=> TAR Lazio, 1 aprile 2016, sentenza n. 3989
Difatti:
I. (violazione dell’art. 3 c.1 e 2 e dell’art. 16 c.2 e 5, D.lgs.28/2010. Eccesso di potere per carenza di potere): incompetenza l’imparzialità
e terzietà del mediatore sono ritenute necessarie ma legate alla dichiarazione
del singolo secondo l’imposizione del regolamento dell’organismo, a pena di
procedibilità, e in relazione a quanto già previsto dalla normativa primaria in
tal senso. In tale contesto stride, quindi, la disposizione di cui all’art. 14bis, d.m. n. 180/2010, come introdotto dall’art. 6, comma 1, d.m. 4.8.2014, n.139, che si occupa direttamente dell’incompatibilità e dei conflitti di
interesse del singolo mediatore; disposizione da censurare in quanto la
normativa primaria non ha riservato alla decretazione regolamentare
ministeriale alcun margine per intervenire sui temi dell’incompatibilità e del
conflitto di interessi del singolo mediatore, al fine poi di estenderli anche a
soci, associati e professionisti esercenti attività professionale nei medesimi
locali. Al riguardo, sotto il profilo formale, basti richiamare
l’art. 17, comma 3, l. n. 400/1988 in tema di decretazione ministeriale e,
sotto il profilo sostanziale, non può farsi a meno di ricordare che lo
stesso Consiglio di Stato, in sede di pronuncia del necessario parere sul testo
del d.m. impugnato, aveva chiaramente espresso la riserva in ordine alla
collocazione dei commi 1 e 3 dell’art. 14 bis del testo al suo esame, “…trattandosi di
questione che può presentare interconnessioni con l’ordinamento forense, come
tale necessitante – semmai – di apposita previsione in altra iniziativa
normativa”;
II. (violazione
di legge per errata e/o falsa applicazione dell’art. 16 c. 4-bis D.lgs. 28/2010
e dell’art. 1 c.1 e 2 L. 31.12.2012, n. 247”): se il legislatore, con
norma primaria (art. 16, comma 4 bis, d.lgs. n. 28/2010), ha ritenuto di
individuare la sola figura dell’avvocato quale mediatore “di diritto”, ne
consegue che, vista l’inscindibilità tra le due qualifiche, doveva
considerarsi la vigenza e immediata applicabilità dell’altra normativa primaria
che già si occupava di regolare le funzioni di mediatore, sia pure attraverso
il richiamo “mobile” al contenuto del codice deontologico. Con
l’introduzione dell’esteso e generalizzato regime di incompatibilità di cui
all’art. 14 bis si è invece dato luogo ad una commistione di
incompatibilità e conflitti di interessi cui devono sottostare gli
“avvocati-mediatori” che non aveva ragione di essere e che meritava,
eventualmente, pari sede legislativa primaria, come d’altronde subito osservato
dal Consiglio di Stato.
Fonte: Osservatorio
Mediazione Civile n. 30/2016
TAR Lazio
Sezione I
sentenza n. 3989
1 aprile 2016
Omissis
Fatto
Con ricorso a questo Tribunale, ritualmente notificato e depositato, i
soggetti in
epigrafe, avvocati mediatori ovvero associazioni forensi operanti nel
campo della
mediazione, chiedevano l’annullamento, previe misure cautelari,
nell’ordine
indicato in epigrafe, dell’art. 6 del d.m. Giustizia (di concerto con
Sviluppo
Economico) n. 139 del 4 agosto 2014, laddove introduceva l’art. 14 bis
al
previgente d.m. n. 180/2010.
In particolare i ricorrenti, riportando in sintesi i punti salienti
della normativa sulla
mediazione, di cui all’art. 60 l. n. 69/2009 e al d. lgs. 4 marzo 2010,
n. 28,
lamentavano, in sintesi, quanto segue.
“I. Violazione dell’art. 3 c.1 e 2 e dell’art. 16 c.2 e 5, D.lgs.
28/2010. Eccesso di potere per
carenza di potere. Incompetenza.”
I ricorrenti evidenziavano che la normativa primaria di cui all’art. 16,
commi 2 e 5,
d.lgs. n. 28/2010 delimitava in maniera chiara e specifica gli “spazi di
manovra”
lasciati alla decretazione ministeriale, di natura regolamentare e,
quindi, di rango
secondario e subordinato. In tali spazi non vi era alcuna traccia del
tema
dell’incompatibilità e/o del conflitto di interessi del soggetto che
assiste la parte nel
procedimento di mediazione ovvero dell’imparzialità del mediatore stesso.
Ciò era
confermato, d’altronde, dall’intestazione stessa del Regolamento in
questione che
faceva riferimento specifico alla delega di cui all’art. 16 cit.
esclusivamente in
ordine alla determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e
tenuta del
registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per
la mediazione
nonché all’approvazione delle indennità spettanti agli organismi
medesimi.
Prima della modifica regolamentare come impugnata in questa sede,
infatti, il
decreto ministeriale si limitava, in materia di imparzialità e di
indipendenza del
mediatore, a stabilire che il procedimento di mediazione non poteva
avere inizio
prima della sottoscrizione della dichiarazione di imparzialità da parte
del mediatore
e a individuare gli organi competenti a vigilare sulla imparzialità
stessa
(rispettivamente: artt. 7, comma 5, lett. a) e art. 4, comma 2, lett.
e).
Invece, con la impugnata disposizione, il Governo aveva dato luogo a
“straripamento di potere”, dato che lo stesso “decreto delegato” n.
28/2010 aveva
provveduto ad attenersi alle indicazioni della “legge delega” in ordine
alle garanzie
di imparzialità del procedimento di mediazione e aveva dato luogo, sul
punto, ad
una riserva di regolamento in favore dei singoli Organismi di
mediazione, con un
meccanismo perfettamente in linea con il sistema di risoluzione
alternativo delle
controversie, principalmente basato sulla centralità delle parti e sulla
volontarietà
delle scelte che le stesse possono effettuare all’interno del
procedimento in
questione.
