=> Tribunale di Milano, 16 settembre 2019, n. 8252
Posto che l'art. 4, comma 2, d.lgs. 28/2010 stabilisce che l'istanza di mediazione deve indicare “l'organismo, le parti, l'oggetto
e le ragioni della pretesa”, va
affermato che l’esplicitazione di tali “ragioni – che costituisce dunque requisito di validità della procedura di mediazione – deve avvenire
nell'istanza e non nel verbale (che si limita a dare atto dell’esito della
stessa). Pertanto, ai fini della valutazione dell’eccepita improcedibilità della
domanda in caso di mediazione c.d. obbligatoria, non può fondarsi il difetto di genericità o asimmetria della domanda di
mediazione proposta dall'attore su
di una censura del verbale di mediazione, dovendo piuttosto riferirsi al contenuto dell'istanza
(nella specie il giudice non condivide la tesi della banca convenuta che aveva eccepito
l'improcedibilità delle domande attoree per il mancato rispetto dei requisiti
di cui all'art. 4 cit., sostenendo la mancanza
di simmetria tra l'oggetto della controversia indicato nel verbale di
mediazione e quello oggetto del giudizio, stante l'assoluta genericità
della dicitura "contratti bancari" indicata nel verbale quale
"oggetto della controversia") (I).
Fonte: Osservatorio
Mediazione Civile n. 4/2020
Tribunale di Milano
Sentenza n. 8252
16 settembre 2019
Omissis
La domanda di parte attrice è da ritenersi fondata nei limiti di
seguito esposti.
Banca omissis eccepisce in
via preliminare l'improcedibilità delle domande attoree per il mancato rispetto
dei requisiti di cui all'art. 4 D. Lgs. n. 28/2010 nella domanda di mediazione.
La stessa sostiene invero la mancanza di simmetria tra l'oggetto della
controversia indicato nel verbale di mediazione versato in atti (doc. 7 fasc.
attore) e quello oggetto del giudizio, stante l'assoluta genericità della
dicitura "contratti bancari" indicata nel verbale quale "oggetto
della controversia".
La tesi non può essere condivisa.
L'art. 4 comma 2° del D. Lgs. 28/2010, disposizione invocata dalla
convenuta a sostegno della propria argomentazione, stabilisce che
"L'istanza [di mediazione] deve indicare l'organismo, le parti, l'oggetto
e le ragioni della pretesa". L'esplicitazione di tali ragioni, che
costituisce dunque requisito di validità della procedura di mediazione, deve
quindi avvenire nell'istanza e non nel verbale che si limita a dare atto
dell'esito della stessa.
Non può dunque considerarsi generica o asimmetrica la domanda di
mediazione proposta dall'attore non potendo tale difetto fondarsi, come
vorrebbe l'Istituto, su di una censura del verbale di mediazione, dovendo
piuttosto riferirsi al contenuto dell'istanza.
In ogni caso quest'ultima, che risulta versata in atti (doc. 10 fasc.
attore), si appalesa specifica e circostanziata laddove contiene l'indicazione
di tutte le contestazioni di parte attrice compresa l'indicazione del quantum
della pretesa, elementi che sono del tutto simmetrici al petitum del presente
giudizio.
L'eccezione di parte convenuta è pertanto infondata e va respinta.
Parimenti infondata appare l'eccezione di prescrizione dell'azione di
ripetizione di indebito mossa dalla Banca convenuta relativamente agli importi
di cui al c/c antecedenti al 15.7.2005, data anteriore di dieci anni il primo
atto idoneo ad interrompere il decorso del termine di prescrizione costituito
dalla lettera di diffida trasmessa dal procuratore di parte attrice alla Banca
(doc. 2 fasc. attrice).
In proposito va ricordato che il conto corrente è un rapporto unitario
sebbene trovi esecuzione frazionata in una molteplicità di operazioni sicché il
termine prescrizionale per la ripetizione di indebiti decorre dalla chiusura
(Cass. sez. un. n. 24418/ 2010).
Nel caso di specie il conto corrente n. 19221 è stato estinto nel mese
di dicembre 2007 (è del 24.12.2007 la data della missiva con cui C.C. ha
richiesto l'estinzione del conto - doc. 3 fasc. attore) e non può dunque
ritenersi maturata la prescrizione decennale essendo stata notificata la
citazione in data 20 aprile 2016.
