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Appello di Torino, 13 aprile 2021
Alla luce dell’art. 5, comma 2bis, d.lgs. 28/2010, qualora sia stato effettivamente esperito
il procedimento di mediazione, sebbene dal soggetto non gravato da tale onere,
non può essere conseguita l’improcedibilità della domanda (il Giudice
rileva che le Sezioni Unite, in tema di opposizione a decreto ingiuntivo, nell’individuare il
soggetto gravato dell’onere di promuovere la procedura in esame onde evitare la
dichiarazione di improcedibilità del giudizio, con conseguente revoca del
decreto ingiuntivo, non esclude che tale iniziativa possa essere intrapresa
anche dalla controparte; nella specie l’opponente aveva prodotto il verbale
dell’incontro di mediazione da cui risultava come detta procedura fosse stata
validamente instaurata tra le parti, entrambe presenti alla convocazione
dinanzi al mediatore, ed assistite dai rispettivi difensori, sebbene la
sola parte opponente avesse dichiarato, in quella sede, di voler entrare nel
merito della controversia, mentre la parte opposta aveva dichiarato di non
voler aderire all’invito) (I).
(I) Si veda
l’art. 5, comma 1-bis, D.lgs. 4 marzo 2010
n. 28 (Osservatorio Mediazione Civile n. 38/2018).
Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 40/2021
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)
Corte Appello di Torino
Sentenza
13 aprile 2021
Omissis
Con il primo motivo d’appello omissis
sostiene che omissis non abbia
offerto idonea prova documentale del proprio credito; lamenta altresì il
mancato accoglimento dell’istanza formulata ex art. 210 c.p.c. e la mancata
ammissione della consulenza tecnica contabile richiesta, sostenendo che
l’assenza dei documenti richiesti gli avrebbe impedito di effettuare una
perizia di parte; eccepisce, infine, l’erronea applicazione, da parte del
giudice di prime cure, del principio dell’onere della prova.
Il Tribunale di Aosta ha osservato che omissis, oltre ai contratti di finanziamento omissis ha prodotto “l’estratto conto completo delle operazioni
relative ai due finanziamenti dalla data di stipulazione dei relativi contratti
sino alla data di cessione dei crediti da essi nascenti in favore della omissis, da cui risulta che sono stati
applicati in specie interessi corrispettivi e moratori compresi nei limiti
fissati con decreti ministeriali 18.03.2008 (per il trimestre aprile-giugno
2008) e 23.06.2008 (per il trimestre luglio-settembre 2008) ex lege n.
108/1996, anche tenuto conto della penale, delle commissioni di sollecito e dei
costi anche assicurativi del credito” (v. docc. n. 4 e 5 allegati al ricorso
monitorio).
Ha pertanto rilevato il primo giudice che “La documentazione così
prodotta, non contestata specificamente dalla parte opponente in relazione alle
componenti del credito ivi evidenziate, siccome estesa all’intero svolgimento
dei rapporti in esame pare esaustiva ai fini della compiuta liquidazione dei
crediti esposti, laddove le avverse richieste di documentazione, come già
inoltrate anche in sede stragiudiziale all’omissis
(v. documento n. 14 allegato all’atto di citazione in opposizione), risultano
in effetti formulate in termini generici in riferimento ad una massa
documentale non individuabile specificamente”.
A tale riguardo ha inoltre rilevato come “le istanze di esibizione
documentale formulate dall’opponente risultassero in effetti confusamente
esposte in relazione ad una pletora di documenti non bene identificabili
(“originali delle copie dei contratti…”; “aperture di credito e fideiussione
connessi ai conti”, “estratti conto mensili e trimestrali”), laddove ex art.
210 c.p.c. è richiesto invece, ai fini dell’ammissibilità dell’istanza, che il
Giudice sia posto in grado di valutare la necessità di acquisire i documenti
richiesti ai fini del decidere, risultando perciò solo inammissibile l’istanza
di esibizione relativa a documenti non compiutamente individuabili”.
