È infondato il motivo di ricorso con il quale di deduca violazione e
falsa applicazione dell'art. 55-bis, oggi 62, comma 5, del codice deontologico,
laddove si sostenga che la norma richiederebbe la coincidenza di sede dell'organismo
con lo studio del professionista e non vieterebbe affatto la loro vicinanza o
contiguità, è infondato. Va invece ritenuto che anche la mera contiguità
spaziale possa costituire un fattore sufficiente a far dubitare i terzi
dell'imparzialità e dell'indipendenza dell'avvocato-mediatore. Infatti,
l'apparente commistione di interessi è idonea a ledere l'immagine della
professione e dell'istituto della mediazione (III).
(I) In argomento si veda Cass.16/02/2023 n. 4849.
(II) Si veda l'art. 4, comma 3, del D.M. Giustizia n. 180 del 2010 (in Osservatorio Mediazione Civile 52/2014)
(III) In tal senso si veda la circolare illustrativa n. 24/2011 delConsiglio Nazionale Forense (in Osservatorio Mediazione Civile 70/2012) e la circolare del Ministero della Giustizia del 27novembre 2013 (in Osservatorio Mediazione Civile 83/2013).
Fonte: Osservatorio
Mediazione Civile n. 38/2023
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)
Cote di Cassazione
Sezioni Unite
sentenza n. 25440
29 agosto 2023
Omissis
Fatti di causa
1. Con nota trasmessa al Consiglio dell'Ordine di Messina in data
17/07/2012, l'avv. R.R. esponeva di aver avuto notizia da un cliente della
convocazione ad un incontro di mediazione obbligatoria presso l'Organismo di
Mediazione "(Omissis)" presieduto dall'avv. C.L. il quale aveva
rappresentato nella fase stragiudiziale ed in quella di mediazione la sua
controparte e di aver constatato che lo studio dell'avvocato C. si trovava
nello stesso stabile e nel medesimo appartamento.
2. Con pec del 4 settembre 2012 il Consiglio dell'Ordine di Messina
comunicava l'esposto all'avv. C.L. invitandolo a presentare deduzioni e questi
il 15/5/2013 si difendeva respingendo ogni accusa di violazione di regole
deontologiche e precisava di non aver preso parte né di esser stato presente
all'incontro fissato per la mediazione. Inoltre, chiariva che la sede
dell'Organismo e quella dello studio legale si trovavano sì nel medesimo
appartamento ma non nel medesimo studio avendo i due uffici ingressi e locali
diversi e che i due uffici condividevano solo il portoncino d'ingresso.
3. Il C.D.D. costituitosi per effetto dell'introduzione della nuova
disciplina comunicava l'avvio del procedimento disciplinare e il 29 luglio 2017
contestava al C. di "essersi reso responsabile della violazione dell'art.
55 bis del precedente codice deontologico (art. 62 codice attuale), in
particolare il IV comma che fa divieto all'avvocato di consentire che
l'organismo abbia sede, a qualsiasi titolo, presso il suo studio o che
quest'ultimo abbia sede presso l'organismo di mediazione. In Messina in data prossima
e successiva al 16/07/2012".
3.1. All'esito dell'istruttoria dibattimentale, ricostruita la
collocazione e ripartizione dei locali tra quelli dello studio C. e quelli
dell'organismo di mediazione, riteneva che la separazione degli ambienti
all'interno del medesimo appartamento non valesse ad escludere l'integrazione
della fattispecie sanzionata dall'art. 55 bis comma IV codice deontologico
applicabile e, con la decisione del 26 settembre del 2018, dichiara l'avv. C.
responsabile dell'illecito a lui ascritto e irrogava la sanzione della
sospensione dall'esercizio dell'attività professionale per mesi due.
4. L'avv. C. impugnava la decisione e il Consiglio Nazionale Forense
confermava la decisione affermando, in primo luogo, che l'azione disciplinare non
si era prescritta poiché l'illecito contestato aveva carattere continuato e non
istantaneo e pertanto il termine quinquennale di prescrizione non era iniziato
a decorrere quanto meno fino alla data della sentenza disciplinare di primo
grado (nel settembre 2018).
4.1. Accertava infatti che l'Organismo di riferimento
"(Omissis)" aveva la sua sede, alla data della decisione, all'indi R.
comune a quello dello studio legale e dunque il comportamento contestato
all'avv. C. era proseguito nel tempo.
4.2. Sottolineava che il disvalore ascritto alla coincidenza ovvero
contiguità tra sede dell'organismo di mediazione e sede dello studio legale
derivava dalla necessità di evitare anche la mera apparenza di una commistione
di interessi, di per sé sufficiente a far dubitare dell'imparzialità
dell'avvocato mediatore.
4.3. Evidenziava infatti che il valore protetto dalla norma aveva
rilievo generale e indipendente rispetto allo svolgimento di singoli
procedimenti e doveva essere tutelato a prescindere dalla circostanza che la
commistione di interessi emergesse in relazione a un procedimento individuato.
4.4. Quanto alle altre censure mosse alla decisione di primo grado il
Consiglio Nazionale riteneva che non fosse ravvisabile una violazione del
diritto di difesa nella scelta del CDD - nell'ambito dell'ampio potere
discrezionale riconosciutogli nel valutare ammissibilità, rilevanza, necessità
e conferenza delle prove richieste - di ridurre la lista dei testi da escutere
tenuto conto del fatto che le circostanze di fatto su cui i testi erano
chiamati a riferire erano identiche e tutte pacificamente acquisite al
procedimento disciplinare e non contestate dal ricorrente neppure in sede di
impugnazione.
