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Corte di Cassazione 1 marzo 2025, n. 5474
In
tema di mediazione
obbligatoria,
il preventivo esperimento del procedimento di mediazione è
condizione di procedibilità della domanda, ma l'improcedibilità
deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata
d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza; ove ciò non
avvenga, il
giudice d'appello può disporre la mediazione, ma non vi è
obbligato, neanche nelle materie assoggettate alla c.d. mediazione
obbligatoria,
atteso che in grado d'appello l'esperimento della mediazione
costituisce condizione di procedibilità della domanda solo quando è
disposta discrezionalmente dal giudice (I).
(I)
Si veda il nuovo testo del d.lgs.
n. 28/2010 (come novellato dalla c.d. riforma Cartabia e relativo
correttivo), in Osservatorio Mediazione Civile n. 6/2025.
Fonte:
Osservatorio
Mediazione Civile n. 20/2025
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)
Corte
di cassazione
sezione
II
ordinanza
n. 5474
1
marzo 2025
Omissis
Fatti
di causa
La
creditrice Ro.Si. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Torino
Re.Ma., figlia dei suoi debitori, chiedendo di accertare l'avvenuta
accettazione tacita dell'eredità dei predetti da parte della
convenuta, al fine di poter proseguire nei confronti stessa,
attraverso la continuità delle trascrizioni, l'esecuzione
immobiliare su un cespite già di proprietà degli originari
debitori.
Il
Tribunale accolse la domanda di accertamento, disattendendo la tesi
difensiva della convenuta secondo cui sarebbe bastata la trascrizione
della denunzia di successione.
Con
sentenza n. 1230 del 19 luglio 2019, la Corte d'Appello di Torino ha
rigettato l'impugnazione della Re.Ma., confermando la decisione di
primo grado.
Secondo
la Corte distrettuale, la denuncia di successione, effettuata
dall'appellante, non configura un atto di accettazione espressa o
tacita dell'eredità, la quale sola sarebbe stata necessaria per
ricostruire la continuità delle trascrizioni sull'immobile, ai sensi
dell'art. 2650 comma 1 c.c. e 2648 c.c. E, poiché la
convenuta-appellante non aveva provveduto, ai sensi dell'art. 475
c.c., ad accettare espressamente l'eredità dei genitori, mediante un
atto pubblico o una scrittura privata autenticata, l'accertamento
giudiziale sarebbe stato l'unico modo per proseguire nella procedura
esecutiva promossa dalla creditrice Ro.Si.
Re.Ma.
ha proposto ricorso per cassazione, sulla scorta di undici motivi.
Resiste la Ro.Si. con controricorso.
Ragioni
della decisione
Va
preliminarmente esaminata l'istanza del difensore della ricorrente,
che ne dichiara l'avvenuto decesso e formula richiesta di rinvio.
La
richiesta non può trovare accoglimento, alla luce del principio
costituzionale della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.)
che pende in sede di legittimità da oltre cinque anni.
Solo
per completezza, va ricordato che nel giudizio di cassazione, in
considerazione della particolare struttura e della disciplina del
procedimento di legittimità, non è applicabile neppure l'istituto
dell'interruzione del processo, con la conseguenza che la morte di
una delle parti, intervenuta dopo la rituale instaurazione del
giudizio, non assume alcun rilievo, né consente agli eredi di tale
parte l'ingresso nel processo (Sez. L., n. 1757 del 29 gennaio 2016).
Passando
all'esame delle censure, con la prima doglianza, rubricata "Error
in procedendo (art. 3) et in iudicando (n. 4) per violazione degli
artt. 112 e 167 nonché 342 e ss. c.p.c. nonché 24 e III Cost. e
6/13 convenzione di Roma e n. 47 Carta di Nizza in relazione ex
permultis agli artt. 2648 e 2650 c.c.", la ricorrente assume di
aver adempiuto a tutte le formalità, prescrizioni e disposizioni del
caso.
I
documenti prodotti avrebbero dimostrato la iattanza dell'azione
avversaria.
Il
motivo è inammissibile perché non coglie la ratio decidendi (sulla
sorte del motivo che non coglie la ratio decidendi cfr. tra le tante,
cass. 9450/2024; 1341/2024; 19989/2017).
