Numerose sono le relazioni
esposte nel corso della Cerimonia d’Inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2013
che hanno affrontato il tema della mediazione civile.
Tra queste assume assoluta
rilevanza la Relazione del
primo presidente della Suprema Corte di Cassazione Ernesto Lupo e, in
particolare, il paragrafo 4 del capitolo III della Relazione.
La Relazione in parola
affronta preliminarmente il tema del rapporto
tra strumenti di risoluzione delle
controversie alternativi alla giurisdizione e finalità deflattive del
contenzioso, osservando i mezzi
di ADR pur non potendo essere considerati
direttamente come strumenti generali di deflazione del contenzioso, “possono
certamente fornire un contributo alla riduzione dell'accesso alle corti o
quanto meno alla riduzione del numero delle decisioni giudiziarie”.
Con
particolare riferimento all’istituto introdotto dal d.lgs. n. 28 del 2010 (1),
poi, la Relazione fornisce interessanti spunti
di riflessione, utili – si ritiene – anche (e soprattutto) nell’ottica dei futuri sviluppi della mediazione civile nel
nostro Paese.
Gli auspici degli anni
precedenti
Nelle
precedenti relazioni sull'amministrazione della giustizia:
- era stata espressa qualche riserva in ordine alla
disciplina dettata dal richiamato decreto legislativo con riguardo, in
particolare, alla genericità dell’indicazione
delle categorie di controversie assoggettate all'obbligo di mediazione;
- si era formulato un giudizio complessivamente positivo in
ordine all'istituto in esame, “evidenziandosi l'idoneità dello stesso a favorire una riduzione della durata dei
processi civili attraverso la rimozione della principale causa di tale fenomeno,
comunemente individuata nell'incapacità del nostro sistema giudiziario di far fronte
ad una domanda di giustizia in costante crescita”.
La situazione attuale
La
Relazione osserva, precisando che – “la brevità
del periodo in cui la normativa ha avuto applicazione nel suo testo originario
non ha consentito di verificare appieno la fondatezza di tali auspici” (2)
– sulla base dei dati statistici del Ministero (3) possono trarsi le seguenti
conclusioni:
- il procedimento di
mediazione “ha avuto ampia applicazione”
sia nelle controversie in cui “il
raggiungimento di un accordo tra le parti è agevolato dalla natura personale
dei rapporti intercorrenti tra le parti e dal carattere non seriale
degli interessi coinvolti” (come quelle in materia di diritti reali,
locazione, divisione, successioni ereditarie), sia in quelle che “investono
prevalentemente rapporti di massa”
(controversie in materia di contratti bancari e assicurativi);
- va confermata l'efficacia deflativa dell'istituto in esame anche in
quanto “là dove le parti vi hanno fatto ricorso, esso si è rivelato realmente capace di favorire una soluzione conciliativa
della controversia”;
- sul livello di adesione delle parti alla procedura (in
costante incremento dall'entrata in vigore del decreto legislativo fino al
momento in cui l'obbligo della mediazione è divenuto applicabile anche alle
controversie in materia di risarcimento dei danni derivanti da circolazione dei
veicoli e natanti) ha “pesano in misura determinante l’atteggiamento di sfiducia, se non addirittura di preconcetta
opposizione, manifestato dalle compagnie di assicurazione, le quali si sono
astenute sistematicamente dal comparire dinanzi ai mediatori”;
- mediazione facoltativa: nel 16% dei casi le parti hanno scelto di
percorrere la strada della mediazione senza esservi costrette da alcuna
disposizione di legge.
Le Prospettive future
Il
Primo Presidente, sulla base di tali considerazione, illustra con autorevolezza
che esse “dovrebbero indurre a
meditare approfonditamente sulla convenienza di abbandonare al proprio destino
un istituto la cui disciplina, opportunamente rimodulata alla luce della
pronuncia d’illegittimità costituzionale, potrebbe contribuire a fornire una risposta
tempestiva ed efficace alle esigenze di tutela nei rapporti tra privati”.