4.5. Alla luce della ricostruzione dei fatti e dei luoghi (il comune
ingresso di studio ed organismo in Messina, Via Botta n. 6, pur con differente
campanello; il comune pianerottolo ed un vano/anticamera condiviso; la
diversità delle porte di accesso e poi, a seguire, dei locali propri dello
Studio C. e dell'Organismo di mediazione), incontestata nella sua materialità,
la sentenza confermava la rilevanza disciplinare della condotta evidenziando
che i beni che la norma intende tutelare sono i valori etici nell'esercizio
della professione forense anche sotto il profilo dell'apparenza agli occhi dei
terzi.
4.6. Sottolineava infatti che anche tale carente apparenza è idonea a
generare una immagine negativa dell'istituto della mediazione poiché
sollecitando anche solo una ipotetica commistione di interessi si faceva
dubitare dell'imparzialità ed indipendenza dell'avvocato-mediatore (in questo
senso la circolare del Consiglio n. 24/2011). Precisava che il divieto di
coincidenza/contiguità che opera nei confronti dei soggetti in mediazione
tutelava l'immagine dell'Avvocatura e la condotta accertata incrinava l'idea di
totale fiducia e trasparenza dell'istituto della mediazione. In tale
prospettiva il Consiglio valutava che la separazione di locali all'interno del
medesimo appartamento non valeva ad escludere l'applicabilità dell'art. 55 bis
comma IV (ora 62, comma 5) del CDF poiché si trattava di tutelare una
condizione astratta di indipendenza ed imparzialità, di garantire, anche
visivamente una divisione tra l'attività di difesa e quella di mediazione.
4.7. In conclusione, riteneva integrato il fatto contestato sia sotto
il profilo oggettivo che sotto il profilo soggettivo ed accertava che la
condotta era grave e giustificava la sanzione irrogata tenuto conto che la
coincidenza/contiguità non risulta riferibile ad un organismo terzo rispetto al
ricorrente bensì ad una realtà da quest'ultimo stesso presieduta ed utilizzata
anche per la propria clientela (come nel caso della mediazione esposta dal
reclamante).
5. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l'avvocato C.L.
affidato a otto motivi. Il Procuratore Generale ha concluso per
l'inammissibilità del quarto e dell'ottavo motivo e per la reiezione degli
altri. Il ricorrente ha depositato memoria insistendo nelle conclusioni già
prese.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione dell'art.
8 della L. 24 marzo 1958, n. 195, della L. 12.8.1962, n. 1311, del D.Lgs. n.
165 del 2001, dell'art. 29 comma 2 lett. t) della L. 31 dicembre 2012 n. 247 e
dell'art. 110 Cost.. L'eccesso di potere per omessa richiesta di informazioni e
collaborazione e la disparità di trattamento. Tanto ai sensi dell'art. 360
c.p.c., nn. 3 e 4. La violazione dell'art. 102 c.p.c., l'omessa integrazione
del contraddittorio e la nullità derivata della sentenza sempre in relazione
all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4.
1.1. Ad avviso del ricorrente il Consiglio Nazionale Forense non
avrebbe dovuto confermare la sentenza del C.D.D. ma piuttosto disporre non
esservi luogo a procedere atteso che, con analoga indagine investigativa,
l'Ispettorato Generale del Ministero della Giustizia, nell'ambito dell'ampio
potere di vigilanza e controllo attribuitogli, aveva escluso l'esistenza di
irregolarità. Chiede, in proposito, di produrre la "Relazione Ispettiva n.
(Omissis)", redatta a conclusione dell'ispezione ordinaria disposta che
aveva interessato anche l'(Omissis) e che era stata comunicata all'Avvocato C.
con nota del 20.2.2023. Sottolinea che tra gli uffici deve esistere una
reciproca collaborazione, con scambio di informazioni e che il C.O.A. avrebbe
dovuto comunicare all'Ispettorato l'esposto (ai sensi e per gli effetti della L
31/12/2012 art. 29 lett. t) Nuova disciplina della legge professionale). Non avendolo
fatto, aveva alterato l'esito del giudizio disciplinare e le stesse sorti
dell'equo e giusto processo nei suoi confronti.
2. Il motivo non può essere accolto.
2.1. Va premesso che il procedimento ispettivo di verifica di
regolarità dell'ufficio di mediazione si muove su un piano diverso rispetto a
quello dell'accertamento dell'esistenza di un illecito disciplinare in capo
all'avvocato che sia anche componente (nella specie presidente) dell'ufficio di
mediazione e che per esso abbia prestato i suoi uffici anche in casi in cui
aveva assunto la rappresentanza di una delle parti. Non necessariamente,
infatti, il procedimento ispettivo ha le caratteristiche per interferire con il
separato e distinto procedimento disciplinare. Nello specifico, poi, l'esposto
presentato al Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Messina, poi trasmesso al
neo costituito CDD, aveva ad oggetto la violazione della ipotesi descritta alla
lett. b) dell'art. 55 bis del Codice deontologico che si riferisce al caso in
cui "(...) una delle parti sia assistita o sia stata assistita negli
ultimi due anni da professionista di lui socio o con lui associato ovvero che
eserciti negli stessi locali", e del comma IV della stessa disposizione
che fa " (...) divieto all'avvocato di consentire che l'organismo di
mediazione abbia sede, a qualsiasi titolo, presso il suo studio o che
quest'ultimo abbia sede presso l'organismo di mediazione".