“II. Violazione di legge per errata e/o falsa applicazione dell’art. 16
c. 4-bis D.lgs. 28/2010 e
dell’art. 1 c.1 e 2 L. 31.12.2012, n. 247”.
I ricorrenti ricordavano anche che era stata istituita con specifica
disposizione di
legge la figura dell’”avvocato mediatore”. Ne derivava che la disciplina
riguardante
tale specifica figura non poteva essere modificata o integrata
attraverso un decreto
ministeriale e ciò sia perché era necessaria allo scopo una fonte di
pari rango
primario sia perché la disciplina della professione forense è riservata
alla l. n.
247/2012, di cui era riportato il comma 2 dell’articolo 1.
III. Violazione degli artt. 3 e 41 Cost., lesione dei principi di parità
di trattamento, di libertà
dell’iniziativa economica e di concorrenza. Violazione dell’art. 4 della
Direttiva 2008/52/CE
del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008. Eccesso di
potere per
irragionevolezza e disparità di trattamento”.
Nella parte in cui affermava che il mediatore non poteva essere parte
ovvero
rappresentare o in ogni modo assistere parti in procedure di mediazione
dinanzi
all’organismo presso cui era iscritto o relativamente al quale era socio
o rivestiva
una carica a qualsiasi titolo, estendendo il divieto ai professionisti
soci, associati
ovvero che esercitassero la professione negli stessi locali, il
regolamento impugnato
violava apertamente i principi costituzionali dell’autonomia
dell’iniziativa
economica e della parità di trattamento, arrecando alla categoria degli
avvocati un
pregiudizio di gran lunga maggiore rispetto agli altri professionisti
esercitanti anche
la mediazione.
Infatti, in seguito alle novità introdotte in tema di mediazione dal
d.l. n. 69/2013,
conv. in l. n. 98/2013, in specifiche materie l’attivazione del
procedimento di
mediazione costituiva condizione di procedibilità dell’eventuale
successiva azione
giudiziale e le parti dovevano essere obbligatoriamente assistite da un
avvocato. I
ricorrenti però ricordavano che anche negli altri casi ove la mediazione
rivestiva
carattere facoltativo l’assistenza dell’avvocato era resa pressoché
indispensabile, in
ragione della previsione normativa di cui all’art. 12, comma 1, d.lgs.
n. 28/2010 che
attribuisce efficacia di titolo esecutivo esclusivamente all’accordo
sottoscritto dalle
parti assistite da un avvocato e conferisce a quest’ultimo il potere di
attestare e
certificare la conformità dell’accordo alle norme imperative e
all’ordine pubblico.
Era evidente dunque che in alcuni casi le parti siano costrette a
rivolgersi a un
avvocato, piuttosto che ad altri professionisti, per la tutela dei
propri diritti, anche
ai sensi dell’art. 2, comma 6, l.n. 247/12.
Inoltre, il pregiudizio si estendeva anche agli Organismi di mediazione
i quali, a
causa dell’irragionevole regime di incompatibilità come introdotto,
vedono e
vedranno ridurre in misura esponenziale il numero dei mediatori
iscritti,
escludendosi principalmente gli avvocati in virtù di tale introduzione e
ciò
soprattutto riguardo gli Organismi di mediazione di natura forense.
“IV. Violazione del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. Eccesso
di potere per
irragionevolezza manifesta e illogicità”.
L’introduzione di cui al decreto ministeriale impugnato, secondo i
ricorrenti,
violava anche il diritto di difesa come costituzionalmente garantito in
quanto
impediva al soggetto che voleva tutelare un proprio diritto di
rivolgersi al proprio
professionista di fiducia per il solo fatto che questo faccia parte
dell’organismo di
mediazione deputato a mediare tra le parti o addirittura che sia
semplicemente
socio o associato o “coinquilino” di un professionista iscritto allo
specifico
organismo di mediazione.
Se l’assistenza stragiudiziale, ai sensi dell’art. 2, comma 6, l. n.
247/12 cit., era di
competenza esclusiva degli avvocati ove connessa all’attività
giurisdizionale, non si
comprendeva, al riguardo, perché nell’ipotesi di assistenza nella mediazione
la
scelta del professionista non poteva più essere liberamente lasciata
alla parte ma
doveva risentire delle incompatibilità introdotte, vanificando in tal
modo anche le
particolari competenze nel settore della risoluzione stragiudiziale
delle controversie
che ciascun avvocato-mediatore poteva vantare nel corso del tempo e
obbligando,
addirittura, a cambiare in corso di causa il proprio avvocato qualora
questi risulti
iscritto nell’Organismo di mediazione adìto. In tal modo sarebbe stato
facile per
una delle parti avanzare volontaria istanza di mediazione presso un
determinato
Organismo cui risultava iscritto un avvocato di controparte non gradito,
al solo
fine di costringere la parte a dover cambiare il legale di fiducia,
anche in corso di
giudizio.
“V. Violazione di legge per errata applicazione degli artt. 3, 14 e16
D.lgs. 28/2010 e degli
artt. 4 e 7 D.M. 180/2010. Eccesso di potere per irragionevolezza,
illogicità manifesta,
travisamento dei presupposti di fatto, violazione del principio di proporzionalità.”
Il sacrificio dei richiamati diritti costituzionali appariva per i
ricorrenti ancor più
irragionevole se si considerava che già esisteva un rigoroso regime di
incompatibilità dell’avvocato-mediatore disciplinato dall’art. 62
dell’attuale codice
deontologico forense (già art. 55), di cui era riportato il contenuto.
Oltre a ciò, come già ricordato in precedenza, lo stesso art. 3, commi 1
e 2, d.lgs. n.
28/10 cit. prevedeva che al procedimento di mediazione si applicava il
regolamento dell’organismo scelto dalle parti e che tale regolamento
doveva
garantire in ogni caso la riservatezza del procedimento nonché modalità
di nomina
del mediatore che assicurassero l’imparzialità e l’idoneità al corretto
sollecito
espletamento dell’incarico. Tale disposizione evidenziava la volontà del
legislatore
di limitare al minimo l’intervento statale nella scelta della procedura
da applicare
all’attività di mediazione ponendo come unico limite la potestà
regolamentare degli
Organismi di mediazione, orientata comunque ad assicurare imparzialità e
idoneità
del mediatore rispetto al singolo affare, fermo restando che esistevano
nell’ordinamento altre disposizioni, di cui anche al medesimo D.M. n.
