=> C. Cass. 22 luglio 2013,
n. 17781
Anche se la
dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1 D.lgs. n. 28
del 2010 di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 272 del 2012 ha
escluso l’obbligatorietà della mediazione, resta fermo l’effetto della
istanza di mediazione d’interruzione della prescrizione e di impedimento
per una sola volta della decadenza dal diritto di agire per equa
riparazione, essendo rimasta ferma l’applicazione del sesto comma
dell’art. 5 del D.lgs. n. 28 del 2010, che non è stato dichiarato in
contrasto con la carta costituzionale ed è coerente agli intenti deflattivi del
contenzioso giudiziario della disciplina legale della mediazione stessa.
Fonte: Osservatorio
Mediazione Civile n. 73/2013
Corte di Cassazione
Sezioni Unite
22 luglio 2013 n. 17781
Sentenza
LA CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE
SEZIONI UNITE
CIVILI
Composta dagli Ill.mi
Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIFONE Francesco -
Primo Presidente f.f. -
Dott. RORDORF Renato - Presidente Sez. -
Dott. FORTE Fabrizio - rel. Consigliere -
Dott. BUCCIANTE Ettore -
Consigliere -
Dott. IANNIELLO Antonio - Consigliere
-
Dott. SPIRITO Angelo - Consigliere
-
Dott. D'ALESSANDRO
Paolo - Consigliere
-
Dott. TRAVAGLINO Giacomo - Consigliere
-
Dott. PETITTI Stefano - Consigliere
-
ha pronunciato la
seguente:
sentenza
sul ricorso
iscritto al n. 2138 del
Ruolo Generale degli
affari
civili del 2012,
proposto da:
A.N., elettivamente
domiciliata in Milano
alla Via
Lamarmora n.
21, presso l'avv.
MARZOCCHI GIORGIO (p.e.c.
giorgio.marzocchi-milano.pecavvocati.it, FAX
0291390451), che la
rappresenta e
difende per procura speciale in
calce al ricorso
notificato il 28
dicembre 2011;
- ricorrente -
contro
MINISTERO DELLA. GIUSTIZIA, in persona del Ministro
in carica, per
legge rappresentato e difeso dall'AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO e
presso la stessa
domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;
- controricorrente
-
avverso il decreto della
Corte d'appello di Brescia n. 34/2011
della
V.G., del 25 maggio - 7
giugno 2011;
Udita, alla
pubblica udienza del 28 maggio 2012, la
relazione del
Cons. dr. Fabrizio
Forte;
Udito il
P.M. in persona del sostituto procuratore generale
dr.
CICCOLO Pasquale
Paolo Maria, che conclude
per il rigetto
del
ricorso.
FATTO
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso notificato
al Ministero della Giustizia il 28 dicembre 2011 - 3 gennaio 2012, A.N. chiede
la cassazione del decreto della Corte d'appello di Brescia del 7 giugno 2011,
che ha ritenuto inammissibile la sua domanda di equa riparazione per la durata
irragionevole di un processo proposta oltre il termine di sei mesi dalla data
in cui la decisione che aveva concluso la causa in cui s'era verificata la
violazione della durata ragionevole, era divenuta definitiva (L. 24 marzo 2001,
n. 89, art. 4).
L'attrice deduce di
avere proposto opposizione a una delibera condominale di riparto di spese poste
a suo carico per Euro 600,00, con citazione del 28 dicembre 1999 dinanzi al
Tribunale di Milano e che tale causa è stata definita da sentenza della Corte
di cassazione del 19 marzo 2010 n. 6710. Per tale processo durato oltre dieci
anni, l' A. ha convenuto il Ministero della giustizia dinanzi alla Corte
d'appello di Brescia in unico grado con ricorso depositato il 10 febbraio 2011,
deducendo di non essere decaduta dall'azione di equo indennizzo per avere
iniziato una procedura di mediazione (D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, art. 5, comma
6) nell'ottobre 2010, cioè nel semestre dalla definizione del processo
presupposto calcolato con gli ulteriori quarantasei giorni di sospensione del
periodo feriale.