2.2. Si tratta di illecito disciplinare che attiene direttamente alla
condotta deontologicamente non corretta dell'avvocato senza interferire
necessariamente con la regolarità dell'esercizio dell'ufficio di mediazione,
che costituisce l'oggetto del controllo da parte dell'Ispettorato. Va
evidenziato che, peraltro, l'avvocato C. era ben a conoscenza dell'esistenza dell'accertamento
ispettivo. Questo, disposto nell'ambito delle attività ordinarie di controllo
ispettivo, si era svolto nei locali dell'organo di mediazione insistenti nello
stesso immobile dove questi aveva il suo studio professionale. Nulla risulta
essere stato segnalato nel corso del procedimento neppure con riguardo
all'esistenza di un duplice l'accertamento di cui era ben a conoscenza. Nel
contesto dell'accertamento ispettivo poi, per quanto dedotto dallo stesso
ricorrente, venne redatta una relazione (n. b. del 2014) che è stata comunicata
all'ufficio di mediazione oggetto dell'Ispezione, di cui l'Avvocato C. era
presidente. Di tale relazione ispettiva, ufficialmente comunicata al ricorrente
nel 2023, chiede che sia autorizzata oggi la produzione che tuttavia non è
ammissibile.
2.3. E' ben vero che nella nozione di nullità della sentenza, che
consente la produzione nel giudizio di legittimità di nuovi documenti, ex art.
372 c.p.c., da interpretare in senso ampio, possono essere comprese accanto
alle nullità derivanti dalla mancanza di requisiti formali della pronunzia
anche quelle correlate a vizi del procedimento che influiscono direttamente
sulla decisione (cfr. Cass. 11/09/2018 n. 22095 e 15/09/2021n. 24942) e che
perciò si è ritenuto che assumano rilievo anche documenti (quali le
certificazioni "postume" rilasciate dalla cancelleria del giudice
d'appello in ordine al rispetto degli adempimenti processuali) che incidano
sulla proponibilità, procedibilità e proseguibilità del ricorso (inclusi quelli
diretti ad evidenziare l'acquiescenza del ricorrente alla sentenza impugnata
per comportamenti anteriori all'impugnazione, ovvero la cessazione della
materia del contendere per fatti sopravvenuti che elidano l'interesse alla
pronuncia sul ricorso purché riconosciuti ed ammessi da tutti i contendenti)
(cfr. Cass. n. 3934 del 2016) ma ciò non vale ad autorizzare la produzione di
un documento (la relazione dell'ispettorato che esclude l'esistenza di problemi
sulla sede) che attiene piuttosto alla valutazione della sussistenza o meno
dell'illecito disciplinare e che impinge direttamente in una ricostruzione del
fatto che, demandata al giudice del merito, è in questa sede inammissibile.
3. Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione dell'art. 102
c.p.c. in quanto il provvedimento di sospensione dall'esercizio della
professione forense sarebbe stato adottato in assenza di contraddittorio nei
confronti dell'organismo di mediazione, (Omissis) e del Ministero della
Giustizia, sebbene tale provvedimento avrebbe determinato la sospensione o
addirittura la cancellazione dell'avvocato anche dal registro dei mediatori ad
opera del Ministero. A tal proposito, l'Avv. C. ha chiesto che venga acquisita
la PEC del 20 febbraio 2023 con cui il Ministero della Giustizia avrebbe
confermato che l'incolpato poteva mantenere la carica di Presidente
dell'organismo di mediazione ma non anche quella di mediatore.
4. Il motivo è infondato.
4.1. Sussiste il litisconsorzio necessario, oltre che nei casi
espressamente previsti dalla legge, in tutte le ipotesi in cui la particolare
natura o configurazione del rapporto giuridico dedotto in giudizio e
l'esistenza di una situazione comune ad una pluralità di soggetti comporti che
la decisione non possa conseguire il proprio scopo se non sia resa nei
confronti di tutti questi soggetti (cfr. Cass. 04/01/2005 n. 121). In sostanza
l'esigenza della partecipazione al processo di tutti i soggetti della
situazione sostanziale dedotta in giudizio ricorre unicamente quando, in
assenza anche di uno soltanto di essi, la sentenza finisca per risultare
inidonea a produrre un qualsiasi effetti giuridico anche nei confronti degli
altri (cfr. Cass. 22/09/2004 n. 19004). La funzione dell'istituto nel processo
civile non è quella di tutelare il diritto di difesa dei litisconsorti
pretermessi, protetti dall'inefficacia nei loro confronti di una pronuncia
emessa a seguito di un giudizio a cui essi siano rimasti estranei, quanto
piuttosto quella di tutelare chi ha proposto la domanda e che non sarebbe in
grado di conseguire quanto richiesto se la sentenza non producesse effetti nei
confronti di tutti i litisconsorti.
4.2. Tanto premesso è utile ricordare che con il procedimento
disciplinare forense si persegue lo scopo di tutelare l'immagine, la dignità e
il decoro della professione, accertando gli eventuali illeciti deontologici
commessi dall'avvocato e irrogando le sanzioni previste.
4.3. Venendo poi all'esame della disciplina della mediazione va
ricordato che con l'art. 60 della legge delega 18 giugno 2009 n. 69, nel
dettare i principi a cui il Governo doveva attenersi nell'adozione dei decreti
delegati in materia di mediazione e di conciliazione in ambito civile e
commerciale, si è stabilito che la mediazione doveva essere svolta da organismi
professionali e indipendenti, stabilmente destinati all'erogazione del servizio
di conciliazione (cfr. art. 60 comma 2 lett. b)), nel rispetto della normativa
comunitaria e con l'istituzione di un Registro presso il Ministero della
Giustizia al quale doveva essere assegnata la vigilanza (lett. c)) e che
avrebbe provveduto, con suo decreto, all'indicazione dei requisiti per
l'iscrizione e per la sua conservazione (lett.d)). Con il D.Lgs. n. 4 marzo
2010 n. 28 si è data attuazione della delega e sono state dettate norme volte a
garantire l'imparzialità e terzietà del mediatore nell'esercizio delle proprie
funzioni: l'art. 3 sulle modalità di nomina del mediatore; gli artt. 9 e 10
sull'obbligo di riservatezza rispetto alle dichiarazioni rese e alle
informazioni da questi acquisite durante il procedimento di mediazione; l'art.
