=> Tribunale
di Busto Arsizio, 23 aprile 2021
L’art.5, comma 6, d.lgs. 28 del 2010 individua il momento interruttivo del
termine decadenziale in quello della comunicazione della domanda di
mediazione “alle altre parti”. La formulazione della norma induce, da un
lato, a respingere la tesi giurisprudenziale che attribuisce l’effetto
interruttivo al mero deposito della domanda di mediazione presso
l’Organismo competente e, dall’altro, a escludere che tale effetto consegua
alla comunicazione della “domanda e della data del primo incontro” trasmessa
dall’Organismo di Mediazione ex art.8, d.lgs. 28 del 2010. Sotto il primo angolo visuale, la giurisprudenza di
legittimità ha di recente precisato che “in tema di equa riparazione per la non
ragionevole durata del processo, l'istanza di mediazione che preceda la
relativa domanda interrompe, ai sensi dell'art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 28
del 2010, il decorso del termine semestrale di decadenza di cui all'art. 4
della l. n. 89 del 2001 dal momento della sua comunicazione alle altre parti
e non da quello del suo deposito” (Cassazione civile sez. II, 28/01/2019,
n. 2273). La massima ora evocata, pienamente aderente alla lettera della
disposizione, dev’essere qui ribadita, con la precisazione tuttavia che la
“comunicazione” cui allude l’art.
5, comma 6, è quella trasmessa dalla parte istante alle altre parti ed
avente ad oggetto la mera informazione circa l’avvenuto deposito dell’istanza.
Essa pertanto non coincide con la comunicazione di cui all’art.
8, comma 1, del medesimo decreto, che può esser trasmessa direttamente
dall’Organismo di mediazione oppure anche “a cura della parte istante”, e che
ha ad oggetto la domanda di mediazione e la data del primo incontro (I).
(I) Si veda
l’art. 5, comma 1-bis, D.lgs. 4 marzo 2010
n. 28 (Osservatorio Mediazione Civile n. 38/2018).
Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 44/2021
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)
Tribunale di Busto Arsizio
Sentenza
23 aprile 2021
Omissis
1.1 Legittimazione, interesse ad agire e competenza.
Parte convenuta ha tempestivamente eccepito l’incompetenza del
Tribunale adito, spettante invece al Giudice di Pace in base al criterio del
valore. Assume parte attrice che l’importo della domanda dovrebbe determinarsi
avendo riguardo non già all’intero ammontare del riparto, bensì all’importo che
l’attore sarebbe tenuto a corrispondere in ragione della delibera impugnata,
nel caso di specie pari ad euro 793,85.
Parte attrice ha contestato la fondatezza dell’eccezione, rilevando
come l’impugnazione della delibera sia volta non solo a contestare il riparto,
ma anche ad impugnare la nomina dell’amministratore, da considerarsi materia di
valore indeterminabile e pertanto soggette alla cognizione del Tribunale.
Ad avviso di questo Giudice l’eccezione di incompetenza è infondata.
La giurisprudenza di legittimità, ribadendo un risalente orientamento
(Cass. 2646 del 1973), ha di recente ribadito la competenza residuale del
Tribunale ai sensi dell’art. 9 comma 2 c.p.c. nell’ipotesi in cui, fra i vizi
della delibera condominiale impugnata, alcuni siano insuscettibili di
valutazione economica, poiché il loro accoglimento non è di per sé idoneo a
risolversi in un diretto effetto incrementativo sul patrimonio dell’attore (in
questi termini, Cass. Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 15434 del 20/07/2020, Rv. 658730
- 01). In particolare l’assunto giurisprudenziale appena evocato concerne le
doglianze relative ai “vizi formali” della delibera (quale nel caso di specie
la mancata indicazione dei nominativi dei votanti e delle quote millesimali):
“in tema di annullamento delle deliberazioni delle assemblee condominiali,
posta la sussistenza dell'interesse ad agire anche quando la relativa azione
sia volta esclusivamente alla loro rimozione, ove il vizio abbia carattere
meramente formale e la delibera impugnata non abbia "ex se" alcuna
incidenza diretta sul patrimonio dell'attore, la domanda giudiziale appartiene
alla competenza residuale del tribunale, non avendo ad oggetto la lesione di un
interesse suscettibile di essere quantificato in una somma di denaro per il
danno ingiustamente subito ovvero per la maggior spesa indebitamente imposta”
(Cass. Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 15434 del 20/07/2020, cit.).
