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20 novembre 2021

44/21. Interruzione della decadenza: cosa si intende per comunicazione della domanda di mediazione alle altre parti? (Osservatorio Mediazione Civile n. 44/2021)

=> Tribunale di Busto Arsizio, 23 aprile 2021 

L’art.5, comma 6, d.lgs. 28 del 2010 individua il momento interruttivo del termine decadenziale in quello della comunicazione della domanda di mediazione “alle altre parti”. La formulazione della norma induce, da un lato, a respingere la tesi giurisprudenziale che attribuisce l’effetto interruttivo al mero deposito della domanda di mediazione presso l’Organismo competente e, dall’altro, a escludere che tale effetto consegua alla comunicazione della “domanda e della data del primo incontro” trasmessa dall’Organismo di Mediazione ex art.8, d.lgs. 28 del 2010. Sotto il primo angolo visuale, la giurisprudenza di legittimità ha di recente precisato che “in tema di equa riparazione per la non ragionevole durata del processo, l'istanza di mediazione che preceda la relativa domanda interrompe, ai sensi dell'art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 28 del 2010, il decorso del termine semestrale di decadenza di cui all'art. 4 della l. n. 89 del 2001 dal momento della sua comunicazione alle altre parti e non da quello del suo deposito” (Cassazione civile sez. II, 28/01/2019, n. 2273). La massima ora evocata, pienamente aderente alla lettera della disposizione, dev’essere qui ribadita, con la precisazione tuttavia che la “comunicazione” cui allude l’art. 5, comma 6, è quella trasmessa dalla parte istante alle altre parti ed avente ad oggetto la mera informazione circa l’avvenuto deposito dell’istanza. Essa pertanto non coincide con la comunicazione di cui all’art. 8, comma 1, del medesimo decreto, che può esser trasmessa direttamente dall’Organismo di mediazione oppure anche “a cura della parte istante”, e che ha ad oggetto la domanda di mediazione e la data del primo incontro (I).  

(I) Si veda l’art. 5, comma 1-bis, D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 (Osservatorio Mediazione Civile n. 38/2018).

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 44/2021
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

Tribunale di Busto Arsizio
Sentenza
23 aprile 2021

Omissis

1.1 Legittimazione, interesse ad agire e competenza.

Parte convenuta ha tempestivamente eccepito l’incompetenza del Tribunale adito, spettante invece al Giudice di Pace in base al criterio del valore. Assume parte attrice che l’importo della domanda dovrebbe determinarsi avendo riguardo non già all’intero ammontare del riparto, bensì all’importo che l’attore sarebbe tenuto a corrispondere in ragione della delibera impugnata, nel caso di specie pari ad euro 793,85.

Parte attrice ha contestato la fondatezza dell’eccezione, rilevando come l’impugnazione della delibera sia volta non solo a contestare il riparto, ma anche ad impugnare la nomina dell’amministratore, da considerarsi materia di valore indeterminabile e pertanto soggette alla cognizione del Tribunale.

Ad avviso di questo Giudice l’eccezione di incompetenza è infondata.

La giurisprudenza di legittimità, ribadendo un risalente orientamento (Cass. 2646 del 1973), ha di recente ribadito la competenza residuale del Tribunale ai sensi dell’art. 9 comma 2 c.p.c. nell’ipotesi in cui, fra i vizi della delibera condominiale impugnata, alcuni siano insuscettibili di valutazione economica, poiché il loro accoglimento non è di per sé idoneo a risolversi in un diretto effetto incrementativo sul patrimonio dell’attore (in questi termini, Cass. Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 15434 del 20/07/2020, Rv. 658730 - 01). In particolare l’assunto giurisprudenziale appena evocato concerne le doglianze relative ai “vizi formali” della delibera (quale nel caso di specie la mancata indicazione dei nominativi dei votanti e delle quote millesimali): “in tema di annullamento delle deliberazioni delle assemblee condominiali, posta la sussistenza dell'interesse ad agire anche quando la relativa azione sia volta esclusivamente alla loro rimozione, ove il vizio abbia carattere meramente formale e la delibera impugnata non abbia "ex se" alcuna incidenza diretta sul patrimonio dell'attore, la domanda giudiziale appartiene alla competenza residuale del tribunale, non avendo ad oggetto la lesione di un interesse suscettibile di essere quantificato in una somma di denaro per il danno ingiustamente subito ovvero per la maggior spesa indebitamente imposta” (Cass. Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 15434 del 20/07/2020, cit.).

