=> Trib. Como, sez di Cantù, 2 febbraio 2012
L’accordo di mediazione con cui si attribuisce un diritto reale è trascrivibile, non certo ai sensi dell’art. 2651 c.c. bensì ai sensi dell’art 2643 n. 13 c.c. in relazione all’art. 11 del d.lgs n. 28/2010, perché in esso non vi è altro che una transazione; anche la domanda di usucapione, pertanto, pare debba essere assoggettata a mediazione: l’accordo di mediazione avrà ad oggetto il diritto reale, ma non il fatto attributivo di esso (ossia l’avvenuta usucapione) e la parte che si vedrà trasferito il bene lo acquisterà a titolo derivativo in quanto lo strumento utilizzato per la traslazione è il verbale di mediazione e non a titolo originario come invece nel caso di accertata usucapione mediante sentenza. Del resto, occorre prendere atto della scelta adottata dal legislatore nell’art. 11 del citato decreto e interpretarla in modo da favorire l’applicazione del procedimento di mediazione in funzione deflattiva del contenzioso giudiziario (1).
Quando all’interno del processo pendente con domanda principale non assoggettata a mediazione venga proposta una domanda riconvenzionale inerente a materie per cui si debba disporre il rinvio in mediazione risulta necessario assoggettare a mediazione la domanda riconvenzionale: l’esclusione della mediazione per la domanda riconvenzionale determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento fra l’attore – il quale solo sarebbe tenuto a proporre la mediazione sulla sua domanda e a differire la sua tutela giurisdizionale – e il convenuto – sul quale non graverebbe alcun onere preventivo, con attribuzione di un privilegio contrastante con il principio di eguaglianza ex art. 3 Cost. (2)
Nella fattispecie in cui la necessità del rinvio in mediazione concerne la sola riconvenzionale, la trattazione congiunta delle domande dell’attore e del convenuto ritarda e rende più gravoso il processo. Si ritiene pertanto necessario, ai sensi dell’art. 103 co. 2 c.p.c., separare la domanda riconvenzionale dalla domanda principale. La separazione, creando lo sdoppiamento della causa può pregiudicare sia il ruolo, già gravoso, dell’Ufficio sia l’interesse delle parti che dovranno sopportare il peso e il costo di due cause. Prima della separazione sarebbe pertanto opportuno acquisire l’eventuale consenso delle parti per portare davanti ai mediatori non solo la domanda riconvenzionale ma anche la domanda principale, attesa l’intimo collegamento tra le due domande dell’attore e del convenuto. In tal modo, potrebbe evitarsi la separazione del processo, rinviando entrambe le domande cumulate a nuova data e rimettendo la causa riconvenzionale davanti ai mediatori, a titolo di mediazione facoltativa sollecitata dal giudice.
Nel caso in cui la necessità del rinvio in mediazione concerne la sola riconvenzionale, prima dell’eventuale consenso delle parti per portare davanti ai mediatori non solo la domanda riconvenzionale ma anche la domanda principale, evitando così la separazione del processo, è necessario verificare la regolare instaurazione del contraddittorio (altrimenti si impedirebbe alle parti ancora non presenti in giudizio di evidenziare le ragioni per cui non andrebbe effettuata la mediazione obbligatoria ovvero di non dare il consenso sulla mediazione delegata e potrebbe comportare, in caso di presentazione davanti al mediatore del chiamato in mediazione, la sopportazione di costi ad opera di quest’ultimo soggetto ancora non costituito in giudizio e la necessità per lo stesso chiamato, in caso di sua contumacia nel procedimento di mediazione, di dover motivare il giustificato motivo della sua assenza qualora decidesse di costituirsi poi in giudizio e ciò al fine di evitare le conseguenze negative previste all’art. 8, comma 5, d.lgs. 28/10) (3).
(3) Riguardo alla necessità di interpretare ed applicare la normativa processuale in armonia con il principio di cui all’art. 11 Cost. sulla ragionevole durata del processo, ma a patto che siano rispettati il principio del contraddittorio e il diritto di difesa, si veda Cass. civ SU n. 26373 del 2008 e Cass. civ. n. 4342 del 2010.
Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 74/2012
Tribunale di Como
Sezione distaccata di Cantù
2 febbraio 2012
Ordinanza
…Omissis…
L’attore ha domandato l’accertamento dell’illegittimità dell’uso a parcheggio della corte comune.
