DIRITTO D'AUTORE


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5 maggio 2024

20/24. MEDIA Magazine n. 5 del 2024 (Osservatorio Mediazione Civile n. 20/2024)


MEDIA Magazine

Mensile dell’Osservatorio Nazionale sulla Mediazione Civile
ISSN 2281 - 5139

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n. 5/24  Maggio 2024

 

 

La mediazione è strumento di Pace.

 

 

Giurisprudenza

 

Mediazione obbligatoria, il giudice d’appello può rilevare l'improcedibilità della domanda? (Osservatorio Mediazione Civile n. 18/2024)

=> Corte di Cassazione, 4 gennaio 2024 n. 205

 

Azione di più soggetti (nella specie: condòmini) disgiuntamente legittimati ad agire in giudizio, mancato esperimento della mediazione obbligatoria da parte di alcuni, conseguenze (Osservatorio Mediazione Civile n. 19/2024)

=> Corte di Cassazione, 12 dicembre 2023 n. 34714

 

 

CNF

 

Riforma Cartabia: aggiornato il regolamento unitario per gli Organismi di mediazione forensi costituiti dai Consigli dell’Ordine degli Avvocati (Osservatorio Mediazione Civile n. 16/2024)

 

 

COMMENTI E APPROFONDIMENTI

 

Riforma Cartabia, mediazione telematica e firma digitale: se la parte non ha lo spid, come rispettare il nuovo art. 8bis d.lgs. 28/2010? [CFnews] (Osservatorio Mediazione Civile n. 17/2024)

 

 

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Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 20/2024

(http://osservatoriomediazionecivile.blogspot.it) 

30 aprile 2024

19/24. Azione di più soggetti (nella specie: condòmini) disgiuntamente legittimati ad agire in giudizio, mancato esperimento della mediazione obbligatoria da parte di alcuni, conseguenze (Osservatorio Mediazione Civile n. 19/2024)


=> Corte di Cassazione, 12 dicembre 2023 n. 34714

 

Nell’ipotesi in cui agiscano più soggetti disgiuntamente legittimati a fare valere in giudizio la lesione di un diritto (nel caso di specie: più condomini lamentavano la lesione di un bene in regime di comproprietà) non è necessaria la partecipazione di tutti gli attori alla procedura di mediazione, ma è condizione necessaria e sufficiente a far luogo alla valida prosecuzione del processo nel rispetto della condizione di procedibilità ex art. 5, d.lgs. n. 28 del 2010, il fatto che, prima dell'instaurazione del processo ovvero (in caso di assegnazione giudiziale del termine) entro l'udienza fissata per la prosecuzione del processo, sia stato regolarmente espletato il tentativo di conciliazione con la partecipazione di uno solo fra gli attori disgiuntamente legittimati. Infatti, trattandosi di siffatta legittimazione, il potere del partecipante alla procedura (conclusasi senza successo) di validamente instaurare o proseguire il processo non può essere intaccato dalla mancata partecipazione al tentativo di conciliazione da parte degli altri soggetti attivamente legittimati. In tal caso rimarrà improcedibile la domanda di costoro, che potranno peraltro giovarsi dell'eventuale accoglimento della domanda coltivata dall'attore che abbia regolarmente esperito il tentativo di conciliazione (così come potranno aderire ad una raggiunta conciliazione) (I).

 

(I) Si veda l’art. 5, d.lgs. n. 28/2010 (come novellato dalla c.d. riforma Cartabia), in Osservatorio Mediazione Civile n. 28/2023.

 

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 19/2024

(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

 

Cote di cassazione

sezione II

sentenza n. 34714

12 dicembre 2023

 

Omissis

 

Fatti di causa

Nel 2014 alcuni condomini del Condominio --- convenivano dinanzi al Tribunale di Ivrea il condomino --- per la riduzione in pristino di un muro condominiale (sul quale egli aveva apposto una gigantografia, reputando che il muro fosse di sua proprietà esclusiva). Si aggiungeva con intervento volontario ---, in qualità di successore a titolo particolare di uno degli attori. Il convenuto contestava la domanda e in prima udienza eccepiva che il tentativo di conciliazione era stato promosso da un solo degli attori --- presso un organismo di conciliazione estraneo al luogo del giudice territorialmente competente per la controversia. Il Tribunale assegnava in sequenza ulteriori termini per lo svolgimento del tentativo e, all'esito del giudizio, accoglieva la domanda degli attori. Su appello del convenuto che ha lamentato l'irrituale espletamento della procedura di mediazione e l'ingiustizia nel merito, la Corte di appello ha accolto la prima censura e dichiarato improcedibile la domanda. Ricorrono in cassazione gli attori con tre motivi. Resiste il convenuto con controricorso.

 

Ragioni della decisione

Il primo motivo denuncia l'omesso esame di un fatto decisivo e la violazione del Decreto Legislativo n. 28 del 2010, articolo 5 e dell'articolo 157 c.p.c., per avere la Corte di appello omesso di rilevare la tardività del rilievo dell'irregolare esperimento del tentativo di mediazione. In particolare, si fa valere che, alla prima udienza utile dopo quella in cui il giudice aveva onerato la parte attrice di attivare la procedura di mediazione, nessuna obiezione è stata sollevata dal convenuto circa la regolarità della procedura, cosicché ogni correlativo rilievo avrebbe dovuto considerarsi precluso. Asseriti vizi della procedura di mediazione sono stati viceversa censurati con successo dal convenuto appellante solo in secondo grado.

Il secondo motivo censura Decreto Legislativo n. 28 del 2010, ex articolo 5, che si sia ritenuta necessaria la contestuale partecipazione al procedimento di mediazione di tutte le parti in causa.

Il terzo motivo lamenta ex articoli 38, 111, 157 e 345 c.p.c., Decreto Legislativo n. 28 del 2010, articoli 3 e 5 e articolo 2964 c.c. che la Corte di appello abbia ritenuto: la tardività dell'avvio del secondo tentativo di conciliazione da parte dei condomini; l'irregolarità dei tentativi esperiti dalla ---; (c) la necessità della partecipazione al tentativo di conciliazione del condomino ---, quale successore ex articolo 111 c.p.c., di una condomina che aveva partecipato alla procedura.