Tale massima giurisprudenziale, seppur riferita ad un motivo d’impugnazione differente da quello relativo alla nomina dell’amministratore, risulta pienamente applicabile anche al caso di specie, atteso che anche la nomina dell’amministratore è inidonea a produrre effetti patrimoniali quantificabili e diretti sul patrimonio dei condomini. La doglianza, intrinsecamente indeterminabile, impedisce la quantificazione economica dell’intera domanda, con conseguente applicazione della competenza residuale del Tribunale ex art. 9 comma 2 c.p.c. Parte convenuta ha altresì eccepito la carenza di legittimazione ed interesse ad agire in capo al convenuto, sia in generale che con particolare riguardo alla contestata violazione dell’art. 1123 c.c. Anche tale eccezione risulta infondata. Parte attrice risulta interessata all’annullamento della delibera impugnata, in ragione del vantaggio economico che assume possa derivarne, e che si evicne dall’atto di citazione. Con particolare riguardo alla doglianza relativa all’art. 1123 c.c., l’interesse sussiste a prescindere dalla ripartizione delle spese, considerato che in relazione a quel medesimo punto della delibera è contestata dall’attore non solo l’erronea ripartizione della spesa, ma prima ancora la stessa approvazione della spesa, che secondo la tesi attorea risulta illegittima per violazione degli artt. 1129 e 1130 c.c. Sussiste inoltre il requisito della legittimazione, da ravvisarsi sul piano delle asserzioni attoree. Nel caso di specie l’attore risulta (per circostanza incontestata) condomino, e risulta altresì dissenziente rispetto all’approvazione della delibera in parola, con riguardo a tutti i punti che di essa sono stati contestati in questa sede. Sussistono pertanto i presupposti per l’impugnazione ex art. 1337 c.c.

1.2 Decadenza.

Parte convenuta ha altresì tempestivamente eccepito la decadenza ex art. 1137 comma 2 c.c., letto in combinato disposto con l’art. 5 comma 6 d.lgs. 28 del 2010, deducendo che la delibera impugnata sia stata adottata in data 21.6.2018, e che l’istanza di mediazione e l’avviso di fissazione del primo incontro sia stato comunicato al Condominio in data 24.7.2018.

Parte attrice assume la tempestività della propria domanda, atteso che il deposito dell’istanza di mediazione presso l’Organismo competente è avvenuto in data 20.7.2018. Deduce altresì che la comunicazione dell’avvenuto deposito dell’istanza di mediazione era stata comunque trasmessa dal difensore di parte attrice al Condominio in data 20.7.2018, prima della successiva comunicazione ufficiale avvenuta in data 24.7.2018.

Anche l’eccezione di decadenza, ad avviso dello Scrivente, è infondata.

L’art. 5 comma 6 d.lgs. 28 del 2010 individua il momento interruttivo del termine decadenziale in quello della comunicazione della domanda di mediazione “alle altre parti”.

La formulazione della norma induce, da un lato, a respingere la tesi giurisprudenziale che attribuisce l’effetto interruttivo al mero deposito della domanda di mediazione presso l’Organismo competente (vedasi Corte appello Brescia sez. II, 30/07/2018, n.1337), e dall’altro a escludere che tale effetto consegua alla comunicazione della “domanda e della data del primo incontro” trasmessa dall’Organismo di Mediazione ex art. 8 d.lgs. 28 del 2010.

Sotto il primo angolo visuale, la giurisprudenza di legittimità ha di recente precisato che “in tema di equa riparazione per la non ragionevole durata del processo, l'istanza di mediazione che preceda la relativa domanda interrompe, ai sensi dell'art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 28 del 2010, il decorso del termine semestrale di decadenza di cui all'art. 4 della l. n. 89 del 2001 dal momento della sua comunicazione alle altre parti e non da quello del suo deposito” (Cassazione civile sez. II, 28/01/2019, n.2273).

La massima ora evocata, pienamente aderente alla lettera della disposizione, dev’essere qui ribadita, con la precisazione tuttavia che la “comunicazione” cui allude l’art. 5 comma 6 è quella trasmessa dalla parte istante alle altre parti ed avente ad oggetto la mera informazione circa l’avvenuto deposito dell’istanza. Essa pertanto non coincide con la comunicazione di cui all’art. 8 comma 1 del medesimo decreto, che può esser trasmessa direttamente dall’Organismo di mediazione oppure anche “a cura della parte istante”, e che ha ad oggetto la domanda di mediazione e la data del primo incontro.

Tale soluzione interpretativa, recentemente accolta nella giurisprudenza di merito (Corte appello Milano sez. III, 27/01/2020, n.253) si impone alla luce di un duplice ordine di considerazioni.