Tale massima giurisprudenziale, seppur riferita ad un motivo
d’impugnazione differente da quello relativo alla nomina dell’amministratore,
risulta pienamente applicabile anche al caso di specie, atteso che anche la
nomina dell’amministratore è inidonea a produrre effetti patrimoniali
quantificabili e diretti sul patrimonio dei condomini. La doglianza,
intrinsecamente indeterminabile, impedisce la quantificazione economica
dell’intera domanda, con conseguente applicazione della competenza residuale
del Tribunale ex art. 9 comma 2 c.p.c. Parte convenuta ha altresì eccepito la
carenza di legittimazione ed interesse ad agire in capo al convenuto, sia in
generale che con particolare riguardo alla contestata violazione dell’art. 1123
c.c. Anche tale eccezione risulta infondata. Parte attrice risulta interessata
all’annullamento della delibera impugnata, in ragione del vantaggio economico
che assume possa derivarne, e che si evicne dall’atto di citazione. Con
particolare riguardo alla doglianza relativa all’art. 1123 c.c., l’interesse
sussiste a prescindere dalla ripartizione delle spese, considerato che in
relazione a quel medesimo punto della delibera è contestata dall’attore non
solo l’erronea ripartizione della spesa, ma prima ancora la stessa approvazione
della spesa, che secondo la tesi attorea risulta illegittima per violazione
degli artt. 1129 e 1130 c.c. Sussiste inoltre il requisito della
legittimazione, da ravvisarsi sul piano delle asserzioni attoree. Nel caso di
specie l’attore risulta (per circostanza incontestata) condomino, e risulta
altresì dissenziente rispetto all’approvazione della delibera in parola, con
riguardo a tutti i punti che di essa sono stati contestati in questa sede.
Sussistono pertanto i presupposti per l’impugnazione ex art. 1337 c.c.
1.2 Decadenza.
Parte convenuta ha altresì tempestivamente eccepito la decadenza ex
art. 1137 comma 2 c.c., letto in combinato disposto con l’art. 5 comma 6 d.lgs.
28 del 2010, deducendo che la delibera impugnata sia stata adottata in data
21.6.2018, e che l’istanza di mediazione e l’avviso di fissazione del primo
incontro sia stato comunicato al Condominio in data 24.7.2018.
Parte attrice assume la tempestività della propria domanda, atteso che
il deposito dell’istanza di mediazione presso l’Organismo competente è avvenuto
in data 20.7.2018. Deduce altresì che la comunicazione dell’avvenuto deposito
dell’istanza di mediazione era stata comunque trasmessa dal difensore di parte
attrice al Condominio in data 20.7.2018, prima della successiva comunicazione
ufficiale avvenuta in data 24.7.2018.
Anche l’eccezione di decadenza, ad avviso dello Scrivente, è infondata.
L’art. 5 comma 6 d.lgs. 28 del 2010 individua il momento interruttivo
del termine decadenziale in quello della comunicazione della domanda di
mediazione “alle altre parti”.
La formulazione della norma induce, da un lato, a respingere la tesi
giurisprudenziale che attribuisce l’effetto interruttivo al mero deposito della
domanda di mediazione presso l’Organismo competente (vedasi Corte appello
Brescia sez. II, 30/07/2018, n.1337), e dall’altro a escludere che tale effetto
consegua alla comunicazione della “domanda e della data del primo incontro”
trasmessa dall’Organismo di Mediazione ex art. 8 d.lgs. 28 del 2010.