Nella parte censurata dai motivi di ricorso, la sentenza argomenta in sintesi come segue.

Una sola dei condomini ( ---) aveva dapprima instaurato il procedimento di mediazione presso un organismo di una sede diversa (Torino) da quella (Ivrea) determinata Decreto Legislativo n. 28 del 2010, ex articolo 4, in relazione all'ufficio giudiziario territorialmente competente per la controversia. Ciò non è idoneo a soddisfare la condizione di procedibilità della domanda.

A fronte di una prima correlativa eccezione di improcedibilità della domanda, il giudice di prime cure ha assegnato alle parti un termine per l'instaurazione della procedura di mediazione fra tutte le parti ad eccezione di ---. A fronte di un secondo rilievo di irregolarità (cioè, la concessione del nuovo termine non anche alla ---, l'avvio della procedura solo da parte degli altri condomini attori, la tardività dell'avvio rispetto al termine assegnato), il giudice assegnava

un nuovo termine entro il quale la procedura veniva attivata unicamente da ---.

Tutto ciò (anche a causa della cattiva gestione da parte del giudice di primo grado) non consente di ritenere assolta la condizione di procedibilità. D'altra parte, la disciplina legislativa non indica la possibilità di reiterare la concessione dei termini, mentre il primo incontro con l'organismo di conciliazione per essere effettivo deve vedere la partecipazione di tutte le parti in causa. In conclusione, a fronte del mancato esperimento del procedimento di mediazione nei termini previsti dalla legge, è dichiarata l'improcedibilità della domanda.

Il primo motivo è rigettato.

Risulta agli atti che nella prima udienza del 19/3/2014 il convenuto abbia eccepito una serie di profili di irregolarità della procedura di mediazione. Tanto vale a vedere rispettato l'onere di tempestiva eccezione Decreto Legislativo n. 28 del 2010, ex articolo 5.

Il secondo motivo è fondato.

Si versa in ipotesi in cui hanno agito più soggetti disgiuntamente legittimati a fare valere in giudizio la lesione di un diritto (nel caso di specie: più condomini hanno lamentato la lesione di un bene in regime di comproprietà). Contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di appello, in tale ipotesi non è necessaria la partecipazione di tutti gli attori alla procedura di mediazione, ma è condizione necessaria e sufficiente a far luogo alla valida prosecuzione del processo nel rispetto della condizione di procedibilità Decreto Legislativo n. 28 del 2010, ex articolo 5, il fatto che, prima dell'instaurazione del processo ovvero (in caso di assegnazione giudiziale del termine) entro l'udienza fissata per la prosecuzione del processo, sia stato regolarmente espletato il tentativo di conciliazione con la partecipazione di uno solo fra gli attori disgiuntamente legittimati. Infatti, trattandosi di siffatta legittimazione, il potere del partecipante alla procedura (conclusasi senza successo) di validamente instaurare o proseguire il processo non può essere intaccato dalla mancata partecipazione al tentativo di conciliazione da parte degli altri soggetti attivamente legittimati. In tal caso rimarrà improcedibile la domanda di costoro, che potranno peraltro giovarsi dell'eventuale accoglimento della domanda coltivata dall'attore che ha regolarmente esperito il tentativo di conciliazione (così come potranno aderire ad una raggiunta conciliazione).

Il terzo motivo è rigettato in ciascuno dei tre profili in cui si articola.

Quanto al primo, in considerazione della legittimazione disgiunta in capo a ciascuno degli attori, è irrilevante l'irregolare esperimento del primo tentativo di conciliazione a Torino (e non già ad Ivrea) da parte di uno di loro. Quanto al secondo profilo, è irrilevante che il secondo tentativo di conciliazione sia stato avviato un giorno dopo la scadenza del termine all'uopo assegnato dal giudice, trattandosi di un termine non perentorio; rileva che esso si sia espletato entro la data dell'udienza fissata per la prosecuzione del processo (cfr. Cass. 40035/2021). Quanto al terzo profilo, esso è irrilevante per la stessa ragione a fondamento dell'irrilevanza del primo motivo.

È accolto il secondo motivo di ricorso, sono rigettati i restanti motivi, è cassata la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, è rinviata la causa alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

 

PQM

 

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta i restanti motivi, cassa la sentenza in relazione al motivo accolto, rinvia la causa alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

 

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

18 aprile 2024

18/24. Mediazione obbligatoria, il giudice d’appello può rilevare l'improcedibilità della domanda? (Osservatorio Mediazione Civile n. 18/2024)


=> Corte di Cassazione, 4 gennaio 2024 n. 205

 

In tema di c.d. mediazione obbligatoria (posta la norma per cui l'improcedibilità “deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata dal giudice, non oltre la prima udienza”), in mancanza della tempestiva eccezione del convenuto, ove il giudice di primo grado non abbia provveduto al relativo rilievo d'ufficio, è precluso al giudice di appello rilevare l'improcedibilità della domanda. Del tutto priva di fondamento è inoltre la tesi secondo cui i suddetti principi riguarderebbero solo l’omesso espletamento della procedura di mediazione e non l’irregolare tenuta della mediazione (I).

 

(I) Si veda l’art. 5, d.lgs. n. 28/2010 (come novellato dalla c.d. riforma Cartabia), in Osservatorio Mediazione Civile n. 28/2023.

 

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 18/2024

(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

 

Cote di cassazione

sezione II

ordinanza n. 205

4 gennaio 2024

 

Omissis

 

Il primo motivo di ricorso è così rubricato: omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione - vizio di motivazione, rectius completa assenza di motivazione, in relazione al capo di impugnazione in appello, ribadito in sede di conclusioni, concernente la liquidazione delle spese oggetto di condanna in solido a carico degli odierni ricorrenti, così come contenuta nella sentenza di primo grado. Violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c.