In primo luogo, la lettera dell’art. 5 comma 6, nel sintagma “alle altre parti”, induce a ritenere che la comunicazione idonea a produrre l’effetto interruttivo debba provenire dalla parte istante, la quale risulta pertanto gravata dell’onere di provvedervi.

In secondo luogo, alla luce della ratio della disposizione e del diritto costituzionalmente tutelato di cui all’art. 24 Cost., non potrebbe ammettersi che l’effetto interruttivo della decadenza sia rimesso – almeno in parte – all’autonoma iniziativa di un soggetto terzo (ovvero l’Organismo di mediazione) rispetto al titolare del diritto azionato. La comunicazione di cui all’art. 8 è infatti successiva alla fissazione della data del primo incontro da parte dell’Organismo.

Orbene, nel caso di specie è incontestato (ed in ogni caso emerge documentalmente dal doc. 14 attoreo) che la comunicazione dell’avvenuto deposito dell’istanza di mediazione sia stata trasmessa da parte attrice a parte convenuta in data 20.7.2018, cioè nella stessa data del deposito dell’istanza di mediazione. Tale comunicazione risulta tempestiva rispetto al termine di cui all’art. 1337 comma 2 c.c., considerato che la delibera è stata adottata (per circostanza pacifica ed incontestata) in data 21.6.2018.

2. Esame nel merito della domanda.

In assenza di ulteriori questioni ostative, la domanda può essere esaminata nel merito omissis.

L’art. 1129 comma 10 c.c. prevede che l’incarico dell’amministratore, di durata annuale, “si intende rinnovato per eguale durata”. La lettera della disposizione depone nel senso di un rinnovo automatico, fondato sulla presunzione (semplice) di assenso al rinnovo da parte dell’assemblea; tale presunzione può essere vinta da una contraria manifestazione di volontà contraria dei condomini, diretta a revocare l’incarico o a prevedere espressamente nel regolamento condominiale la non rinnovabilità dello stesso. Un’interpretazione della norma nel senso inverso – cioè nel senso di escludere di regola il rinnovo, salvo che l’assemblea si determini espressamente nel senso di disporlo – risulta in contrasto con il tenore della disposizione.

Nel caso di specie, non è dato rinvenire nel regolamento condominiale (doc. 5 attoreo) alcuna espressione ostativa al rinnovo. L’art. 25, in linea con la previsione normativa, prevede infatti la durata annuale dell’incarico, ma non disciplina il suo rinnovo, né nel senso di riconoscerlo, né nel senso di escluderlo.

Pertanto la previsione di un rinnovo automatico nella delibera assembleare è in linea con il disposto normativo di cui all’art. 1129 comma 10 c.c., del quale recepisce il contenuto, e non contrasta con il regolamento condominiale.

2.2 Spese relative al consumo di acqua potabile.

L’attore contesta che, sia nel consuntivo 2017-2018 che nel preventivo 2018-19 (punti 1 e 4 dell’o.d.g.), le spese dell’acqua potabile gli siano state addebitate in base a 2 quote, in violazione dell’art. 14 del Regolamento Condominiale. Osserva l’attore che l’addebito doveva avvenire in base ad 1 quota, considerato che ( a partire dal 2001) egli abita da solo nel proprio appartamento.

Il Condominio eccepisce l’infondatezza di tale asserzione, alla luce della prassi condominiale consolidata di far gravare sui condomini proprietari di terrazzo (come l’attore) una quota aggiuntiva nel riparto spese di acqua potabile, a prescindere dal numero dei componenti del nucleo familiare.

Ad avviso di questo Giudice, anche tale doglianza attorea è priva di fondamento.

Da.’art. 14 del regolamento condominiale (doc. 5 attoreo) si ricava che “salvo usi particolari la spesa per il consumo dell’acqua potabile (…) sarà ripartita fra i condomini in base ai componenti della famiglia”. E’ altresì incontestato che l’appartamento attoreo sia munito di terrazzo.

E’ incontestato che l’attore, almeno a partire dal 2001, costituisca da solo nucleo familiare a sé stante.

Tuttavia, dalla documentazione prodotta dal convenuto, si evince l’esistenza di una prassi condominiale, che prevede l’addebito a Ul. e a taluni altri condomini di una componente di spesa aggiuntiva nel riparto delle spese dell’acqua potabile. Emerge altresì che al consolidamento di tale prassi abbia contribuito anche lo stesso attore, approvando in sede di riunione assembleare i consuntivi che disponevano tale ripartizione delle spese.