Sotto il primo angolo visuale, la giurisprudenza di legittimità ha di
recente precisato che “in tema di equa riparazione per la non ragionevole
durata del processo, l'istanza di mediazione che preceda la relativa domanda
interrompe, ai sensi dell'art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 28 del 2010, il
decorso del termine semestrale di decadenza di cui all'art. 4 della l. n. 89
del 2001 dal momento della sua comunicazione alle altre parti e non da quello
del suo deposito” (Cassazione civile sez. II, 28/01/2019, n.2273).
La massima ora evocata, pienamente aderente alla lettera della
disposizione, dev’essere qui ribadita, con la precisazione tuttavia che la
“comunicazione” cui allude l’art. 5 comma 6 è quella trasmessa dalla parte
istante alle altre parti ed avente ad oggetto la mera informazione circa
l’avvenuto deposito dell’istanza. Essa pertanto non coincide con la
comunicazione di cui all’art. 8 comma 1 del medesimo decreto, che può esser
trasmessa direttamente dall’Organismo di mediazione oppure anche “a cura della
parte istante”, e che ha ad oggetto la domanda di mediazione e la data del
primo incontro.
Tale soluzione interpretativa, recentemente accolta nella
giurisprudenza di merito (Corte appello Milano sez. III, 27/01/2020, n.253) si
impone alla luce di un duplice ordine di considerazioni.
In primo luogo, la lettera dell’art. 5 comma 6, nel sintagma “alle
altre parti”, induce a ritenere che la comunicazione idonea a produrre
l’effetto interruttivo debba provenire dalla parte istante, la quale risulta
pertanto gravata dell’onere di provvedervi.
In secondo luogo, alla luce della ratio della disposizione e del
diritto costituzionalmente tutelato di cui all’art. 24 Cost., non potrebbe
ammettersi che l’effetto interruttivo della decadenza sia rimesso – almeno in
parte – all’autonoma iniziativa di un soggetto terzo (ovvero l’Organismo di
mediazione) rispetto al titolare del diritto azionato. La comunicazione di cui
all’art. 8 è infatti successiva alla fissazione della data del primo incontro
da parte dell’Organismo.
Orbene, nel caso di specie è incontestato (ed in ogni caso emerge
documentalmente dal doc. 14 attoreo) che la comunicazione dell’avvenuto
deposito dell’istanza di mediazione sia stata trasmessa da parte attrice a
parte convenuta in data 20.7.2018, cioè nella stessa data del deposito
dell’istanza di mediazione. Tale comunicazione risulta tempestiva rispetto al
termine di cui all’art. 1337 comma 2 c.c., considerato che la delibera è stata
adottata (per circostanza pacifica ed incontestata) in data 21.6.2018.
2. Esame nel merito della domanda.
In assenza di ulteriori questioni ostative, la domanda può essere
esaminata nel merito omissis.
L’art. 1129 comma 10 c.c. prevede che l’incarico dell’amministratore,
di durata annuale, “si intende rinnovato per eguale durata”. La lettera della
disposizione depone nel senso di un rinnovo automatico, fondato sulla
presunzione (semplice) di assenso al rinnovo da parte dell’assemblea; tale
presunzione può essere vinta da una contraria manifestazione di volontà
contraria dei condomini, diretta a revocare l’incarico o a prevedere
espressamente nel regolamento condominiale la non rinnovabilità dello stesso.
Un’interpretazione della norma nel senso inverso – cioè nel senso di escludere
di regola il rinnovo, salvo che l’assemblea si determini espressamente nel
senso di disporlo – risulta in contrasto con il tenore della disposizione.
Nel caso di specie, non è dato rinvenire nel regolamento condominiale
(doc. 5 attoreo) alcuna espressione ostativa al rinnovo. L’art. 25, in linea
con la previsione normativa, prevede infatti la durata annuale dell’incarico,
ma non disciplina il suo rinnovo, né nel senso di riconoscerlo, né nel senso di
escluderlo.
