DIRITTO D'AUTORE


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5 novembre 2024

35/24. MEDIA Magazine n. 8-9-10-11 del 2024 (Osservatorio Mediazione Civile n. 29/2024)

 

MEDIA Magazine

Mensile dell’Osservatorio Nazionale sulla Mediazione Civile
ISSN 2281 - 5139

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n. 8-9-10-11/24  Novembre 2024



Buona lettura.



Giurisprudenza


Mediazione obbligatoria: apposita prima udienza anticipata per sentire i difensori sul tema della condizione di procedibilità (Osservatorio Mediazione Civile n. 32/2024)

=> Tribunale di Bologna, 15 aprile 2024


Sublocazione e cessione del contratto di locazione, domanda di mediazione e contestazione dell’inadempimento del cessionario/conduttore? (Osservatorio Mediazione Civile n. 34/2024)

=> Corte di Cassazione, 19 febbraio 2024 n. 4405



COMMENTI E APPROFONDIMENTI


Clausole di mediazione e rilevanza nel processo [cfnews] (Osservatorio Mediazione Civile n. 33/2024)



NORME


DM 9.8.2024, Modifica dei termini previsti dagli articoli 42, comma 1, e 43, comma 1, del decreto del Ministro della giustizia del 24 ottobre 2023, n. 150 (Osservatorio Mediazione Civile n. 31/2024)



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Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 35/2024

(http://osservatoriomediazionecivile.blogspot.it)

31 ottobre 2024

34/24. Sublocazione e cessione del contratto di locazione, domanda di mediazione e contestazione dell’inadempimento del cessionario/conduttore? (Osservatorio Mediazione Civile n. 34/2024)

 

=> Corte di Cassazione, 19 febbraio 2024 n. 4405


L’impugnata sentenza va cassata e rinviata alla Corte d'appello in applicazione del seguente principio di diritto: “Ai fini del rispetto del beneficium ordinis previsto dall'art. 36 della legge 392/1978, ciò che rileva è l'inadempimento vero e proprio del cessionario/conduttore, che, da parte del locatore, deve essere fatto constatare con autonomo atto, prima di rivolgersi al cedente e di esperire l'azione giudiziale. Tale autonomo atto può essere anche costituito dalla domanda di mediazione, ovvero dalla richiesta di partecipazione alla mediazione (nel caso di specie obbligatoria), estese - in funzione del successivo giudizio - anche al cessionario (e nel caso di cessioni successive all'ultimo cessionario), atteso che una simile iniziativa, per le sue caratteristiche funzionali ben può essere considerata come richiesta di adempimento ante causam fatta nei riguardi del cessionario (o dell'ultimo cessionario)” (I) (II).


(I) Si veda l’art. 5, d.lgs. n. 28/2010 (come novellato dalla c.d. riforma Cartabia), in Osservatorio Mediazione Civile n. 28/2023.


(II) Art. 36, l. 27.7.1978, n. 392.

Sublocazione e cessione del contratto di locazione.

Il conduttore può sublocare l'immobile o cedere il contratto di locazione anche senza il consenso del locatore, purché venga insieme ceduta o locata l'azienda, dandone comunicazione al locatore mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Il locatore può opporsi, per gravi motivi, entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione. Nel caso di cessione, il locatore, se non ha liberato il cedente, può agire contro il medesimo qualora il cessionario non adempia le obbligazioni assunte.

Le indennità previste dall'articolo 34 sono liquidate a favore di colui che risulta conduttore al momento della cessazione effettiva della locazione.


Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 34/2024

(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)


Cote di cassazione

sezione III

ordinanza n. 4405

19 febbraio 2024


Omissis


rilevato


1. GG Srl, con contratto registrato il 21.12.2010, concedeva in locazione a EE Srl l'immobile a uso commerciale sito in Osmannoro per la durata dal 1.12.2010 al 30.11.2016, dietro corresponsione di canone annuale.

Successivamente EE vendette a X Srl (all'epoca X Srl), un ramo d'azienda, del quale faceva parte il contratto di locazione dello stabile in questione, e comunicò a GG la cessione, pregando la società locatrice di provvedere alla “volturazione” del contratto di Via Volga a X (X). Il 19.10.2016 X vendette a X Network Srl un ramo di azienda che non comprendeva il contratto di locazione, ma altre “autorizzazioni e rapporti contrattuali”.

1.2. GG -sostenendo in fatto di essere stata lasciata all'oscuro dei vari passaggi e di non avere mai acconsentito ad alcuna cessione, ed eccependo in diritto che non era intervenuta alcuna liberazione della originaria conduttrice da parte di essa proprietaria, la quale non aveva mai espresso il consenso alla cessione, cosicché la stessa rimaneva obbligata in solido con la cessionaria per il pagamento dei canoni di locazione- agiva (sia con ricorso ex 447 bis cod. proc. civ., sia con intimazione di sfratto, procedimenti poi riuniti) contestualmente contro EE, X (già X) e X Network, chiedendo (i) la risoluzione per grave inadempimento di EE, X e X Network; (ii) la loro condanna in solido a riconsegnare l'immobile; (iii) la loro condanna in solido a pagarle i canoni scaduti e a scadere.