Peraltro diversa disciplina devono avere i versamenti solutori perché
effettuati su conto scoperto per assenza o superamento del fido. In tal caso,
invero, tale versamento non si limita a ripristinare la provvista, ma estingue
un debito esigibile del correntista, assumendo quindi la natura di autonomo
pagamento, per cui limitatamente a questo genere di operazioni la prescrizione
decorre dalla data di esecuzione e quindi opera l'eccepita prescrizione
decennale (ancora Cass. sez. un. n. 24418/ 2010).
Sul punto l'accertamento peritale svolto in corso di causa ha
evidenziato che " omissis ".
Quanto invece al periodo intercorrente tra il 28 febbraio 2003 ed il 15 luglio
2005 il saldo del conto n. omissis è
rimasto costantemente a debito del cliente, ne consegue che stante l'esistenza
di un c.d. "fido di fatto" le rimesse afferenti a tale lasso di tempo
debbano considerarsi ripristinatorie e dunque ripetibili. Invero, pur in assenza di specifica
pattuizione scritta sul punto, come osservato anche dal c.t.u., si può
verosimilmente ritenere che il conto corrente di cui è causa fosse
implicitamente affidato. "Questa ipotesi è supportata dalla considerazione
secondo la quale non risulta plausibile che una banca consenta stabilmente
scoperture sul conto corrente acceso a nome del cliente in misura non
irrilevante [...] in assenza di un affidamento accordato dalla funzione
organizzativa competente" (pag. 11 ctu). La prova del fido può infatti
essere fornita anche per il tramite di prove indirette dalle quali emerga in
modo univoco tale evidenza non essendo, diversamente da quanto sostenuto dalla
convenuta, la forma scritta obbligatoria per le operazioni e i servizi effettuati
in esecuzione di contratti, quale quelli di c/c, la cui redazione è prevista
per iscritto.
Relativamente ai contratti di apertura di credito invero l'art. 6 delle
Norme Uniformi Bancarie (NUB) per il contratto di c/c ne contiene la disciplina
essenziale. Come noto, l'art. 10 della
Delibera CICR 4.3.2003, in attuazione dell'art. 117 comma 2 TUB, ha autorizzato
la Banca d'Italia ad individuare forme diverse per operazioni e servizi
effettuati sulla base di contratti redatti per iscritto e le Istruzioni di vigilanza,
al Titolo X, cap. 1, sezione III.2, hanno sancito la non obbligatorietà della
forma scritta per le operazioni e i servizi effettuati in esecuzione di
previsioni contenute in contratti redatti per iscritto, fra i quali rientrano
le operazioni regolate in conto corrente, quali sono appunto le aperture di
credito. A partire dal 29.7.2009 le
medesime disposizioni sono state inserite nel provvedimento di Banca d'Italia
rubricato "Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e
finanziari" dove alla sezione III, par. 2, è espressamente previsto che
"La forma scritta non è obbligatoria per: a) le operazioni e i servizi
effettuati in esecuzione di contratti redatti per iscritto". Non sussiste,
quindi, alcun obbligo di forma scritta per i contratti di affidamento potendo
l'esistenza degli stessi essere dimostrata anche mediante prove indirette. Da ciò deriva che la doglianza della Banca in
punto di prescrizione è solo parzialmente fondata e che le rimesse eseguite
dalla correntista per il periodo tra il 28 febbraio 2003 ed il 15 luglio 2005
sono da considerare tutte ripristinatorie e dunque ripetibili. omissis
Pertanto correttamente il Consulente tecnico d'ufficio ha epurato il
conto corrente degli interessi attivi e passivi unilateralmente scelti e
applicati dalla Banca e li ha sostituiti con i tassi legali pro tempore
vigenti.
Per ciò che attiene alla capitalizzazione degli interessi parte attrice
sostiene in primo luogo che mancherebbe la relativa pattuizione di cui all'art.
2 della Delibera CICR del 9 febbraio 2000 e che, in ogni caso, le clausole in
punto di anatocismo di cui al conto corrente n. 19221 sarebbero state stipulate
in violazione dell'art. 1283 c.c..
La tesi non merita di essere condivisa.