14, sugli obblighi dichiarativi ed informativi. Inoltre, con l'art. 16 è stata
disciplinata l'istituzione del registro degli organismi deputati a gestire il
procedimento di mediazione ed è stato previsto, tra l'altro, che l'iscrizione,
la sospensione e la cancellazione degli iscritti nel registro fossero
disciplinate con decreti del Ministro della giustizia. Nel dare attuazione a
tale previsione il Ministero della Giustizia, con decreto n. 180 del 2010
all'art. 4 comma 3, ha disposto che il responsabile della tenuta del registro
fosse tenuto a verificare la presenza dei requisiti in capo al mediatore. Si è
quindi previsto che per il possesso di quello di onorabilità il mediatore non
debba avere riportato, tra l'altro, sanzioni disciplinari diverse
dall'avvertimento. Quanto alla persistenza del requisito successivamente
all'iscrizione, poi, all'art. 10 è stato previsto che il responsabile della
tenuta del Registro debba disporre la sospensione dell'iscritto e, nei casi più
gravi la cancellazione dal registro, qualora sopravvengano o risultino nuovi
fatti che ne avrebbero impedito l'iscrizione nel registro; ovvero quando siano
stati violati gli obblighi di comunicazione di cui agli art. 8 e 20; o ancora
nel caso di reiterata violazione degli obblighi del mediatore. Tale potere di
controllo deve essere esercitato, nei modi e nei tempi stabiliti da circolari o
atti amministrativi equipollenti, di cui è data comunicazione agli organismi
interessati, anche mediante l'acquisizione di atti e di notizie (comma 4).
4.4. Tanto premesso va rilevato che nel caso in esame in esito al
procedimento disciplinare avviato a seguito dell'esposto inviato al C.O.A.
allora competente, è stata disposta la sospensione dell'avvocato C. dall'esercizio
dell'attività forense per la durata di due mesi. Con tale provvedimento si è
inteso conseguire l'obiettivo di vietare all'avvocato di svolgere qualsivoglia
attività correlata allo svolgimento della professione per il periodo
prescritto. Conseguenza dell'irrogazione della sanzione disciplinare della
sospensione è il venir meno del requisito di onorabilità (consistente nel non
aver riportato sanzioni disciplinari diverse dall'avvertimento) di cui all'art.
4, comma 3, del D.M. Giustizia n. 180 del 2010.
Si tratta di effetto riflesso della decisione impugnata che non implica
la necessaria partecipazione dell'organismo di mediazione e del Ministero della
Giustizia al procedimento con il quale viene contestata la legittimità
dell'irrogazione di quella sanzione disciplinare posto che nel giudizio
disciplinare gli unici soggetti portatori di un interesse giuridicamente
tutelato e perciò contraddittori necessari sono il soggetto destinatario del
provvedimento impugnato, il Consiglio dell'ordine locale che ha deciso in primo
grado in sede amministrativa (oggi CDD) oltre che il Pubblico Ministero presso
la Corte di Cassazione. La circostanza che la conferma della sanzione
disciplinare si rifletta sul requisito di onorabilità richiesto per essere
parte di un organismo di mediazione non comporta l'obbligo di integrare il
contraddittorio nei confronti di coloro che di tale accertamento dovranno
eventualmente prendere atto posto che quell'azione non è finalizzata alla
costituzione o alla modifica di un rapporto plurisoggettivo unico, ovvero
all'adempimento di una prestazione inscindibile comune a più soggetti (cfr.
Cass.16/02/2023 n. 4849).
5. Con il terzo motivo è denunciata la violazione dell'art. 2 n. 3
della L. 13 aprile 1988 n. 117, l'eccesso di potere per manifesta illogicità,
l'omessa motivazione e motivazione per relationem la derivata nullità della
sentenza in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4.
5.1. Il ricorrente censura la sentenza nella parte in cui afferma che
alla data della sentenza (Omissis) risultava avere, in base ad una rapida
consultazione informatica del suo sito, sede in (Omissis), in (Omissis).
5.2. Sostiene l'Avv. C. che il CNF avrebbe affermato la natura
permanente della condotta introducendo una prova, il sito web, che non sarebbe
stata mai acquisita agli atti del processo e che, peraltro, ne sarebbe
risultato un fatto non veritiero. Deduce infatti che il professionista a quella
data non avrebbe più avuto il proprio studio legale presso l'Organismo di
mediazione, avendolo spostato da tempo ad un altro indirizzo, come regolarmente
comunicato al COA di Messina.
6. Il motivo non può essere accolto.
6.1. Con la censura, infatti, non si coglie la ratio decidendi della
sentenza impugnata che ha accertato la permanenza della condotta sino alla data
della decisione di prime cure facendo rifermento, non alla consultazione del
sito web dell'organismo di mediazione, ma sul rilievo fattuale che a quel
momento (la data della decisione da parte del CDD) l'(Omissis) risultava avere
sede in (Omissis). Il riferimento al fatto che "ad una rapida
consultazione informatica" del sito dell'organismo di mediazione la sua
sede risultava continuare ad essere la stessa alla data della decisione del CNF
impugnata, non ha influito, come non era possibile che potesse influire, sulla
determinazione del dies a quo di decorrenza del termine di prescrizione.