L'istanza di mediazione
negativamente conclusa il 22 dicembre 2010, per non essere il Ministero
comparso in tale data dinanzi all'organismo di conciliazione, ad avviso della
ricorrente, aveva impedito la decadenza dal diritto di chiedere l'equo indennizzo,
costituendo un atto il cui compimento per la norma da ultimo citata del Decreto
Legislativo sulla mediazione, impediva la decadenza di cui alla L. n. 89 del
2001, art. 4.
L'Avvocatura dello
Stato, costituitasi dinanzi alla Corte d'appello di Brescia in unico grado, ha
eccepito la tardività del ricorso, perchè proposto oltre sei mesi dopo la
sentenza che aveva concluso definitivamente il processo di durata eccessiva e
la Corte adita, con decreto del 25 maggio - 7 giugno 2011, ha accolto tale
eccezione, ritenendo decaduta l' A. dall'azione, perchè, ai sensi dell'art. 2
del D. Lgs. n. 28 del 2010, potevano essere oggetto di mediazione le sole
controversie su diritti disponibili, mentre la procedura di mediazione era
inapplicabile alla azione a tutela del diritto fondamentale e indisponibile a
un giusto processo, che non poteva essere oggetto di conciliazione.
La Corte di appello ha
ritenuto inapplicabile al caso il D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, u.c., per non
potere essere oggetto di mediazione la controversia sul diritto indisponibile
al giusto processo, per cui la domanda di equa riparazione del 10 febbraio
2011, proposta oltre sei mesi dopo il provvedimento definitivo che aveva chiuso
il processo durato eccessivamente, s'è dichiarata inammissibile. Per la
cassazione di tale decreto della Corte d'appello di Brescia del 7 giugno 2011,
ricorre l' A., con cinque motivi, che denunciano l'errore logico-giuridico dei
giudici di merito, per non avere rilevato la differenza tra il diritto
fondamentale e indisponibile al giusto processo di durata ragionevole non
soggetto a decadenza e quello, di natura patrimoniale e disponibile,
all'indennizzo, chiedendo a questa Corte una pronuncia sulla domanda di
quest'ultimo ai sensi dell'art. 384 c.p.c..
Il Ministero della giustizia
contrasta le avverse richieste con controricorso notificato il 9 febbraio 2012
a mezzo p.e.c.; con ordinanza interlocutoria del 24 luglio 2012 n. 12938, la
seconda sezione civile di questa Corte ha rimesso gli atti al primo presidente
per l'assegnazione eventuale alle sezioni unite ai sensi dell'art. 374 c.p.c..
La sezione semplice ha
ritenuto di particolare importanza la questione "se il contenzioso civile
nascente dalla violazione del termine ragionevole di durata del processo
rientri o meno nel campo d'applicazione della mediazione finalizzata alla
conciliazione", essendo "indisponibile" il diritto al termine
ragionevole di durata del processo.
L'ordinanza n.
12938/2012 indica le ragioni a favore della soluzione positiva della questione
per essere di natura patrimoniale e disponibile il diritto alla riparazione
monetaria del danno subito a causa della durata eccessiva del processo, sul
quale si è riconosciuta alla P.A. la facoltà di predisporre mezzi
stragiudiziali di soddisfazione e il legislatore è intervenuto per porre limiti
alla misura dell'indennizzo, modificando la legge n. 89 del 2001 con il D.L. 22
giugno 2012, n. 83, art. 55, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto
2012 n. 124, ratione temporis inapplicabile al caso.
Invece milita in senso
contrario alla natura disponibile del diritto al giusto processo, secondo
l'ordinanza che precede, la riserva giudiziaria per l'accertamento della durata
del processo e la qualifica di essa come "irragionevole", dato che la
normativa interna della legge di delega (L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 60)
deve adeguarsi a quella comunitaria.
Quest'ultima dichiara
inapplicabile la mediazione alla materia fiscale, doganale e amministrativa
oltre che a quella della "responsabilità dello Stato per atti o omissioni
nell'esercizio di poteri pubblici (acta iure imperii" (art. 1, comma 2,
Direttiva 2008/52/CE del Parlamento e del Consiglio del 21 maggio 2008).
L'ordinanza della
seconda sezione sottolinea che la mediazione, per come è strutturata, non
consente la comunicazione di quanto concordato tra le parti per conciliare la
controversia al Procuratore generale della Corte dei conti e ai titolari
dell'azione disciplinare per quanto di rispettiva competenza, come imposto
invece per il decreto che accoglie la domanda di equa riparazione (cfr. L. n.
