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Costituzionale, 20 gennaio 2022, n. 10
Il patrocinio a spese dello Stato deve essere garantito ai non abbienti
anche nel procedimento di mediazione obbligatoria conclusa con successo. Va
pertanto dichiarata l’illegittimità costituzionale
degli articoli 74, secondo comma, 75, primo comma, e 83, secondo comma, del Dpr
n. 115 del 2002 là dove non si prevede che il detto beneficio possa essere
riconosciuto ai non abbienti anche per l’attività difensiva svolta in loro
favore nel procedimento di mediazione obbligatoria concluso con esito positivo (I).
(I) Si veda
l’art. 5, comma 1-bis, D.lgs. 4 marzo 2010
n. 28 (Osservatorio Mediazione Civile n. 38/2018).
Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 1/2022
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)
Corte Costituzionale
Sentenza n. 10
20 gennaio 2022
Omissis
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giancarlo CORAGGIO; Giudici :
Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO,
Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco
VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA,
Maria Rosaria SAN GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 74, comma 2, 75,
comma 1, e 83, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio
2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)», promossi dal
Tribunale ordinario di Oristano con ordinanza dell’8 luglio 2020 e dal Tribunale
ordinario di Palermo con ordinanza del 17 marzo 2021, iscritte,
rispettivamente, al n. 188 del registro ordinanze 2020 e al n. 115 del registro
ordinanze 2021 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 1
e 34, prima serie speciale, dell’anno 2021.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 24 novembre 2021 il Giudice
relatore Luca Antonini;
deliberato nella camera di consiglio del 25 novembre 2021.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza dell’8 luglio 2020 (reg. ord. n. 188 del 2020), il
Tribunale ordinario di Oristano ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e
24, terzo comma, della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale
degli artt. 74, comma 2, e 83, comma 2, del decreto del Presidente della
Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)».
L’art. 74, comma 2, t.u. spese di giustizia prevede che sia «assicurato
il patrocinio nel processo civile, amministrativo, contabile, tributario e
negli affari di volontaria giurisdizione, per la difesa del cittadino non
abbiente quando le sue ragioni risultino non manifestamente infondate».
Il successivo art. 83, comma 2, dispone, per quanto qui interessa, che
la liquidazione del compenso spettante al difensore «è effettuata al termine di
ciascuna fase o grado del processo e, comunque, all’atto della cessazione
dell’incarico, dall’autorità giudiziaria che ha proceduto».
La prima norma è censurata nella parte in cui non prevede che il
patrocinio a spese dello Stato in favore dei non abbienti sia assicurato anche
in relazione all’attività difensiva svolta nell’ambito della mediazione
obbligatoria di cui all’art. 5, comma 1-bis, del decreto legislativo 4 marzo
2010, n. 28 (Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in
materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili
e commerciali), quando il successivo giudizio non viene instaurato per
l’intervenuta conciliazione delle parti. La seconda è denunciata nella parte in
cui non prevede che, in tali fattispecie, alla liquidazione del compenso
spettante al difensore provveda il giudice che sarebbe stato competente a
conoscere della causa.
1.1.– In punto di rilevanza, il rimettente espone di essere chiamato a
decidere sull’istanza di liquidazione presentata dal difensore nominato
dall’amministratore di sostegno di P.O., ammessa al patrocinio a spese dello
Stato dal Consiglio dell’ordine degli avvocati, per l’attività svolta nel corso
di un procedimento di mediazione obbligatoria durante il quale le parti hanno
raggiunto un accordo per la composizione bonaria della lite, sicché il processo
non è stato poi introdotto.
L’accoglimento dell’istanza sarebbe, pertanto, precluso dalle norme
denunciate, dal momento che queste non prevedono la possibilità di liquidare il
compenso a carico dello Stato qualora l’attività difensiva sia stata espletata
esclusivamente in sede di mediazione, senza dunque che sia stato instaurato il
giudizio. D’altra parte, precisa il giudice a quo, nella specie sussisterebbero
i requisiti stabiliti dalla legge per il conseguimento del diritto al
patrocinio a spese dello Stato, con la conseguenza che, se le norme sospettate
fossero dichiarate costituzionalmente illegittime, l’istanza di cui è investito
potrebbe essere accolta.
1.2.– In merito alla non manifesta infondatezza, il Tribunale di
Oristano preliminarmente esclude la possibilità di un’interpretazione secundum
Constitutionem delle disposizioni censurate, ponendo in rilievo che queste, nel
riconoscere il patrocinio a spese dello Stato e nel disciplinare la competenza
ad adottare il decreto di liquidazione del compenso, fanno espresso riferimento
al «processo» e all’autorità giudiziaria «che ha proceduto». La «necessità del
processo» troverebbe poi conferma sul piano sistematico, avuto riguardo, tra
l’altro, al disposto dell’art. 75, comma 1, t.u. spese di giustizia, a mente
del quale «[l]’ammissione al patrocinio è valida per ogni grado e per ogni fase
del processo e per tutte le eventuali procedure, derivate ed accidentali,
comunque connesse» al processo stesso.