L'accertamento della permanenza all'atto della decisione di secondo grado non
rileva nel contesto della decisione che resta corretta laddove accerta che alla
data della decisione di primo grado la situazione era quella denunciata. E'
principio consolidato infatti che nell'ipotesi in cui la condotta permanente si
protragga oltre la decisione di primo grado, per evitare una irragionevole, e
non prevista dalla legge imprescrittibilità dell'illecito, il limite ultimo di
permanenza dell'illecito disciplinare e, quindi, il dies a quo del termine
prescrizionale, deve essere individuato nella decisione disciplinare di primo
grado (Sez. U. 30/09/2022 n. 28468, 21/02/2019 n. 5200 e da ultimo Cass. Sez.
U. 26/07/2022n. 23239). Pertanto, come affermato condivisibilmente da questa
Corte (cfr. Cass. 08/10/2021 n. 27419) la parte che propone ricorso per
cassazione, deducendo la nullità della sentenza per un vizio dell'attività del
giudice, lesivo del proprio diritto di difesa, ha l'onere di indicare il
concreto pregiudizio derivato, atteso che, nel rispetto dei principi di
economia processuale, di ragionevole durata del processo e di interesse ad
agire, l'impugnazione non tutela l'astratta regolarità dell'attività
giudiziaria ma mira ad eliminare il concreto pregiudizio subito dalla parte,
sicché l'annullamento della sentenza impugnata è necessario solo se nel
successivo giudizio di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia
diversa e più favorevole a quella cassata (Cass. 05/04/2019, n. 9666).
6.2. Quanto al denunciato vizio di omessa motivazione ed alla
denunciata conseguente nullità della sentenza, rispetto al quale in memoria si
insiste per un vizio radicale di motivazione individuato nella formula
dubitativa adottata dalla sentenza impugnata ("il comportamento contestato
all'Avv. C. e` proseguito nel tempo quantomeno sino alla data della decisione
disciplinare di prime cure (settembre 2018)") va rilevato che il CNF ha
fatto proprio motivatamente l'accertamento di fatto del CDD che aveva accertato
il protrarsi della condotta e la censura oggi posta appare inammissibile ove si
consideri che il ricorrente non chiarisce se tale circostanza fattuale già
accertata come detto dal CDD fosse stata effettivamente contestata ed in che
termini davanti al CNF posto che da quel che emerge dalla lettura del
provvedimento il giudizio era stato piuttosto incentrato sulla rilevanza
disciplinare di un fatto che nella sua materialità era incontestato (cfr. pag.
5 della sentenza impugnata).
6.3. Per quanto riguarda poi il ricorso, asseritamente illegittimo,
alla motivazione per relationem va qui ribadito che la sentenza ben può essere
motivata "per relationem", purché il giudice dia conto, sia pur
sinteticamente, come nella specie ha fatto (cfr. pag. 6 della sentenza
impugnata) delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione
ovvero della identità delle questioni prospettate rispetto a quelle già
esaminate, sicché dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze
(nello specifico della decisione del CDD e della sentenza del CNF) possa
ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente (arg. ex Cass.
19/07/2016 n. 14786, 05/11/2018 n. 28139, 05/08/2019n. 20883).
7. Il quarto motivo di ricorso denuncia con riferimento all'art. 360
comma 1 n. 4 c.p.c. la nullità della sentenza per omesso esame dei motivi di
impugnazione, in relazione alla violazione dell'art. 37 della L. 31 dicembre
2012 n. 247 ed alla violazione e falsa applicazione dell'art. 64 R.D. 22
gennaio 1934, n. 37. Inoltre, deduce l'omesso esame di fatti decisivi per il
giudizio oggetto di discussione tra le parti con riferimento all'art. 360 comma
1 nn. 3 e 5 c.p.c.. 7.1. Il ricorrente - nel ricordare che l'art. 37 richiamato
in rubrica rinvia, per il procedimento in sede giurisdizionale innanzi al CNF,
alle disposizioni di cui agli artt. da 59 a 65 del R.D. 22 gennaio 1934 n. 37 -
sottolinea che, in particolare, l'art. 64 stabilisce che le decisioni del CNF
devono contenere l'indicazione dell'oggetto del ricorso, le deduzioni del
ricorrente, le conclusioni del pubblico ministero, quando sia intervenuto, i
motivi sui quali si fondano, il dispositivo, e prevede poi un obbligo esplicito
di motivazione.
7.2. Sostiene allora che la decisione impugnata sarebbe incorsa nelle
denunciate violazioni di legge, con conseguente nullità, poiché trincerandosi
dietro espressioni di stile, ricopiate quasi per intero dalla circolare del
medesimo Consiglio (la n. 24/2011), e sulla scorta di canoni ermeneutici di cui
all'art. 55 bis che nulla hanno a che vedere con la situazione reale emergente
dall'istruttoria avrebbe sostanzialmente disatteso l'obbligo di motivazione
impostogli. Apoditticamente, infatti, avrebbe affermato che vi era stata una
"sovrapposizione tra studio legale e organismo di mediazione", senza
spiegare, anche in violazione dell'art. 111, comma 6, Cost., in cosa tale
sovrapposizione fosse consistita posto che il ricorrente aveva dimostrato che
le due sedi erano dotate di distinti ingressi, diverse attrezzature, diverso
personale, diverse utenze e così via.