Si costituiva resistendo EE, deducendo di avere dato rituale comunicazione a GG della cessione, ed inoltre chiedendo:

(i) dichiararsi la propria carenza di legittimazione passiva rispetto alle domande di risoluzione e di rilascio dell'immobile, perché il contratto era stato ceduto, assieme al ramo d'azienda, a X, così come la conseguente disponibilità materiale dell'immobile;

(ii) rigettarsi la domanda di pagamento dei canoni, perché GG, ai sensi dell'art. 36 L. 392/78, avrebbe dovuto prima agire contro la cessionaria X, che, per contro, neppure era stata messa in mora; (iii) in subordine, chiedeva di essere manlevata da X e da X Network, alle quali esclusivamente sarebbe stata ascrivibile qualsiasi responsabilità.

Si costituiva X (già X), nella sola causa di sfratto per morosità, sostenendo di avere liberato e rilasciato l'immobile, perché, in sostanza, erano sopravvenuti fatti che rendevano ormai inservibile l'immobile a fini di impresa, e di aver comunicato a GG di avere liberato i locali, e dunque chiedendo:

(i) rigettarsi ogni domanda di GG contro di sé, avendo rilasciato i locali e non avendo nulla a che fare con la situazione creatasi;

(ii) rigettarsi, in ogni caso, la malleva di EE, perché per un parte la morosità risaliva all'agosto 2014, periodo che doveva restare a carico di EE anche in base a una transazione intervenuta fra loro, mentre la morosità successiva al 28 aprile 2016 era stata sanata con un versamento a GG (a titolo di canoni da maggio a ottobre 2016) effettuata da tale Agestel Srl

Si costituiva X Network, infine, chiedendo dichiararsi la propria carenza di legittimazione passiva, perché del tutto estranea alla vicenda, essendo stata cessionaria da EE di un diverso ramo d'azienda, non comprendente l'immobile oggetto di causa; aderiva comunque alle difese di X.

1.3. Con sentenza del 19 novembre 2019 il Tribunale di Firenze rigettava ogni domanda di GG contro X e X Network per carenza di legittimazione passiva; accoglieva tutte le domande di GG contro EE, pronunciando la risoluzione del contratto e condannando EE a rilasciare l'immobile, nonché a pagare tutti i canoni di locazione scaduti e di futura scadenza sino alla riconsegna; rigettava la domanda di manleva proposta da EE; condannava EE a rimborsare le spese a GG; condannava GG a rimborsare le spese a X e a X Network.

2. Avverso tale sentenza EE proponeva appello avanti alla Corte d'Appello di Firenze.

Si costituiva GG, resistendo e proponendo appello incidentale.

Si costituiva X Network Srl, resistendo e proponendo appello incidentale.

Restava intimato il Fallimento X Srl in liquidazione.

2.1. Con sentenza n.410/2021 pubblicata il 9 marzo 2021, la Corte d'Appello di Firenze accoglieva l'appello proposto da EE Srl, così pronunciando: “1. in accoglimento dei motivi primo, terzo e quarto dell'appello principale, assorbiti il secondo e il quinto; assorbite altresì le domande di malleva reiterate contro EE Srl da X Network Srl e da X Srl; nonché dichiarato improcedibile l'appello incidentale di GG Srl; rigettato infine l'appello incidentale proposto da X Network Srl contro GG Srl, in corrispondente parziale riforma della impugnata sentenza n. 3483/2019 emessa dal Tribunale di Firenze il 19.11.2019, confermata nel resto: a. rigetta tutte le domande proposte da GG Srl nei confronti di EE Srl; b. condanna GG Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, a rimborsare a EE Srl le spese processuali di primo grado, che liquida in complessivi Euro 8.030,00 per compensi professionali di avvocato, oltre al 15% per rimborso di spese generali, c.a.p. e i.v.a. secondo legge; 2. condanna GG Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, a rimborsare a EE Srl le spese processuali del presente grado, che liquida in complessi Euro 10.916,50, di cui Euro 165,50 per esborsi ed Euro 10.751,00 per compensi professionali di avvocato, oltre al 15% sui compensi per rimborso di spese generali, c.a.p. e i.v.a. secondo legge; 3. compensa integralmente fra GG Srl e X Network Srl le spese processuali del grado”.

3. Avverso tale sentenza GG Srl propone ora ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

Resiste con controricorso Sirti-Net Srl in liquidazione (già EE Srl in liquidazione).

Resiste con controricorso X Network Srl

Sebbene intimato, il Fallimento X Srl non ha svolto attività difensiva.

4. La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell'art. 380-bis.1, cod. proc. civ.

Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni

La ricorrente e le resistenti hanno depositato memorie illustrative.


Considerato


1. Con il primo motivo la società ricorrente denuncia “Violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. e, in particolare dell'art. 36 della L.392/1978, e/o omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.”.

Lamenta che la Corte d'Appello di Firenze non avrebbe preso in considerazione la reale posizione giuridica delle parti, dato che EE non è il locatore originario, bensì il primo dei cessionari e dunque un cedente intermedio, e per l'effetto avrebbe erroneamente ritenuto la EE gravata da responsabilità sussidiaria, caratterizzata dal beneficium ordinis, senza invece tenere conto dell'orientamento di legittimità, secondo cui tra tutti i cedenti intermedi (tra cui appunto EE) vige la regola della presunzione di una responsabilità solidale.