In sostanza – conclude il rimettente anche sulla scorta della
giurisprudenza di legittimità e di merito – affinché le attività difensive
svolte al di fuori del processo possano essere considerate giudiziali, sarebbe
pur sempre necessaria l’instaurazione del giudizio.
La liquidazione del compenso a carico dello Stato, pertanto, potrebbe
avere ad oggetto l’attività espletata nel corso del procedimento di mediazione
obbligatoria soltanto se questo abbia avuto esito negativo, mentre al medesimo
risultato non si potrebbe giungere nell’ipotesi opposta, ostandovi la lettera
delle disposizioni sospettate.
1.2.1.– Tale esito ermeneutico conduce il giudice a quo a dubitare
della compatibilità con il dettato costituzionale degli artt. 74, comma 2, e
83, comma 2, t.u. spese di giustizia.
In proposito, dopo avere rammentato che il legislatore, nell’introdurre
forme di giurisdizione condizionata è tenuto a non rendere eccessivamente
difficoltosa la tutela giurisdizionale, il rimettente innanzitutto sottolinea
come le norme denunciate escludano dall’ambito di applicazione del patrocinio a
spese dello Stato il procedimento di mediazione con l’assistenza del difensore,
benché il suo esperimento sia imposto, in determinate materie, quale condizione
di procedibilità della domanda giudiziale.
Quindi, aggiunge che sarebbe «incongruo» che a impedire la liquidazione
dei compensi a carico dello Stato sia l’intervento della conciliazione, ovvero
proprio dell’evento che evita la celebrazione del processo e soddisfa così la
finalità deflattiva del contenzioso a cui è preordinata la mediazione
obbligatoria.
Peraltro, prosegue il giudice a quo, la disciplina normativa denunciata
disincentiverebbe il raggiungimento dell’accordo tra le parti, giacché i non
abbienti, nella consapevolezza di dovere in tal caso sostenere le spese
difensive, potrebbero preferire agire o resistere in giudizio.
Essa, pertanto, produrrebbe effetti opposti rispetto alla suddetta
finalità deflattiva e al contempo comporterebbe maggiori oneri per la finanza
pubblica, poiché lo Stato, in conseguenza della instaurazione del giudizio,
dovrebbe sopportare le spese sia per la mediazione, sia per il successivo
processo.
Rileva poi il rimettente che le norme censurate, non tenendo conto
delle condizioni economiche dei non abbienti, ne limiterebbero di fatto
l’uguaglianza nell’accesso alla mediazione e comprimerebbero l’effettività del
loro diritto di difesa. Sotto quest’ultimo aspetto osserva altresì che i non
abbienti, non essendo in grado di sostenere le spese per l’attività difensiva,
potrebbero finanche essere indotti a rinunciare del tutto a far valere le
proprie ragioni oppure a concludere l’accordo conciliativo a condizioni più
onerose di quelle che avrebbero ottenuto ove dette spese fossero state poste a
carico dello Stato.
Per le ragioni ora esposte, infine, le disposizioni denunciate
determinerebbero anche un’ingiustificata disparità di trattamento tra abbienti
e non abbienti.
Alla luce delle considerazioni che precedono, risulterebbero in
definitiva lesi, secondo il Tribunale di Oristano, gli artt. 3 e 24, terzo
comma, Cost.
1.2.2.– Sotto un diverso profilo, peraltro, le disposizioni censurate
sarebbero generatrici di un’irragionevole disparità anche all’interno della
stessa categoria dei non abbienti, a seconda che questi siano o meno parti di
una controversia transfrontaliera.
Soltanto in relazione a tali controversie, infatti, l’art. 10 del
decreto legislativo 27 maggio 2005, n. 116 (Attuazione della direttiva
2003/8/CE intesa a migliorare l’accesso alla giustizia nelle controversie
transfrontaliere attraverso la definizione di norme minime comuni relative al
patrocinio a spese dello Stato in tali controversie), estende il patrocinio a
spese dello Stato anche ai procedimenti stragiudiziali, qualora, per quanto qui
interessa, questi siano obbligatori. Siffatta disposizione, tuttavia,
risponderebbe all’esigenza, comune alle controversie domestiche, di garantire
l’effettività del diritto di difesa, sicché la sola natura transfrontaliera
delle liti non costituirebbe un elemento idoneo a differenziare ragionevolmente
i non abbienti che non ne siano parte.
2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le
questioni siano dichiarate inammissibili.
2.1.– Il giudice a quo, infatti, non avrebbe adeguatamente motivato
l’asserita impossibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata.
Interpretazione, questa, che sarebbe invece praticabile alla luce
dell’art. 75, comma 1, t.u. spese di giustizia, che contempla il patrocinio a
spese dello Stato anche per le procedure «connesse» al processo, quale dovrebbe
ritenersi il procedimento di mediazione pure se concluso con successo.