La Corte di Appello di Genova avrebbe completamente omesso di prendere in considerazione il motivo di impugnazione attinente alle spese, in merito al quale non avrebbe speso alcuna motivazione. Invece, nel caso di specie, come eccepito dagli appellanti, alla luce del valore indeterminabile e dei parametri del D.M. 55 del 2014 (la citazione è del 2015), la somma liquidata dal Tribunale di Savona avrebbe superato i limiti, senza giustificazione alcuna. Il calcolo dei compensi dovrebbe prendere quale riferimento il decisum e, quindi, nel caso in esame, avendo il Tribunale pronunciato condanna alla restituzione di un immobile alla C srl, sarebbe corretto riferirsi al valore come indeterminabile. La Corte d’Appello, invece, ha liquidato le spese di giudizio per il grado di appello in € 15.000,00 per compensi, oltre spese forfetizzate, iva e cpa in favore di C s.r.l. e in € 10.000,00 per compensi, oltre spese forfetizzate, iva e cpa in favore di S G, trascurando del tutto il motivo di appello con il quale era stato censurata la liquidazione delle spese del primo grado di giudizio. In effetti, il valore della causa, atteso l'oggetto della domanda di restituzione di beni immobili e mobili con richiesta di pagamento ex art. 614 bis c.p.c. ed una domanda di accertamento di intervenuta usucapione sfuggirebbe ai criteri previsti dall'art. 15 c.p.c. e dovrebbe essere complessivamente valutato come indeterminabile. Pertanto, avrebbe dovuto essere applicato il conteggio indicato nella comparsa conclusionale il cui calcolo finale è ben lontano dall'esito di € 50.000 contenuto in sentenza. In altri termini vi sarebbe una completa assenza di motivazione sul punto spese.

Il primo motivo di ricorso è fondato.

--- aveva formulato uno specifico motivo di appello in ordine alla liquidazione delle spese del primo grado di giudizio per la complessiva somma di euro 50000 in solido con ---. Nella stessa sentenza impugnata, a pag. 3, si legge che E Gi aveva chiesto di riformare la sentenza oltre che in relazione alla sua condanna, anche in punto di spese alla luce delle tabelle vigenti.

La Corte d’Appello, pur dando atto del relativo motivo di appello, ha del tutto omesso di esaminarlo.

Deve premettersi che l'erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta alla riqualificazione della sua sussunzione in altre fattispecie di cui all'art. 360, comma 1, c.p.c., né determina l'inammissibilità del ricorso, se dall'articolazione del motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato (Sez. 6 - 5, Ord. n. 25557 del 27/10/2017). 8 Nel caso di specie la censura di parte ricorrente complessivamente considerata è sufficientemente chiara nell’ascrivere alla Corte d’appello l’omessa pronuncia sul suddetto motivo.

Ricorre, pertanto, il vizio di omessa pronuncia sul motivo di appello proposto da ---.

Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione - vizio di motivazione, in relazione al preteso possesso sine titulo, dell'immobile in questione da parte di --- - vizio di motivazione, del tutto insufficiente, in relazione al possesso ad usucapionem dell'immobile in questione da parte di ---.

Secondo la Corte d’Appello, --- occupava sine titulo parte dell'immobile ed è stata, per l'effetto, legittimamenTe ritenuta destinataria della pronuncia di condanna al rilascio. L'assunto non è specificamente motivato, se non per relationem (si desume), dalla complessiva argomentazione svolta in merito alla posizione di ---. Tale argomentazione, in effetti, ad una migliore disamina si rivela del tutto insufficiente e contraddittoria, in quanto non vale a fare definitivamente luce sul possesso dell'immobile in questione da parte di ---. Lo stesso ha affermato di aver iniziato a possedere l'immobile in questione, in epoca antecedente al contratto di locazione del 1994.

In maniera del tutto incomprensibile, la Corte d’Appello di Genova definisce a pagina 17, irrilevante tale circostanza, in quanto non sarebbe idonea a desumere che l'inizio del potere di fatto del --- si sia instaurato in modo autonomo e non sia invece derivato da quello della madre.

La conclusione alla quale perviene la Corte, per cui nella fattispecie non è emerso che l'animus del --- sia mutato rispetto alla originaria condizione con cui è iniziata la sua relazione di fatto col bene, a fronte di precedente exursus di natura teorica e di principio, sarebbe, nella sostanza, sfornita di adeguata dimostrazione e motivazione e sarebbe, pertanto, ragione di cassazione della sentenza in questione.

Il secondo motivo è inammissibile.

La censura di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in presenza di una “doppia conforme” non è ammissibile. Peraltro, in tale ipotesi, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 5528/2014), adempimento non svolto.

D’altra parte secondo la giurisprudenza di questa Corte: « Ricorre l'ipotesi di «doppia conforme», ai sensi dell'art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice» (Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 7724 del 09/03/2022, Rv. 664193 - 01).

Ciò detto, anche la censura proposta come vizio di motivazione è inammissibile.

Questa Corte a sezioni unite ha chiarito che dopo la riforma dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., operata dalla legge 134/2012, il sindacato sulla motivazione da parte della cassazione è consentito solo quando l'anomalia motivazionale si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; in tale prospettiva detta anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione (cfr. Cass. Sez. un. 8053/2014); - nel caso di specie, la grave anomalia motivazionale non esiste, perché la Corte d’Appello ha sufficientemente motivato le ragioni per le quali non poteva riconoscersi il possesso utile ad usucapire in capo a --- la cui relazione con l’immobile era rimasta sempre di detenzione, senza alcun atto di interversione del possesso.

Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti l'omesso rilievo del fatto che --- Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, non ha partecipato alla mediazione. Violazione degli articoli 5 e 8 del decreto legislativo numero 28 del 2010. Omesso accertamento della mancata partecipazione di --- Srl alla mediazione e conseguente omessa declaratoria di inammissibilità della domanda.

In data 7 agosto 2015 --- Srl, a mezzo del difensore, convocava in mediazione i convenuti. Alla sessione di mediazione del 14 settembre 2015 non partecipava il legale rappresentante della società --- Srl, ma il solo avvocato difensore, non munito di procura speciale/sostanziale. Secondo parte ricorrente, perché si verifichi utilmente la condizione di procedibilità prevista dalla legge, occorre che la mediazione sia utilmente esperita con la sostanziale partecipazione delle parti. Ne deriva che, una volta promossa la procedura di mediazione, la condizione di procedibilità non si verifica se la parte instante non compare personalmente, (Sez. 3, n.8473 del 2019).