Dichiarava altresì “inammissibile l’indagine peritale invocata dalla
parte opponente per il ricalcolo dell’intero rapporto intercorso tra le parti
in relazione ai finanziamenti erogati, non essendo specificamente indicate le
poste in discussione ed i motivi di contestazione allegati”.
Osservava il giudice di prime cure che l’opponente aveva chiesto
l’ammissione di detto mezzo di prova “elencando questioni generiche ed in parte
palesemente non conferenti con la natura e qualità dei rapporti in
contestazione (cfr. pag. 20 della citazione ove si fa riferimento, fra l’altro
a “variazioni di condizioni non concordate”, “delta interessi…tra uso piazza e
l’interesse legale”, “tassi ultrafido”), ovvero comunque enunciate senza
riferimento alcuno a specifiche operazioni o fasi della lunga evoluzione dei
rapporti in contestazione, non consentendo così l’individuazione delle poste in
discussione ai fini di una specifica formulazione dei quesiti di indagine”.
Evidenziava il Tribunale di Aosta che, “tenuto conto che la consulenza
tecnica d'ufficio ha la funzione di offrire al giudice l'ausilio delle
specifiche conoscenze tecnico-scientifiche che si rendono necessarie al fine
del decidere, tale mezzo istruttorio - presupponendo che siano stati forniti
dalle parti interessate concreti elementi a sostegno delle rispettive richieste
- non può essere utilizzato per compiere indagini esplorative dirette
all'accertamento di circostanze di fatto, la cui dimostrazione rientri, invece,
nell'onere probatorio delle parti”, richiamando il consolidato orientamento di
legittimità (cfr. Cass civ. Sez. 2, Sentenza n. 212 del 11/01/2006; Cass. Civ.
Sez. 3, Sentenza n. 12921 del 23/06/2015).
L’appellante censura la sentenza di primo grado sia sotto il profilo
dell'art. 50 TUB sia sotto il profilo dell'omessa valutazione dell'onere della
prova ex art. 2697 c.c. e, comunque, per aver leso il diritto di difesa
dell'opponente. In particolare, ritiene che l'istanza di cui all'art. 210
c.p.c., contrariamente a quanto ritenuto in sentenza, fosse specifica,
individuabile e soprattutto non correttamente valutata dal giudice di prime
cure.
Contesta, poi, la lesione del diritto di difesa, sub specie di
inversione dell’onere probatorio, non essendosi tenuto conto del comportamento
ostruzionistico della banca che non avrebbe fornito i documenti all'opponente
al fine di eseguire una consulenza di parte.
La CTU richiesta, infatti, lungi dall'essere esplorativa
rappresenterebbe, ad avviso dell’opponente, l'unico mezzo possibile per
dimostrare quanto a livello presuntivo appare già evidente, ovvero
un’operazione usuraria in relazione ad interessi e costi non specificamente
pattuiti e, se pattuiti, del tutto nulli.
Le censure sollevate dall’appellante non sono fondate.
È infatti condivisibile la valutazione espressa nella sentenza
appellata dal Tribunale di Aosta, che ha ritenuto le contestazioni e le istanze
di parte opponente del tutto generiche e come tali inidonee a fondare il
richiesto ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. e la sollecitata CTU.
A tale riguardo si evidenzia, in primo luogo, la completezza delle
produzioni documentali della omissis
SRL, che comprendono i documenti negoziali e gli estratti riportanti nel
dettaglio, per ciascuno dei finanziamenti, oltre alle voci di incasso rate,
ogni addebito di spesa previsto dalle condizioni generali di contratto,
corredato dei relativi storni se intervenuto l’incasso, nonché gli importi
addebitati a titolo di interessi.