7.3. Sostiene che quindi ci si troverebbe di fronte ad una palese
violazione dell'obbligo di motivazione con riguardo a fatti rilevanti che, ove
presi in esame, avrebbero indirizzato diversamente la decisione. Sostiene che
l'error in procedendo dedotto imporrebbe al giudice di legittimità di sindacare
la decisione per verificarne la validità anche mediante l'accesso diretto agli
atti sui quali si basa il ricorso medesimo.
8. Il motivo è inammissibile in quanto, diversamente da quanto tenta di
affermare il ricorrente le censure sollecitano una revisione del merito, qui
preclusa considerato che la sentenza del CNF ha analizzato i fatti sottoposti
alla sua attenzione ricostruendoli in modo plausibile e dando degli stessi una
spiegazione ragionevole e ad essi aderente. Ciò posto va qui ribadito che le
decisioni del CNF sono impugnabili dinanzi alle sezioni unite solo per
incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge, nonché, ex art. 111
Cost., per vizi di motivazione con la conseguenza che l'accertamento del fatto
e l'apprezzamento della sua gravità per l'individuazione delle condotte
costituenti illecito disciplinare e per la valutazione e adeguatezza della
sanzione non sono sottoposte al controllo di legittimità se la decisione è
caratterizzata da ragionevolezza (Cass. sez. un. 31/07/2018 n. 20344). La
valutazione del giudice disciplinare non è sindacabile sul piano del merito la
e la corte si deve limitare ad esprimere un giudizio di congruità e assenza di
vizi logici della motivazione che sorregge la decisione (cass. sez. un.
02/12/2016 n. 24647). Nella specie si tratta di decisione adeguatamente
motivata che opera una ricostruzione dei luoghi alla luce delle prove acquisite
ed interpreta la normativa applicabile tenuto conto della sua ratio chiarendo
che ciò che rileva è la volontà nel compiere l'atto oggetto dell'addebito.
9. Il quinto motivo di ricorso con il quale si deduce che l'Ispettorato
Generale, all'esito delle operazioni ispettive, aveva attestato la regolarità
dell'organizzazione dell'organismo di mediazione, con conseguente esclusione di
ogni responsabilità dell'incolpato che avrebbe agito in maniera lecita non
considera, nella sua ricostruzione, che i fatti addebitati al ricorrente
avevano ad oggetto condotte più risalenti rispetto all'epoca in cui si erano
svolti gli accertamenti ispettivi ricordati. La condotta era iniziata nel 2012
(più precisamente i fatti risalivano al 16.7.2012) e dunque in epoca antecedente
all'ispezione del Ministero svoltasi tra il 25 marzo 2014 ed il 1 aprile 2014.
10. Anche il sesto motivo di ricorso con il quale l'Avv. C. deduce, in
relazione all'art. 360 comma 1 nn. 3 e 4 c.p.c., la violazione e falsa
applicazione dell'art. 55-bis, oggi 62, comma 5, del codice deontologico, in
quanto sostiene che la norma richiederebbe la coincidenza di sede
dell'organismo con lo studio del professionista e non vieterebbe affatto la
loro vicinanza o contiguità, è infondato.
10.1. Ritiene il Collegio che condivisibilmente la decisione impugnata
ha rilevato come anche la mera contiguità spaziale possa costituire un fattore
sufficiente a far dubitare i terzi dell'imparzialità e dell'indipendenza
dell'avvocato-mediatore. Infatti, l'apparente commistione di interessi è idonea
a ledere l'immagine della professione e dell'istituto della mediazione. In
questi termini si è espressa la circolare illustrativa n. 24/2011 del Consiglio
Nazionale Forense e del pari con circolare del Ministero della Giustizia del 27
novembre 2013 si è posto in rilievo come "la contemporanea qualifica di
mediatore e di avvocato, l'obbligatorietà dell'assistenza legale nella c.d.
mediazione obbligatoria, la necessità comunque dell'assistenza legale nella
mediazione facoltativa per addivenire alla formazione immediata del titolo
esecutivo (art. 12), il regime di autonomia in materia di formazione e
aggiornamento riconosciuto agli avvocati, costituiscono indici normativi che -
nel delineare un regime speciale riservato dal legislatore all'avvocato-mediatore
- pongono l'esigenza di alcune indicazioni, funzionali ad evitare profili di
sovrapposizione tra l'esercizio della professione forense e lo svolgimento
dell'attività di mediatore". Si è quindi sottolineato che, in tale
prospettiva, l'art. 55 bis comma 4 del codice deontologico forense - che fa
divieto all'avvocato di consentire che l'organismo di mediazione abbia sede, a
qualsiasi titolo, presso il suo studio o che quest'ultimo abbia sede presso
l'organismo di mediazione - ha carattere vincolante per l'organismo di
mediazione proprio per escludere la sovrapposizione di ruoli e tutelare
l'immagine di imparzialità del mediatore-avvocato. Lo svolgimento imparziale
dell'attività di mediazione è un dovere del singolo mediatore rispetto alle parti
del procedimento di mediazione ed anche un valore e un dovere imprescindibile
dello stesso organismo di mediazione, come si desume dall'art. 4 del
regolamento di cui al D.M. n.180/2010, che nel dettare i criteri per
l'iscrizione nel registro degli organismi, stabilisce che l'autorità vigilante
deve verificare, fra l'altro, che siano offerte "le garanzie di
indipendenza e imparzialità" nello svolgimento del servizio di mediazione
(art. 4 lett. e).