Sotto altro profilo, la decisione della Corte di Appello violerebbe gli artt. 5 e 8 del d.lgs. n.28 del 2010 laddove ha ritenuto che " .. in mancanza della tempestiva eccezione del convenuto, ove il giudice di primo grado non abbia provveduto al relativo rilievo d'ufficio, è precluso al giudice di appello rilevare l'improcedibilità della domanda ... " Tale norma sarebbe applicabile nel caso di "mancato esperimento della mediazione obbligatoria", ma non nel caso in cui l'attore onerato abbia esperito l'incombente senza poi utilmente parteciparvi personalmente e delegando la presenza al difensore privo dei necessari poteri di legge la decadenza di cui all'articolo otto del decreto legislativo numero 28 del 2010 (mancata eccezione di parte convenuta, ovvero messo rilievo d'ufficio da parte del giudice entro la prima udienza) non sia applicherebbe al caso della mediazione esperita, ma del tutto irregolare nella partecipazione necessaria delle parti.

Il terzo motivo è manifestamente infondato.

La Corte d'Appello ha correttamente motivato sul punto rigettando l’eccezione di improcedibilità per mancato o irregolare espletamento della procedura di mediazione.

La questione, infatti, non era stata sollevata tempestivamente.

Il collegio intende dare continuità al seguente principio di diritto: in tema di mediazione obbligatoria ex articolo cinque, comma uno bis del decreto legislativo numero 28 del 2010, il preventivo esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda, ma l'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata dal giudice, non oltre la prima udienza; indicate dallo stesso articolo 5, comma 1 bis, atteso che in grado d'appello l'esperimento della mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda solo quando è disposta discrezionalmente dal giudice, ai sensi dell'articolo 5, comma 2 (sezione tre, ordinanza numero 25.155 del 10/11/ 2020.) Dunque, in mancanza della tempestiva eccezione del convenuto, ove il giudice di primo grado non abbia provveduto al relativo rilievo d'ufficio, è precluso al giudice di appello rilevare l'improcedibilità della domanda. La Corte d'Appello correttamente ha evidenziato che, nel caso di specie, alla prima udienza del giudizio di primo grado erano mancati sia l'eccezione della parte che il rilievo d'ufficio da parte del giudice.

Del tutto priva di fondamento è la tesi secondo cui i suddetti principi riguarderebbero solo l’omesso espletamento della procedura di mediazione e non l’irregolare tenuta della mediazione perché l'attore onerato ha esperito l'incombente senza poi utilmente parteciparvi personalmente e delegando la presenza al difensore privo dei necessari poteri di legge.

Infine, il ricorrente non si confronta neanche con l’ulteriore ratio decidendi della sentenza nella parte in cui la Corte d'Appello ha affermato che l’eccezione proposta dagli appellanti era anche infondata in quanto dai verbali di causa e dagli atti emergeva che la procedura di mediazione si era svolta e si era conclusa senza conciliazione e senza che alcuna delle parti avesse svolto nelle sedi opportune, o comunque tempestivamente in causa, rilievi e/ o eccezioni sulla ritualità della stessa.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il secondo e rigetta il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Genova in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.

 

PQM

 

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il secondo e rigetta il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Genova in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.

 

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

16 aprile 2024

17/24. Riforma Cartabia, mediazione telematica e firma digitale: se la parte non ha lo spid, come rispettare il nuovo art. 8bis d.lgs. 28/2010? [CFnews] (Osservatorio Mediazione Civile n. 17/2024)


Mediazione telematica e firma digitata: se la parte non ha lo spid, come rispettare l’art. 8bis?

 

di Manuela ZANUSSI

(fonte CassaForense: cfnews.it del 4.4.2024)

 

NOTE: per approfondimenti si veda il Focus tematico Speciale MEDIAZIONE E RIFORMA DEL PROCESSO CIVILE DI CUI ALLA L. 206/2021 E AL D.LGS 149/2022.

 

Le parti che partecipano alla mediazione in modalità telematica sottoscrivono il verbale conclusivo mediante dispositivi di firme digitali secondo il disposto dell’art. 8 bis comma 3: “a conclusione della mediazione il mediatore forma un unico documento informatico […] e lo invia alle parti per la sottoscrizione mediante firma digitale o altro tipo di firma elettronica qualificata […]”.

Parimenti gli avvocati devono sottoscrivere il documento informatico: “…ed è inviato anche agli avvocati che lo sottoscrivono con le stesse modalità

La norma è di nuovo conio, inserita nel corpo del novellato D. Lgs. 28/2010, ed è l’art. 8 bis appositamente dedicato e rubricato “la mediazione telematica”, vigente dal 28.2.2023, a seguito dell’anticipazione dell’entrata in vigore della riforma di cui alla Legge 197 del 29.12.2022.

L’impulso alla digitalizzazione anche nella giustizia consensuale è stato infatti uno dei tratti caratteristici della Riforma Cartabia, tanto che oggi si richiede anche alla parte privata che voglia svolgere l’incontro da remoto una minima dotazione di strumentazione digitale e un’alfabetizzazione digitale. Per poter collegarsi agli incontri e sottoscrivere il verbale la parte deve, però, disporre di uno smartphone, ovvero di un PC con videocollegamento udibile, di una e-mail e di uno SPID (ovvero altro dispositivo di identificazione qualificata).

A tale scopo da mesi gli Organismi di mediazione si sono attrezzati per fornire alle parti che lo richiedano e che ne siano prive a costi contenuti dei dispositivi di firma digitale, ad esempio nella modalità “one shot”.

Ma cosa accade se alcune parti private sono prive di SPID o di strumentazione digitale?

Il comma 3 dell’art. 8 bis appare rigoroso nel richiedere la necessità di sottoscrizione mediante “firma digitale o altro tipo di firma elettronica qualificata” e quindi molti si sono chiesti, qualora la parte non abbia la firma digitale (e/o l’Organismo non riesca a dotarla) o se addirittura la parte sia priva di SPID, se tali carenze possano bypassarsi mediante rilascio di procura al difensore che sottoscriva il verbale conclusivo in luogo dell’assistito.

Parrebbe di sì (ma con qualche rischio).

Pertanto vanno fatte al proposito delle doverose precisazioni. Vi è opacità normativa sul più ampio tema della delegabilità al legale del potere di sottoscrivere il verbale conclusivo (e talvolta anche se ormai più raramente anche sulla forma di tale delega); tema che, nonostante la pronuncia del 2019 della Cassazione, continua a ripresentarsi ai tavoli dei mediatori alla luce del più recente dictum dell’art. 8 comma 4.