Al
riguardo si sottolinea che:
1)
si avverte la necessità di
proposte di modificazione della disciplina della mediazione idonee a “vincere le resistenze culturali nei
confronti di modalità innovative di gestione dei conflitti civili” su
cui ha pesato la fine anticipata della legislatura, illustrando a tal riguardo
come ben potrebbe ipotizzarsi “l'imposizione quanto meno iniziale
dell'obbligatorietà del tentativo di conciliazione in alcune materie”,
riferendosi, in particolare, “alla proposta
di rendere obbligatorio non il tentativo di conciliazione, ma solo quello di un
incontro preliminare con il mediatore, al fine di valutare in concreto l’opportunità
di procedere al tentativo, ovvero di porvi termine in quella sede, con costi e
tempi decisamente inferiori”.
2)
nell'attesa che il nuovo
Parlamento prenda in esame proposte volte a favorire il ricorso alla
mediazione, si ribadisce che “il successo d’interventi legislativi volti ad
apprestare e promuovere l'utilizzazione di strumenti alternativi di risoluzione
delle controversie esige un forte
coinvolgimento di tutti i potenziali attori del processo”, facendo in
particolare riferimento alla classe
forense, “chiamata a recuperare «la vocazione alla conciliazione delle
parti in conflitto, che il nostro ordinamento assegna all’avvocato come
fisiologico ruolo funzionale alla piena realizzazione della tutela dei diritti»”
(4);
3)
va sottolineata l’importanza dell’iniziativa del giudice,
la cui facoltà di invitare le parti a
tentare la mediazione “potrebbe contribuire a promuoverne la diffusione,
soprattutto se accompagnata da un adeguato monitoraggio degli esiti di tale
invito” (5);
4)
la praticabilità di tali interventi è testimoniata dai dati statistici
ministeriali:
a.
disponibilità delle parti
ad avvalersi della mediazione al di fuori delle ipotesi espressamente previste
dalla legge (16%);
b.
ampio ricorso dei
contendenti all’assistenza legale;
c.
l’assistenza legale in
mediazione non ha rappresentato un ostacolo al conseguimento dei risultati
positivi dei procedimenti;
d.
vantaggi derivanti dalla mediazione
in termini di risparmio di tempo;
e.
inesistenza di svantaggi in
termini di dilatazione dei tempi processuali (“dal momento che la durata dei
procedimenti non è risultata superiore ai 77 giorni, rispetto ad una durata del
processo di primo grado che si aggira mediamente sui 1.066 giorni”).
Ebbene, un manifesto per la
mediazione che viene dal mondo della Giustizia, anzi da una delle voci più
autorevole di quel mondo. Un mondo che non è estraneo alla mediazione; anzi, al
contrario, un mondo di cui questa fa parte.
(2) Ciò soprattutto con riferimento
alle controversie in materia di condominio e risarcimento del danno da
circolazione di veicoli e natanti, per le quali l'obbligo della mediazione è
entrato in vigore soltanto il 21 marzo 2012.
(4) Mi si permetta di
rimandare al riguardo alle considerazioni espresse in:
Fonte: Osservatorio
Mediazione Civile n. 12/2013
Corte
Suprema di Cassazione
Ernesto
Lupo
RELAZIONE
sull’amministrazione
della giustizia nell’anno 2012
Roma, 25
gennaio 2013
…omissis…
4. Gli strumenti di
risoluzione alternativa delle controversie (ADR).
Gli
strumenti di risoluzione delle controversie alternativi alla giurisdizione
(ADR),
pur
non potendo essere considerati direttamente come strumenti generali di deflazione
del
contenzioso,
ma costituendo più propriamente forme di risposta a domande di giustizia di
particolare
natura, possono certamente fornire un contributo alla riduzione dell'accesso
alle
corti
o quanto meno alla riduzione del numero delle decisioni giudiziarie. Nella
valutazione
di
tali strumenti, la CEPEJ ha individuato tre diverse tipologie di procedimento,
la
mediazione,
la conciliazione e l'arbitrato, non sempre presenti negli ordinamenti di tutti
gli
Stati
e spesso differenziate secondo criteri diversi (ad esempio, il patteggiamento
della pena
è
considerato una forma di mediazione in Francia, ma non in Italia e nei Paesi
Bassi). La previsione di ADR è comunque in continua espansione, anche se
diverse sono le materie
per
le quali esse sono previste e le forme nelle quali si realizzano: in
particolare,
l'ordinamento
italiano esclude dalla mediazione gli affari amministrativi e, al pari di
quello
della
Germania e del Regno Unito, anche gli affari penali(77), mentre
l'ordinamento francese
e
quello spagnolo ammettono la mediazione per tutti gli affari.