180/2010,
che assicuravano l’imparzialità e la neutralità del mediatore rispetto
alle parti.
“VI. Eccesso di potere per irragionevolezza e illogicità, disparità di
trattamento, travisamento dei
presupposti di fatto”.
I ricorrenti osservavano che, pur essendo la mediazione un procedimento
volontario, semplice e informale, finalizzato a superare un conflitto
tra due o più
parti con l’aiuto di un soggetto terzo, con le impugnate disposizioni si
era
introdotto un regime di incompatibilità ancor più rigido rispetto a
quello previsto
nell’arbitrato, istituto ben diverso da quello della mediazione e
certamente meno
informale e non preposto al raggiungimento di un accordo amichevole.
Infatti il codice di procedura civile prevede che l’arbitro possa essere
ricusato solo
se la relativa istanza è proposta al medesimo soggetto ed entro un
termine
perentorio mentre, nel caso di specie, le introdotte incompatibilità
operano
indipendentemente dalla volontà delle parti.
La disposizione contestata, inoltre, era ancor più irragionevole in
quanto il
professionista iscritto ad un Organismo di mediazione non partecipa in
alcun
modo degli utili economici dello stesso né ricava alcun tipo di
vantaggio e/o
interesse legato all’appartenenza allo specifico Organismo.
Il sistema delineato dal decreto ministeriale impugnato, in sostanza,
costringeva
alcuni professionisti che esercitavano l’attività di avvocato-mediatore
a dimettersi
dagli organismi di mediazione del contesto territoriale in cui operavano
e ciò era
ancor più grave particolarmente laddove, in un determinato circondario
di
Tribunale, vi erano pochi o unici Organismi di tal genere.
In prossimità della camera di consiglio si costituiva in giudizio il
Ministero della
Giustizia, illustrando in una specifica memoria i motivi che secondo la
sua
ricostruzione dovevano portare alla reiezione della domanda cautelare e
del
ricorso. Anche i ricorrenti, dal canto loro, depositavano una breve
memoria per la
camera di consiglio a sostanziale confutazione delle tesi della difesa
erariale.
Rinviata al merito la trattazione della domanda cautelare, in prossimità
alla
pubblica udienza del 7 ottobre 2015 era disposto un rinvio al fine di
consentire la
trattazione congiunta con altri ricorsi dal medesimo contenuto e anche
al fine di
proposizione di motivi aggiunti.
I ricorrenti provvedevano in tal senso con atto ritualmente notificato e
depositato
con cui chiedevano anche l’annullamento della Circolare del Ministero
della
Giustizia del 14 luglio 2015 nel frattempo emanata, avente ad oggetto
“Incompatibilità e conflitti di interesse mediatore e avvocato”.
Ricordando i presupposti del contenzioso presente davanti a questo
Tribunale, i
ricorrenti lamentavano ulteriormente quanto segue.
“Vizi direttamente riconducibili all’atto impugnato
Incompetenza assoluta. Violazione di legge per mancata e/o errata
applicazione dell’art. 4 del
DPR 06.03.2001 n. 55, comma 2 lettera a). Violazione di legge per
violazione della L.
400/88. Eccesso di potere per sviamento, irragionevolezza, arbitrarietà
dell’azione
amministrativa e ingiustizia manifesta”.
Il Direttore generale della Giustizia civile – Dipartimento per gli
affari di giustizia –
Ufficio III – Reparto mediazione firmatario della Circolare in questione
non aveva
i poteri per dare disposizioni nell’ambito in questione, in quanto con
questa erano
state introdotte delle effettive disposizioni “normative”, classificando
la questione
delle incompatibilità come diritto indisponibile, che esulavano dalle
funzioni
riconducibili al ruolo rivestito dal suddetto Direttore generale, il cui
ambito di
operatività nell’emanare circolari è legato a questioni meramente
interpretative
ovvero applicative relative ad atti legislativi o regolamentari.
I ricorrenti, poi, riproponevano le medesime censure di cui al ricorso
introduttivo
evidenziando in tal modo l’illegittimità “derivata” dell’impugnata
Circolare.
In prossimità della nuova udienza pubblica del 9 marzo 2016 le parti
costituite
depositavano ulteriori memorie (l’Avvocatura erariale qualificandola “di
replica”) a
sostegno delle rispettive tesi e la causa in tale data era trattenuta in
decisione.
Diritto
Il Collegio, al fine di decidere sul contenzioso in esame, ritiene
opportuno
sintetizzare i fondamenti normativi che ne sono alla base.
In particolare, si evidenzia che l’art. 60 della “legge- delega”
18.6.2009, n. 69
prevedeva, al comma 1, che “Il Governo è delegato ad adottare, entro sei
mesi dalla data di
entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi in
materia di mediazione e di
conciliazione in ambito civile e commerciale”. I principi che
l’Esecutivo era richiamato ad
osservare erano indicati nel comma 2, di cui si riportano i profili
rilevanti in questa
sede: “Nell'esercizio della delega di cui al comma 1, il Governo si
attiene ai seguenti princìpi e
criteri direttivi: a) prevedere che la mediazione, finalizzata alla
conciliazione, abbia per oggetto
controversie su diritti disponibili, senza precludere l'accesso alla
giustizia; b) prevedere che la
mediazione sia svolta da organismi professionali e indipendenti,
stabilmente destinati
all'erogazione del servizio di conciliazione; c) disciplinare la
mediazione, nel rispetto della
normativa comunitaria, anche attraverso l'estensione delle disposizioni
di cui al decreto legislativo
17 gennaio 2003, n. 5, e in ogni caso attraverso l'istituzione, presso
il Ministero della giustizia,
senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, di un Registro
degli organismi di
conciliazione, di seguito denominato «Registro», vigilati dal medesimo
Ministero… d) prevedere
che i requisiti per l'iscrizione nel Registro e per la sua conservazione
siano stabiliti con decreto del
Ministro della giustizia;… f) prevedere che gli organismi di
conciliazione istituiti presso i
tribunali siano iscritti di diritto nel Registro; g) prevedere, per le
controversie in particolari
materie, la facoltà di istituire organismi di conciliazione
presso i consigli degli ordini professionali; h) prevedere che gli
organismi di conciliazione di cui alla lettera g) siano iscritti di diritto nel
Registro;… r) prevedere, nel rispetto del codice deontologico, un regime di
incompatibilità tale da garantire la neutralità, l'indipendenza e
l'imparzialità del conciliatore nello svolgimento delle sue funzioni;…”.