L’atto di citazione risulta notificato prima dell’entrata in vigore del D. Lgs n. 28/2010. I convenuti hanno proposto in via riconvenzionale l’accertamento dell’usucapione della corte comune nelle parti destinate a parcheggio, chiedendo inoltre di essere autorizzati alla chiamata in giudizio di un terzo, quale comproprietario della corte. Gli attori hanno chiesto inoltre l’integrazione del contraddittorio nei confronti di altri terzi comproprietari del bene, in qualità di litisconsorzi necessari.
La domanda riconvenzionale di usucapione è stata proposta dopo l’entrata in vigore del D. Lgs. N 28/2010 e dunque nella vigenza della mediazione ed obbligatoria per le controversie identificate dal legislatore nell’art. 5 c. 1 del citato decreto. Seppur sia da escludere che l’usucapione costituisca un diritto reale, essendo invece un modo di acquisto della proprietà a titolo originario mediante il possesso continuato nel tempo, tuttavia la domanda di usucapione rientra senza dubbio nell’ambito della mediazione obbligatoria, costituendo una domanda relativa a «controversie in materia di diritti reali» assoggettate al tentativo obbligatorio di mediazione di cui all’art. 5 D.L.vo n 28/10.
Ciò posto, le principali questioni che si pongono sono le seguenti: 1) la compatibilità o meno tra l’istituto della mediazione e l’usucapione; 2) il rapporto tra mediazione e cumulo di domande
La prima questione è stata già risolta in modo contrastante dalla recente giurisprudenza di merito.
Mentre il Tribunale di Roma (Sez. V, decreto 6 – 22.7.2011), seguito da Tribunale di Varese (ordinanza 20.12.2011) ha affermato che il negozio di accertamento, a seguito di mediaconciliazione, non può essere trascritto in quanto non è riconducibile a nessuna delle ipotesi previste all’art. 2643 c.c.. Dall’altro, di opinione del tutto opposta, il Tribunale di Palermo (Sez. Bagheria, ordinanza 30.12.2011) ha ritenuto che il verbale di mediazione, al pari della sentenza, è pienamente trascrivibile.
Tale impostazione appare condivisibile.
L’art. 11, co. 3, del d.lgs. n. 28 del 2010 dispone: «Se con l’accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti previsti dall’articolo 2643 del codice civile, per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo verbale deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato».
Tale disposizione costituisce un’applicazione dell’art. 2657 c.c. secondo cui la trascrizione non si può eseguire se non in forza di sentenza, di atto pubblico o di scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente.
Le ragioni principali che ostacolerebbero la trascrivibilità dell’accordo di mediazione sono rappresentate dal fatto che:
1) detto accordo conciliativo, avendo il valore di mero negozio di accertamento, con efficacia dichiarativa, finalizzato a rimuovere l’incertezza, mediante la issazione del contenuto della situazione giuridica preesistente, non si risolve in uno dei contratti i cui all’art. 2643 c.c., «perché non realizza un effetto modificativo, estintivo o costitutivo»;
2) la legge non ha previsto la trascrivibilità dell’accordo ai sensi dell’art. 2657 c.c., e nemmeno è titolo trascrivibile neanche ai sensi dell’art. 2651 c.c., che prevede la trascrizione delle sentenze che accertino l’avvenuta usucapione del diritto di proprietà o di altro diritto reale.
I dubbi espressi appaiono superabili.
In primo luogo, si osserva che, mentre in giurisprudenza è unanime l’opinione che il negozio di accertamento sia ammissibile ed abbia una funzione distinta dai negozi di disposizione patrimoniale, la dottrina ha manifestato dubbi con riguardo al negozio giuridico di accertamento di fatti o rapporti, in quanto la funzione dichiarativa è in contraddizione con la tradizionale concezione del negozio come atto costitutivo, traslativo, modificativo o estintivo di diritti. In particolare, una parte della dottrina individua una duplice natura del negozio di accertamento che, accanto alla funzione dichiarativa, svolgerebbe una funzione risolutiva della lite, come ad esempio la transazione o la rinunzia o il riconoscimento, figure tipiche di accertamento privato di contenuto negoziale con funzione di eliminazione della lite. Altra parte della dottrina assume voce l’assoluta incompatibilità tra l’idea di accertamento e l’idea di negozio, escludendo che la transazione possa avere una funzione di mero accertamento. Si afferma che quando il sistema attribuisce alle parti il potere di regolamentare i propri interessi, ad essi non è dato il potere di accertare un fatto o un effetto (così come, al contrario, vi è nella sentenza), ma quello di disporre del diritto.