Pertanto la previsione di un rinnovo automatico nella delibera
assembleare è in linea con il disposto normativo di cui all’art. 1129 comma 10
c.c., del quale recepisce il contenuto, e non contrasta con il regolamento condominiale.
2.2 Spese relative al consumo di acqua potabile.
L’attore contesta che, sia nel consuntivo 2017-2018 che nel preventivo
2018-19 (punti 1 e 4 dell’o.d.g.), le spese dell’acqua potabile gli siano state
addebitate in base a 2 quote, in violazione dell’art. 14 del Regolamento
Condominiale. Osserva l’attore che l’addebito doveva avvenire in base ad 1
quota, considerato che ( a partire dal 2001) egli abita da solo nel proprio
appartamento.
Il Condominio eccepisce l’infondatezza di tale asserzione, alla luce
della prassi condominiale consolidata di far gravare sui condomini proprietari
di terrazzo (come l’attore) una quota aggiuntiva nel riparto spese di acqua
potabile, a prescindere dal numero dei componenti del nucleo familiare.
Ad avviso di questo Giudice, anche tale doglianza attorea è priva di
fondamento.
Da.’art. 14 del regolamento condominiale (doc. 5 attoreo) si ricava che
“salvo usi particolari la spesa per il consumo dell’acqua potabile (…) sarà
ripartita fra i condomini in base ai componenti della famiglia”. E’ altresì
incontestato che l’appartamento attoreo sia munito di terrazzo.
E’ incontestato che l’attore, almeno a partire dal 2001, costituisca da
solo nucleo familiare a sé stante.
Tuttavia, dalla documentazione prodotta dal convenuto, si evince
l’esistenza di una prassi condominiale, che prevede l’addebito a Ul. e a taluni
altri condomini di una componente di spesa aggiuntiva nel riparto delle spese
dell’acqua potabile. Emerge altresì che al consolidamento di tale prassi abbia
contribuito anche lo stesso attore, approvando in sede di riunione assembleare
i consuntivi che disponevano tale ripartizione delle spese.
Dal consuntivo approvato nel 2004 (doc. 4 pag. 14) si evince
l’attribuzione a carico di omissis di
una quota aggiuntiva (pertanto di complessive 2 quote). Analogamente è a dirsi
per il consuntivo approvato nel 2008, con particolare riguardo al doc. 5 pag.
17, e per il consuntivo approvato nel 2014, con riferimento al doc. 6 pag. 15.
Tali consuntivi – come emerge dai verbali di assemblea inseriti nei
documenti ora citati – risultano approvati (anche) dall’attore, il quale in
ogni caso non risulta aver formulato in sede di assemblea alcuna osservazione
in merito al riparto delle spese dell’acqua potabile.
Pertanto deve concludersi che la previsione di un carico aggiuntivo di
spesa costituisca una consolidata prassi condominiale, e può ragionevolmente
concludersi che tale prassi sia giustificata dalla circostanza (non contestata)
che l’appartamento attoreo sia dotato di terrazzo.
Tale prassi si presenta conforme al disposto del regolamento condominiale,
che all’art. 14 fa per l’appunto salvi gli “usi particolari”.
2.3 Spese di manutenzione della porta del vano pattumiere e di
fornitura e posa della guaina bituminosa del garage. Preventivo omissis.
2.4 Compensi extra dell’amministratore.
Parte attrice lamenta che la fattura n. 206-17, inerente alla voce
“creazione registro anagrafico”, sia stata ingiustamente conteggiata nel
consuntivo 2017-18 (punto 1 dell’ordine del giorno), trattandosi di attività
non contemplata nel prospetto di compenso contenuto nell’offerta trasmessa
dall’amministratore al Condominio, con conseguente violazione degli artt. 1129
e 1130 c.c.. Contesta inoltre che tale spesa sia stata erroneamente ripartita
su tutti i condomini in parti uguali, in violazione dell’art. 1123 c.c.