Già in questa prima lettura, il Collegio rileva che il legislatore
“delegante” ha
voluto chiarire alcuni “punti cardine” da seguire, principalmente
orientati a
riconoscere che la mediazione era limitata ai diritti disponibili, che
gli “organismi di
conciliazione”, e non i singoli mediatori, erano i soggetti destinatari
del compito di
dare luogo alla “mediazione” come congegnata, riconoscendo per quelli
istituiti
presso i Tribunali alcune facilitazioni, che gli organismi stessi erano
“vigilati” dal
Ministero della Giustizia, che assumeva rilievo il rispetto del “codice
deontologico”
al fine di garantire la neutralità, indipendenza e imparzialità del
singolo conciliatore
nello svolgimento delle sue funzioni.
Come noto, il Governo provvedeva mediante il decreto legislativo
4.3.2010, n. 28.
Anche qui, si riportano le disposizioni salienti per il presente
contenzioso, che il
Collegio ritiene di individuare.
In primo luogo, si richiama l’art. 3, commi 1 e 2, secondo il quale “1.
Al
procedimento di mediazione si applica il regolamento dell'organismo
scelto dalle parti. 2. Il
regolamento deve in ogni caso garantire la riservatezza del procedimento
ai sensi dell'articolo 9,
nonché modalità di nomina del mediatore che ne assicurano l'imparzialità
e l'idoneità al corretto e
sollecito espletamento dell'incarico”.
Il Collegio non può esimersi dall’osservare che il regolamento
dell’organismo
scelto dalle parti assume un ruolo centrale nell’assetto della procedura
e ciò appare
del tutto in linea con la volontà del legislatore “delegante” di dare
rilievo alla
struttura di mediazione in sé considerata più che ai singoli componenti.
Il
legislatore, infatti, prevede che sia il regolamento stesso, quindi, ad
assumere
(anche) la funzione di individuare modalità di nomina del (singolo)
mediatore che
ne assicurino la sostanziale indipendenza e terzietà, come è giusto che
sia
incidendo tale attività comunque su situazioni soggettive delle parti in
posizioni di
parità e in virtù anche dell’obbligo di comunicazione sull’esistenza (ed
eventuale
obbligatorietà ex art. 5 d.lgs. cit.) di tale procedura che incombe
sull’avvocato al
momento del conferimento di un incarico professionale, di cui all’art.
4, comma 3,
d.lgs. cit.
La “centralità” riconosciuta all’organismo è rafforzata dalla previsione
dell’art. 8
d.lgs. cit. (come modificato dal d.l. n. 69/2013, conv. in l. n.
98/2013), secondo la
quale è il responsabile dell’organismo a designare un mediatore e
fissare un primo
incontro tra le parti e non sono le parti a “scegliersi” il singolo
mediatore (a
differenza di quel che accade, ad esempio, per l’arbitrato).
Il legislatore “delegato”, poi, direttamente si occupa di precisare,
agli artt. 9 e 10
d.lgs. cit., che: ” Chiunque presta la propria opera o il proprio
servizio nell'organismo o
comunque nell'ambito del procedimento di mediazione è tenuto all'obbligo
di riservatezza rispetto
alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite durante il
procedimento medesimo. Rispetto
alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite nel corso delle
sessioni separate e salvo
consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le
informazioni, il mediatore è altresì
tenuto alla riservatezza nei confronti delle altre parti.” (art. 9); “Le
dichiarazioni rese o le
informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione non
possono essere utilizzate nel
giudizio avente il medesimo oggetto anche parziale, iniziato, riassunto
o proseguito dopo
l'insuccesso della mediazione, salvo consenso della parte dichiarante o
dalla quale provengono le
informazioni. Sul contenuto delle stesse dichiarazioni e informazioni
non è ammessa prova
testimoniale e non può essere deferito giuramento decisorio. Il
mediatore non può essere tenuto a
deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni
acquisite nel procedimento di
mediazione, né davanti all'autorità giudiziaria né davanti ad altra
autorità. Al mediatore si
applicano le disposizioni dell'articolo 200 del codice di procedura
penale e si estendono le garanzie
previste per il difensore dalle disposizioni dell'articolo 103 del
codice di procedura penale in
quanto applicabili.” (art. 10).
Il medesimo legislatore, poi, prevede direttamente, all’art. 14 d.lgs.
cit., che “Al
mediatore e ai suoi ausiliari è fatto divieto di assumere diritti o
obblighi connessi, direttamente o
indirettamente, con gli affari trattati, fatta eccezione per quelli
strettamente inerenti alla
prestazione dell'opera o del servizio; è fatto loro divieto di percepire
compensi direttamente dalle
parti. 2. Al mediatore è fatto, altresì, obbligo di: a) sottoscrivere,
per ciascun affare per il quale è
designato, una dichiarazione di imparzialità secondo le formule previste
dal regolamento di
procedura applicabile, nonché gli ulteriori impegni eventualmente
previsti dal medesimo
regolamento; b) informare immediatamente l'organismo e le parti delle
ragioni di possibile
pregiudizio all'imparzialità nello svolgimento della mediazione...”.
Come visto, quindi, il legislatore ha considerato le modalità idonee a
garantire
l’imparzialità e terzietà del mediatore, facendo rinvio alla relativa
regolamentazione
ad opera del singolo organismo di mediazione – a sua volta vigilato dal
Ministero
della Giustizia – e alla dichiarazione di impegno alla sua osservanza
che ogni
mediatore dove sottoscrivere per ciascun affare.