10.2. A tali principi si è attenuta la sentenza impugnata che ha
correttamente interpretato la norma chiarendone la ratio e verificando, in
fatto e sulla base di dati oggettivi dalla stessa accertati, che lo stato dei
luoghi era tale da ingenerare una situazione evidente di coincidenza. Un comune
ingresso, un comune pianerottolo, un vano e un'anticamera condivisi senza
trascurare che vi erano diverse porte di accesso.
10.3. Quanto alla sindacabilità dell'apprezzamento deontologico operato
dal giudice disciplinare dei fatti ed all'idoneità del comportamento posto in
essere dall'avvocato a ledere il decoro e la dignità professionale della
categoria questo appartiene in via esclusiva al giudice del merito e, ove
sorretto da motivazione sufficiente, non è sindacabile da parte del giudice di
legittimità se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza. Si tratta
di valutazione che evidentemente non riguarda la motivazione del fatto storico,
bensì la sussunzione dell'ipotesi specifica nella norma generale, quale sua
concretizzazione (Cass. sez. un. 17/03/2017 n. 6967, 18/11/2010n. 23287 e più
recentemente 30/12/2020 n. 29823). 10.4. Nella specie, coerentemente con tali
principi, il giudice disciplinare -attingendo ai valori indicati dalla norma di
cui ha verificato la violazione e richiamandosi a fattori esterni presenti
nella coscienza comune - ha dato concretezza alle nozioni generali richiamate
nella disposizione, suscettibile di adeguamento rispetto al contesto storico
sociale in cui deve trovare operatività, ed ha coerentemente ritenuto violato
il dovere di correttezza gravante sull'avvocato che faccia parte anche di un
organismo di mediazione la cui condotta deve essere improntata a trasparenza e
indipendenza rivelatrici della sua imparzialità.
11. Con il settimo motivo di ricorso è denunciata, ai sensi dell'art.
360 c.p.c., comma 1, n. 3., la violazione dell'art. 1 della Legge 689/1981 in
relazione all'art. 55 bis del previgente codice deontologico forense ed
all'art. 62, comma 5, dell'attuale codice disciplinare forense con riferimento
agli artt. 25 e 117 comma 1 della Costituzione ed all'art. 7 della CEDU oltre
che il vizio di motivazione della sentenza per avere confermato la sanzione
inflitta.
11.1. Deduce il ricorrente che la condotta contestata sarebbe stata
commessa nel luglio 2012, vigente l'art. 55 bis che non prevedeva una specifica
sanzione sicché a norma dell'art. 2 della legge disciplinare spetta agli organi
disciplinari infliggere la sanzione adeguata e proporzionata alla violazione
accertata tenuto conto del fatto che le sanzioni devono essere adeguate alla
gravità dei fatti, devono tener conto della reiterazione dei comportamenti e
delle specifiche circostanze, soggettive e oggettive, che hanno concorso a
determinare l'infrazione. Evidenzia che solo con l'art. 62 comma 6, entrato in
vigore dal 2014, è stata prevista per la violazione ascritta all'incolpato
l'applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio
dell'attività professionale per la durata da due a sei mesi ed inoltre solo con
l'art. 62 comma 5 sarebbe stato previsto espressamente il divieto per
l'organismo di mediazione di svolgere la sua attività presso lo studio,
condotta che peraltro non gli era stata espressamente contestata, sicché
erroneamente la sentenza, nell'applicare la sanzione, aveva valorizzato ai fini
della sua proporzionalità il fatto che essa coincideva con quella edittale
della nuova disciplina. Ritiene che in tal modo sarebbe stato violato anche
l'art. 1 della Legge 689/1981, che recita: "Nessuno può essere
assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia
entrata in vigore prima della commissione della violazione. Le leggi che
prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi
in esse considerati". Sottolinea che la sanzione della sospensione dalla
professione è particolarmente grave incidendo sull'attività lavorativa e sullo
status con pesanti ripercussioni economiche e personali e rammenta che ex art.
3 e 117 comma 1 della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 7 CEDU,
deve essere assicurata l'applicazione retroattiva della norma più favorevole
nel campo del diritto punitivo.
12. Il motivo è infondato.
12.1. Con la sua sentenza il C.N. F. apprezza la gravità della condotta
e, solo a tal fine, utilizza elementi esterni alla contestazione quale appunto
la posizione peculiare dell'avvocato C. rispetto all'organismo di mediazione.
Peraltro, va rilevato che gli elementi presi in considerazione per la
determinazione in concreto della sanzione erano sostanzialmente incontestati
tra le parti e dunque ben poteva il C.D.D. e poi in particolare il C.N. F.
avvalersene nel valutare la gravità della condotta al mero fine di individuare
la sanzione da applicare in concreto. A tal riguardo va qui ribadito che nel
procedimento disciplinare a carico degli avvocati, gli elementi valutati in
concreto per la determinazione della specie e dell'entità della sanzione non
attengono all'"an" o al "quomodo" della condotta, ma
solamente alla valutazione della sua gravità e devono, in sostanza, reputarsi
quali meri parametri di riferimento a questo solo scopo, in quanto tali
analoghi a quelli previsti dall'art. 133 e dall'art. 133-bis c.p.; tali
elementi, non integrando circostanze aggravanti in senso tecnico della
fattispecie dell'illecito - vale a dire elementi accidentali, non
indispensabili ai fini della sussistenza, della fattispecie sanzionatrice -,
sono di norma sottratti all'onere, per il titolare del potere sanzionatorio, di
previa e specifica contestazione (cfr. Cass. sez. un. 07/05/2019. n. 11933).