Contesta l’attore inoltre che le fattura n. 132-17 e n. 16-18 sia stata
erroneamente conteggiata nel consuntivo fra le spese generali, contenendo
oltretutto un importo eccessivo ed inadeguato.
Il Condominio eccepisce l’attinenza di tali questioni al merito delle
decisioni assembleari, come tale insindacabile; rileva in ogni caso come tale
spese siano giustificate, e che essa siano state adeguatamente vagliate
dall’assemblea.
Ad avviso di questo Giudice, la doglianza attorea è infondata con
riguardo alle fatture n. 132-17 e n. 16-18. Essa è invece fondata con
riferimento alla fattura n. 206-17.
Per quanto attiene alle fatture n. 132 del 2017 e n. 16 del 2018, sia
l’opportunità di includere una data spesa fra le “spese generali”, che la
valutazione di congruità della spesa, afferiscono al merito della decisione
assembleare, e pertanto si sottraggono al sindacato di questo Giudice. La
giurisprudenza ha sul punto più volte precisato che “il sindacato dell'autorità
giudiziaria sulle delibere delle assemblee condominiali non può estendersi alla
valutazione del merito ed al controllo del potere discrezionale che l'assemblea
esercita quale organo sovrano della volontà dei condomini, ma deve limitarsi al
riscontro della legittimità” (così Cass. n. 454 del 2017).
Aderendo a tale assunto di fondo, la giurisprudenza di merito ha anche
di recente concluso che “esulano dall'ambito del sindacato giudiziale sulle
deliberazioni condominiali le censure inerenti la vantaggiosità della scelta
operata dall'assemblea sui costi da sostenere nella gestione delle spese
relative alle cose e ai servizi comuni” (Tribunale Roma sez. V, 12/05/2020,
n.7106).
Con riguardo invece alla fattura n. 206-17, deve anzitutto evidenziarsi
come la delibera assembleare impugnata contenga, seppur per relationem, un
espresso e specifico elenco delle attività demandate all’amministratore. La
delibera impugnata (doc. 2 attoreo, pag. 2), individua infatti i compensi
dell’amministratore “come da offerta del 10.1.2014”. Quest’ultima (doc. 11
attoreo) prevede l’indicazione analitica di tutte le attività demandate
all’amministratore, suddivise fra attività remunerate dal compenso “ordinario”
ed attività extra di carattere “straordinario”. Nell’ambito delle attività di
carattere ordinario, il doc. 11 prevede “le prestazioni di legge di cui
all’art. 1130 c.c.”.
Orbene, tale ultima disposizione, al comma 1 n. 6), prevede appunto fra
le prestazioni rimesse all’amministratore la tenuta del registro di “anagrafe
condominiale”.
Pertanto, non può ravvisarsi violazione dell’art. 1129 comma 14 c.c.,
considerato che sia il compenso nel suo insieme, quanto la specifica
prestazione attinente alla cura dell’anagrafe condominiale risultano
individuati - o in ogni caso inequivocamente evincibili – nella delibera
assembleare e nell’offerta da essa richiamata.
Deve ritenersi sussistente, invece, la violazione dell’art. 1130 c.c.
Tale disposizione, come si è detto, annovera fra le attività istituzionali
dell’amministratore quella di tenuta dell’anagrafe condominiale. In accordo con
la giurisprudenza di legittimità, deve interpretarsi tale disposizione nel
senso che “l'attività dell'amministratore, connessa ed indispensabile allo
svolgimento dei suoi compiti istituzionali deve ritenersi compresa, quanto al
suo compenso, nel corrispettivo stabilito al momento del conferimento
dell'incarico per tutta l'attività amministrativa di durata annuale e non deve,
pertanto, essere retribuita a parte. Peraltro, non opera, ai fini del
riconoscimento di un compenso suppletivo, in mancanza di una specifica delibera
condominiale, la presunta onerosità del mandato allorché (…) è stabilito un
compenso forfettari a favore dell'amministratore” (Cassazione civile sez. II,
30/09/2013, n.22313; ma v. anche Trib. Milano, 25 gennaio 2018, n. 828).