Va in primo luogo chiarito che, quanto all'asserita violazione
dell'art. 1283 c.c., la disposizione menzionata si occupava di disciplinare,
secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, le
clausole anatocistiche stipulate anteriormente alla delibera CICR del 9
febbraio 2000 attuativa del d.lgs. 342/1999 le quali sono da considerarsi nulle
proprio perché in violazione dell'art. 1283 c.c. in quanto basate su un uso
negoziale e non su un uso normativo, mancando di quest'ultimo il necessario
requisito soggettivo, consistente nella convinzione di tenere un comportamento
giuridicamente obbligatorio, perché conforme ad una norma già esistente
nell'ordinamento (Cass. sez. un. 21095/2004).
Tuttavia con l'entrata in vigore della delibera CICR del 9 febbraio
2000, che ha consentito esplicitamente la capitalizzazione periodica degli
interessi a condizione di reciprocità delle condizioni contrattuali tra le
parti, non vi è motivo di ritenere la prassi anatocistica illegittima per
contrasto con l'art. 1283 c.c. purché venga fornita la prova che la Banca ha
correttamente adempiuto, ex art. 7 comma 2 della citata delibera, al dovere di
fornire "opportuna notizia per iscritto alla clientela" della nuova
modalità di regolazione dei rapporti di dare e avere relativi al conto
corrente.
Nel caso di specie dalle evidenze documentali risultano chiaramente sia
la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell'adeguamento dell'Istituto alla
delibera CICR del 9 febbraio 2000, sia la comunicazione al correntista avvenuta
mediante l'estratto conto del 30.6.2000, adeguamento che non risulta peraltro
essere mai stato oggetto di contestazione da parte del cliente.
Ne consegue che, delle quattro ipotesi di ricalcolo fornite dal
consulente tecnico d'ufficio (ipotesi n. 1 in assenza di fido di fatto, ipotesi
n. 2 con fido di fatto e capitalizzazione trimestrale degli interessi, ipotesi
n. 3 con fido di fatto e capitalizzazione annuale e ipotesi n. 4 con fido di
fatto ma senza alcuna capitalizzazione) va dato seguito all'ipotesi n. 2 a
fronte della già chiarita esistenza di un c.d. "fido di fatto" e
della corretta pattuizione in punto di capitalizzazione trimestrale emergente
dagli atti. omissis
Va infine rigettata la richiesta di parte attrice volta all'ottenimento
della condanna della Banca al risarcimento del danno stante l'assoluta
genericità della domanda peraltro non supportata da alcun riscontro probatorio
circa il pregiudizio che l'addebito di illegittime voci di costo da parte della
convenuta avrebbe arrecato all'attore.
In conclusione le doglianze dell'attore appaiono fondate nei limiti
sopra descritti.
All'esito dei riconteggi effettuati nell'elaborato, il saldo del conto
corrente omissis va rideterminato
nella misura indicata dal C.t.u.
che ha individuato, alla data del 27 dicembre 2007, una differenza a credito
del correntista pari a complessivi € 10.468,69 (importo ottenuto sommando le
differenze a favore del correntista alle diverse date del 28.2.04 e
27.12.07)-ipotesi n. 2 dell'elaborato peritale-.
Le conclusioni della C.t.u.
appaiono congrue e logicamente motivate e sono integralmente condivise dal
Tribunale.
omissis S.p.A. è pertanto tenuta a corrispondere all'attore la somma di €
10.468,69 oltre interessi legali dalla data della domanda al saldo.
Le spese di lite e di Ctu seguono la soccombenza e si liquidano come in
dispositivo.
PQM
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, disattesa ogni altra
domanda ed eccezione, così provvede: accerta e dichiara la prescrizione
dell'azione di ripetizione omissis; dichiara
la nullità delle clausole di capitalizzazione degli interessi, della clausola
di commissioni di massimo scoperto e della clausola in punto di interessi; ridetermina
il saldo omissis; condanna Banca omissis a corrispondere a omissis la suddetta somma, oltre
interessi legali dalla data della domanda al saldo; rigetta ogni altra domanda;
pone definitivamente a carico della convenuta soccombente le spese di C.t.u. come liquidate in corso di causa; condanna
la convenuta Banca omissis a
rifondere all'attore le spese di lite liquidate in complessivi € omissis oltre accessori di legge, IVA e
CPA.
AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.