La prospettata soluzione ermeneutica sarebbe del resto conforme ai
principi costituzionali perché, tra l’altro: a) risulterebbe coerente con la
necessità di individuare un punto di equilibrio tra la garanzia del diritto di
difesa e l’esigenza di contenimento della spesa pubblica, comportando minori
costi per lo Stato, il quale dovrebbe infatti sostenere soltanto le spese
connesse alla mediazione e non anche quelle inerenti al successivo giudizio; b)
risponderebbe alla necessità che l’introduzione di forme di giurisdizione
condizionata non renda eccessivamente gravoso l’esercizio del diritto di
difesa; c) sarebbe in armonia con lo scopo deflattivo della mediazione.
Osserva, infine, l’Avvocatura generale che tale interpretazione
troverebbe conforto nell’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’attività
difensiva funzionale al successivo esercizio dell’azione giudiziaria dovrebbe
considerarsi giudiziale ai fini della liquidazione del compenso a carico dello
Stato (è citata, tra le altre, Corte di cassazione, sezioni unite civili,
sentenza 19 aprile 2013, n. 9529).
Né tale conclusione sarebbe smentita dalla sentenza (è citata Corte di
cassazione, sezione seconda civile, sentenza 31 agosto 2020, n. 18123) con la
quale i giudici di legittimità hanno disatteso il ricorso avverso la
statuizione di rigetto della domanda di liquidazione per l’attività difensiva
svolta nella fase della mediazione obbligatoria: si tratterebbe, infatti, di
una decisione inerente a una fattispecie «non del tutto sovrapponibile a quella
in esame».
3.– Con successiva ordinanza del 17 marzo 2021 (reg. ord. n. 115 del
2021), il Tribunale ordinario di Palermo ha sollevato – in riferimento agli
artt. 3, 24, terzo comma, e 36, primo comma, Cost. – questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 74, comma 2, e 75, comma 1, t.u. spese di giustizia,
nella parte in cui non prevedono che il patrocinio a spese dello Stato sia
assicurato anche per l’attività difensiva espletata nel corso del procedimento
di mediazione obbligatoria di cui all’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del
2010, quando il processo non viene poi introdotto per intervenuta conciliazione
fra le parti.
3.1.– Riferisce il rimettente di essere investito dell’istanza di
liquidazione del compenso avanzata – in relazione alle prestazioni rese
nell’ambito di un procedimento di mediazione obbligatoria concluso con un
accordo conciliativo – dal difensore di G. D.B. e V. C., nella qualità di
esercenti la potestà genitoriale sul minore A. D.B., ammessi al patrocinio a
spese dello Stato dal Consiglio dell’ordine degli avvocati.
3.2.– La suddetta istanza non potrebbe, secondo il giudice a quo,
trovare accoglimento alla luce del tenore letterale delle norme denunciate e
della menzionata sentenza della Corte di cassazione n. 18123 del 2020, nella
quale i giudici di legittimità avrebbero affermato che gli artt. 74 e 75 t.u.
spese di giustizia escludono dal novero delle attività difensive suscettibili
di liquidazione a carico dello Stato quelle svolte nel corso della mediazione
non seguita dalla instaurazione del giudizio, precisando poi che tale
limitazione non potrebbe essere superata in via interpretativa.
3.2.1.– Su tale premessa, il giudice palermitano ritiene che i citati
artt. 74, comma 2, e 75, comma 1, t.u. spese di giustizia ledano, innanzitutto,
gli artt. 3 e 24 Cost.
Considerato il favor legislativo per la soluzione stragiudiziale delle
controversie, sarebbe del tutto irragionevole precludere l’accesso al
patrocinio a spese dello Stato quando la controversia è stata definita in sede
di mediazione obbligatoria e consentirlo invece in caso di esito infruttuoso
della mediazione stessa, con la conseguente necessità di instaurare il
processo.
Le norme denunciate, d’altro canto, minerebbero la funzione deflattiva
della mediazione, che sarebbe infatti destinata ad essere affrontata dai
difensori «come una mera formalità prodromica all’instaurazione» del giudizio,
giacché solo in questa sede essi otterrebbero la liquidazione del compenso a
spese dello Stato. Ciò che, peraltro, comporterebbe una lievitazione degli
oneri a carico dell’erario, i quali, anziché essere limitati alle spese
difensive per la mediazione stessa, sarebbero aggravati dai costi connessi allo
svolgimento del processo.
A parere del rimettente, sarebbe vulnerato anche il diritto di agire in
giudizio e, con esso, il principio di uguaglianza sostanziale. Il rischio di
dover sopportare le spese difensive per il procedimento di mediazione obbligatoria,
infatti, risulterebbe «disincentivante (e perciò pregiudizievole nella
prospettiva della piena realizzazione del diritto di difesa presidiato anche
dall’istituto del patrocinio a spese dello Stato)» per i non abbienti e
lederebbe, pertanto, il loro diritto di accedere alla tutela giurisdizionale in
condizioni di uguaglianza rispetto a quanti dispongono di mezzi economici
adeguati.
3.2.2.– Secondo il Tribunale di Palermo, l’art. 3 Cost. sarebbe altresì
violato in riferimento al principio di uguaglianza formale, sotto un duplice
aspetto.