Ne deriva altresì che erroneamente la corte territoriale ha applicato al caso di specie il principio, derivante dal citato art. 36, del necessario rispetto del beneficium ordinis, per cui occorre che prima dell'azione giudiziale il cessionario sia quanto meno messo mora con specifico atto, ancorché stragiudiziale.

Se la corte territoriale avesse correttamente applicato i suddetti principi, avrebbe escluso la necessità di preventiva messa in mora del cessionario finale per poter agire giudizialmente nei confronti del cedente intermedio.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia “Violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360 c.p.c. e, in particolare, dell'art.36 della L.392/1978, Disciplina delle locazioni di immobili urbani, G.U. n.211 del 29 luglio 1978 e/o

omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360, comma 1, n.5, cod. proc. civ. e, in particolare, la Corte d'Appello di Firenze avrebbe errato nel ritenere che GG non abbia preventivamente cercato di ottenere l'adempimento dall'ultimo, nonché dal primo dei cessionari intermedi”.

Lamenta, lungi dal volere equiparare un invito a partecipare ad un procedimento di mediazione ad una formale messa in mora, che la corte di merito non ha considerato che essa GG prima di agire contro EE aveva inviato a X Srl ed a X Network l'invito alla mediazione obbligatoria prodromica alla causa, e dunque non ha considerato che prima di convenire in giudizio EE, GG ha preventivamente tentato di ottenere il pagamento da tutti i cessionari intermedi, dunque conformandosi pienamente al dettato normativo di cui all'art. 36 della legge 392/1978.

3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia “Violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. e, in particolare, degli artt. 348,348-bis, 348-ter e 350 c.p.c. nonché 436 e 437 cod. proc. civ. per aver dichiarato erroneamente improcedibile l'appello incidentale di GG verso X Srl”.

Lamenta che la corte di merito ha erroneamente dichiarato improcedibile l'appello incidentale proposto da GG.

Deduce che tutte le parti erano costituite telematicamente e che in tal caso, come scritto nel decreto di fissazione di udienza, non era necessario né richiesto il deposito di ricorsi o notifiche; inoltre sul tema specifico dell'appello incidentale tutte le controparti avevano dispiegato ampie difese deduzioni ed eccezioni, per cui non era ravvisabile lesione alcuna del loro diritto di difesa.

4. Il primo motivo, in disparte il pur non marginale rilievo per cui la GG -solo genericamente evocando la documentazione prodotta in primo grado- sostanzialmente sollecita un riesame del merito in ordine alla posizione di EE quale cedente intermedio, evenienza mai menzionata nelle precedenti decisioni di merito, è infondato.

L'art. 36 legge n. 392/1978 prevede che: “Il conduttore può sublocare o cedere il contratto di locazione anche senza il consenso del locatore, purché venga insieme ceduta o locata l'azienda, dandone comunicazione al locatore mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Il Locatore può opporsi, per gravi motivi, entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione. Nel caso di cessione, il locatore, se non ha liberato il cedente, può agire contro il medesimo qualora il cessionario non adempia alle obbligazioni assunte”.

4.1. Tanto premesso, questa Corte, con orientamento cui si intende dare continuità, ha già avuto modo di affermare che “in caso di cessione del contratto di locazione (contestualmente a quella dell'azienda) effettuata ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 36, senza il consenso del locatore, mentre tra (l'unico) cedente e (l'unico) cessionario intercorre un vincolo di responsabilità sussidiaria (contraddistinta dal beneficium ordinis, che consente, perciò, al locatore di rivolgersi al cedente, con l'esperimento delle relative azioni giudiziali per il soddisfacimento delle obbligazioni inerenti il suddetto contratto, solo dopo che si sia configurato l'inadempimento del cessionario), nell'ipotesi di verificazione di plurime cessioni a catena, caratterizzate ciascuna dalla dichiarazione di non liberazione dei distinti cedenti, viene a configurarsi tra tutti i cedenti “intermedi” del contratto stesso (compreso il primo) un vincolo di corresponsabilità, rispetto al quale, in assenza di qualsivoglia limitazione ex lege, deve ritenersi normalmente applicabile la regola generale della presunzione di solidarietà (prevista dall'art. 1294 c.c.), in virtù della quale tutti i cedenti (a loro volta cessionari) non liberati dal locatore risponderanno, in solido tra loro, dell'obbligazione inadempiuta dall'attuale conduttore” (così Cass. n. 9486/2007)

4.2. La giurisprudenza successiva ha poi consolidato i seguenti principi:

a) a differenza della cessione del contratto, a struttura trilaterale (il consenso del contraente ceduto è elemento essenziale della cessione, e non co-elemento di efficacia della stessa) la cessione ex art. 36 si perfeziona con la semplice comunicazione al locatore, senza che, rispetto alla sua struttura, incida l'eventuale opposizione del locatore per gravi motivi;

b) in caso di cessione (o locazione) di azienda, con contestuale cessione del contratto di locazione dell'immobile nel quale l'azienda è esercitata, la disciplina recata dalla predetta norma (deviando in parte da quella generale di cui all'art. 1408 cod. civ.) comporta che, se il locatore non può opporsi alla sublocazione o alla cessione del contratto di locazione, unitamente alla cessione o locazione dell'azienda, tuttavia lo stesso può contare sul protrarsi della responsabilità del cedente per il pagamento del canone, nel caso di inadempimento del cessionario, salvo che egli stesso dichiari espressamente di liberarlo (Cass., 28809/2019; Cass. 30/09/2015, n. 19531).