Com'è
noto, con sentenza n. 272 del 2012 la Corte costituzionale ha dichiarato
l'illegittimità
costituzionale del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, emanato dal Governo in
attuazione
della delega conferita dall'art. 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, nella
parte in
cui,
nel disciplinare la mediazione finalizzata alla conciliazione delle
controversie civili e
commerciali,
prevedeva, all'art. 5, comma 1, l'obbligatorietà del ricorso a tale strumento
alternativo
di definizione delle controversie, condizionando, in numerose tipologie di
controversie
civili, la procedibilità della domanda giudiziale al preventivo esperimento del
procedimento
di mediazione.
Nelle
precedenti relazioni sull'amministrazione della giustizia, pur esprimendosi
qualche
riserva in ordine alla disciplina specificamente dettata dal decreto
legislativo, in
particolare
con riguardo alla genericità dell'indicazione delle categorie di controversie
assoggettate
all'obbligo di mediazione, si era formulato un giudizio complessivamente
positivo
in ordine all'istituto in esame, evidenziandosi l'idoneità dello stesso a
favorire una
riduzione
della durata dei processi civili attraverso la rimozione della principale causa
di tale
fenomeno,
comunemente individuata nell'incapacità del nostro sistema giudiziario di far
fronte
ad una domanda di giustizia in costante crescita.
La
brevità del periodo in cui la normativa ha avuto applicazione nel suo testo
originario
non ha consentito di verificare appieno la fondatezza di tali auspici,
soprattutto
con
riguardo alle controversie in materia di condominio e risarcimento del danno da
circolazione
di veicoli e natanti, per le quali l'obbligo della mediazione è entrato in
vigore
soltanto
il 20 marzo 2012 (a differenza delle controversie in materia di diritti reali,
divisione,
successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di
aziende,
risarcimento
del danno da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della
stampa
o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari,
per le
quali
ha trovato applicazione dal 21 marzo 2011). Ciò che può dirsi, peraltro, sulla
base dei
dati
statistici forniti dal Ministero della giustizia (DGStat), è che il procedimento
in
questione
ha avuto ampia applicazione non solo nelle controversie, come quelle in materia
di
diritti reali (19,3% dei casi), locazione (12,7% dei casi), divisione (5,6% dei
casi),
successioni
ereditarie (3,3% dei casi), in cui il raggiungimento di un accordo tra le parti
è
agevolato
dalla natura personale dei rapporti intercorrenti tra le parti e dal carattere
non
seriale
degli interessi coinvolti, ma anche nelle controversie che, come quelle in
materia di
contratti
bancari (9,1% dei casi) e assicurativi (8,3% dei casi), investono
prevalentemente
rapporti
di massa.
L'efficacia
deflativa dell'istituto trova poi conferma nella costatazione che, là dove le
parti
vi hanno fatto ricorso, esso si è rivelato realmente capace di favorire una
soluzione
conciliativa
della controversia, avendo condotto ad una definizione concordata nel 46,4% dei
casi in cui entrambe le parti sono comparse(78). Positivo sarebbe
potuto risultare il
giudizio
anche in ordine al livello di adesione delle parti alla procedura, in costante
incremento
(dal 26% al 35,7%) dall'entrata in vigore del decreto legislativo fino al
momento
in
cui l'obbligo della mediazione è divenuto applicabile anche alle controversie
in materia di
risarcimento
dei danni derivanti da circolazione dei veicoli e natanti, se su tale dato non
avesse
pesato in misura determinante l'atteggiamento di sfiducia, se non addirittura
di
preconcetta
opposizione, manifestato dalle compagnie di assicurazione, le quali si sono
astenute
sistematicamente dal comparire dinanzi ai mediatori.