Sul punto, molti commentatori in dottrina ritengono indubbio che, in forza del potere rappresentativo conferito mediante procura sostanziale, il difensore possa sottoscrivere finanche l’accordo di mediazione in luogo della parte; altri invece lo escludono, sottolineando i rilevanti rischi di perdita dei benefici fiscali o quello di mancanza di esecutività del verbale qualora non venga rispettata la lettera dell’art. 8 bis.

Non risultano orientamenti giurisprudenziali sullo specifico punto della sottoscrizione del verbale mediante firma digitale da parte del difensore in forza di procura rispetto all’art. 8 bis.

Quello che appare necessario sottolineare è che, quando si verifichi il caso di parte non dotata di firma digitale o addirittura di parte priva di SPID e si voglia comunque procedere in modalità telematica nonostante gli adombrati rischi, quantomeno vadano rispettate le seguenti accortezze:

  1. la parte debba essere presente all’incontro, circostanza di cui il mediatore darà atto a verbale, in relazione agli effetti sanzionatori di cui all’a 8 comma 4 e art. 12 bis D. Lgs. 28/2010;
  2. il difensore sia dotato di una procura “speciale e sostanziale” del proprio assistito che preveda espressamente i poteri conferitigli (secondo il dictum della nota Cassazione 8473/2019);
  3. si dia atto a verbale che la parte è sprovvista della dotazione tecnica (ad esempio lo SPID) per sottoscrivere digitalmente e a tale scopo venga conferita procura al legale così fornendo giustificazione alla delega di firma;
  4. la procura sia rilasciata in forma scritta e sia prodotta e inserita agli atti del fascicolo della procedura in modo da documentare per tabulas il potere conferito al legale.

Minoritaria al proposito la tesi -e non condivisibile- per cui il mediatore potrebbe dichiarare l’impossibilità della parte non dotata di dispositivo di firma digitale di sottoscrivere l’accordo richiamando l’art. 11 comma 4 del D. Lgs. 28/2010.

Di fatto non si comprende il rigorismo della norma del nuovo art. 8 bis D. Lgs. 28/2010, che impone non solo all’avvocato che la assiste, ma anche alla parte privata, di essere dotata di un proprio dispositivo di firma digitale, al fine di sottoscrivere personalmente il documento in modalità telematica in una procedura che si svolge davanti al mediatore, che è un terzo imparziale, indipendente, privo di poteri decisori, presso un Organismo sottoposto a costante controllo ministeriale, mentre nella rinnovata procedura di negoziazione assistita la disciplina della procedura telematica appare generica ed estremamente informale e destrutturata.

Ferma restando l’avvincente sfida verso il digitale cui da qualche mese i mediatori, gli Organismi, gli avvocati e le parti sono chiamati, quella sulla modalità telematica dell’art. 8 bis è comunque una delle norme su cui, tra le altre, si mormora si stia concentrando la riscrittura del Decreto e il “correttivo” Cartabia di cui si è in attesa di conoscere i contenuti, confidando che vadano verso una minore “processualizzazione” e nell’ottica del recupero dell’informalità che dovrebbe connaturarne l’istituto secondo la previsione dello stesso art. 3 comma 3 del D. Lgs. 28/2010.

 

 

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 17/2024

(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

14 aprile 2024

16/24. Riforma Cartabia: aggiornato il regolamento unitario per gli Organismi di mediazione forensi costituiti dai Consigli dell’Ordine degli Avvocati (Osservatorio Mediazione Civile n. 16/2024)

Nella seduta del 22 marzo 2024 il plenum del Consiglio Nazionale Forense ha approvato il nuovo modello di regolamento per gli Organismi di Mediazione costituiti dai Consigli dell’Ordine degli Avvocati, adeguando quello preesistente alle molteplici novità introdotte dal d.lgs.n. 149 del 10 ottobre 2022 e dal D.M.24 ottobre 2023 n. 150. 

Il testo integrale è consultabile al presente URListituzionale del CNF.

Per approfondimenti su mediazione e riforma Cartabia è possibile consultare lo SpecialeFocus tematico dell’Osservatorio.

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 16/2024

(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

4 aprile 2024

15/24. MEDIA Magazine n. 4 del 2024 (Osservatorio Mediazione Civile n. 15/2024)

 

MEDIA Magazine

Mensile dell’Osservatorio Nazionale sulla Mediazione Civile
ISSN 2281 - 5139

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n. 4/24  Aprile 2024

 

 

La mediazione è strumento di Pace.

 

 

Giurisprudenza

 

Patrocinio a spese dello Stato e mediazione obbligatoria conclusasi con l’accordo conciliativo: diritto del difensore al compenso (Osservatorio Mediazione Civile n. 14/2024)

=> Corte di Cassazione, 25 marzo 2024, n. 7974

 

La domanda di risarcimento danni avanzata dal cliente contro l’avvocato è soggetta a mediazione obbligatoria (dopo Cartabia), ma la norma va disapplicata in quanto fonte di costi non contenuti per le parti (Osservatorio Mediazione Civile n.13/2024)

=> Tribunale di Verona, ordinanza 24 novembre 2023

 

 

DATI E DOCUMENTI

 

Ordine degli Avvocati di Firenze: credito di imposta entro il 31.3.2024 per le procedure di mediazione, negoziazione e arbitrato (Osservatorio Mediazione Civile n. 12/2024)

 

Incentivi fiscali mediazione e negoziazione assistita di cui alla c.d. riforma Cartabia: attivo il portale del Ministero della giustizia di cui al dM 1.8.2023 (Osservatorio Mediazione Civile n. 11/2024)

 

 

REDAZIONE APERTA

 

Per proposte, collaborazioni, suggerimenti, segnalazioni, citazionipubblicità (eventi, corsi, prodotti editoriali, etc.) scrivere a: 

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Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 15/2024

(http://osservatoriomediazionecivile.blogspot.it) 

30 marzo 2024

14/24. Patrocinio a spese dello Stato e mediazione obbligatoria conclusasi con l’accordo conciliativo: diritto del difensore al compenso (Osservatorio Mediazione Civile n. 14/2024)

=> Corte di Cassazione, 25 marzo 2024, n. 7974

Alla luce della sentenza n. 10 del 2022 della Corte costituzionale va affermato il diritto del difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato alla percezione del proprio compenso anche nei casi di mediazione obbligatoria che non sia successivamente sfociata in una lite giudiziaria. Ne deriva che va cassata la decisione di merito che ha escluso, con riferimento ad un caso di mediazione obbligatoria sine iudicio conclusasi positivamente col raggiungimento dell’accordo conciliativo, la liquidazione del compenso all’avvocato di parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato (I) (II).