Le disposizioni censurate darebbero luogo a una ingiustificata
disparità di trattamento, sia tra i non abbienti, in relazione alla disciplina
riservata dal citato art. 10 del d.lgs. n. 116 del 2005 alla mediazione obbligatoria
concernente le controversie transfrontaliere, sia tra i difensori dei non
abbienti, i quali, pur avendo effettuato prestazioni identiche in sede di
mediazione, riceverebbero, «sul piano del compenso» dovuto loro per tali
attività, un trattamento differenziato a seconda del raggiungimento o meno
dell’accordo.
3.2.3.– Il rimettente dubita, infine, della compatibilità delle
disposizioni denunciate con l’art. 36, primo comma, Cost., che sarebbe leso in
quanto, per effetto della preclusione da esse derivante, i difensori
presterebbero «attività lavorativa obbligatoria gratuitamente».
4.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la
declaratoria di inammissibilità delle questioni sollevate.
Ritiene la difesa dello Stato, sulla scorta di argomentazioni
sostanzialmente identiche a quelle addotte in relazione all’ordinanza di
rimessione del Tribunale di Oristano, che neanche il Tribunale di Palermo abbia
compiutamente motivato in merito all’impossibilità di un’interpretazione
costituzionalmente conforme.
4.1.– La dedotta violazione dell’art. 36, primo comma, Cost. sarebbe
inoltre insussistente, in quanto l’assunzione della difesa della parte ammessa
al patrocinio non sarebbe obbligatoria e, comunque, perché la relativa attività
sarebbe svolta dall’avvocato solo occasionalmente.
Considerato in diritto
1.– Con ordinanza dell’8 luglio 2020 (reg. ord. n. 188 del 2020), il
Tribunale ordinario di Oristano dubita della legittimità costituzionale degli
artt. 74, comma 2, e 83, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica
30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)», i quali,
rispettivamente, dispongono che è «assicurato il patrocinio nel processo
civile, amministrativo, contabile, tributario e negli affari di volontaria
giurisdizione, per la difesa del cittadino non abbiente quando le sue ragioni
risultino non manifestamente infondate» e, per quanto qui rileva, che la
liquidazione del compenso spettante al difensore della parte non abbiente «è
effettuata al termine di ciascuna fase o grado del processo e, comunque,
all’atto della cessazione dell’incarico, dall’autorità giudiziaria che ha
proceduto».
2.– La prima disposizione è censurata nella parte in cui non prevede
che il patrocinio a spese dello Stato in favore dei non abbienti sia assicurato
anche in relazione all’attività difensiva svolta nell’ambito della mediazione
obbligatoria di cui all’art. 5, comma 1-bis, del decreto legislativo 4 marzo
2010, n. 28 (Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in
materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili
e commerciali), quando il successivo giudizio non viene instaurato per
l’intervenuta conciliazione delle parti. La seconda è denunciata laddove non
prevede che, in tali fattispecie, alla liquidazione del compenso spettante al
difensore provveda il giudice che sarebbe stato competente a conoscere della
causa.
2.1.– Sul presupposto che le norme sospettate non consentano di
liquidare tale compenso indipendentemente dalla instaurazione del giudizio – e
quindi nel caso in cui la mediazione obbligatoria si sia conclusa con successo,
in virtù del raggiungimento dell’accordo conciliativo – e che non siano
suscettibili di una interpretazione costituzionalmente conforme, il rimettente
sostiene che tale preclusione violerebbe, sotto plurimi profili, gli artt. 3 e
24, terzo comma, della Costituzione.
Il dedotto contrasto sarebbe apprezzabile, innanzitutto, in
considerazione del fatto che il procedimento di mediazione è escluso dalla sfera
di applicabilità del patrocinio a spese dello Stato benché sia imposto, in
determinate materie, quale condizione di procedibilità della domanda
giudiziale.
Sarebbe quindi irragionevole che la liquidazione del compenso sia
impedita proprio dall’evento che evita la celebrazione del processo e realizza
la finalità deflattiva perseguita dal legislatore con l’introduzione della
mediazione obbligatoria.
Altro profilo di irragionevolezza risiederebbe nel rilievo che i non
abbienti, anziché conciliare, potrebbero essere indotti a privilegiare la
scelta di agire o resistere in giudizio, per vedersi riconosciute in questa
sede le spese difensive; ciò che finirebbe per frustrare la suddetta finalità e
comporterebbe maggiori oneri per lo Stato.
D’altra parte, le norme censurate, non prevedendo il patrocinio
nonostante l’obbligatorietà della mediazione al fine di accedere al giudizio e
potendo finanche indurre i non abbienti a rinunciare a far valere le proprie
ragioni, minerebbero l’effettività del loro diritto di difesa, ledendo altresì
il principio di uguaglianza sia in senso sostanziale che in senso formale, tra
abbienti e non abbienti.
Il principio di parità sarebbe compromesso anche all’interno della
stessa categoria dei non abbienti, poiché l’art. 10 del decreto legislativo 27
maggio 2005, n. 116 (Attuazione della direttiva 2003/8/CE intesa a migliorare
l’accesso alla giustizia nelle controversie transfrontaliere attraverso la
definizione di norme minime comuni relative al patrocinio a spese dello Stato
in tali controversie), ingiustificatamente li ammetterebbe a fruire del
patrocinio a spese dello Stato in relazione ai procedimenti stragiudiziali
obbligatori solo ove, tuttavia, questi siano inerenti a una controversia
transfrontaliera.