Questi
rilievi, unitamente alla considerazione che nel 16% dei casi le parti hanno
scelto
di percorrere la strada della mediazione senza esservi costrette da alcuna
disposizione
di
legge, dovrebbero indurre a meditare approfonditamente sulla convenienza di
abbandonare
al proprio destino un istituto la cui disciplina, opportunamente rimodulata
alla
luce
della pronuncia d'illegittimità costituzionale, potrebbe contribuire a fornire
una
risposta
tempestiva ed efficace alle esigenze di tutela nei rapporti tra privati.
In
tale prospettiva, pur dovendosi prendere atto che, come ritenuto dal Giudice
delle
leggi, l'obbligatorietà del ricorso alla mediazione, assunta dal legislatore
delegato quale
profilo
caratterizzante nella disciplina dell'istituto, non trovava adeguato riscontro
nei
principi
e criteri direttivi enunciati dalla legge delega, ispirati invece alla
volontarietà
dell'iniziativa
e all'intento di promuoverne la diffusione mediante la previsione di incentivi
di
carattere fiscale, non può non osservarsi che la scelta di favorire
l'utilizzazione di
strumenti
di risoluzione delle controversie alternativi alla giurisdizione risponde ad
esigenze
di
deflazione del contenzioso e di miglioramento dell'accesso alla giustizia fatte
proprie
anche
dagli organi dell'Unione europea. Significativa, al riguardo, è la circostanza
che, nel
rilevare
il difetto di delega, la Corte costituzionale abbia avvertito la necessità di
sottolineare
il
legame dell'art. 60 della legge n. 69 del 2009 e del d.lgs. n. 28 del 2010 con
i seguenti atti
comunitari:
a) la risoluzione del Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999,
avente
ad oggetto la creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia
nell'Unione
europea;
b) la direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio
2008,
nella quale si afferma esplicitamente che la mediazione «può fornire una
risoluzione
extragiudiziale
conveniente e rapida delle controversie in materia civile e commerciale»,
aggiungendosi
che «gli accordi risultanti dalla mediazione hanno maggiori probabilità di
essere
rispettati volontariamente e preservano più facilmente una relazione amichevole
e
sostenibile
tra le parti»; c) la risoluzione del Parlamento europeo del 25 ottobre 2011,
sui
metodi
alternativi di soluzione delle controversie in materia civile, commerciale e
familiare,
nella
quale, pur escludendosi l'imposizione generalizzata di un sistema obbligatorio
di ADR
a
livello di UE, si prevede la possibilità di valutare un meccanismo obbligatorio
per la
presentazione
dei reclami delle parti al fine di esaminare la possibilità di ADR; d) la
risoluzione
del Parlamento europeo del 13 settembre 2011, nella quale, passandosi in
rassegna
le modalità con cui alcuni Stati membri hanno proceduto all'attuazione della
direttiva
sulla mediazione, si osserva che «nel sistema giuridico italiano la mediazione
obbligatoria
sembra raggiungere l'obiettivo di diminuire la congestione nei tribunali».
E'
pur vero che dai predetti atti non si desume alcuna opzione esplicita o
implicita
a favore del carattere obbligatorio della mediazione, in quanto il legislatore
comunitario
si è preoccupato soltanto di disciplinare le modalità secondo le quali il
procedimento
può essere strutturato, senza imporre né consigliare l'adozione del
modello
obbligatorio, ma limitandosi a stabilire che resta impregiudicata la
legislazione
che
rende obbligatorio il ricorso alla mediazione (cfr. art. 5, comma 2, della
direttiva
2008/52/CE).