89 del 2001, art. 5).
L'applicazione della
mediazione nell'azione di equo indennizzo da ritardo irragionevole, sembra
inoltre poco credibile, perchè lo stesso legislatore ha soppresso la fase
precontenziosa con scopi transattivi di tale azione, di cui al D.L. 11
settembre 2002, n. 201, art. 1, in sede di conversione con la L. 14 novembre
2002, n. 259.
Infine la ordinanza
della seconda sezione che precede indica come rilevante nella fattispecie anche
la questione se il termine di sei mesi della L. n. 89 del 2001, art. 4, possa
ritenersi soggetto o meno, alla sospensione feriale dei termini processuali.
L' A. ha depositato
memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c., per illustrare il suo ricorso.
DIRITTO
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso dell' A.
deduce in primo luogo l'errore del decreto della Corte d'appello di Brescia che
ha dichiarato inammissibile la domanda di equa riparazione della ricorrente,
per essere decaduta dal diritto di agire, avendo la stessa domandato l'equo
indennizzo da irragionevole durata del processo oltre il termine di sei mesi
dal momento in cui è divenuta definitiva la decisione che ha concluso il
procedimento nel quale ella assumeva essersi avuta la durata irragionevole per
la quale era chiesta la riparazione (L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 4).
La A. nega di avere
violato il termine che precede di proponibilità della domanda, in ragione del
D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, art. 5, comma 6, avendo comunicato al Ministero la
sua domanda di mediazione del 28 ottobre 2010, da qualificare intervenuta nei
sei mesi dalla data del 19 marzo 2010 in cui era stato definito il processo di
durata eccessiva con sentenza della Corte di Cassazione.
Ad avviso della
ricorrente, il semestre dalla data di chiusura del processo in cui si è
verificata la violazione della durata irragionevole va calcolato computando
pure i quarantasei giorni del periodo feriale, per cui l'istanza di mediazione
del 28 ottobre 2010, conclusa da processo verbale negativo di conciliazione del
22 dicembre 2010, aveva impedito la decadenza, decorrendo da tale ultima data
un altro semestre nel quale l'azione poteva essere proposta come accaduto nel
caso con ricorso depositato il 10 febbraio 2011.
Poichè il giudizio in
cui si assume dall'attrice il ritardo irragionevole è terminato il 19 marzo
2010, il termine semestrale da computarsi con i quarantasei giorni della
sospensione feriale, scadeva il 4 novembre 2010 e l'istanza di mediazione della
A. dell'ottobre era tempestiva.
Dall'attestato del 22
dicembre 2010, rilasciato dall'organismo di conciliazione forense di Milano,
risulta che, in data 28 ottobre 2010, vi era stato il deposito della domanda di
mediazione comunicata via fax al Ministero della Giustizia ai sensi del D.Lgs.
n. 28 del 2010, art. 16, e spedita per posta al Ministero presso l'Avvocatura
dello Stato di Brescia e presso la sua sede in Roma.
Tale documento prova, ad
avviso della ricorrente, la mancata violazione del termine di decadenza del
D.Lgs. n. 89 del 2001, art. 4, essendosi avuta una sua tempestiva richiesta di
mediazione nel termine semestrale, sospeso nel periodo feriale ai sensi della
L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 1. Nel ricorso si deduce l'esistenza in atti di
un attestato che in data 21 dicembre 2010 era mancata la comparizione del
Ministero della Giustizia, nel procedimento di mediazione iniziato il 28
ottobre precedente nei sei mesi dalla definizione del processo, in cui s'era
irragionevolmente ritardata la conclusione, con conseguente esito negativo del
tentativo di conciliazione verbalizzato nell'atto citato del dicembre 2010,
tempestivamente prodotto dalla ricorrente.
Solo dalla data di
comunicazione dell'esito negativo della tentata conciliazione del 21 dicembre
2010 seguita alla domanda di conciliazione del 28 ottobre nel periodo di sei
mesi dall'esito del processo di durata irragionevole terminato il 19 marzo di
quell'anno, calcolato peraltro in sette mesi e sedici giorni, per essere
compreso in esso anche il periodo feriale di quarantasei giorni, poteva
decorrere un secondo semestre per conciliare la causa.