Non vi è spazio in materia per una decretazione ministeriale, se non per
quanto
previsto dall’art. 16, comma 2, d.lgs. cit., secondo il quale: “La
formazione del registro
e la sua revisione, l'iscrizione, la sospensione e la cancellazione
degli iscritti, l'istituzione di
separate sezioni del registro per la trattazione degli affari che
richiedono specifiche competenze
anche in materia di consumo e internazionali, nonché la determinazione
delle indennità spettanti
agli organismi sono disciplinati con appositi decreti del Ministro della
giustizia, di concerto,
relativamente alla materia del consumo, con il Ministro dello sviluppo
economico. Fino
all'adozione di tali decreti si applicano, in quanto compatibili, le
disposizioni dei decreti del
Ministro della giustizia 23 luglio 2004, n. 222 e 23 luglio 2004, n.
223...”. Il successivo
comma 3 prevede poi che: “L'organismo, unitamente alla domanda di
iscrizione nel
registro, deposita presso il Ministero della giustizia il proprio
regolamento di procedura e il codice
etico, comunicando ogni successiva variazione. Nel regolamento devono
essere previste, fermo
quanto stabilito dal presente decreto, le procedure telematiche
eventualmente utilizzate
dall'organismo, in modo da garantire la sicurezza delle comunicazioni e
il rispetto della
riservatezza dei dati. Al regolamento devono essere allegate le tabelle
delle indennità spettanti agli
organismi costituiti da enti privati, proposte per l'approvazione a
norma dell'articolo 17. Ai fini
dell'iscrizione nel registro il Ministero della giustizia valuta
l'idoneità del regolamento.”.
Anche sotto questo profilo il Collegio non può che ribadire come sia
rinvigorita
dalla norma la centralità riconosciuta al regolamento di procedura
dell’organismo
di mediazione e al relativo “codice etico”, a loro volta valutabili
dall’organo
vigilante sin dal momento della richiesta di iscrizione nell’apposito
registro. Spazio
per la decretazione ministeriale è riconosciuto a tale proposito solo
per i profili
sopra riportati, di cui all’art. 16, comma 2, prima parte, e tra questi
non si nota
alcun riferimento al tema della incompatibilità di alcun genere, nei
confronti dei
singoli mediatori.
Lo stesso art. 16, inoltre, afferma, ai commi 4 e 4 bis, che “La
vigilanza sul registro è
esercitata dal Ministero della giustizia e, con riferimento alla sezione
per la trattazione degli
affari in materia di consumo di cui al comma 2, anche dal Ministero
dello sviluppo economico.
Gli avvocati iscritti all'albo sono di diritto mediatori. Gli avvocati
iscritti ad organismi di
mediazione devono essere adeguatamente formati in materia di mediazione
e mantenere la propria
preparazione con percorsi di aggiornamento teorico-pratici a ciò
finalizzati, nel rispetto di quanto
previsto dall'articolo 55-bis del codice deontologico forense…”
Particolare attenzione è poi riconosciuta dal legislatore “delegato”
agli organismi
presso i Tribunali e agli organismi presso i consigli degli ordini
professionali e
presso le camere di commercio, ai sensi degli artt. 18 e 19 d.lgs. cit.,
di cui è
riconosciuta la possibilità di iscrizione diretta al registro, a
semplice domanda.
In sostanza, ne emerge un quadro per il Collegio dotato di evidente
chiarezza, da
cui si evince che in materia di garanzie di imparzialità è demandato a
provvedere
con il proprio codice etico lo stesso organismo di mediazione, soggetto
su cui è
centrata l’attenzione al fine di regolamentare l’intera procedura, sul
quale
comunque esercita, in ogni momento, la sua vigilanza il Ministero della
Giustizia.
Spazi ulteriori per una regolamentazione di rango secondario diretto, ai
sensi
dell’art. 17, comma 3, l. n. 400/88, non se ne riscontrano, limitandosi
il richiamo a
tale forma di decretazione a modalità di formazione e tenuta del
registro, ai sensi
del richiamato art. 16 d.lgs. n. 28/2010.
Infatti, nella stesura originaria del d.m. Giustizia n. 180/2010 che in
tal senso
provvede, non vi era alcun cenno alle incompatibilità del singolo
mediatore,
recando lo stesso l’intestazione “Regolamento recante la determinazione
dei criteri e delle
modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di
mediazione e dell'elenco dei formatori
per la mediazione, nonché l'approvazione delle indennità spettanti agli
organismi, ai sensi dell'
articolo 16 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28”.
Lo stesso art. 2 del d.m. in questione – rubricato “Oggetto” - precisa
infatti che
esso disciplina: “a) l'istituzione del registro presso il Ministero; b)
i criteri e le modalità di
iscrizione nel registro, nonché la vigilanza, il monitoraggio, la
sospensione e la cancellazione dei
singoli organismi dal registro; c) l'istituzione dell'elenco presso il
Ministero; d) i criteri e le
modalità di iscrizione nell'elenco, nonché la vigilanza, il
monitoraggio, la sospensione e la
cancellazione degli enti di formazione dall'elenco; e) l'ammontare
minimo e massimo e il criterio di
calcolo delle indennità spettanti agli organismi costituiti da enti
pubblici di diritto interno, nonché
i criteri per l'approvazione delle tabelle delle indennità proposte
dagli organismi costituiti dagli
enti privati.”
Confermando che è l’organismo di mediazione ad assumere rilievo a tali
fini e che
il regolamento è previsto solo ai riportati fini, gli articoli seguenti
non esulano da
tali confini, provvedendo a introdurre nell’ordinamento la richiesta
normativa
secondaria relativa a quanto sopra riportato all’art. 2.
Ai fini dell’iscrizione nel registro, e solo a questi, è previsto,
all’art. 4, comma 2,
lett. e), d.m. cit., che il responsabile della tenuta del registro e
degli elenchi (come
definito nell’art. 1) avrebbe verificato, tra altro, “…le garanzie di
indipendenza,
imparzialità e riservatezza nello svolgimento del servizio di
mediazione, nonché la conformità del
regolamento alla legge e al presente decreto, anche per quanto attiene
al rapporto giuridico con i
mediatori”. Nuovamente, quindi, si ribadisce che il requisito di
indipendenza debba
essere garantito dall’organismo stesso attraverso il suo regolamento.