La
sentenza impugnata ha ricordato che "L'apertura della
successione non comporta l'automatico trasferimento dell'eredità a
favore di coloro che sono chiamati a divenirne titolari poiché
l'acquisto dell'eredità in capo ad essi dipende da una loro
manifestazione di volontà che si perfeziona mediante
l'accettazione....Stante la diversa natura degli atti sopra
esaminati, diverse sono, altresì, le conseguenze giuridiche che
discendono rispettivamente dalla trascrizione della denuncia di
successione e dell'accettazione dell'eredità. Solo quest'ultima
risulta, infatti, necessaria per ricostruire la continuità delle
trascrizioni sull'immobile, ai sensi dell'art. 2650 comma 1 c.c. e
2648 comma 3 c.c...
La
signora Re.Ma. ha correttamente denunciato la successione dei suoi
genitori e l'ha successivamente trascritta al fine di evitare
sanzioni fiscali. L'odierna appellante non ha, invece, provveduto, ai
sensi dell'art. 475 c.c., ad accettare espressamente l'eredità
avente ad oggetto l'immobile pignorato. Non emerge dagli atti
prodotti in causa, infatti, che la signora Re.Ma. abbia accettato
l'eredità mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata".
La
doglianza, dunque, non coglie dunque la ratio della decisione della
Corte d'Appello, fondata sulla distinzione fra denuncia di
successione ed accettazione dell'eredità conformemente al principio,
secondo cui ai fini dell'accettazione tacita dell'eredità, sono
privi di rilevanza tutti quegli atti che, attese la loro natura e
finalità, non sono idonei ad esprimere in modo certo l'intenzione
univoca di assunzione della qualità di erede, come la denuncia di
successione, il pagamento delle relative imposte, la richiesta di
registrazione del testamento e la sua trascrizione. Infatti,
trattandosi di adempimenti di prevalente contenuto fiscale,
caratterizzati da scopi conservativi, il giudice del merito, a cui
compete il relativo accertamento, può legittimamente escludere, con
riferimento ad essi, il proposito di accettare l'eredità (Sez. 2, n.
4843 del 19 febbraio 2019).
Con
la seconda censura, rubricata "Difetto di interesse ex art. 100
c.p.c. che vale vuoi come error in procedendo vuoi come error in
iudicando", la Re.Ma. deduce che controparte non avrebbe avuto
interesse ad agire, giacché, a fronte dell'intervento dell'autorità
giudiziaria, esisteva già la "degiurisdizionalizzazione".
Il
motivo è inammissibile come il precedente.
Anche
in tal caso, il mezzo d'impugnazione non si confronta con la sentenza
della Corte d'Appello, secondo cui "in assenza del compimento di
tali atti, richiesti dalla legge, da parte della signora Re.Ma.,
l'accertamento giudiziale rappresenta l'unico mezzo che avrebbe
consentito alla signora Ro.Si. di accertare l'accettazione
dell'eredità e, di conseguenza, di ricostruire la continuità delle
trascrizioni sull'immobile pignorato".
Con
il terzo mezzo di impugnazione, la ricorrente denuncia la "violazione
e/o falsa applicazione dell'art. 474 c.c., dell'art. 5 L. Mediazione
e dell'art. 91-92 c.p.c.".
Si
afferma che la materia, pur avendo natura innegabilmente successoria,
non era stata sottoposta alla mediazione preliminare obbligatoria.
Il
motivo è infondato.
In
tema di mediazione obbligatoria ex art. 5, comma 1-bis, del D.Lgs. n.
28 del 2010, il preventivo esperimento del procedimento di mediazione
è condizione di procedibilità della domanda, ma l'improcedibilità
deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata
d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza; ove ciò non
avvenga, il giudice d'appello può disporre la mediazione, ma non vi
è obbligato, neanche nelle materie indicate dallo stesso art. 5,
comma 1-bis, atteso che in grado d'appello l'esperimento della
mediazione costituisce condizione di
procedibilità
della domanda solo quando è disposta discrezionalmente dal giudice,
ai sensi dell'art. 5, comma 2 (Sez. 3, n. 4843 del 19 febbraio 2019).
La
quarta lagnanza è volta a denunciare "Nullità della sentenza
(n. 4) per non aver rilevato che l'azione non dovesse essere
intrapresa perché v'era la possibilità alternativa di convocare
avanti al notaio ex art. 24 Cost. interpretato secondo le direttive
europee in tema di degiurisdizionalizzazione".