c) il cedente è obbligato in via sussidiaria nei confronti del cessionario, alla stregua di una interpretazione storica e letterale dell'art. 36 in negativo, non essendo stata riprodotta la disposizione della legge n. 19 del 1965, art. 5 che prevedeva testualmente la responsabilità solidale tra cedente e cessionario;

d) la sussidiarietà si sostanzia, peraltro, nel semplice beneficium ordinis (e non anche nel più gravoso beneficium excussionis) in favore del cedente;

e) il rispetto di tale principio postula la semplice messa in mora senza esito del cessionario (con relativa prova a carico del locatore);

f) solo dopo aver rivolto senza esito la richiesta di inadempimento al cessionario ovvero all'ultimo cessionario in caso di cd. cessioni a catena, il locatore potrà rivolgersi, indifferenziatamente e solidalmente, a ciascuno dei cedenti intermedi, che non godono di alcun beneficium ordinis tra loro, e senza alcuna esigenza di integrare il contraddittorio tra i potenziali co-obbligati (da questo principio consegue la configurabilità del litisconsorzio facoltativo, che comporta rapporti scindibili sotto il profilo processuale: v. la già citata Cass., n. 9486/2007: “la illustrata struttura della coobbligazione solidale tra i conduttori convenuti in lite, escluso ogni rapporto di dipendenza o di subordinazione tra le posizioni degli stessi (escluso cioè che la responsabilità dell'un conduttore presupponga o consegua alla responsabilità dell'altro), determina l'autonomia delle domande cumulativamente proposte nei confronti degli stessi, impedendo la configurabilità di un rapporto unico ed inscindibile. Si versa, cioè, in una tipica fattispecie di litisconsorzio facoltativo con rapporti processualmente scindibili”; per cui: “con specifico riferimento alla cessione del contratto di locazione correlata alla cessione di azienda, si è espressa, in maniera reiterata, questa Corte, univoca nell'affermare che sussiste litisconsorzio necessario tra cedente, cessionario e ceduto soltanto quando siano in questione l'avvenuta conclusione, validità ed efficacia del contratto di cessione, ma non quando si controverta unicamente delle vicende del rapporto, potendo in questo caso il locatore esperire separate e distinte azioni nei riguardi dei soggetti tra loro obbligati in solido”; v. ex plurimis, Cass. 09/12/1997, n. 12454; Cass. 29/11/1993, n. 11847; Cass. 31.03.1987, n. 3102)”.

4.3. Questo consolidato orientamento della Corte da un lato è rispettoso della ratio del citato art. 36, che è quella di agevolare il trasferimento di aziende esercenti la loro attività in immobili condotti in locazione dall'imprenditore e di tutelare l'avviamento commerciale (con riferimento a tale ratio v. Cass. 19/01/2010, n. 685), ma, per altro verso, stante l'irrilevanza del consenso del locatore alla cessione della locazione contestuale alla cessione dell'azienda, evenienza questa che rende peculiare l'intera fattispecie speciale di detta cessione, valorizza l'opzione ermeneutica che risulti compatibile con una tutela “rafforzata” del soggetto ceduto al quale, in evidente spregio dei principi di successione nel debito, si nega la facoltà di esprimere la propria volontà ed il proprio assenso.

A tal proposito, perciò, da un lato tra il cedente ed il cessionario divenuto successivo conduttore dell'immobile esiste un vincolo di responsabilità sussidiaria, caratterizzata dal mero beneficium ordinis, che consente, perciò, al locatore di rivolgersi al cedente, con l'esperimento delle relative azioni giudiziali per il soddisfacimento delle obbligazioni inerenti il suddetto contratto, solo dopo che si sia consumato l'inadempimento di detto nuovo conduttore, nei cui confronti è necessaria la preventiva richiesta di adempimento mediante la semplice modalità della messa in mora. Dall'altro deve ritenersi legittima la configurabilità di una fattispecie di responsabilità cumulativa tra cessionari intermedi, che di per sé integra patente violazione del generale principio della incedibilità delle posizioni passive del rapporto obbligatorio senza il consenso del contraente ceduto, in quanto tuttavia giustificata alla luce della riconduzione ad equilibrio dell'intera vicenda contrattuale in fieri, mediante il meccanismo della “cumulatività indeterminata” della responsabilità tra coobbligati (Cass. 20/04/2007, n. 9486; Cass., 29/08/2019, n. 21794), alla quale si applica la regola generale della presunzione di solidarietà prevista dall'art. 1294 cod. civ., in virtù della quale tutti i cedenti (a loro volta cessionari) non liberati dal locatore risponderanno, in solido tra loro, dell'obbligazione inadempiuta dall'attuale

conduttore (cfr. Cass. n. 9486/2007).

4.4. Orbene, la corte di merito ha fatto puntuale applicazione dei suindicati principi (v. punto 3 della motivazione della sentenza impugnata), in forza dei quali interpreta l'art. 36 legge 392/1978 correttamente e dunque nel senso per cui, si ribadisce, nel caso di cessione plurima di contratto di locazione ad uso diverso dall'abitazione, di fronte all'inadempimento del pagamento del canone di locazione, il locatore deve -in primo luogo e prima di esercitare l'azione nei confronti del cedente-richiedere l'adempimento all'ultimo cessionario; nel caso in cui costui non adempia, scatta automaticamente la solidarietà fra tutti i cedenti e cessionari antecedenti, a cui dunque il locatore potrà successivamente ed indifferenziatamente rivolgersi.