3.– Con successiva ordinanza del 17 marzo 2021 (reg. ord. n. 115 del
2021), il Tribunale ordinario di Palermo dubita della legittimità
costituzionale del già denunciato art. 74, comma 2, nonché dell’art. 75, comma
1, t.u. spese di giustizia, nella parte in cui non prevedono che il patrocinio
a spese dello Stato sia assicurato anche per l’attività difensiva espletata nel
corso del procedimento di mediazione obbligatoria di cui all’art. 5, comma
1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010 quando il processo non viene poi introdotto
per intervenuta conciliazione fra le parti.
Il suddetto art. 75, comma 1, dispone che l’ammissione al patrocinio «è
valida per ogni grado e per ogni fase del processo e per tutte le eventuali
procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse».
3.1.– Anche il giudice palermitano esclude la praticabilità di
un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme censurate, il cui
tenore testuale precluderebbe, nella lettura della giurisprudenza di
legittimità, la liquidazione del compenso al difensore allorquando al
procedimento di mediazione non abbia fatto seguito l’instaurazione del
giudizio.
Su questo assunto, egli ritiene che le suddette norme violino,
innanzitutto, gli artt. 3 e 24, terzo comma, Cost.
Sarebbe, infatti, contrario al canone della ragionevolezza consentire
l’accesso al patrocinio a spese dello Stato in caso di esito infruttuoso della
mediazione obbligatoria, con la conseguente introduzione del processo, ed
escluderlo invece proprio quando la mediazione stessa ha raggiunto il suo
scopo; ciò che, peraltro, comprometterebbe la finalità deflattiva della
procedura in parola e causerebbe un aggravio degli oneri a carico dell’erario,
in quanto la mediazione sarebbe destinata ad essere affrontata dai difensori
dei non abbienti «come una mera formalità prodromica all’instaurazione» del
giudizio.
Ritiene, inoltre, il rimettente, sulla scorta di argomentazioni
sostanzialmente analoghe a quelle spese dal Tribunale di Oristano, che le norme
denunciate rechino un vulnus al diritto di agire in giudizio dei non abbienti e
al principio di uguaglianza sostanziale.
L’art. 3 Cost. sarebbe leso anche sul versante della uguaglianza
formale, per la ingiustificata disparità che le disposizioni censurate
determinerebbero, non soltanto all’interno della stessa categoria dei non
abbienti, a seconda che essi siano o meno parte di una controversia
transfrontaliera, ma anche tra difensori, i quali, pur avendo effettuato
prestazioni identiche nel corso del procedimento di mediazione, avrebbero
diritto al compenso a carico dello Stato solo in caso mancato raggiungimento
dell’accordo.
A tale ultimo rilievo è, infine, connesso il lamentato contrasto con
l’art. 36, primo comma, Cost., che sarebbe violato in quanto i difensori
presterebbero «attività lavorativa obbligatoria gratuitamente».
4.– È intervenuto in entrambi i giudizi il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
eccependo l’inammissibilità delle questioni per inadeguato esperimento del
tentativo di interpretazione costituzionalmente conforme.
Nel giudizio che trae origine dall’ordinanza di rimessione del
Tribunale di Palermo, inoltre, la difesa dello Stato ha dedotto la non
fondatezza della censura formulata in riferimento all’art. 36, primo comma,
Cost.
5.– Le questioni sollevate con le due ordinanze di rimessione sono
basate su argomenti in larga parte sovrapponibili e sono comunque connesse, per
la parziale coincidenza delle norme denunciate e dei parametri evocati.
I relativi giudizi vanno, pertanto, riuniti per essere decisi con
un’unica pronuncia.
6.– Preliminarmente, va rilevato che il giorno stesso della
deliberazione della presente sentenza è stata definitivamente approvata la
legge 26 novembre 2021, n. 206 (Delega al Governo per l’efficienza del processo
civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione
alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei
procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in
materia di esecuzione forzata), con la quale viene conferita al Governo una
delega legislativa per quanto qui interessa recante, tra i principi e criteri
direttivi, quello dell’estensione del patrocinio a spese dello Stato alle
procedure di mediazione e di negoziazione assistita (art. 1, comma 4, lettera
a).
Tale previsione non spiega, però, effetti negli odierni incidenti, dal
momento che la sua entrata in vigore non vale a escludere l’applicazione delle
disposizioni censurate.
7.– Ancora in via preliminare, deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità
sollevata dall’Avvocatura generale sulla scorta dell’asserita carenza di
un’adeguata motivazione in ordine all’impossibilità di interpretare le norme
denunciate secundum Constitutionem.
I rimettenti, infatti, hanno escluso la praticabilità di
un’interpretazione adeguatrice alla luce del dato letterale e per ragioni
sistematiche, non mancando di confrontarsi con la posizione della
giurisprudenza di legittimità.