Le difese dell’appellante, in gran parte aventi ad oggetto generiche
dissertazioni per lo più non pertinenti al caso di specie, non contengono
puntuali critiche di quanto affermato dal primo giudice e, segnatamente, non
indicano perché i documenti ritenuti dal Tribunale di Aosta completi ed
esaurienti al fine della ricostruzione dei rapporti di finanziamento dovrebbero
al contrario considerarsi insufficienti (gli estratti conto prodotti vengono
definiti “foglietti” o “banali riepiloghi”); né l’appellante ha precisato quale
sarebbe la documentazione che ritiene mancante o, comunque, laddove lo ha
fatto, ha indicato documenti non pertinenti ai rapporti in discussione,
lamentandosi della mancata produzione degli estratti conto mensili e degli
estratti conto trimestrali scalari, dai quali si dovrebbero ricavare gli
importi della commissione di massimo scoperto, il rispetto della disciplina
delle valute, la capitalizzazione degli interessi passivi, verificare se si
siano applicati interessi passivi mediante richiami ad uso piazza, et alias,
tutte questioni attinenti la disciplina del contratto di conto corrente
bancario, laddove nella specie si controverte di contratti di finanziamento.
D’altro canto, già nel giudizio di prime cure l’attuale appellante
aveva fatto riferimento a fattispecie non attinenti il caso di specie
(contratti di conto corrente - fideiussione – carta di credito – affidamenti
bancari) e, condivisibilmente, il Tribunale aveva respinto l’istanza ex art.
210 c.p.c., con cui l’opponente aveva chiesto “di ordinare l’esibizione alla
banca degli originali delle copie dei contratti di conto corrente, aperture di
credito e fideiussione (non presenti nel caso di specie) connessi ai conti
indicati nelle premesse degli atti nonché la produzione degli estratti conto
mensili con indicazione della specifica delle operazioni contabilizzate e
trimestrali con il conteggio degli interessi scalari mai consegnati
all’attore…” (cfr. atto di citazione in opposizione di primo grado).
Di conseguenza, anche la richiesta di disporre consulenza tecnica
d’ufficio non può essere accolta, condividendosi la valutazione negativa del
primo giudice.
La consulenza d’ufficio non è un mezzo istruttorio in senso proprio,
avendo essa la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi
acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche
conoscenze, e pertanto deve avere ad oggetto accertamenti per quanto possibile
specifici, poiché un quesito eccessivamente generico conduce ad una indagine
meramente esplorativa alla ricerca di elementi, fatti e circostanze non
provati, e quindi inammissibile (in questo senso, oltre alle pronunce
richiamate nella sentenza appellata, v. Cass. 12.2.2008 n. 3374; Cass. ord. n.
26839/2016).
Nella specie, inoltre, l’indagine peritale è diretta a dimostrare
l’applicazione di interessi usurari (v. atto di appello pag. 16), eventualità
esclusa dal primo giudice con analitica motivazione (come sopra riportato), che
non è stata oggetto di specifica censura da parte dell’appellante.
Il motivo è pertanto infondato e non può essere accolto.
Con il secondo motivo d’impugnazione, 1.4. lamenta che la società appellata avrebbe
tenuto, in sede di mediazione, un comportamento ostruzionistico: chiede
l’appellante che la Corte ne tenga conto ex artt. 88 e 91 c.p.c. ai fini della
liquidazione delle spese di lite, e comunque sostiene che il giudice di prime
cure avrebbe dovuto dichiarare l’improcedibilità della domanda, stante la
condotta di adesione solo formale alla procedura di mediazione, indice di
malafede ed intesa ad aggirare l’obbligo di cui all’art. 13 d.lgs. n. 28 del
4.3.2010.
Nella comparsa conclusionale l’appellante ha inoltre richiamato la
sentenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione n. 19596 del 18.09.2020
(ove si afferma che, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, l'onere
di promuovere la procedura di mediazione è a carico della parte opposta, con la
conseguenza che, ove essa non si attivi, della pronuncia di improcedibilità e
della revoca del decreto ingiuntivo), evidenziando come 1.4. non abbia introdotto la mediazione pur
essendovi tenuta e si sia altresì rifiutata di svolgere una concreta trattativa
a seguito dell'introduzione della stessa da parte dell'appellante, violando in
tal modo lo spirito della norma, con conseguente improcedibilità del giudizio.