Orbene pur nel rispetto delle contrapposte tesi dottrinarie e giurisprudenziali sommariamente indicate, ai fini dell’individuazione della natura e rilevanza dell’accordo di mediazione, non pare
che tale istituto possa qualificarsi esclusivamente quale mero negozio dichiarativo (così come una sentenza di accertamento che attribuisca la proprietà del bene all’attore per avvenuta usucapione).
Infatti, l’accordo di mediazione – che potrà assumere le forme più varie per risolvere la lite (come ad esempio attraverso la rinunzia al diritto di proprietà ovvero la rinuncia alla domanda di usucapione a fronte del pagamento di una somma di denaro), senza coincidere con il contenuto della pronuncia giudiziaria richiesta da parte attrice – è espressione del potere negoziale delle parti ex art 1321 c.c. in quanto attraverso di esso viene regolamentata la situazione giuridica sostanziale.
E ciò è ammesso dall’ordinamento in virtù della meritevolezza della sua causa giuridica, che caratterizza il contratto di transazione.
L’accordo di mediazione avrà ad oggetto il diritto reale, ma non il fatto attributivo di esso, ossia l’avvenuta usucapione. La parte che si vedrà trasferito il bene lo acquisterà a titolo derivativo in quanto lo strumento utilizzato per la traslazione è il verbale di mediazione e non a titolo originario come invece nel caso di accertata usucapione mediante sentenza.
Alla luce di quanto esposto, si può concludere che l’accordo di mediazione con cui si attribuisce
un diritto reale è trascrivibile, non certo ai sensi dell’art. 2651 c.c. bensì ai sensi dell’art 2643 n. 13 c.c. in relazione all’art. 11 del D Lgs n. 28/2010, perché in esso non vi è altro che una transazione.
Del resto, occorre prendere atto della scelta adottata dal legislatore nell’art. 11 del citato decreto e interpretarla in modo da favorire l’applicazione del procedimento di mediazione in funzione deflattiva del contenzioso giudiziario.
Alla luce di quanto sopra, anche la domanda di usucapione pare debba essere assoggettata a mediazione.
La seconda questione consiste nel verificare cosa accada quando – all’interno di un processo pendente con domanda principale non assoggettata a mediazione – venga proposta una domanda riconvenzionale inerente a materie (come quella dei diritti reali nel cui ambito è sussumibile la domanda di usucapione) per cui si debba disporre il rinvio in mediazione.
In tal caso, occorre verificare se la mediazione debba investire, oltre che la domanda riconvenzionale, anche tutto il processo, ivi compresa la domanda principale non assoggettabile a mediazione.
Al riguardo, gli interpreti hanno enucleato due opzioni interpretative: l’una estensiva e l’altra restrittiva.
La prima coerente con il dato normativo. L’art. 5, co 1, del decreto citato – dopo aver stabilito che “chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa ad una controversia in materia di… è tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione” – prevede che “l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale”.
L’interpretazione letterale dell’art. 5 del d. lgs. N. 28/2010 non consente di distinguere tra domande principali e domande proposte successivamente. Manca quindi un’espressa disciplina di tali ipotesi. Infatti, l’onere del preventivo tentativo di mediazione è previsto con riguardo ad ogni singola domanda da far valere in giudizio e quindi indipendentemente dalla posizione processuale (di attore o convenuto). Non è risolutivo nemmeno l’art. 4 co 1 d lgs cit. che si limita a disporre: «in caso di più domande relative alla stessa controversia, la mediazione si svolge davanti all’organismo presso il quale è stata presentata la prima domanda». Come si nota, tale disposizione non disciplina l’ipotesi del cumulo processuale delle domande ma soltanto la competenza sulla mediazione.
Da tale impostazione consegue che, in caso di domanda riconvenzionale rientrante nelle materie assoggettate a mediazione, vi è l’obbligo di fissare nuova udienza dopo la scadenza del termine di cui all’art. 6 d. lg. Cit per consentire alle parti di sperimentare il tentativo di mediazione omesso.
La dottrina ha invece criticato tale conclusione, preferendo un’interpretazione più restrittiva che escluda l’assoggettamento a mediazione per ogni domanda giudiziale proposta in corso di causa.
Secondo tale impostazione, il principio della ragionevole durata del processo e il divieto di abuso del processo impongono che la mediazione sia esperita soltanto prima della domanda principale e non anche di quella riconvenzionale, onde evitare l’allungamento dei tempi processuali e il prevedibile aumento delle spese conseguente alla reiterazione dei procedimenti di mediazione.