(I) Si veda il d.lgs. n. 28/2010 (come novellato dalla c.d. riforma Cartabia), in Osservatorio Mediazione Civile n. 28/2023.

(II) Si veda Corte Costituzionale, 20 gennaio 2022, n. 10, in Osservatorio Mediazione Civile n.1/2022.

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 14/2024

(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

Cote di cassazione

sezione II

ordinanza n. 7974

25 marzo 2024

Omissis 

1. MM riceveva mandato di assistenza legale da --- nel procedimento di mediazione obbligatoria n. 2300/2020 dinanzi all’Organismo di Conciliazione di Firenze, promosso ai sensi dell’art. 5, co. I bis, d.lgs. 28/2010, nei confronti di XX, avente ad oggetto la divisione giudiziale di un immobile facente parte del compendio ereditario di XX, coniuge defunto dell’istante nonché padre dei chiamati alla mediazione.

Con delibera n. 2520 del 2 dicembre 2020, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Firenze ammetteva Hlukhenka Zhanna Panteleimonivna al patrocinio a spese dello Stato. Incardinata la mediazione, all’esito di alcuni incontri, le parti pervenivano ad un accordo col quale concludevano positivamente la procedura, sottoscrivendo un verbale di conciliazione in data 28 maggio 2021.

L’avv. MM depositava, quindi, presso il Tribunale di Firenze istanza di liquidazione del compenso maturato in relazione all’attività professionale espletata, che veniva respinta con decreto n. 2592 del 15 ottobre 2021, in base alla motivazione secondo cui alla corresponsione del compenso in favore del predetto difensore osterebbe l’art. 75 d.P.R. 115/2002 (T.U. spese di giustizia), il quale, facendo riferimento ad “ogni grado e fase del processo o ad eventuali procedure che nel processo si innestino”, escluderebbe l’applicazione della normativa sul patrocinio a spese dello Stato alle procedure stragiudiziali che non sfociano in una lite giudiziaria, ovvero che, quando questa è già pendente, non si inseriscono all’interno di essa, come è nel caso della mediazione obbligatoria conclusasi con esito positivo. L’avv. MM proponeva opposizione ex art. 702 bis cod. proc. civ. avverso il decreto di rigetto, chiedendo la liquidazione, in proprio favore, di un compenso pari ad euro 5.760,00 oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai fini della riforma della decisione gravata richiamava un precedente del medesimo Tribunale (ordinanza 31 maggio 2021, R.G. n. 8356/2020) che, analogamente a quanto previsto dall’art. 10 d.lgs. 116/2005 per le controversie transfontaliere, concludeva per l’estensione del patrocinio a spese dello Stato ai procedimenti stragiudiziali obbligatori ex lege; ciò a prescindere dal successivo svolgimento della fase giurisdizionale, che i procedimenti di mediazione hanno proprio la finalità di evitare.

In prossimità della decisione, la ricorrente produceva in giudizio la sentenza n. 10/2022 della Corte costituzionale, con cui ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 74, co. II e 75, co. I, d.P.R. 115/2002, nella parte in cui non prevedono che il patrocinio a spese dello Stato sia applicabile anche all’attività difensiva svolta nell’ambito del procedimento di mediazione disciplinato dall’art. 5, co. I bis, d.lgs. 28/2010, quando nel corso dello stesso sia stato raggiunto un accordo per la composizione bonaria della lite, nonché del successivo art. 83, co. II, ove non prevede che alla liquidazione in favore del difensore provveda l’autorità giudiziaria che sarebbe stata competente a decidere la controversia.

Il Tribunale di Firenze con ordinanza del 13 aprile 2022 rigettava l’opposizione, ritenendo che la Corte costituzionale, pur avendo accolto la questione di costituzionalità delle norme censurate, avesse tuttavia inteso condividere un precedente in materia di questa Corte (cfr. Cass. Civ., sentenza n. 18123/2020).

Nella decisione de qua, proprio perché chiamato a pronunciarsi prima dell’intervento demolitorio della Consulta, questa Corte aveva statuito che il limite posto dalle disposizioni di legge richiamate – che ad oggi non consentirebbero la liquidazione dell’attività professionale svolta in sede di mediazione, quando non abbia avuto luogo la lite giudiziale – non poteva essere superato in via interpretativa, pena lo sconfinare della decisione nell’ambito della vera e propria produzione normativa.

2. Per la cassazione di tale ordinanza ha proposto ricorso MM sulla base di due motivi, illustrati da memorie. Il Ministero della Giustizia, a favore del quale è stata rinnovata la notifica del ricorso ai sensi dell’art. 377, u.c., cod. proc. civ., si è costituito in giudizio ai soli fini della eventuale discussione orale della causa.

L’altra intimata non ha svolto difese in questa fase.

3. Con il primo motivo viene dedotto, ex art. 360, co. I, n. 5, cod. proc. civ, un vizio della motivazione dell’ordinanza impugnata per omesso esame di un fatto decisivo per la controversia che è stato oggetto di discussione fra le parti, rinvenuto nella sentenza n. 10/2022 della Corte costituzionale, pubblicata il 20 gennaio 2022, quindi prima dell’emissione dell’ordinanza de qua, avvenuta in data 13 aprile 2022.

Come già ricordato, con tale pronuncia è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale degli artt. 74, co. II, e 75, co. I, d.P.R. 115/2002, nella parte in cui escludono che il patrocinio a spese dello Stato sia applicabile all’attività difensiva svolta nell’ambito dei procedimenti di mediazione di cui all’art. 5, co. 1 bis, d.lgs. 28/2010, quando nel corso degli stessi è stato raggiunto un accordo fra le parti, nonché dell’art. 83, co. II del medesimo d.P.R. 115/2002, nella parte in cui non prevede che, in tali fattispecie, alla liquidazione in favore del difensore provveda l’autorità giudiziaria che sarebbe stata competente a decidere la controversia.