Ciò è ancor più chiaramente evidenziato nell’art. 7, comma 3, secondo
cui: “Il
regolamento stabilisce le cause di incompatibilità allo svolgimento
dell'incarico da parte del
mediatore e disciplina le conseguenze sui procedimenti in corso della
sospensione o della
cancellazione dell'organismo dal registro ai sensi dell’articolo 10”.
Il successivo comma 5 precisa inoltre che: “Il regolamento deve, in ogni
caso, prevedere: a)
che il procedimento di mediazione può avere inizio solo dopo la
sottoscrizione da parte del
mediatore designato della dichiarazione di imparzialità di cui all'
articolo 14 , comma 2, lettera
a), del decreto legislativo…”.
L’imparzialità e terzietà del mediatore, quindi, sono ritenute
necessarie ma legate
alla dichiarazione del singolo secondo l’imposizione del regolamento
dell’organismo, a pena di procedibilità, e in relazione a quanto già
previsto dalla
normativa primaria in tal senso.
In tale contesto stride, quindi, la disposizione contestata nella
presente sede, di cui
all’art. 14 bis, come introdotto dall’art. 6, comma 1, d.m. 4.8.2014, n.
139, che si
occupa direttamente dell’incompatibilità e dei conflitti di interesse
del singolo
mediatore, affermando che: “Il mediatore non può essere parte ovvero
rappresentare o in ogni
modo assistere parti in procedure di mediazione dinanzi all'organismo
presso cui è iscritto o
relativamente al quale è socio o riveste una carica a qualsiasi titolo;
il divieto si estende ai
professionisti soci, associati ovvero che esercitino la professione
negli stessi locali. Non può
assumere la funzione di mediatore colui il quale ha in corso ovvero ha
avuto negli ultimi due anni
rapporti professionali con una delle parti, o quando una delle parti è
assistita o è stata assistita
negli ultimi due anni da professionista di lui socio o con lui associato
ovvero che ha esercitato la
professione negli stessi locali; in ogni caso costituisce condizione
ostativa all'assunzione
dell'incarico di mediatore la ricorrenza di una delle ipotesi di cui
all'articolo 815, primo comma,
numeri da 2 a 6, del codice di procedura civile. Chi ha svolto
l'incarico di mediatore non può
intrattenere rapporti professionali con una delle parti se non sono
decorsi almeno due anni dalla
definizione del procedimento. Il divieto si estende ai professionisti
soci, associati ovvero che
esercitano negli stessi locali.”.
Sotto tale profilo appare condivisibile la censura dei ricorrenti di cui
al primo
motivo di ricorso, in quanto la normativa primaria non ha riservato alla
decretazione regolamentare ministeriale alcun margine per intervenire
sui temi
dell’incompatibilità e del conflitto di interessi del singolo mediatore,
al fine poi di
estenderli anche a soci, associati e professionisti esercenti attività
professionale nei
medesimi locali.
Per giungere a tale conclusione non appare al Collegio necessario
soffermarsi
oltremodo.
Sotto il profilo, formale, basti richiamare l’art. 17, comma 3, l. n.
400/1988,
secondo il quale “Con decreto ministeriale possono essere adottati
regolamenti nelle materie di
competenza del ministro o di autorità sottordinate al ministro, quando
la legge espressamente
conferisca tale potere. Tali regolamenti, per materie di competenza di
più ministri, possono essere
adottati con decreti interministeriali, ferma restando la necessità di
apposita autorizzazione da
parte della legge…”
Sul punto è stato già chiarito che, almeno per quel che riguarda i
“regolamenti” di
cui al richiamato art. 17, comma 3, l. cit., è sempre necessaria
un’espressa
previsione di legge che legittimi l’attuazione, e quindi l’estensione,
della potestà
regolamentare in questione (per tutte: Cons. Stato, Sez. III, 25.5.11,
n. 3144). Nel
caso di specie tale espressa previsione di legge è assente.
Sotto il profilo sostanziale, non può farsi a meno di ricordare che lo
stesso
Consiglio di Stato, in sede di pronuncia del necessario parere sul testo
del d.m.
impugnato, aveva chiaramente espresso la riserva in ordine alla
collocazione dei
commi 1 e 3 dell’art. 14 bis del testo al suo esame, “…trattandosi di
questione che può
presentare interconnessioni con l’ordinamento forense, come tale
necessitante – semmai – di
apposita previsione in altra iniziativa normativa”.
Tali ultime osservazioni – ad avviso del Collegio – rimarcano anche la
fondatezza
di quanto lamentato dai ricorrenti con il secondo motivo di ricorso.
Si evidenzia, infatti, che l’art. 84, comma 1, lett. o), d.l. n. 69/13,
conv. in l. n.
98/13, ha inserito nel testo dell’art. 16 del d.lgs. n. 20/2010 il comma
4 bis,
secondo il quale “Gli avvocati iscritti all’albo sono di diritto
mediatori”.
Il richiamo alla qualifica assunta “di diritto”, secondo la norma
primaria come
innovata, ad avviso del Collegio evidenzia la peculiarità della figura
dell’avvocatomediatore,
che dà luogo ad una inscindibilità di posizione laddove un avvocato
scelga di dedicarsi (anche) alla mediazione.
Ne consegue che il decreto ministeriale in esame non ha tenuto conto
della
peculiare disciplina che regola la professione forense, di cui alla l.
31.12.2012, n.
247 e allo specifico codice deontologico vigente, pubblicato sulla G.U.
del
16.10.2014, il cui art. 62 prevede esplicitamente la regolamentazione
della funzione
di mediatore per colui che è avvocato.