Da tanto consegue il rigetto dell’eccezione in esame, giacché attiene
al merito, e non all’ammissibilità delle questioni, la condivisione o meno del
presupposto interpretativo delle norme censurate (ex plurimis, sentenze n. 150
del 2021 e n. 230 del 2020).
8.– Presupposto esegetico che, venendo appunto al merito, questa Corte
ritiene condivisibile.
Esso è, infatti, innanzitutto coerente con il tenore testuale delle
disposizioni denunciate.
L’art. 74, comma 2, t.u. spese di giustizia, invero, assicura ai non
abbienti il beneficio in discussione facendo esclusivo riferimento al «processo».
Nella medesima direzione, l’art. 75, comma 1, del citato testo unico delimita
poi l’ambito di validità dell’ammissione al patrocinio a ogni grado e fase «del
processo e per tutte le eventuali procedure, derivate ed accidentali, comunque
connesse» al processo stesso, di cui, pertanto, presuppone l’introduzione. Il
successivo art. 83, comma 2, infine, nel suo primo periodo attribuisce la
competenza a provvedere in ordine alla liquidazione del compenso all’autorità
giudiziaria «che ha proceduto», in tal modo ribadendo, senza possibilità di
equivoco, l’esigenza dell’instaurazione di un giudizio di cui l’autorità
giudiziaria sia stata, per l’appunto, investita.
Il patrocinio a spese dello Stato è stato quindi contemplato dalle
norme censurate in chiave eminentemente processuale: ciò che trova ulteriore
conferma nella circostanza che lo stesso legislatore, con la legge delega
innanzi citata, ha avvertito l’esigenza di introdurre specifiche disposizioni
volte espressamente a estenderlo, a prescindere dal loro esito, anche alle
procedure di mediazione.
Va peraltro precisato che la sentenza richiamata dall’Avvocatura
generale a sostegno della possibilità di un’interpretazione conforme (Corte di
cassazione, sezioni unite civili, sentenza 19 aprile 2013, n. 9529), in realtà,
non ha riguardato segnatamente le norme oggetto dell’odierno scrutinio e che
invece l’assunto dei rimettenti si pone in linea con l’orientamento
recentemente espresso dai giudici di legittimità con specifico riferimento al
tema che viene qui considerato. Nella sentenza 31 agosto 2020, n. 18123,
infatti, la seconda sezione civile della Corte di cassazione ha affermato che
l’art. 74 t.u. spese di giustizia «postula l’intervenuto avvio della lite
giudiziale», poiché «limita l’operatività del patrocinio a spese dello Stato
all’ambito del procedimento […] civile»; ha poi espressamente precisato che
siffatto limite non può essere superato in via interpretativa, pena lo
sconfinare «nella produzione normativa», e ha quindi concluso che correttamente
il giudice di merito aveva «ritenuto non liquidabile compenso al difensore per
la fase della mediazione, cui non e` seguita la proposizione della lite».
8.1.– È dunque alla stregua del presupposto ermeneutico da cui muovono
i giudici a quibus che le questioni sollevate dai rimettenti devono essere
vagliate, innanzitutto considerando, quanto al tessuto normativo sul quale esse
si innestano, che la mediazione civile obbligatoria è stata introdotta
dall’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010 con un evidente intento
deflattivo del contenzioso (sentenza n. 97 del 2019) ed è strutturata quale
condizione di procedibilità delle domande giudiziali.
La parte che intende esercitare in giudizio un’azione relativa alle
controversie nelle materie ivi specificamente individuate è, infatti,
«tenut[a], assistit[a] dall’avvocato, preliminarmente a esperire il
procedimento di mediazione», al fine di tentarne la composizione
stragiudiziale.
Si è al cospetto, pertanto, di un procedimento contraddistinto
dall’obbligatorietà, che deve essere espletato, pena l’improcedibilità della
domanda, prima dell’instaurazione di una lite giudiziaria. Esso, di
conseguenza, condiziona, in determinate materie, l’esercizio del diritto di
azione.
È, in definitiva, sull’esclusione del patrocinio a carico dello Stato
in ordine a tale procedimento, qualora questo si concluda con esito positivo,
precludendo quindi l’introduzione del processo, che si sviluppano le questioni
di costituzionalità sollevate dai rimettenti sugli artt. 74, comma 2, 75, comma
1, e 83, comma 2, t.u. spese di giustizia.
9.– Esse sono fondate in riferimento agli artt. 3, primo e secondo
comma, in relazione, rispettivamente, al principio di ragionevolezza e a quello
di eguaglianza sostanziale, e 24, terzo comma, Cost.
9.1.– Quanto al canone della ragionevolezza, va evidenziato che il
nesso di strumentalità necessaria con il processo e la riconducibilità della
mediazione alle forme di giurisdizione condizionata aventi finalità deflattive
costituiscono elementi che rendono del tutto distonica e priva di alcuna
ragionevole giustificazione l’esclusione del patrocinio a spese dello Stato
quando la medesima mediazione si sia conclusa con successo e non sia stata in
concreto seguita dalla proposizione giudiziale della domanda.