E' per contro manifestamente infondata la tesi del ricorrente, che vorrebbe far discendere - non è chiaro in forza di quale principio - dal riconoscimento della responsabilità solidale di tutti i successivi cessionari, nel caso di plurime cessioni, l'esclusione del beneficium ordinis per cui, prima di agire, occorre che il locatore compulsi, chiedendo l'adempimento, l'ultimo cessionario.

E' vero che nel caso in cui l'ultimo cessionario non adempia, scatta automaticamente la solidarietà tra tutti i cedenti ed i cessionari antecedenti, ma -si ribadisce- resta pur sempre fermo il principio del beneficium ordinis, per cui, di fronte all'inadempimento, il locatore anzitutto deve compulsare l'ultimo cessionario.

5. Il secondo motivo è invece fondato.

Esso pone una questione nuova, che ad avviso di questa Corte deve essere risolta in senso contrario a quanto deciso della corte fiorentina.

5.1. Giova dunque anzitutto ricordare che in primo grado il Tribunale di Firenze aveva così statuito:

... in caso di mancata liberazione del cedente, per tutte le azioni attinenti alla prosecuzione o alla estinzione del rapporto locatizio, permane la legittimazione passiva dell'originario conduttore. Quanto alla responsabilità del cedente, da ultimo la Suprema Corte ha ritenuto applicabile il principio della responsabilità sussidiaria all'interno dei rapporti tra i coobbligati, sia pure sotto il limitato profilo del beneficium ordinis (vedi Cass., 20/04/2007, n. 9486; Cass., 11/11/2011, n. 23557), attraverso una preventiva richiesta di adempimento al cessionario, oppure, come sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità più recente, attraverso la semplice modalità della messa in mora (vedi Cass., n. 13706/2017). Applicando i suesposti principi al caso di specie, ne discende la responsabilità dell'originario conduttore EE Srl per i canoni di locazione non pagati anche per il periodo successivo alla cessione del ramo di azienda e del contratto di locazione (1.5.2016), non essendo stato liberato dal locatore, che ne ha ricevuto formale comunicazione; incontestato, poi, è l'inadempimento all'obbligo di pagamento dei canoni di locazione sin dal mese di maggio 2016 del conduttore cessionario, il quale, pur non avendo ricevuto alcuna formale richiesta di adempimento o di messa in mora da parte del locatore prima dell'introduzione del presente giudizio, ha manifestato sin da subito, con l'introduzione del procedimento di mediazione, la volontà di non adempiere (vedi verbale negativo di mediazione del 18.10.2017), con conseguente maturarsi dell'inadempimento di quest'ultimo”.

5.2. La corte d'appello ha invece integralmente riformato la decisione sotto tali profili, espressamente affermando che non è sufficiente, al fine del rispetto del beneficium ordinis, la richiesta inviata per la mediazione obbligatoria prodromica alla causa, dal momento che:

tale atto non è equipollente a una (preventiva) messa in mora. Ammesso e non concesso che una comunicazione indirizzata in via immediata non al debitore, ma all'Organismo di Mediazione, possa dirsi comunque utile ai presenti fini, è dirimente considerare che con la richiesta di mediazione il creditore non intima affatto al debitore di adempiere, ma -proprio per la natura dell'atto - riserva al successivo eventuale giudizio ogni richiesta.

Al massimo, cioè, la richiesta di mediazione manifesta al debitore che la sua controparte vanta una pretesa nei suoi confronti e, ove la mediazione non abbia buon esito, è intenzionata ad agire in giudizio; ma di certo non costituisce una intimazione immediata di adempimento, essendo ciò intrinsecamente in contrasto con la funzione dell'atto, che è quello di avviare una mediazione. È d'altra parte noto che la messa in mora, pur se a forma libera, deve manifestare la incondizionata volontà del creditore di pretendere l'immediato adempimento: “La costituzione in mora del debitore, anche al fine della interruzione della prescrizione, postula l'estrinsecazione della pretesa creditoria, con richiesta d'adempimento, e, per tanto, non può essere ravvisata in una generica riserva di far valere il diritto o di agire a sua tutela in un momento successivo.” (Cass. sez. civ. 21.5.1985 n. 3096 rv 440793); non sono idonee alla messa in mora “(…) semplici sollecitazioni prive del carattere di intimazione e dell'espressa richiesta di adempimento al debitore.” (Cass. sez. 6 civ. ord. 14.6.2018 n. 15714 rv 649150-01; conf.: Cass. sez. 6 civ. ord. 7.9.2020 n. 18546). Sarebbe inutile obiettare - e GG non lo fa - che l'art. 5 co. 6 primo periodo D. Lgs 28/2010 stabilisce che “Dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale”, perché la peculiare parificazione va considerata limitata, così come la legge specifica, ai soli fini della interruzione della prescrizione; ché, se poi si opinasse diversamente, si dovrebbe allora, per esser conseguenti, operare una parificazione totale della domanda di mediazione a quella giudiziale, col risultato, comunque favorevole alla tesi dell'appellante EE, che sarebbe mancata una intimazione al debitore principale precedente all'avvio della causa, con mancato rispetto del beneficium ordinis”.