In merito, infatti, si evidenzia che l’art. 3, commi 3 e 4, l. n. 247/12
cit. prevede
che “L'avvocato esercita la professione uniformandosi ai principi
contenuti nel codice deontologico
emanato dal CNF ai sensi degli articoli 35, comma 1, lettera d), e 65,
comma 5. Il codice
deontologico stabilisce le norme di comportamento che l'avvocato è
tenuto ad osservare in via
generale e, specificamente, nei suoi rapporti con il cliente, con la
controparte, con altri avvocati e
con altri professionisti. Il codice deontologico espressamente individua
fra le norme in esso
contenute quelle che, rispondendo alla tutela di un pubblico interesse
al corretto esercizio della
professione, hanno rilevanza disciplinare. Tali norme, per quanto
possibile, devono essere
caratterizzate dall'osservanza del principio della tipizzazione della
condotta e devono contenere
l'espressa indicazione della sanzione applicabile. 4. Il codice
deontologico di cui al comma 3 e i
suoi aggiornamenti sono pubblicati e resi accessibili a chiunque…”.
Il Collegio ritiene che se il legislatore, con norma primaria (art. 16,
comma 4 bis,
d.lgs. n. 28/2010), ha ritenuto di individuare la sola figura
dell’avvocato quale
mediatore “di diritto”, ne consegue che, vista l’inscindibilità tra le
due qualifiche,
doveva considerarsi la vigenza e immediata applicabilità dell’altra
normativa
primaria che già si occupava di regolare le funzioni di mediatore, sia
pure
attraverso il richiamo “mobile” al contenuto del codice deontologico.
Con l’introduzione dell’esteso e generalizzato regime di incompatibilità
di cui
all’art. 14 bis d.m. n. 139/14, peraltro – come visto – senza specifica
“copertura
legislativa”, si è invece dato luogo ad una commistione di
incompatibilità e conflitti
di interessi cui devono sottostare gli “avvocati-mediatori” che non
aveva ragione di
essere e che meritava, eventualmente, pari sede legislativa primaria,
come
d’altronde subito osservato dal Consiglio di Stato.
In sostanza, il Collegio osserva che poteva in ipotesi darsi luogo a una
sola
alternativa: o la disciplina regolamentare generale riguardante (tutti)
i mediatori –
ferma restando l’osservazione sulla carenza di delega legislativa –
faceva salve le
disposizioni già adottate per coloro che erano ritenuti da fonte
primaria mediatori
“di diritto” (vale a dire gli avvocati) ovvero doveva darsi luogo ad una
iniziativa
legislativa di pari rango primario, qualora le vigenti disposizioni di
cui all’art. 62 del
Codice deontologico non fossero state ritenute valide e condivisibili
alla luce di
esperienze maturate nel frattempo. Tali ipotesi alternative sono state
entrambe
disattese e, per tale ragione, il ricorso si palesa fondato anche sotto
tale ulteriore
profilo.
Da ultimo, per mero tuziorismo, il Collegio osserva che la decretazione
ministeriale non pare che abbia colto appieno l’estrema, variegata
composizione
degli studi legali professionali sparsi sul territorio e il rapporto
numerico con gli
organismi di mediazione in ciascun distretto di Tribunale.
Non pare essersi tenuto conto, vale a dire, che in alcune parti del
territorio
nazionale, in special modo nelle città metropolitane, l’organizzazione
professionale
pare andare verso una composizione orientata su studi professionali
“complessi”,
spesso interdisciplinari, e con un numero sostanzioso di organismi di
mediazione
sul territorio, così che non pare irreversibile sulla scelta di
effettuare anche la
mediazione il mutamento di un organismo di appartenenza per il singolo
legale. Vi
sono però in altre zone del territorio organizzazioni più “semplici” e
capillari”, ove
l’avvocato, da solo e in locali da lui unicamente detenuti, esercita sia
in campo
penale che civile che tributario e/o amministrativo, con uno e massimo
due
organismi di mediazione di riferimento, così che le disposizioni di cui
all’art. 14 bis
in esame lo costringerebbero a rinunciare inevitabilmente alla mediazione.
Così pure non trascurabili sono le osservazioni secondo le quali ben
potrebbe una
parte scegliere un organismo di mediazione specifico, ove è iscritto un
legale di
fiducia di controparte, al solo fine di impedire l’assistenza
nell’affare. Ciò
evidentemente stride con la libertà di scelta del mediatore che è alla
base della
normativa dell’intero d.lgs. n. 28/2010.
Ebbene se non può dimenticarsi che le caratteristiche del regolamento di
cui all’art.
17 l. n 400/88 cit., secondo la giurisprudenza, esprimono una potestà
normativa
“secondaria” attribuita all'Amministrazione al fine di disciplinare, in
astratto, tipi di
rapporti giuridici mediante una regolazione attuativa o integrativa
della legge, ma
ugualmente innovativa rispetto all'ordinamento giuridico esistente, con
precetti che
presentano appunto i caratteri della “generalità e dell'astrattezza”,
intesi
essenzialmente come ripetibilità nel tempo dell'applicazione delle norme
e non
determinabilità dei soggetti cui si riferiscono (per tutte: Cons. Stato,
Sez. VI,
18.2.15, n. 823), nel caso di specie tale caratteristiche sembrano
smarrite, in quanto
la generalità dell’applicazione dell’art. 14 bis va a collidere con la
determinabilità
dei soggetti più considerati, che sembrano – stante l’impostazione della
norma
regolamentare in questione - i soli “avvocati-mediatori”. Anche sotto
tale profilo,
quindi, si palesa la violazione dell’art. 17 cit.
A conclusione contraria non portano, poi, le tesi espresse nelle difese
erariali.
Sostengono quest’ultime che lo scopo dell’art. 14 bis cit. è quello di
assicurare che
l’attività di mediazione sia svolta da un soggetto che offra garanzie di
indipendenza
e terzietà.
Sul punto, però, non può che richiamarsi nuovamente il contenuto
dell’art. 3,
comma 2, d.lgs. n. 28/2010 cit. che demanda al regolamento
dell’organismo scelto
dalle parti - e non a regolamento ministeriale ex art. 17, comma 3, l.
cit. - la
garanzia di nomina di un mediatore che assicuri imparzialità e idoneità
allo
svolgimento dell’incarico. In merito basti osservare che il Ministero
della Giustizia,
quale organo vigilante, dispone di tutti gli strumenti per verificare il
contenuto dei
singoli regolamenti degli organismi e chiederne l’eventuale modifica,
soprattutto
laddove si rinvengano anomalie riguardo lo svolgimento dell’attività da
parte di
“avvocati-mediatori”.