Da detta data del 28
dicembre 2010 decorreva il nuovo termine semestrale di proponibilità della
domanda di equo indennizzo, che, per la ricorrente, era tempestiva e
ammissibile, perchè proposta il 10 febbraio 2011 nei sei mesi dall'esito
negativo della domanda di mediazione.
Le questioni poste dal
ricorso sono molteplici e risultano analiticamente indicate nell'ordinanza che
ha sollecitato la trattazione di esse dalle sezioni unite.
2.1. Pregiudiziale sul
piano logico è il problema della natura del termine di sei mesi, di cui alla L.
24 marzo 2001, n. 89, art. 4, dal provvedimento che chiude la causa che ha
violato la durata ragionevole del processo, oltre il quale non è più
proponibile l'azione di equa riparazione da ritardo irragionevole del processo.
Il legislatore precisa
che tale termine di proponibilità è "a pena di decadenza" (artt. 2964
e ss. c.c), per cui, ai sensi dell'art. 2969 c.c., nella materia delle azioni a
tutela del diritto indisponibile alla durata ragionevole del processo, il giudice
deve rilevare di ufficio l'improponibilità della domanda proposta oltre il
termine di legge.
La natura processuale
della decadenza che precede comporta che il periodo di sei mesi dalla
definizione del processo durato per tempo irragionevole, oltre il quale l'azione
è preclusa, deve computarsi tenendo conto della sospensione del periodo feriale
di cui all'art. 1 della L. 7 ottobre 1969, n. 742 (così Cass. 11 marzo 2009 n.
5895 e 29 gennaio 2010 n. 2153), come accade per ogni altro termine analogo
(Cass. 28 settembre 2012 n. 16549 e 17 novembre 2010 n. 29227).
2.2. Sempre in via
preliminare il ricorso dell' A. deve esaminarsi per la parte in cui censura la
Corte d'appello di Brescia, per avere ritenuto che la natura indisponibile del
diritto alla durata ragionevole del processo, fosse ostativa alla applicazione
della mediazione(che è applicabile solo ai diritti disponibili (D.Lgs. n. 28
del 2010, art. 2).
La corte di merito
sembra confondere il diritto indisponibile alla durata ragionevole del processo
con quello patrimoniale e disponibile all'equa riparazione della violazione del
diritto fondamentale che precede, che è unico oggetto dell'azione di merito
della ricorrente.
Ritiene questa Corte, in
risposta all'apposito quesito posto dall'ordinanza della sezione semplice che,
alle controversie relative alla domanda di equa riparazione, in quanto vertenti
su diritti patrimoniali e disponibili ai sensi del D.Lgs. n. 28 del 2010, art.
2, comma 1, può applicarsi la disciplina della mediazione che comunque come
meglio sarà precisato, non costituisce più condizione di proponibilità delle
azioni giudiziarie di cui al primo comma del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, art.
5, dichiarato incostituzionale con sentenza del giudice della L. 6 dicembre
2012, n. 272, che ha lasciato vigente il sesto comma della norma.
Tale ultimo comma
parifica la domanda di mediazione per la conciliazione sul diritto controverso
alla "domanda giudiziale" di tutela di tale situazione soggettiva ai
fini della prescrizione, stabilendo che l'istanza di mediazione, come accade
per ogni domanda giudiziale ai sensi dell'art. 2943 c.c., commi 1 e 2, e art.
2945 c.c., interrompe la prescrizione del diritto controverso (su tale
interruzione cfr., di recente, Cass. 10 aprile 2013 n. 8686 e 14 dicembre 2012
n. 23017).
La disciplina legale
della decadenza non può essere modificata dalle parti che ad essa non possono
neppure rinunciare in materia di diritti indisponibili del tipo di quello alla
durata ragionevole del processo (art. 2968 c.c.) potendo solo la legge regolare
diversamente il venir meno del diritto da cui il titolare decade, per mancato
esercizio di esso nel termine di legge.