La corte territoriale, pertanto, conclude nel senso che, ricevuta da parte di EE la comunicazione dell'avvenuta cessione, GG, prima di convenirla in giudizio per far valere la sua responsabilità sussidiaria rispetto a inadempimenti interamente attribuibili al cessionario, avrebbe dovuto mettere in mora X (all'epoca X).

5.3. Orbene, la corte di merito richiama astrattamente i principi di diritto posti da questa Suprema Corte in sede di interpretazione dell'art. 36 legge 392/1978 e qui riportati in sede di scrutinio del primo motivo di ricorso, ma non li applica correttamente al caso di specie, in cui viene in rilievo il profilo, mai esaminato sinora, per cui prima della instaurazione del giudizio di merito la GG ha comunicato a tutte le controparti di aver depositato istanza di mediazione, rispetto alla quale la corte fiorentina svolge considerazioni non condivisibili.

Anzitutto va rilevato che, per un verso, la corte d'appello sostanzialmente non disconosce l'esistenza del credito di GG e che, per altro verso, è cosa giudicata interna, formatasi per effetto della mancata impugnazione, che la mediazione fosse stata estesa all'ultimo cessionario, quello nei cui riguardi doveva rivolgersi la richiesta di pagamento.

Ciò posto, è errato quanto afferma la corte fiorentina circa l'impossibilità di considerare la richiesta di mediazione, come attività stragiudiziale, sub specie di richiesta di adempimento.

In disparte il rilievo -puramente formalistico ed affatto decisivo- per cui la domanda di mediazione non è rivolta direttamente al debitore ma all'Organismo di Mediazione, le argomentazioni della corte di merito per cui con la domanda di mediazione il creditore “non intima affatto di adempiere” sono immotivate ed apodittiche, a fronte della previsione dell'art. 4, comma 2, D.Lgs. n. 28 del 2010, che stabilisce che la domanda di mediazione è presentata mediante deposito (presso un organismo di mediazione) di un'istanza che deve indicare l'organismo, le parti, l'oggetto e le ragioni della pretesa; tale previsione va letta in combinato disposto con la normativa dettata dall'art. 5, comma 1-bis in tema di mediazione obbligatoria, il quale prevede uno stringente collegamento tra il processo civile (“azione”) e la preventiva mediazione.

La ratio di tale previsione è quella di ottenere, in caso di eventuale successivo giudizio, una simmetria tra la disposizione richiamata (art. 4 comma 2 D.Lgs. 28/2010) e l'art. 125 cod. proc. civ., circa il contenuto degli atti processuali, (cfr. Cass. n. 29333/2019, non massimata, che contiene questo espresso riferimento: “L'assunto cassatorio è che la corte territoriale abbia violato l'art. 4 del D.Lgs. n. 28/10 che prescrive che la domanda di mediazione debba contenere l'indicazione dell'organismo, delle parti, dell'oggetto e delle ragioni della domanda, in sintonia con quanto prescritto dall'art. 125 cod. proc. civ., quanto al contenuto degli atti processuali, sì da garantire che quanto sottoposto all'organismo di mediazione trovi corrispondenza in quanto successivamente portato alla cognizione del giudice”, per poi concludere nel senso della infondatezza del motivo, in quanto “All'esito di un accertamento di merito adeguatamente motivato, insuscettibile di riesame da parte di questa Corte, la decisione impugnata ha confrontato la domanda di mediazione con quella giudiziale ed ha ritenuto che non vi fosse una insanabile non sovrapponibilità del relativo oggetto”).

E' pacifico, dunque, che l'istanza di mediazione debba avere gli stessi elementi (parti, oggetto e ragioni), riproposti in sede processuale (personae, petitum e causa petendi dell'art. 125 cod. proc. civ.), e questo al fine di rendere effettiva la mediazione, per cui la parte chiamata deve essere messa in condizione di conoscere tutte le questioni, nel loro nucleo essenziale, costitutive della pretesa dell'altra parte.

In questo contesto, dunque, non è ragionevolmente possibile escludere che la domanda di mediazione non possa anche rivestire i presupposti della intimazione ad adempiere; se la mediazione è finalizzata alla definizione della controversia in via conciliativa, deflazionando il contenzioso ordinario, per altro verso la medesima costituisce condizione di procedibilità della successiva domanda giudiziale: pertanto, l'istanza di mediazione deve contenere quel nucleo indefettibile di elementi e di contenuto, tale da evidenziare la pretesa su cui la mediazione medesima possa essere utilmente esperita ovvero, in caso contrario, che costituirà il fondamento ed il contenuto della futura iniziativa giudiziale, e per questo dunque non può non far riferimento alla pretesa creditoria da un lato ed all'inadempimento, al di là del mero ritardo, dall'altro.

5.4. Anche l'ulteriore argomento formulato dalla corte di merito e fondato sul disposto del comma 6 dell'art. 5 D.Lgs. 28/2010 non è condivisibile.

La citata disposizione prevede in particolare che: “Dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all'articolo 11 presso la segreteria dell'organismo”.