Sostiene la difesa erariale, altresì, che l’impianto dell’art. 16 d.
lgs. n. 28/2010
consentirebbe l’emanazione di “appositi decreti ministeriali”
concernenti la
nomina e i requisiti che il mediatore deve possedere, tra i quali quelli
dell’imparzialità e terzietà.
In realtà, il Collegio osserva che il comma 2 dell’art. 16 in questione
non prevede
l’emanazione di appositi decreti ministeriali ma si limita – come già
sopra riportato
– a prevedere che “La formazione del registro e la sua revisione,
l'iscrizione, la sospensione e
la cancellazione degli iscritti, l'istituzione di separate sezioni del
registro per la trattazione degli
affari che richiedono specifiche competenze anche in materia di consumo
e internazionali, nonché
la determinazione delle indennità spettanti agli organismi sono
disciplinati con appositi decreti del
Ministro della giustizia, di concerto, relativamente alla materia del
consumo, con il Ministro dello
sviluppo economico.”. Non vi è dunque alcun accenno alla nomina e ai
requisiti del
mediatore. Anzi, come pure sopra evidenziato, i successivi commi
dell’art. 16
ribadiscono la vigilanza del Ministero della Giustizia e la qualità di
mediatori “di
diritto” degli avvocati, con tutte le conseguenze, dirette e indirette,
sopra
rappresentate, cui si rimanda. Ciò assume connotazione logica secondo
quanto
riconosciuto dalle stesse difese erariali, laddove richiamano l’art. 3
d.lgs. n.
28/2010 che, appunto, rimette agli organismi di disciplinare con
regolamento le
modalità di nomina del mediatore che ne garantiscano l’imparzialità e
l’idoneità.
Non avrebbe alcun senso condivisibile, quindi, una previsione normativa
che
dapprima demanda ai regolamenti degli organismi di occuparsi delle
modalità di
nomina dei mediatori al fine di garantirne (anche) l’imparzialità e poi
demanda a
decreto ministeriale la stessa materia.
Né si comprende poi in cosa consista la differenza tra “imparzialità” e
“incompatibilità e conflitto di interessi”, che l’Avvocatura evidenzia,
laddove la
prima non può che comprendere le altre due, costituendone presupposto.
Sostiene l’Amministrazione che ad ulteriore dimostrazione della
competenza del
d.m. a disciplinare la materia dell’incompatibilità dovrebbe leggersi la
disposizione
del richiamato art. 16, comma 2, secondo la quale: “Fino all'adozione di
tali decreti si
applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dei decreti del
Ministro della giustizia 23 luglio
2004, n. 222 e 23 luglio 2004, n. 223...”.
Ebbene, la lettura di tali decreti convince del contrario, in quanto
l’art. 7 del d.m.
n. 222/04, occupandosi del regolamento di procedura, prevede(va) appunto
che:
“Il regolamento stabilisce le cause di incompatibilità allo svolgimento
dell'incarico…” mentre il
d.m. n. 223/04 si limitava ad occuparsi delle indennità.
Secondo la difesa erariale il testo dell’art. 38 del d.lgs. n. 5 del
2003, che costituiva
la base normativa del d.m. n. 222 cit., aveva lo stesso contenuto
dell’art. 16 d.lgs. n.
28/2010 e nessuno aveva mai dubitato della legittimità delle ipotesi di
incompatibilità previste da tale d.m.
Il Collegio non può che osservare come il richiamato art. 38, ben più
sintetico
dell’art. 16 d.lgs. 28/2010, non conteneva alcuna delega alla potestà
regolamentare
ministeriale in ordine all’individuazione di requisiti di imparzialità
del singolo
mediatore - e quindi di incompatibilità e conflitto di interessi – ma si
limitava, al
comma 2, a prevedere che: “Il Ministro della giustizia determina i
criteri e le modalità di
iscrizione nel registro di cui al comma 1, con regolamento da adottare
ai sensi dell'articolo 17,
comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro novanta giorni dalla
data di entrata in
vigore del presente decreto. Con lo stesso decreto sono disciplinate
altresì la formazione dell'elenco e la sua revisione, l'iscrizione, la
sospensione e la cancellazione degli iscritti…”.
E’ facile convenire che “nessuno ha mai dubitato della legittimità delle
ipotesi di
incompatibilità previste da tale DM”, ma perché in tale decreto non vi
erano
regolate ipotesi di incompatibilità, come invece contenute nell’art. 14
bis
impugnato in questa sede, facendosi rimando sul punto ai regolamenti dei
singoli
organismi.
Infine, che la norma contestata sia rivolta a tutti i mediatori e non
solo agli
avvocati non legittima la deroga ai limiti di cui all’art. 17, comma 3,
l. n. 400/88 ma
evidenzia, proprio per la sua generalità e astrattezza, l’illogicità di
conseguenze
specifiche nei confronti della specifica categoria in questione,
qualificata da norma
primaria mediatore “di diritto”, laddove sussistono già le
regolamentazioni dei
singoli organismi di mediazione e quella di cui all’art. 62 del codice
deontologico,
che comunque l’avvocato è tenuto ad osservare.
Alla luce di quanto illustrato, quindi, il ricorso deve trovare
accoglimento per le
deduzioni di cui ai primi due motivi di ricorso, con assorbimento delle
altre
censure, comportando l’accoglimento del gravame e comunque l’espunzione
dell’intero art. 14 bis dal testo del d.m. n. 180/2010.
La fondatezza del ricorso introduttivo comporta, poi, anche
l’annullamento
dell’impugnata circolare ministeriale di cui ai motivi aggiunti, per
illegittimità
derivata.
Le spese di lite possono eccezionalmente compensarsi per la novità della
fattispecie.
PQM
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima),
definitivamente pronunciando sul ricorso e i motivi aggiunti, come in
epigrafe
proposti, li accoglie e, per l’effetto, annulla i provvedimenti
impugnati.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità
amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 9 marzo 2016 con
l'intervento
dei magistrati:
Carmine Volpe, Presidente
Raffaello Sestini, Consigliere
Ivo Correale, Consigliere, Estensore
AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.