12.2. Va poi ribadito che in tema di procedimento disciplinare a carico
degli avvocati, la determinazione della sanzione adeguata costituisce tipico
apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità. (Cass. sez.un.
24/01/2020 n. 1609). L'accertamento del fatto e l'apprezzamento della sua
gravità ai fini della concreta individuazione della condotta costituente
illecito disciplinare e della valutazione dell'adeguatezza della sanzione
irrogata non può essere oggetto del controllo di legittimità, se non nei limiti
di una valutazione di ragionevolezza" (così Cass.sez. un. 28176 del 2020
cit.). Resta inammissibile ogni argomento con cui, nella sostanza, si intenda
qui confutare la scelta della sanzione più opportuna e la congruità di quella
in concreto applicata (cfr. Cass. sez.un. 16/07/2021 n. 20384).
13. Con l'ultimo motivo di ricorso il ricorrente deduce che la
sentenza, in violazione dell'art. 56 della L. n. 247 del 2012 avrebbe ritenuto
che l'azione disciplinare non fosse prescritta. Ritiene il ricorrente che non
sarebbe stata dimostrata la permanenza della condotta illecita fino alla
sentenza di primo grado e che la prescrizione dovrebbe decorrere dal 16 luglio
2012, data indicata nel capo di imputazione, o al più dal 20 luglio 2012data in
cui si è conclusa la mediazione dalla quale era scaturito l'esposto. Osserva
che alla data di notifica della deliberazione di apertura del procedimento
disciplinare (17.11.2017) erano trascorsi più dei cinque anni previsti dalla
legge e l'azione disciplinare si era prescritta. Deduce poi che anche
applicando il nuovo regime della prescrizione questa sarebbe comunque sarebbe
maturata atteso che l'art. 56 della Legge 247/2012, che è legge speciale,
innovando il procedimento disciplinare, ha stabilito che il termine di prescrizione
è di sei anni dal fatto ed ha previsto la sua interruzione per specifici motivi
e, comunque, "in nessun caso il termine stabilito nel comma 1 può essere
prolungato di oltre un quarto". Sostiene che in tal modo il legislatore ha
inteso che, al di là di ogni interruzione, il procedimento disciplinare deve
avere una durata massima prestabilita che è pari a sette anni e mezzo (sei anni
più un quarto) decorrente dal fatto o dalla data di cessazione della condotta
se correttamente individuata. Pertanto, nel caso concreto, essendo decorsi
dalla data dell'accertamento del presunto illecito deontologico (luglio 2012) a
quella della pronuncia del CNF (17.11.2022) oltre dieci anni il termine esterno
è stato superato.
14. Il motivo non può essere accolto.
14.1. Premesso che quanto all'applicazione della disciplina
sopravvenuta sulla prescrizione, più favorevole, questa Corte ha ricordato che
lo ius superveniens più favorevole all'incolpato si applica con riguardo alle
sanzioni disciplinari ma non anche con riferimento al regime della prescrizione
(arg. ex Cass. sez. un. 18/04/2018 n. 9558). L'interpretazione della portata
della disposizione contenuta nell'art. 65 L. n. 247 del 2012 ("le norme
contenute nel codice deontologico si applicano anche ai procedimenti disciplinari
in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per
l'incolpato"), esclude l'estensione al regime della prescrizione (cfr
anche Cass. Sez. un. 5596 del 2020 ed ivi le richiamate Cass. sez. un. 14905
del 2015, n. 1822 del 2015 e n. 11025 del 2014 e anche Cass. n. 8313 del 2019 e
n. 1609 del 2020. In senso contrario la sola Cass. 20/10/2015 n. 21829, rimasta
isolata). Il punto di riferimento per l'applicazione del regime della
prescrizione dell'azione disciplinare resta la commissione del fatto dal quale
la prescrizione decorre quando il fatto è punibile solo in sede disciplinare
(cfr. Cass. sez. un. 14985 del 2005 e n. 1609 del 2020 cit.). L'accertamento da
parte del C.N. F. del carattere permanente dell'illecito è giudizio di fatto,
sia quanto alla permanenza che alla cessazione della stessa, e non è
sindacabile in cassazione, potendo il ricorso attingere la decisione solo per
incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge e non quanto
all'accertamento del fatto (Cass. Sez. un. 24647 del 2016). La prescrizione
dell'azione disciplinare decorre perciò dalla cessazione della permanenza
(Cass. sez. un. 1822 del 2015 e n. 28159 del 2008 cit.). Al momento della
cessazione della permanenza deve aversi riguardo poi anche per stabilire la
legge applicabile. Si applica la disposizione sulla prescrizione vigente
all'epoca di cessazione della permanenza. Orbene la nuova normativa è entrata
in vigore il 2 febbraio 2013 ed essa, perciò, trova applicazione solo agli
illeciti la cui permanenza è cessata, secondo l'accertamento del CNF dall'anno
2013 in poi.
14.2. Nella specie, con accertamento di fatto insindacabile, è stata
accertata la continuazione fino alla decisione del CDD del 26.09.2018 e dunque
correttamente è stata esclusa la decorrenza della prescrizione.
15. In conclusione, per le ragioni sopra esposte, il ricorso deve
essere complessivamente rigettato ma non vi è luogo a provvedere sulle spese
del presente giudizio di legittimità, non avendovi alcuna controparte del
ricorrente svolto attività difensiva. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater,
D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla L. n. 228 del 2012 va dato atto
della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del
ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a
quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 se
dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Nulla per le spese.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115 del 2002, come
modificato dallaL. n. 228 del 2012 va dato atto della sussistenza dei
presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente,
dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto
per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 se dovuto.
AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.