Orbene, al contrario di quanto dice la corte di merito, proprio il principio espresso dal citato art. 5, comma 6, primo periodo, attribuendo alla domanda di mediazione effetti interruttivi della prescrizione a somiglianza della proposizione della domanda giudiziale, implica a maggior ragione che l'attivazione della mediazione non possa che considerarsi come richiesta di adempimento all'ultimo cessionario.

Il ragionamento svolto dalla corte di merito, secondo cui la parificazione tra istanza di mediazione e domanda giudiziale sarebbe limitata ai soli fini della interruzione della prescrizione, invero non considera che la previsione del citato art. 5, comma 6, D.Lgs. 28/2010, lungi dall'essere letta ed interpretata in maniera puramente letterale, va considerata sotto un profilo sistematico.

E sotto tale profilo deve essere rilevato che con questa disposizione il legislatore si è fatto carico dell'evenienza per cui colui che esperisce e coltiva un percorso di mediazione (e lodevolmente, visto che, come si desume dall'art. 8, comma 4-bis del D.Lgs. 2010 n. 28 - a norma del quale “Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall' art. 5, non ha partecipato al procedimento (di mediazione) senza giustificato motivo al versamento all' entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio”- è ormai principio immanente dell' ordinamento giuridico che la partecipazione alla mediazione è un valore in sé, a prescindere dal merito, e quindi dal convincimento di non dover incorrere nella soccombenza) non può essere costretto a subire gli effetti del decorso della prescrizione.

Pertanto, posto che la domanda di mediazione precede necessariamente la domanda giudiziale, il legislatore ha optato, a scanso di dubbi, per parificarla espressamente alla domanda giudiziale ai fini della interruzione del decorso del termine di prescrizione.

5.5. Del tutto formalistico e privo di pregio e poi l'assunto secondo cui in tal modo si equiparerebbe totalmente la richiesta di mediazione alla domanda giudiziale, con la conseguenza che mancherebbe l'essersi richiesto il pagamento all'ultimo cessionario prima di compulsare gli altri, in quanto il pagamento risulterebbe richiesto a tutti i cedenti e cessionari, con conseguente mancato rispetto del beneficium ordinis.

La domanda di mediazione, per la sua specifica funzione di giustizia complementare in funzione deflattiva, collegata al solo eventuale futuro giudizio di merito, viene inviata ante causam e nell'esporre la pretesa giuridica di cui si e titolari e la relativa esigenza di tutela, anzitutto al fine di trovare un possibile accordo conciliativo tra le parti, contiene naturalmente quella richiesta di adempimento che, pur nella sua forma più elementare, vale ad escludere il mero ritardo ed è idonea a far constare l'inadempimento del soggetto obbligato.

Va condivisa pertanto la censura contenuta nel secondo motivo di ricorso (p. 17), per cui “nessuno ha mai voluto equiparare un invito a partecipare a un procedimento di mediazione a una formale messa in mora, tuttavia non può certo dirsi che prima di convenire in giudizio EE, GG non abbia preventivamente tentato di ottenere il pagamento dai cessionari intermedi e dunque conformandosi pienamente al dettato normativo di cui all'art. 36 della legge 392/1978”.

5.6. Risulta inoltre illogico che la corte territoriale abbia rigettato la domanda del proprietario verso il cedente, affermando che il primo non avrebbe tentato di ottenere l'adempimento dei cessionari intermedi e giustificando tale rilievo sulla pretesa non equipollenza tra domanda di mediazione e messa in mora.

Se infatti si considera complessivamente la motivazione, è possibile rilevare che l'impugnata sentenza svolge una articolata -e condivisibile- premessa, richiamando l'orientamento di questa Corte, secondo cui ciò che conta, ai fini del rispetto del beneficium ordinis, non è la mora in sé del cessionario, che, a ben vedere, si produce ex re allo scadere del termine per il pagamento della rata di canone (cfr. Cass. sez. 3^ civ. 17.12.1986 n. 7628; Cass. sez. 3^ civ. 13.3.2007 n. 5836; Cass. sez. 3^ civ. 9.12.2004 n. 25853; è fatta salva la deroga dell'art. 1282 co. 2 c.c. nei soli casi, diversi dal presente, in cui le parti abbiano pattuito la natura querable della prestazione del conduttore), ma l'inadempimento vero e proprio, che occorre dunque constatare, al di là del mero ritardo, con un autonomo atto - ancorché nelle semplici forme dell'intimazione stragiudiziale - che non può che essere anteriore all'azione giudiziale (v. Cass., 20/01/2017, n. 1433, nel solco dell'indirizzo fissato dalla citata Cass., 9486/2007).

In ogni caso, poi, questa Corte ha già avuto modo di affermare che la messa in mora non richiede formule sacramentali né di particolari adempimenti (Cass., 18631/2019: “l'atto di costituzione in mora di cui all'art. 1219 cod. civ., idoneo ad integrare atto interruttivo della prescrizione ai sensi dell'art. 2943, ultimo comma, cod. civ., non è soggetto a rigore di forme, all'infuori della scrittura, e quindi non richiede l'uso di formule solenni né l'osservanza di particolari adempimenti, occorrendo soltanto che il creditore manifesti chiaramente, con un qualsiasi scritto diretto al debitore e portato comunque a sua conoscenza, la volontà di ottenere il soddisfacimento del proprio diritto. Sulla base di tali principi, perché un atto possa valere come costituzione in mora, deve contenere unicamente la chiara indicazione del soggetto obbligato (elemento soggettivo), nonché l'esplicitazione di una pretesa e l'intimazione o la richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare l'inequivocabile volontà del titolare del credito di ottenere il soddisfacimento del proprio diritto nei confronti del soggetto indicato (elemento oggettivo)”.