L’approccio restrittivo non convince, parendo superabili le ragioni che lo sorreggono.
Anzitutto, a fronte della dilatazione dei tempi processuali, è ben possibile la separazione della domanda principale da quella riconvenzionale ai sensi dell’art 103 co 2 cpc.
Inoltre, l’esclusione della mediazione per la domanda riconvenzionale determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento fra l’attore – il quale solo sarebbe tenuto a proporre la mediazione sulla sua domanda e a differire la sua tutela giurisdizionale – e il convenuto – sul quale non graverebbe alcun onere preventivo, con attribuzione di un privilegio contrastante con il principio di eguaglianza ex art. 3 Cost.
Alla luce di quanto sopra si ritiene condivisibile il primo orientamento con la conseguente necessità di assoggettare a mediazione anche la domanda riconvenzionale per la quale non risulta sperimentato il tentativo di mediazione omesso.
Tuttavia, nella fattispecie in esame – ove la necessità del rinvio in mediazione concerne appunto la sola riconvenzionale – ben si comprende come la trattazione congiunta delle domande dell’attore e del convenuto ritardi e renda più gravoso il processo.
Si ritiene pertanto necessario, ai sensi dell’art. 103 co. 2 c.p.c. , separare la domanda
riconvenzionale dalla domanda principale.
Non va sottaciuto però che la separazione, creando lo sdoppiamento della causa può pregiudicare sia il ruolo, già gravoso, dell’Ufficio sia l’interesse delle parti che dovranno sopportare il peso e il costo di due cause.
Prima della separazione, sarebbe opportuno acquisire l’eventuale consenso delle parti per portare davanti ai mediatori non solo la domanda riconvenzionale ma anche la domanda principale, attesa l’intimo collegamento tra le due domande dell’attore e del convenuto. In tal modo, potrebbe evitarsi la separazione del processo, rinviando entrambe le domande cumulate a nuova data e rimettendo la causa riconvenzionale davanti ai mediatori, a titolo di mediazione facoltativa sollecitata dal giudice.
Ancor prima dell’eventuale acquisizione del consenso delle parti su quanto indicato, è necessario rinviare la causa per verificare la regolarità della notificazione nei confronti del terzo ---- nonché per integrare il contraddittorio con i terzi comproprietari del bene oggetto della domanda di usucapione.
Infatti, il rinvio dell’udienza per acquisire il consenso delle parti al rinvio in mediazione di tutta la causa, contestualmente all’imposizione degli adempimenti per la verifica della regolare instaurazione del contraddittorio, sarebbe una soluzione attuativa del principio costituzionale della ragionevole durata del processo; ma si impedirebbe alle parti ancora non presenti in giudizio di evidenziare le ragioni per cui non andrebbe effettuata la mediazione obbligatoria ovvero di non dare il consenso sulla mediazione delegata e potrebbe comportare, in caso di presentazione davanti al mediatore del chiamato in mediazione, la sopportazione di costi ad opera di quest’ultimo soggetto ancora non costituito in giudizio e la necessità per lo stessi chiamato, in caso di sua contumacia nel procedimento di mediazione, di dover motivare il giustificato motivo della sua assenza qualora decidesse di costituirsi poi in giudizio e ciò al fine di evitare le conseguenze negative previste all’art. 8, comma 5, d.lgs. 28/10.
Al riguardo, la Corte di Cassazione ha evidenziato che l’ordinamento vigente impone la necessità di interpretare ed applicare la normativa processuale in armonia con il principio di cui all’art. 11 Cost. sulla ragionevole durata del processo, ma a patto che siano rispettati il principio del contraddittorio e il diritto di difesa (v. Cass. Civ Sez. unite n. 26373/2008; Cass, Sez. III n.
4342/2010).
P.Q.M.
dispone l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i litisconsorti necessari, comproprietari della corte, a cura della parte più diligente mediante notifica dell’atto di chiamata in giudizio entro 60 gg dalla comunicazione della presente ordinanza, nel rispetto dei termini liberi a comparire ex art. 163 bis cpc;
fissa l’udienza ex art 183 cpc al 15.10.2012 ore 9:00, anche al fine di verificare la regolarità della notificazione nei confronti del terzo chiamato Br. E di acquisire, preliminarmente alla separazione della domanda principale dalla domanda riconvenzionale assoggettata a mediazione, il consenso delle parti nei sensi di cui in motivazione.
Si comunichi
Cantù, il 2 febbraio 2012
IL GIUDICE
Dott. Marco Mancini
AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.