In tal modo, infatti, il suddetto patrocinio risulta
contraddittoriamente escluso proprio nei casi in cui il procedimento de quo ha
raggiunto – in ipotesi anche grazie all’impegno dei difensori – lo scopo
deflattivo prefissato dal legislatore.
Pertanto, la circostanza che, in virtù del suo esito positivo, alla
mediazione obbligatoria non abbia fatto seguito l’instaurazione del giudizio,
lungi dal costituire un coerente fondamento della denunciata preclusione, al
contrario concorre a disvelarne la palese irrazionalità, peraltro traducendosi
anche in una sorta di disincentivo verso quella cultura della mediazione che il
legislatore stesso si è fatto carico di promuovere.
Nel descritto contesto, infatti, non implausibilmente i rimettenti
rilevano che proprio per effetto dell’esclusione censurata i non abbienti e i
loro difensori potrebbero essere indotti a non raggiungere l’accordo e ad adire
quindi comunque il giudice, all’unico scopo di ottenere, una volta introdotto
il processo, le relative spese difensive.
Tale evenienza porterebbe nocumento non solo alla funzione della
mediazione, vanificandone le finalità deflattive, ma anche a quella della
giurisdizione che, a dispetto della sua natura sussidiaria rispetto alla
mediazione stessa, finirebbe per essere strumentalizzata per obiettivi diversi
dallo ius dicere, ciò che determinerebbe ulteriori irragionevoli ricadute di
sistema per il sicuro aumento degli oneri a carico dello Stato, chiamato a
sostenere anche i costi dello svolgimento del giudizio.
Gli argomenti che precedono rivelano quindi la manifesta
irragionevolezza delle disposizioni censurate, peraltro ben precedenti
l’introduzione, nell’ordinamento, della disciplina della mediazione
obbligatoria e mai coordinate con essa.
9.2.– Parimenti fondate sono le questioni sollevate in riferimento agli
artt. 3, secondo comma, e 24, terzo comma, Cost.
Quest’ultima disposizione, infatti, prevedendo che «[s]ono assicurati
ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti
ad ogni giurisdizione», mira a garantire a coloro che non sono in grado di
sopportare il costo di un processo «l’effettività del diritto ad agire e a
difendersi in giudizio, che il secondo comma del medesimo art. 24 Cost.
espressamente qualifica come diritto inviolabile (sentenze n. 80 del 2020, n.
178 del 2017, n. 101 del 2012 e n. 139 del 2010; ordinanza n. 458 del 2002)»
(da ultimo, sentenza n. 157 del 2021).
In questi termini, tali diritti, che rientrano tra i diritti civili,
inviolabili e caratterizzanti lo Stato di diritto, richiamano il compito
assegnato alla Repubblica dall’art. 3, secondo comma, Cost. affinché siano
predisposti i mezzi necessari per garantire ai non abbienti le giuste chances
di successo nelle liti, rimediando a un problema di asimmetrie – derivante
dagli ostacoli di ordine economico che impediscono «di fatto» di compensare il
difensore – che non può trovare soluzione nell’ambito dell’eguaglianza solo
formale.
In questa prospettiva va precisato che la questione, sottolineata da
questa Corte, della individuazione di un «punto di equilibrio tra garanzia del
diritto di difesa per i non abbienti e necessità di contenimento della spesa
pubblica in materia di giustizia» (sentenza n. 16 del 2018) rileva quando si
tratti di giustificare modulazioni che si concretizzano, ad esempio, in filtri
o controlli, come quelli previsti per i processi diversi da quello penale, nei
quali il riconoscimento del beneficio in discorso presuppone che le ragioni di
chi agisce o resiste in giudizio risultino non manifestamente infondate
(sentenza n. 47 del 2020).
Ben diversi si presentano, invece, i termini della questione quando una
determinata scelta legislativa giunge sino a impedire a chi versa in una
condizione di non abbienza «l’effettività dell’accesso alla giustizia, con
conseguente sacrificio del nucleo intangibile del diritto alla tutela
giurisdizionale» (sentenza n. 157 del 2021).
In tal caso, infatti, sono nitidamente in gioco il «pieno sviluppo
della persona umana» (art. 3, secondo comma, Cost.) e l’intero impianto
dell’inviolabile diritto al processo di cui ai primi due commi dell’art. 24
Cost.: è quindi «naturalmente ridotto» il margine di discrezionalità del
legislatore – pur, di per sé, particolarmente ampio nella conformazione degli
istituti processuali (ex plurimis, sentenza n. 102 del 2021) – poiché si tratta
comunque «di spese costituzionalmente necessarie», anch’esse inerenti, in senso
lato, «all’erogazione di prestazioni sociali incomprimibili (ex plurimis,
sentenze n. 62 del 2020, n. 275 e n. 10 del 2016)» (sentenza n. 152 del 2020).