Orbene, come si evince dalla fattura contestata (doc. 10 attoreo) la
“creazione del registro anagrafico”, strettamente attinente (anzi, del tutto
coincidente) con l’attività istituzionale di tenuta dell’anagrafe condominiale,
è stata tuttavia fatturata come voce separata e aggiuntiva rispetto al
“compenso ordinario”. Nel consuntivo (doc. 1 attoreo) essa è liquidata
separatamente (a pag. 10, sotto la voce di spesa “creazione registro
anagrafico”) rispetto al compenso ordinario per l’amministratore (liquidato a
pag. 3 con la voce “Mariani Basilico s.r.l. compenso ordinario”).
Pertanto la delibera impugnata dev’essere annullata in relazione alla
parte in cui approva nel rendiconto consuntivo 2017-18 la spesa relativa alla
“creazione del registro anagrafico” per l’importo di euro 1189,50.
Si considera assorbita l’ulteriore doglianza attorea, relativa alla
medesima parte della delibera, e riguardante la ripartizione della predetta
spesa in relazione all’art. 1123 c.c. 3. Spese di lite.
Le spese sono decise a mente degli artt. 91 e ss. c.p.c. attualmente
vigente, successiva alla novella del 2014: in forza di tali disposizioni, la
parte che all’esito della decisione è soccombente deve rifondere le spese della
parte vittoriosa, salva solo la soccombenza reciproca, la novità della
questione trattata, il revirement della giurisprudenza su questioni decisive
ovvero, come sancito dalla sentenza C. Cost. n. 77/2018, altre gravi ed
eccezionali ragioni da esplicitarsi in motivazione. La disciplina delle spese
si basa sul principio di causalità, in virtù del quale chi ha promosso un
processo perso, o ha costretto altri a promuovere un processo per affermare il
suo buon diritto, ne deve sopportare le conseguenze economiche, a prescindere
dall’elemento soggettivo della colpa del soccombente o da profili sanzionatori:
il principio di causalità risponde ad una funzione indennitaria o
ripristinatoria, nel senso che la parte vittoriosa deve essere tenuta indenne
delle spese sostenute per l’accertamento del suo buon diritto (o per
l’accertamento dell’inesistenza del diritto altrui), pena la vanificazione del
diritto di azione e di difesa in giudizio, di cui all’art. 24 Cost. (Cass. civ., sez. 3,
15.07.2008, n. 19456; conf.: Cass. civ, sez. 3, 20.02.2014, n. 4074) omissis.
PQM
Il Giudice, definitivamente pronunciando per quanto di ragione, ogni
diversa domanda, istanza, eccezione e difesa disattesa e respinta, così decide:
accoglie parzialmente la domanda omissis
volta all’annullamento della delibera dell’assemblea condominiale omissis; per l’effetto, annulla la
delibera dell’assemblea condominiale omissis,
limitatamente alla parte in cui, in relazione al punto 1) dell’ordine del
giorno, approva nel rendiconto consuntivo 2017-18 la spesa relativa alla
“creazione del registro anagrafico” per l’importo di euro 1189,50; rigetta
tutti gli altri motivi di impugnazione avanzati da omissis; letti gli artt. 91 e ss cpc e il d.m. 10.03.2014 n. 55,
condanna CONDOMINIO TIGLI A a pagare a favore di UL. JE. CL. a titolo di
refusione di 1/5 delle spese del processo, la somma di: € 1356,60 per compenso;
€ 545,00 per rimborso spese vive ex actis; il 15% del compenso per rimborso
forfetario spese generali, oltre CPA ed IVA, se e come dovuti per legge;
compensati fra le parti i restanti 4/5 delle spese per compenso professionale.
AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.