Dal consuntivo approvato nel 2004 (doc. 4 pag. 14) si evince l’attribuzione a carico di omissis di una quota aggiuntiva (pertanto di complessive 2 quote). Analogamente è a dirsi per il consuntivo approvato nel 2008, con particolare riguardo al doc. 5 pag. 17, e per il consuntivo approvato nel 2014, con riferimento al doc. 6 pag. 15.

Tali consuntivi – come emerge dai verbali di assemblea inseriti nei documenti ora citati – risultano approvati (anche) dall’attore, il quale in ogni caso non risulta aver formulato in sede di assemblea alcuna osservazione in merito al riparto delle spese dell’acqua potabile.

Pertanto deve concludersi che la previsione di un carico aggiuntivo di spesa costituisca una consolidata prassi condominiale, e può ragionevolmente concludersi che tale prassi sia giustificata dalla circostanza (non contestata) che l’appartamento attoreo sia dotato di terrazzo.

Tale prassi si presenta conforme al disposto del regolamento condominiale, che all’art. 14 fa per l’appunto salvi gli “usi particolari”.

2.3 Spese di manutenzione della porta del vano pattumiere e di fornitura e posa della guaina bituminosa del garage. Preventivo omissis.

2.4 Compensi extra dell’amministratore.

Parte attrice lamenta che la fattura n. 206-17, inerente alla voce “creazione registro anagrafico”, sia stata ingiustamente conteggiata nel consuntivo 2017-18 (punto 1 dell’ordine del giorno), trattandosi di attività non contemplata nel prospetto di compenso contenuto nell’offerta trasmessa dall’amministratore al Condominio, con conseguente violazione degli artt. 1129 e 1130 c.c.. Contesta inoltre che tale spesa sia stata erroneamente ripartita su tutti i condomini in parti uguali, in violazione dell’art. 1123 c.c. Contesta l’attore inoltre che le fattura n. 132-17 e n. 16-18 sia stata erroneamente conteggiata nel consuntivo fra le spese generali, contenendo oltretutto un importo eccessivo ed inadeguato.

Il Condominio eccepisce l’attinenza di tali questioni al merito delle decisioni assembleari, come tale insindacabile; rileva in ogni caso come tale spese siano giustificate, e che essa siano state adeguatamente vagliate dall’assemblea.

Ad avviso di questo Giudice, la doglianza attorea è infondata con riguardo alle fatture n. 132-17 e n. 16-18. Essa è invece fondata con riferimento alla fattura n. 206-17.

Per quanto attiene alle fatture n. 132 del 2017 e n. 16 del 2018, sia l’opportunità di includere una data spesa fra le “spese generali”, che la valutazione di congruità della spesa, afferiscono al merito della decisione assembleare, e pertanto si sottraggono al sindacato di questo Giudice. La giurisprudenza ha sul punto più volte precisato che “il sindacato dell'autorità giudiziaria sulle delibere delle assemblee condominiali non può estendersi alla valutazione del merito ed al controllo del potere discrezionale che l'assemblea esercita quale organo sovrano della volontà dei condomini, ma deve limitarsi al riscontro della legittimità” (così Cass. n. 454 del 2017).

Aderendo a tale assunto di fondo, la giurisprudenza di merito ha anche di recente concluso che “esulano dall'ambito del sindacato giudiziale sulle deliberazioni condominiali le censure inerenti la vantaggiosità della scelta operata dall'assemblea sui costi da sostenere nella gestione delle spese relative alle cose e ai servizi comuni” (Tribunale Roma sez. V, 12/05/2020, n.7106).

Con riguardo invece alla fattura n. 206-17, deve anzitutto evidenziarsi come la delibera assembleare impugnata contenga, seppur per relationem, un espresso e specifico elenco delle attività demandate all’amministratore. La delibera impugnata (doc. 2 attoreo, pag. 2), individua infatti i compensi dell’amministratore “come da offerta del 10.1.2014”. Quest’ultima (doc. 11 attoreo) prevede l’indicazione analitica di tutte le attività demandate all’amministratore, suddivise fra attività remunerate dal compenso “ordinario” ed attività extra di carattere “straordinario”. Nell’ambito delle attività di carattere ordinario, il doc. 11 prevede “le prestazioni di legge di cui all’art. 1130 c.c.”.

Orbene, tale ultima disposizione, al comma 1 n. 6), prevede appunto fra le prestazioni rimesse all’amministratore la tenuta del registro di “anagrafe condominiale”.

Pertanto, non può ravvisarsi violazione dell’art. 1129 comma 14 c.c., considerato che sia il compenso nel suo insieme, quanto la specifica prestazione attinente alla cura dell’anagrafe condominiale risultano individuati - o in ogni caso inequivocamente evincibili – nella delibera assembleare e nell’offerta da essa richiamata.