Nel caso cioè il D.Lgs.
n. 28 del 2012, art. 5, comma 6, prevede che l'istanza di mediazione impedisce
"per una sola volta" la decadenza dall'azione a tutela del diritto su
cui si è tentata la conciliazione, in deroga ai principi generali nella materia
(art. 2964 c.c. e ss.), per i quali il compimento dell'atto di esercizio del
diritto nel termine di decadenza esclude che questa possa più operare.
Ciò assume peculiare
rilievo nell'azione di equa riparazione per la quale si è escluso che la
prescrizione operi prima del termine semestrale di decadenza e sempre che
questa non si sia verificata (così S.U. 2 ottobre 2012 n. 16783). Anche dopo la
dichiarata illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5,
comma 1, resta fermo il sesto comma, per il quale la istanza di mediazione nei
sei mesi di proponibilità della domanda, impedisce "per una sola
volta" la decadenza dal diritto di agire e, se il tentativo di
conciliazione fallisce, consente che la domanda sia "proposta entro il
medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale"
negativo di conciliazione, "presso la segreteria dell'organismo".
2.3. La Corte d'appello
dichiara decaduta la A. dal diritto di chiedere l'equa riparazione, per non
avere proposto la domanda entro il termine di sei mesi previsto "a pena di
decadenza" dalla L. n. 89 del 2001, art. 4, negando che possa applicarsi
la mediazione in materia di diritti indisponibili come quello alla durata
ragionevole del processo, per cui essa era da ritenere tamquam non esset se
intervenuta nel semestre di cui alla norma sopra citata.
La A. ha negato che la
soluzione della Corte di merito sia corretta, qualificando "patrimoniale e
disponibile" il diritto all'equa riparazione.
Ad avviso della
ricorrente tale diritto è diverso da quello a carattere non patrimoniale al
processo giusto e di durata ragionevole che, quale diritto fondamentale
tutelato dalla Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, è indisponibile e non
può essere oggetto di conciliazione e di mediazione. Dato che la Cassazione ha
sempre tenuto distinto il diritto disponibile al risarcimento del danno da
quello anche se indisponibile ingiustamente leso a base dell'azione
risarcitoria (in tal senso da Cass. 6 maggio 1975 n. 1744 a Cass. 21 settembre
2011 n. 19204), la reitengrazione patrimoniale per equivalente delle perdite
subite per la lesione o per l'impedito esercizio d'un diritto indisponibile o
fondamentale,è di natura disponibile e patrimoniale, come tale soggetta alla
mediazione.
Il diritto al processo
giusto e di durata ragionevole è indisponibile e, come tale, non è soggetto a
conciliazione; esso è però sicuramente diverso da quello alla riparazione
monetaria di natura patrimoniale della sua violazione di certo disponibile,
oggetto della presente azione, si configuri questa come risarcitoria e sorta da
lesione della situazione soggettiva indisponibile ovvero come obbligazione ex
lege ai sensi dell'art. 1173 c.c., (nei due sensi cfr. da ultimo, per la
responsabilità aquiliana, Cass. 20 gennaio 2010 n. 1101 e per la obbligazione
ex lege Cass. 25 novembre 2011 n. 24962).
2.4. Il D.Lgs. n. 28 del
2010, art. 5, comma 6, è stato implicitamente ritenuto legittimo dalla citata
sentenza della Corte Costituzionale n. 272/2012, che individua quali degli
altri commi della stessa norma e degli altri articoli del D.Lgs. n. 28 del
2012, sono in contrasto con la carta fondamentale per eccesso di delega.
La pronuncia del giudice
delle leggi lascia ferma la disposizione dell'art. 5, comma 6, del decreto
legislativo sulla mediazione, per la quale l'istanza di mediazione interrompe
la prescrizione e impedisce che possa operare "per una sola volta" la
decadenza di sei mesi per proporre l'azione di equo indennizzo, facendo
decorrere un altro termine semestrale per agire, a decorrere dalla data di
comunicazione del verbale di chiusura della mediazione ex art. 11 dello stesso
decreto legislativo.
Un altro termine di sei
mesi comincia a decorrere dal deposito del verbale negativo di conciliazione,
per cui la mera comunicazione della domanda di mediazione alle altre parti, da
sola e per una sola volta, impedisce la decadenza della L. n. 89 del 2001, art.