Si
osserva che la controparte avrebbe scelto la via giudiziaria,
ignorando la teoria del "minimo mezzo", oltre tutto
previsto dalle direttive e dalla normativa circa la
degiurisdizionalizzazione.
La
quinta censura richiama la "Violazione di legge (n. 3) per non
aver rilevato che l'azione non dovesse essere intrapresa perché
v'era la possibilità alternativa di convocare avanti al notaio ex
art. 24 Cost. interpretato secondo le direttive europee in tema di
degiurisdizionalizzazione".
La
Corte d'Appello non avrebbe rilevato la possibilità di attivare
un'ipotesi alternativa, in armonia con la direttiva n. 2008/52/CE del
Parlamento Europeo e del Consiglio.
Il
sesto rilievo è rubricato "Nullità della sentenza (art. 3) per
non aver ritenuto che l'azione non fosse necessaria potendo dar corso
giudice dell'espropriazione e perito". Sarebbe mancata la
motivazione della Corte territoriale sul punto circa la risoluzione
alternativa della controversia.
Attraverso
il settimo rilievo, la Re.Ma. denuncia la "Violazione di legge
(n. 4) per non aver ritenuto che l'azione non fosse necessaria
potendo dar corso giudice dell'espropriazione e perito". La
questione, rimasta senza risposta, avrebbe dovuto essere dipanata
mediante una razionale interpretazione circa la continuità delle
trascrizioni da parte dell'autorità giudiziaria.
Con
l'ottavo motivo, la ricorrente prospetta la "Violazione e falsa
applicazione dell'art. 2673 c.c., in relazione all'art. 360 n. 3
c.p.c.". Ella sarebbe stata carente di titolarità rispetto
all'azione intrapresa, posto che l'azione avrebbe dovuto essere
proposta nei confronti della Conservatoria.
Il
nono mezzo d'impugnazione si fonda sulla "Nullità (n. 4) della
sentenza per non aver motivato sulla degiurisdizionalizzazione e
mancata compensazione". La Corte territoriale non avrebbe
motivato, laddove la ricorrente avrebbe dovuto prevalere in ragione
dell'orientamento UE.
Il
decimo motivo è volto a rimarcare la "Violazione di legge (n.
3) per la condanna alle spese e mancata compensazione". La
sentenza impugnata avrebbe dovuto compensare le spese, giacché erano
state disapplicate le direttive europee in tema di
degiurisdizionalizzazione.
11
L'undicesima ed ultima doglianza, infine, si fonda sulla "Nullità
(n. 4) o violazione di legge (n. 3) per aver escluso Re.Ma. dal
patrocinio a spese dello Stato". La tesi adottata dalla Corte
distrettuale sarebbe stata priva di logica, giacché ella avrebbe
fatto valere principi UE, che avevano la primazia.
I
predetti motivi, dal quarto all'undicesimo, sono tutti inammissibili.
Il
quarto, il sesto, il nono e l'undicesimo difettano di specificità e
sollevano un tema nuovo, quello della "degiurisdizionalizzazione",
eccepito per la prima volta nel giudizio di legittimità.
Le
residue doglianze - la quinta, la settima, l'ottava e la decima -
prospettano una violazione di legge, ma in modo privo di specificità.
Infatti,
l'onere di specificità dei motivi, sancito dall'art. 366, comma 1,
n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui
all'art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d'inammissibilità della
censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la
violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo
con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata,
che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che
queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi
demandare alla Corte il compito di individuare
con
una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni - la
norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto
con essa (Sez. U., n. 23745 del 28 ottobre 2020).
Quanto
al motivo sulle spese (il decimo) è il caso di aggiungere che
correttamente è stata applicata la regola della soccombenza.
Al
rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente alla
rifusione delle spese di lite, come liquidate in dispositivo.
Si
dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che la
ricorrente è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per l'impugnazione, ai
sensi dell'art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 115/2002, se dovuto.
PQM
La
Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese del giudizio liquidate in Euro. 200,00 per esborsi ed in Euro.
4.000,00 (quattromila) per compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso
forfettario delle spese generali in misura del 15%. Dà atto che
sussistono le condizioni per dichiarare che la ricorrente è tenuta a
versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello previsto per l'impugnazione, ai sensi dell'art. 13, comma
1-quater, D.P.R. 115/2002, se dovuto.
AVVISO.
Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.