Peraltro, come ha rilevato lo stesso Giudice delle leggi, la Corte di
giustizia
UE, nella sentenza 18 marzo 2012, in causa C-317/08 ha riconosciuto, sia pure
come
obiter dictum e in riferimento a specifiche fattispecie, quantitativamente
limitate e
con
una struttura peculiare, l'inesistenza di «un'alternativa meno vincolante alla
predisposizione
di una procedura obbligatoria, perché l'introduzione di una procedura
extragiudiziale
meramente facoltativa non costituirebbe uno strumento altrettanto
efficace
per la realizzazione degli obiettivi perseguiti».
La
fine anticipata della legislatura ha impedito l'esame di proposte di
modificazione
della disciplina della mediazione, idonee a vincere le resistenze culturali
nei
confronti di modalità innovative di gestione dei conflitti civili, attraverso
l'imposizione
quanto meno iniziale dell'obbligatorietà del tentativo di conciliazione in
alcune
materie, magari temperata dalla previsione di una procedura meno gravosa nelle
liti
in cui esso ha minori chances di successo: mi riferisco, in particolare, alla
proposta di
rendere
obbligatorio non il tentativo di conciliazione, ma solo quello di un incontro
preliminare
con il mediatore, al fine di valutare in concreto l'opportunità di procedere al
tentativo,
ovvero di porvi termine in quella sede, con costi e tempi decisamente
inferiori.
Nell'attesa
che il nuovo Parlamento prenda in esame proposte simili ed altre
volte
a favorire il ricorso alla mediazione, non può che ribadirsi quanto già
affermato
nelle
relazioni sull'amministrazione della giustizia degli scorsi anni, e cioè che il
successo
d'interventi
legislativi volti ad apprestare e promuovere l'utilizzazione di strumenti
alternativi
di risoluzione delle controversie esige un forte coinvolgimento di tutti i
potenziali
attori del processo, e quindi non solo delle parti, cui si richiede «una salda
fiducia
nella possibilità di trovare un accomodamento dinanzi al mediatore», ma anche
della
classe forense, chiamata a recuperare «la vocazione alla conciliazione delle
parti in
conflitto,
che il nostro ordinamento assegna all'avvocato come fisiologico ruolo
funzionale
alla piena realizzazione della tutela dei diritti». Neppure va sottovalutata
l'importanza
dell'iniziativa del giudice, la cui facoltà di invitare le parti a tentare la
mediazione,
finora sottoutilizzata (2,8% dei casi), potrebbe contribuire a promuoverne
la
diffusione, soprattutto se accompagnata da un adeguato monitoraggio degli esiti
di
tale
invito.
La
praticabilità di questi interventi è testimoniata dagli stessi dati statistici
relativi
al
breve periodo di applicazione del decreto legislativo, dai quali risultano,
oltre alla già
menzionata
disponibilità delle parti ad avvalersi della mediazione al di fuori delle
ipotesi
espressamente
previste dalla legge, l'ampio ricorso dei contendenti all'assistenza legale
(della
quale si sono avvalsi l'84% dei proponenti e l'85% degli aderenti), che non ha
rappresentato
un ostacolo al conseguimento dei risultati positivi già segnalati
(raggiungimento
dell'accordo nel 46% dei casi), nonché i vantaggi derivanti dalla
mediazione
in termini di risparmio di tempo, o quanto meno l'inesistenza di svantaggi in
termini
di dilatazione dei tempi processuali (dal momento che la durata dei
procedimenti
non è risultata superiore ai 77 giorni, rispetto ad una durata del processo
di
primo grado che si aggira mediamente sui 1.066 giorni).
(77) Essendo però in quelli penali davanti al giudice
di pace prevista invece una forma di conciliazione ad opera del giudice
per i reati perseguibili a querela, che può realizzarsi anche attraverso
interventi di mediazione di centri e strutture
pubbliche (art. 29, commi 4 e 5, d. lgsl. 28 agosto 2000, n. 274).
(78) Il problema è che l’aderente non è comparso nel
64,2% dei casi, onde la percentuale di quasi la metà si riferisce soltanto
al 31,2% delle mediazioni iscritte.
…omissis…
AVVISO.
Il testo di questo provvedimento non riveste carattere di ufficialità.