4, ai sensi del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 6.
La dichiarazione di
illegittimità costituzionale del primo comma del citato art. 5 del decreto
legislativo del 2010 sulla mediazione c.d.
obbligatoria, in
applicazione della L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 27, ha modificato la disciplina
dell'istituto di conciliazione stragiudiziale di cui al D.Lgs. n. 28 del 2010,
con effetti che rilevano anche in questa sede, escludendo che la mediazione
costituisca nelle azioni di cui a quel comma in contrasto con la Costituzione,
condizione di proponibilità della domanda.
Si pone il problema se
la conclusione negativa di una procedura di mediazione di natura facoltativa e
che ormai non costituisce più condizione di procedibilità della domanda, possa
ancora incidere sulla prescrizione, interrompendola, come prevede il D.Lgs. n.
28 del 2010, art. 5, comma 6, così parificando la domanda di mediazione a
quella introduttiva dell'azione di equa riparazione.
La lettera della legge
impone una risposta affermativa su tale questione, perchè l'istanza di
mediazione interrompe la prescrizione del diritto per cui si tenta la
conciliazione, così come ogni azione a tutela di esso, anche se per l'equa
riparazione la prescrizione può decorrere solo se non vi è stata decadenza,
come poi sarà chiarito.
In ordine alla
decadenza, l'istanza di mediazione ha effetti solo limitati rispetto a quelli
della domanda giudiziale che osta in via definitiva al venir meno del diritto
di agire; essa infatti impedisce "per una sola volta" la decadenza e
consente la proposizione di una nuova domanda nell'ulteriore nuovo termine
semestrale decadenziale di cui al D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 6.
La mediazione è
possibile ai sensi del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 2, per la conciliazione di
ogni controversia in materia di diritti disponibili, anche al fine di evitare i
giudizi di equa riparazione, che hanno ad oggetto tale diritto patrimoniale e
disponibile che possono essere conclusi da una conciliazione a seguito di
mediazione (Cass. 13 aprile 2012 n. 5924).
E' quindi venuta meno la
natura di "condizione dell'azione" che l'incostituzionale D.Lgs. 28
del 2010, art. 5, comma 1, riconosceva all'attività di mediazione in rapporto
alle controversie in detta norma allora espressamente indicate.
Peraltro la mediazione,
pur essendo facoltativa, si collega ormai ad una attività che, se non è più
indispensabile alla proponibilità della domanda, comporta l'affermazione da chi
la chiede del suo diritto ad agire a tutela di diritti sui quali tenta la
conciliazione, per cui resta ferma la disciplina del D.Lgs. n. 28 del 2012,
art. 5, comma 6, anche circa la mancata decadenza dal diritto di agire
"per una sola volta", a causa dell'istanza di mediazione per ottenere
l'equa riparazione, che ha effetto interruttivo della durata della prescrizione
nei sensi già indicati, come se si trattasse dell'esercizio del diritto
prescrivibile. La natura non più obbligatoria della mediazione nella fase
preliminare delle azioni civili e commerciali elencate nel D.Lgs. n. 28 del
2010, art. 5, comma 1, è incompatibile con la natura di "condizione dell'azione"
della mediazione stessa, come rilevato dalla stessa Corte Costituzionale nella
sentenza n. 272 del 2012, la quale, dichiarando illegittima tale obbligatorietà
della mediazione nei casi indicati nella norma ritenuta in contrasto con la legge
fondamentale, comunque supera la natura di condizione dell'azione della
mediazione stessa.
La stessa ricorrente
deduce che la C.E.D.U. ritiene ormai transigibili e quindi soggette a
mediazione anche le azioni di equa riparazione che si svolgano dinanzi ad essa,
per cui la data della domanda di mediazione sostituisce quella di equo
indennizzo, al fine di escludere ogni decadenza dall'azione e, se intervenuta
nel semestre dalla sentenza definitiva che ha chiuso il processo presupposto,
impedisce la perdita del diritto di agire, perchè il semestre della L. n. 89
del 2001, art. 4, deve ritenersi rispettato anche con la mera richiesta di
mediazione.
Ai sensi del D.Lgs. n.
