veste di omissis.

Le spese vanno poste a carico di parte convenuta stante la sua soccombenza e vengono liquidate in dispositivo sulla scorta dei valori medi del D.M. 55/2014 per tutte le fasi dello scaglione da € 5.200,00 ad € 26.000,00.

PQM

Il Giudice istruttore, in qualità di Giudice Unico, definitivamente pronunciando nella causa in epigrafe indicata, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione reietta, condanna omissis al risarcimento del danno patito dall’attrice e liquidato in € 8.000,00, già rivalutato all’attualità, oltre interessi dalla domanda, come proposta davanti al Tribunale di Palermo, al saldo effettivo; condanna omissis al pagamento in favore di parte attrice delle spese di lite, liquidate in € 264,00 per anticipazioni ed € 4.835,00 per compensi, oltre spese generali ed accessori come per legge. Pone definitivamente a carico del convenuto le spese di CTU come già liquidate con ordinanza resa a verbale di udienza del 19 maggio 2020 a titolo di fondo spese.

 

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

5 novembre 2021

42/21. MEDIA Magazine n. 11 del 2021 (Osservatorio Mediazione Civile n. 42/2021)

MEDIA Magazine

Mensile dell’Osservatorio Nazionale sulla Mediazione Civile
ISSN 2281 - 5139

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N. 11/21  novembre 2021


Numero interamente dedicato alla giurisprudenza di merito. 

GIURISPRUDENZA


Azione per inadempimento degli obblighi scaturenti dal contratto preliminare di vendita: mediazione obbligatoria? (Osservatorio Mediazione Civile n. 41/2021)
=> Tribunale di Milano, 13 aprile 2021

Domanda riconvenzionale: sì alla mediazione c.d. obbligatoria (Osservatorio Mediazione Civile n. 40/2021)
=> Corte Appello di Torino, 13 aprile 2021

Fideiussione: no alla mediazione c.d. obbligatoria (Osservatorio Mediazione Civile n. 39/2021)
=> Corte di appello di Milano, 30 marzo 2021

Domanda riconvenzionale: sì alla mediazione c.d. obbligatoria (Osservatorio Mediazione Civile n. 37/2021)
=> Tribunale di Reggio Calabria, 30 marzo 2021

SEGNALAZIONI dal Centro Studi Diritto Avanzato (link diretti al sito dell’editore)

Ruggero STINCARDINI, <<MODI DI ESTINZIONE DELLE OBBLIGAZIONI DIVERSI DALL’ADEMPIMENTO>>, Diritto Avanzato, Milano, 2021 (ottobre)
L’opera è interamente dedicata alla trattazione delle vicende, diverse dall’adempimento, che comportano l’estinzione del vincolo obbligatorio… [continua]

Luigi VIOLA, <<VALUTAZIONE DELLE PROVE SECONDO PRUDENTE APPREZZAMENTO>>. Dal più probabile che non alla sommatoria di prove, Diritto Avanzato, Milano, 2021 (luglio)
Ogni questione giuridica è composta da Fatto e Diritto… [continua]

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Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 42/2021

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