Dalla declaratoria di incostituzionalità delle disposizioni citate discenderebbe, secondo la ricorrente, l’erroneità del rigetto del ricorso in opposizione, ed in particolare la contraddittorietà ed illogicità della motivazione posta a fondamento di esso, che invero valorizza a tal fine la citata sentenza n. 18123/2020 di questa Suprema Corte – che adotta, come detto, una soluzione sfavorevole alla ricorrente – nonostante sia cronologicamente anteriore alla pronuncia di inconstituzionalità in parola e, quindi, da essa superata. Invero, la sentenza della Consulta, pur demandando al legislatore una compiuta e specifica disciplina della materia, afferma il diritto del difensore della parte ammessa al gratuito patrocinio alla percezione del proprio compenso anche nei casi di mediazione obbligatoria che non sia successivamente sfociata in una lite giudiziaria. Rileva la ricorrente, dunque, come la pronuncia del giudice delle leggi abbia travolto gli argomenti a suo tempo spesi dalla giurisprudenza di legittimità per escludere l’applicazione del beneficio in relazione a tali ipotesi, e ai quali il Tribunale di Firenze si richiama onde motivare il diniego di liquidazione, relativi al rischio di sconfinamento nella produzione normativa, all’esigenza di contenimento della spesa pubblica in materia di giustizia e, in generale, degli oneri economici statuali.

Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione di legge (art. 360, co. I, n. 3, cod. proc. civ.) in cui sarebbe incorsa l’ordinanza impugnata per avere deciso la controversia in senso opposto a quanto statuito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 10/2022, la quale ha enunciato un principio già esistente nell’ordinamento per necessità imposta dalla Costituzione, ma la cui applicazione veniva concretamente ostacolata da una illegittima limitazione/esclusione imputabile al legislatore ordinario, che è stata in tal modo rimossa.

Deduce quindi la ricorrente che il Tribunale di Firenze ha violato gli artt. 74, co. II, 75, co. I e 83, co. II, d.P.R. 115/2002, per avere dato una lettura delle norme in questione contraria all’interpretazione costituzionalmente imposta.

4. I due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati in ragione della loro connessione, sono fondati.

Quanto al primo, l’interpretazione che il giudice a quo ha offerto della sentenza n. 10/2022 della Corte costituzionale, alla luce della precedente decisione di questa Corte n. 18123/2020, è priva d’ogni fondamento logico. Invero la Corte Costituzionale, dopo l’emissione di quest’ultima sentenza, e diversi mesi prima che fosse decisa in primo grado la causa in esame, ha preso in analisi una fattispecie analoga a quella oggetto del presente giudizio e l’ha decisa nel senso prospettato dalla ricorrente, ossia reputando non conformi a Costituzione gli artt. 74, co. II, 75, co. I e 83, co. II, d.P.R. 115/2002, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., poiché circoscrivono il diritto del difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato a ricevere il compenso per l’attività difensiva svolta solo quando questa abbia natura giudiziale. Ne consegue che, dal 21 gennaio 2022 (giorno successivo alla pubblicazione della sentenza de qua), in armonia con l’art. 136 Cost. – che prevede l’espunzione dall’ordinamento e la conseguente cessazione dell’efficacia delle norme giudicate incostituzionali a partire dal giorno successivo alla pubblicazione del provvedimento ricognitivo del vizio – la norma che limitava il riferimento della disciplina sul patrocinio a spese dello Stato ai soli procedimenti giudiziali ha cessato di avere vigore e, pertanto, la decisione giudiziale che continui, ciononostante, a farne applicazione deve qualificarsi illegittima.

Plurimi sono i principi di rango costituzionale che la Corte ha ritenuto violati dalla normativa censurata.

In primo luogo, il principio di ragionevolezza, desumibile dall’art. 3, co. I, Cost., che impone il riconoscimento al difensore del compenso per l’attività stragiudiziale espletata, specialmente nei casi in cui essa ha consentito, anche grazie all’impegno dello stesso, lo scopo deflattivo perseguito dal legislatore. Invero, a detta della Consulta, “il nesso di strumentalità necessaria con il processo e la riconducibilità della mediazione alle forme di giurisdizione condizionata aventi finalità deflattive costituiscono elementi che rendono del tutto distonica e priva di alcuna ragionevole giustificazione l’esclusione del patrocinio a spese dello Stato quando la medesima mediazione si sia conclusa con successo e non sia stata in concreto seguita dalla proposizione giudiziale della domanda. In tal modo, infatti, il suddetto patrocinio risulta contraddittoriamente escluso proprio nei casi in cui il procedimento de quo ha raggiunto – in ipotesi anche grazie all’impegno dei difensori – lo scopo deflattivo prefissato dal legislatore”.

La normativa censurata, nella sua formulazione originaria comprimeva altresì il principio di eguaglianza sostanziale (art. 3, co. II, Cost.) in relazione al diritto inviolabile di difesa (art. 24 Cost.), in quanto impediva a quanti versano in condizione di non abbienza “l’effettività dell’accesso alla giustizia, con conseguente sacrificio del nucleo intangibile del diritto alla tutela giurisdizionale” (cfr. Corte cost., sentenza n. 157/2021).

Come sottolineato nella pronuncia di incostituzionalità, l’esigenza di contenimento della spesa pubblica in materia di giustizia non può impedire l’esercizio, da parte dei cittadini, di un diritto costituzionalmente garantito ed inviolabile quale quello alla difesa in giudizio; sicché le spese erariali volte a realizzarlo sono “costituzionalmente necessarie”, poiché inerenti “all’erogazione di prestazioni sociali incomprimibili”.