Il motivo è infondato.
A fronte dell’eccezione di improcedibilità del giudizio per mancato
esperimento della procedura di mediazione preventiva obbligatoria, sollevata in
primo grado, il Tribunale ha rilevato che lo stesso opponente aveva prodotto il
verbale dell’incontro di mediazione tenutosi il 19.09.2017, da cui risultava
come detta procedura fosse stata validamente instaurata tra le parti, entrambe
presenti alla convocazione dinanzi al mediatore, ed assistite dai rispettivi
difensori, sebbene la sola parte opponente avesse dichiarato, in quella sede,
di voler entrare nel merito della controversia, mentre la parte opposta aveva
dichiarato di non voler aderire all’invito.
Il Tribunale ha correttamente ritenuto che l’iter della procedura fosse
stato idoneo a soddisfare la condizione di procedibilità posta dal legislatore
ex art. 5, comma 1 - bis del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, come testualmente previsto
ex art. 5, comma 2 - bis del medesimo provvedimento, secondo cui “quando
l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità
della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo
incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l'accordo”, a nulla rilevando a
tal fine che una delle parti avesse rifiutato, nel corso di detto incontro, di
entrare nel merito della procedura di mediazione.
Pertanto, essendo stato effettivamente esperito il procedimento di
mediazione, sebbene dal soggetto non gravato da tale onere, non ne può essere
conseguita l’improcedibilità della domanda: infatti, la richiamata pronuncia
delle Sezioni Unite, nell’individuare il soggetto gravato dell’onere di
promuovere la procedura in esame onde evitare la dichiarazione di
improcedibilità del giudizio, con conseguente revoca del decreto ingiuntivo,
non esclude che tale iniziativa possa essere intrapresa anche dalla
controparte, integrando il tal modo la condizione di procedibilità posta dal legislatore
ex art. 5, comma 1 - bis del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, come testualmente
previsto ex art. 5, comma 2 - bis del medesimo provvedimento.
Tanto meno, la condotta tenuta dalla società appellata in sede di
mediazione può essere valutata negativamente ai fini della liquidazione delle
spese di lite, anche in considerazione della inconsistenza delle contestazioni
dell’attuale appellante.
In conclusione, l’appello è infondato e deve essere respinto, con
conferma dell’appellata sentenza n. 84/2019 del Tribunale di Aosta.
Consegue, ex art. 91 c.p.c., la condanna dell'appellante al rimborso
delle spese di lite in favore di parte appellata, liquidate con riferimento ai
valori medi del relativo scaglione previsto dal DM 55/2014 (da € 26.001 ad €
52.000), dovendosi escludere il compenso per la fase istruttoria (non svolta) e
per quella decisionale, non avendo parte appellata depositato gli scritti conclusivi.
Sussistono altresì i presupposti di cui all'art. 13, comma 1 - quater
del D.P.R. 115/02 perché la parte appellante sia dichiarata tenuta al
versamento di ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari
all'importo dovuto per lo stesso titolo e la stessa impugnazione.
PQM
Definitivamente pronunciando nella causa civile iscritta omissis, la Corte d'Appello di Torino,
Prima Sezione Civile, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione reiette, così
decide: respinge l'appello proposto da omissis
avverso la sentenza omissis del
Tribunale di Aosta, pubblicata il 12 marzo 2019, che integralmente conferma; condanna
parte appellante al rimborso, in favore di omissis,
delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano in complessivi €
3.310,00 di cui € 1.960,00 per la fase di studio e € 1.350,00 per la fase
introduttiva, oltre spese generali nella misura del 15%, CPA e IVA sulle somme
imponibili; dichiara la sussistenza dei presupposti di cui all'art. 13, comma 1
- quater del D.P.R. 115/02 perché la parte appellante sia dichiarata tenuta al
versamento di ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari
all'importo dovuto per lo stesso titolo e la stessa impugnazione.
AVVISO. Il
testo riportato non riveste carattere di ufficialità.