28 del 2010, art. 5, comma 6, come già detto, la decadenza è evitata "per
una sola volta" dalla comunicazione della domanda di mediazione nel
semestre decorrente dalla sentenza definitiva e la norma è applicabile anche
alla presente procedura, iniziata dopo la entrata in vigore del citato decreto
legislativo, perchè il primo inciso dell'art. 24, del decreto legislativo che
la regola, risulta anche esso illegittimo costituzionalmente per la citata
sentenza del giudice delle leggi.
Deve quindi accogliersi
il primo motivo del ricorso in base al seguente principio di diritto:
"anche se la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 5
primo comma del D.Lgs. n. 28 del 2010, di cui alla sentenza del 6 dicembre 2012
n. 272 della Corte Costituzionale ha escluso la obbligatorietà della mediazione
in ogni controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili e se
la mediazione non costituisce più condizione di proponibilità della domanda,
resta fermo l'effetto della istanza di mediazione d'interruzione della
prescrizione e di impedimento per una sola volta della decadenza dal diritto di
agire per equa riparazione, essendo rimasta ferma l'applicazione del D.Lgs. n.
28 del 2010, art. 5, comma 6, che non è stato dichiarato in contrasto con la
carta costituzionale ed è coerente agli intenti deflattivi del contenzioso
giudiziario della disciplina legale della mediazione stessa". Nessun
rilievo può avere sulla soluzione adottata la mancata comunicazione al Ministro
della giustizia ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 5, della intervenuta
conciliazione stragiudiziale della vertenza sull'equo indennizzo, potendo il
Ministro comunque chiedere che gli sia data notizia di ogni mediazione per
agire eventualmente anche in sede disciplinare per eventuali comportamenti del
magistrato, che abbia determinato la istanza di mediazione.
L'impianto complessivo
del D.Lgs. n. 28 del 2010, anche se con incidenza ridotta, resta teso alla
deflazione delle controversie giudiziarie, anche nell'interpretazione letterale
della normativa sulla mediazione data in questa sede, restando ferma la
decadenza prevista del diritto di agire per decorso del termine semestrale
dalla sentenza definitiva, cui osta, per una sola volta, la domanda di
mediazione di cui al D.Lgs. n. 28 del 2010.
Il primo motivo di
ricorso è quindi fondato e da accogliere e il decreto impugnato deve essere
cassato.
3. I motivi di ricorso
dal secondo al quinto attengono tutti al merito della domanda di equa
riparazione proposta dalla A. alla Corte d'appello di Milano, che su di essi
potrà decidere in sede di rinvio.
Infatti si deduce che il
ritardo per cui è stato chiesto l'indennizzo non è imputabile alla ricorrente
(secondo motivo), ponendosi questioni sulla esistenza e sulla natura del danno
da indennizzare (terzo e quarto motivo) e sulla liquidazione dello stesso
(quinto motivo) con censure in questa sede inammissibili perchè relative a
statuizioni mai emesse dalla sentenza impugnata.
Infine si prospetta la
non manifesta infondatezza della questione di illegittimità costituzionale
della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a, per la scelta normativa di
limitare il danno al solo periodo eccedente la durata ragionevole del processo
in contrasto con la Convenzione Europea dei diritti dell'uomo e con l'art. 117
Cost., ma la questione è di certo irrilevante in questa sede, anche se va
osservato che la stessa C.E.D.U. esclude ogni suo potere di intervento in
ordine al tipo e ai modi dei rimedi interni predisposti contro la durata
eccessiva dei processi, potendo intervenire solo in difetto di ogni rimedio
(C.E.D.U. 21 dicembre 2010 su ricorso n. 45867/07).
4. In conclusione, deve
accogliersi il primo motivo di ricorso e vanno dichiarati inammissibili allo
stato gli altri motivi; il decreto oggetto di ricorso deve essere cassato in
relazione al motivo accolto e la causa deve rimettersi alla Corte d'appello di
Brescia in diversa composizione, perchè si uniformi ai principi enunciati in
questa sede ed esamini nel merito la domanda della A. provvedendo anche sulle
spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte a sezioni unite
accoglie il primo motivo di ricorso e rigetta gli altri; cassa il decreto
impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d'appello
di Brescia in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di
cassazione.
Così deciso in Roma,
nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 28 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2013
AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.