Deve ritenersi sussistente, invece, la violazione dell’art. 1130 c.c. Tale disposizione, come si è detto, annovera fra le attività istituzionali dell’amministratore quella di tenuta dell’anagrafe condominiale. In accordo con la giurisprudenza di legittimità, deve interpretarsi tale disposizione nel senso che “l'attività dell'amministratore, connessa ed indispensabile allo svolgimento dei suoi compiti istituzionali deve ritenersi compresa, quanto al suo compenso, nel corrispettivo stabilito al momento del conferimento dell'incarico per tutta l'attività amministrativa di durata annuale e non deve, pertanto, essere retribuita a parte. Peraltro, non opera, ai fini del riconoscimento di un compenso suppletivo, in mancanza di una specifica delibera condominiale, la presunta onerosità del mandato allorché (…) è stabilito un compenso forfettari a favore dell'amministratore” (Cassazione civile sez. II, 30/09/2013, n.22313; ma v. anche Trib. Milano, 25 gennaio 2018, n. 828).

Orbene, come si evince dalla fattura contestata (doc. 10 attoreo) la “creazione del registro anagrafico”, strettamente attinente (anzi, del tutto coincidente) con l’attività istituzionale di tenuta dell’anagrafe condominiale, è stata tuttavia fatturata come voce separata e aggiuntiva rispetto al “compenso ordinario”. Nel consuntivo (doc. 1 attoreo) essa è liquidata separatamente (a pag. 10, sotto la voce di spesa “creazione registro anagrafico”) rispetto al compenso ordinario per l’amministratore (liquidato a pag. 3 con la voce “Mariani Basilico s.r.l. compenso ordinario”).

Pertanto la delibera impugnata dev’essere annullata in relazione alla parte in cui approva nel rendiconto consuntivo 2017-18 la spesa relativa alla “creazione del registro anagrafico” per l’importo di euro 1189,50.

Si considera assorbita l’ulteriore doglianza attorea, relativa alla medesima parte della delibera, e riguardante la ripartizione della predetta spesa in relazione all’art. 1123 c.c. 3. Spese di lite.

Le spese sono decise a mente degli artt. 91 e ss. c.p.c. attualmente vigente, successiva alla novella del 2014: in forza di tali disposizioni, la parte che all’esito della decisione è soccombente deve rifondere le spese della parte vittoriosa, salva solo la soccombenza reciproca, la novità della questione trattata, il revirement della giurisprudenza su questioni decisive ovvero, come sancito dalla sentenza C. Cost. n. 77/2018, altre gravi ed eccezionali ragioni da esplicitarsi in motivazione. La disciplina delle spese si basa sul principio di causalità, in virtù del quale chi ha promosso un processo perso, o ha costretto altri a promuovere un processo per affermare il suo buon diritto, ne deve sopportare le conseguenze economiche, a prescindere dall’elemento soggettivo della colpa del soccombente o da profili sanzionatori: il principio di causalità risponde ad una funzione indennitaria o ripristinatoria, nel senso che la parte vittoriosa deve essere tenuta indenne delle spese sostenute per l’accertamento del suo buon diritto (o per l’accertamento dell’inesistenza del diritto altrui), pena la vanificazione del diritto di azione e di difesa in giudizio, di cui all’art. 24 Cost. (Cass. civ., sez. 3, 15.07.2008, n. 19456; conf.: Cass. civ, sez. 3, 20.02.2014, n. 4074) omissis.

PQM 

Il Giudice, definitivamente pronunciando per quanto di ragione, ogni diversa domanda, istanza, eccezione e difesa disattesa e respinta, così decide: accoglie parzialmente la domanda omissis volta all’annullamento della delibera dell’assemblea condominiale omissis; per l’effetto, annulla la delibera dell’assemblea condominiale omissis, limitatamente alla parte in cui, in relazione al punto 1) dell’ordine del giorno, approva nel rendiconto consuntivo 2017-18 la spesa relativa alla “creazione del registro anagrafico” per l’importo di euro 1189,50; rigetta tutti gli altri motivi di impugnazione avanzati da omissis; letti gli artt. 91 e ss cpc e il d.m. 10.03.2014 n. 55, condanna CONDOMINIO TIGLI A a pagare a favore di UL. JE. CL. a titolo di refusione di 1/5 delle spese del processo, la somma di: € 1356,60 per compenso; € 545,00 per rimborso spese vive ex actis; il 15% del compenso per rimborso forfetario spese generali, oltre CPA ed IVA, se e come dovuti per legge; compensati fra le parti i restanti 4/5 delle spese per compenso professionale.

 

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.