In siffatte ipotesi l’argomento dell’equilibrio di bilancio recede di
fronte alla possibilità, per il legislatore, di intervenire, se del caso, a
ridurre quelle spese che non rivestono il medesimo carattere di priorità: è
anche in tal senso che questa Corte ha affermato che «è la garanzia dei diritti
incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a
condizionarne la doverosa erogazione» (sentenza n. 169 del 2017; in precedenza,
sentenza n. 275 del 2016).
9.2.1.– I principi appena enunciati rilevano nelle odierne questioni,
poiché, data l’espressa previsione dell’assistenza dell’avvocato in sede di
mediazione obbligatoria (art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010), è
evidente che privare i non abbienti del patrocinio a spese dello Stato
significa destinarli di fatto, precludendo loro la possibilità della difesa
tecnica, a subire l’asimmetria rispetto alla controparte abbiente in relazione
a un procedimento che, come si è chiarito, in determinate materie è
direttamente imposto dalla legge e rientra nell’esercizio della funzione
giudiziaria giacché condiziona l’esercizio del diritto di azione.
Il non abbiente è, peraltro, addirittura esposto al grave rischio di
improcedibilità della sua domanda, qualora l’assistenza tecnica sia ritenuta
non solo possibile ma anche obbligatoria dal giudice, in conformità a quanto
affermato, con riferimento alla mediazione di cui si discute, dalla Corte di
cassazione (Corte di cassazione, sezione terza civile, sentenza 27 marzo 2019,
n. 8473) – sia pure nell’esaminare funditus solo lo specifico tema della
necessaria presenza personale della parte dinanzi al mediatore – e nella
circolare del Ministero della giustizia 27 novembre 2013 (Entrata in vigore
dell’art. 84 del d.l. 69/2013 come convertito dalla l. 98/2013 recante
disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia, che modifica il d.lgs.
28/2010. Primi chiarimenti).
Non è poi marginale aggiungere che la mediazione presuppone, in ogni
caso, sin dalla sua attivazione il possesso di specifiche cognizioni tecniche
di cui la parte non abbiente potrebbe essere priva: la relativa istanza
richiede, infatti, l’individuazione sia del giudice territorialmente competente
a conoscere della controversia, dovendo essere depositata presso un organismo
che ha appunto sede nel luogo di tale giudice, sia delle parti, nonché
dell’oggetto e delle ragioni della pretesa (art. 4, commi 1 e 2, del d.lgs. n.
28 del 2010).
L’assenza di difesa tecnica nel procedimento di mediazione può, infine,
riflettersi anche sotto ulteriori punti di vista sull’esito del successivo
processo, ove si consideri che in caso di rifiuto della proposta conciliativa,
se la successiva decisione giudiziale dovesse corrispondere al contenuto della
proposta medesima, il giudice potrà escludere la ripetizione delle spese della
parte vincitrice che ha opposto il rifiuto e condannarla al pagamento delle
spese processuali della controparte, oltre che al versamento di una somma
corrispondente all’importo del contributo unificato (art. 13, comma 1, del d.lgs.
n. 28 del 2010).
È in definitiva evidente il radicale vulnus arrecato dalle norme
censurate al diritto di difendersi dei non abbienti in un procedimento che, per
un verso, è imposto ex lege in specifiche materie e che, per l’altro, è
strumentale al giudizio al punto da condizionare l’esercizio del diritto di
azione e il relativo esito.
10.– Va, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale degli
artt. 74, comma 2, e 75, comma 1, t.u. spese di giustizia, nella parte in cui
non prevedono che il patrocinio a spese dello Stato sia applicabile anche
all’attività difensiva svolta nell’ambito dei procedimenti di mediazione di cui
all’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010, quando nel corso degli
stessi è stato raggiunto un accordo, nonché del successivo art. 83, comma 2,
del medesimo testo unico sulle spese di giustizia, nella parte in cui non
prevede che, in tali ipotesi, alla liquidazione in favore del difensore
provveda l’autorità giudiziaria che sarebbe stata competente a decidere la
controversia.
11.– Rimane ferma, ovviamente, la facoltà del legislatore di valutare,
nella sua discrezionalità, eventualmente anche in sede di attuazione della
legge delega prima richiamata, l’opportunità di introdurre, nel rispetto dei
suddetti principi costituzionali, una più compiuta e specifica disciplina della
fattispecie oggetto dell’odierno scrutinio.
12.– Restano assorbite le ulteriori censure prospettate dai rimettenti.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 74, comma 2, e 75,
comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115,
recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia
di spese di giustizia. (Testo A)», nella parte in cui non prevedono che il
patrocinio a spese dello Stato sia applicabile anche all’attività difensiva
svolta nell’ambito dei procedimenti di mediazione di cui all’art. 5, comma
1-bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (Attuazione dell’articolo 60
della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla
conciliazione delle controversie civili e commerciali), quando nel corso degli
stessi è stato raggiunto un accordo, nonché dell’art. 83, comma 2, del medesimo
d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui non prevede che, in tali
fattispecie, alla liquidazione in favore del difensore provveda l’autorità
giudiziaria che sarebbe stata competente a decidere la controversia.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo
della Consulta, il 25 novembre 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Luca ANTONINI, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 20 gennaio 2022.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.