Ne consegue che tanto l’argomento dell’equilibrio di bilancio quanto quello dello sconfinamento nella produzione normativa – impiegati in passato anche da questa Corte per escludere l’estendibilità del beneficio alla difesa tecnica che non è stata esperita in ambito giudiziale – non sono più invocabili, in quanto definitivamente e pacificamente superati dalla sentenza della Consulta, che, quale decisione “additiva di principio”, consegna al legislatore e agli interpreti, appunto, un principio di rango costituzionale che è stato oggetto di riconoscimento anche da parte della più recente giurisprudenza di legittimità. Nell’ordinanza n. 3888/2023 questa Corte ha invero adeguato l’interpretazione della normativa censurata alla lettura che ne è costituzionalmente imposta, per come precisata dalla Consulta: “[...] per effetto dell’intervento del giudice delle leggi sussiste il diritto alla liquidazione del compenso vantato dall’avvocato che abbia assistito la parte in una procedura di mediazione, ma sul presupposto indefettibile che la mediazione abbia carattere obbligatorio”.

La sentenza della Corte costituzionale, al paragrafo 11 ha poi aggiunto che: “Rimane ferma, ovviamente, la facoltà del legislatore di valutare, nella sua discrezionalità, eventualmente anche in sede di attuazione della legge delega prima richiamata, l’opportunità di introdurre, nel rispetto dei suddetti principi costituzionali, una più compiuta e specifica disciplina della fattispecie oggetto dell’odierno scrutinio”.

Trattasi di affermazione che nell’immediato impone di dover riconoscere il diritto alla liquidazione del compenso in favore del difensore della parte beneficiaria del patrocinio a spese dello Stato che abbia positivamente concluso una procedura di mediazione obbligatoria, ma che al tempo stesso non preclude al legislatore di poter provvedere in futuro alla attività di integrazione normativa ritenuta opportuna in quanto conseguente alla pronuncia additiva.

Al riguardo proprio la Consulta ha recentemente ribadito nella sentenza n. 88/2018 che questa in presenza di pronunce di accoglimento additive di principio, da un lato è demandato “ai giudici comuni trarre dalla decisione i necessari corollari sul piano applicativo, avvalendosi degli strumenti ermeneutici a loro disposizione”; mentre al legislatore compete di “provvedere eventualmente a disciplinare, nel modo più sollecito e opportuno, gli aspetti che apparissero bisognevoli di apposita regolamentazione”.

La giurisprudenza costituzionale radicalmente esclude che siffatto meccanismo di “riparazione” alle omissioni normative sia lesivo delle attribuzioni legislative, giacché l’integrazione da parte della giurisdizione comune non si colloca sul piano della normazione generale e astratta, bensì̀ su quello della regola del caso concreto: “La dichiarazione di illegittimità̀ costituzionale di una omissione legislativa – com’è quella ravvisata nell’ipotesi di mancata previsione, da parte della norma regolatrice di un diritto costituzionalmente garantito, di un meccanismo idoneo ad assicurare l’effettività̀ di questo – mentre lascia al legislatore, riconoscendone l’innegabile competenza, di introdurre e di disciplinare anche retroattivamente tale meccanismo in via di normazione astratta, somministra essa stessa un principio cui il giudice comune è abilitato a fare riferimento per porre frattanto rimedio all’omissione in via di individuazione della regola del caso concreto” (cfr. Corte cost., sentenza n. 295/1991).

Dello stesso avviso è anche questa Suprema Corte, che nella sentenza delle Sezioni Unite n. 1946/2017 ha chiarito i rapporti della giurisprudenza costituzionale additiva con l’art. 136 Cost., proprio al fine di evitare che la prassi giurisdizionale comune finisca col vanificare la regola posta da quest’ultima previsione: “Trattandosi di una sentenza di illegittimità̀ costituzionale, essa produce gli effetti di cui agli artt. 136 Cost. e 30, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale: la norma dichiarata costituzionalmente illegittima […] cessa di avere efficacia e non [può] avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”. Quindi, il fatto che la pronuncia della Consulta si limiti a consegnare un principio, senza contestualmente introdurre regole di dettaglio self-executing, “non esonera gli organi giurisdizionali, in attesa che il legislatore adempia al suo compito, dall’applicazione diretta di quel principio”. Ciò in quanto “l’affermazione di principio contenuta nel dispositivo di incostituzionalità̀ non è semplice espressione di orientamento di politica del diritto, destinata a trovare realizzazione a condizione di un futuro intervento del legislatore che trasformi la pronuncia della Corte costituzionale in regole di diritto positivo. Essa è, invece, diritto vigente, capace di valere per forza propria, in quanto derivante dalla Costituzione: la legge alla quale il giudice è soggetto per il principio di legalità̀ nella giurisdizione (art. 101, secondo comma, Cost.) è quella che risulta dalla addizione del principio ad opera della sentenza di illegittimità̀ costituzionale”.

Di conseguenza questa Corte non può esimersi dall’osservare che, ove si riconoscessero effetti vincolanti soltanto alla parte ablatoria della decisione additiva, e invece valore meramente persuasivo al principio in essa formulato, si verrebbe a negare la stessa funzione assolta dalle sentenze di accoglimento del Giudice delle leggi, le quali apparrebbero come meramente dichiarative dell’incostituzionalità̀ di omissioni legislative e, proprio perché non seguite dall’applicazione concreta del principio da esse enunciato, non agevolmente armonizzabili con il disposto dell’art. 136 Cost. e dell’art. 30 della l. n. 87/1953, che invece postulano l’espunzione e la cessazione dell’efficacia della norma incostituzionale quale il necessario ed inevitabile effetto della dichiarazione di incostituzionalità̀.

Ne deriva che è evidentemente fondata, per tutte le considerazioni sinora svolte, la denunzia circa la violazione degli artt. 74, co. II, 75, co. I e 83, co. II, d.P.R. 115/2002 da parte dell’ordinanza impugnata, che, avendo concluso per l’esclusione ad un caso di mediazione obbligatoria sine iudicio dell’applicazione dei principi ivi aggiunti per effetto del diritto alla liquidazione del compenso, è incorsa in violazione di legge rilevante in questa sede ai sensi dell’art. 360, co. I, n. 3, codice di rito.

5. I motivi vanno pertanto accolti, e l’ordinanza deve essere quindi cassata, in relazione alle ragioni dell’accoglimento, con rinvio al Tribunale di Firenze in persona di diverso magistrato, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio e di quelle della precedente fase di merito.

PQM

Accoglie il ricorso e cassa l’ordinanza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio al Tribunale di Firenze, in persona di diverso magistrato, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

 

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

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