5.7. Ebbene, nel caso di specie GG prima di intraprendere il giudizio ex art. 447 bis cod. proc. civ. ha tentato di ottenere l'adempimento da parte di tutti cessionari, dunque in applicazione del disposto di cui al citato art. 36 legge 392/1978.

Il ragionamento della corte territoriale sul beneficium ordinis non considera che tale beneficio implica soltanto che prima dell'esercizio dell'azione contro il cedente e, quindi contro la platea dei cedenti e cessionari, ci si debba rivolgere stragiudizialmente all'ultimo cessionario. L'attività mediatoria, pur coinvolgente tutti i soggetti coinvolti nelle cessioni a catena del contratto di locazione, non costituisce quindi esercizio dell'azione giudiziale contro il cedente originario ed i successivi cessionari e cedenti anteriori all'ultimo cessionario.

5.8. La possibile funzione della domanda di mediazione di far constare ante causam l'inadempimento del debitore risulta vieppiù evidente se si considera, come ha osservato in prime cure il tribunale ed invece ha trascurato la corte d'appello, che nel caso di specie i destinatari della convocazione in mediazione hanno manifestato la volontà di non adempiere, come risulta dal verbale negativo di mediazione, per cui in tal modo si è maturato il loro inadempimento, in forza dell'espresso disposto, che la corte fiorentina ha omesso di considerare, dell'art. 1219 comma 2, n. 2, cod. civ., per cui non è necessaria la messa in mora del debitore allorquando lo stesso abbia dichiarato per iscritto di non voler eseguire l'obbligazione.

6. Pertanto, in accoglimento del motivo la impugnata sentenza va cassata e rinviata alla Corte d'appello di Firenze, in diversa composizione, per nuovo esame in applicazione del seguente principio di diritto:

Ai fini del rispetto del beneficium ordinis previsto dall'art. 36 della legge 392/1978, ciò che rileva è l'inadempimento vero e proprio del cessionario/conduttore, che, da parte del locatore, deve essere fatto constatare con autonomo atto, prima di rivolgersi al cedente e di esperire l'azione giudiziale. Tale autonomo atto può essere anche costituito dalla domanda di mediazione, ovvero dalla richiesta di partecipazione alla mediazione (nel caso di specie obbligatoria), estese - in funzione del successivo giudizio - anche al cessionario (e nel caso di cessioni successive all'ultimo cessionario), atteso che una simile iniziativa, per le sue caratteristiche funzionali ben può essere considerata come richiesta di adempimento ante causam fatta nei riguardi del cessionario (o dell'ultimo cessionario)”.

7. Il terzo motivo è manifestamente infondato.

Va premesso che la corte di merito ha dichiarato l'improcedibilità dell'appello incidentale di GG in quanto la stessa non ha depositato nel giudizio di appello la prova dell'avvenuta notificazione del ricorso incidentale.

Tale circostanza è pacifica, tanto è vero che la stessa GG motiva le proprie ragioni sostenendo che tale onere non le incombesse.

Va invece ricordato che questa Corte a Sezioni Unite, con la sentenza 30/07/2008, n. 20604 ha già avuto modo di affermare che, nel rito del lavoro, l'appello incidentale, pur tempestivamente proposto, ove non sia stato notificato va dichiarato improcedibile, poiché il giudice, in attuazione del principio della ragionevole durata del processo, non può assegnare all'appellante un termine per provvedere a nuova notifica, e la suddetta improcedibilità è rilevabile d'ufficio trattandosi di materia sottratta alla disponibilità delle parti (v. anche tra le successive conformi, Cass. sez. lav. 19.1.2016 n. 837; Cass., 03/04/2017, n. 8595; Cass., 19/10/2017, n. 24742; Cass., n. 29870/2008; Cass., n.1721/2009; Cass., n. 11600/2010, Cass., n.27086/2011; Cass., n. 20613/2013; Cass., n. 6159/2018).

Il principio discende dall' art. 436, comma 3, cod. proc. civ., il quale, per effetto dell'espresso richiamo contenuto nell'art. 447 bis, comma 2, cod. proc. civ., si applica anche ai giudizi, come il presente, in tema di locazione.

Si è poi ulteriormente precisato che il principio, affermato per l'appello principale, va applicato anche all'appello incidentale (v. Cass. 19/01/2016, n. 837).

7.1. La corte di merito ha dunque fatto buon governo dei suddetti principi, applicandoli al caso sottoposto al suo esame, in cui l'appello incidentale di GR verso X e stato tempestivamente proposto, ma non notificato, sottolineando in motivazione che né nelle fasi anteriori, ivi compresa quella incidentale di inibitoria, né con le note di trattazione scritta dell'udienza di discussione GG ha allegato di avere mai notificato la sua comparsa contenente l'appello incidentale e men che meno ne ha fornito prova.

Infondate sono dunque le considerazioni, contenute nel motivo di ricorso, secondo cui tutte le parti erano costituite in giudizio, dal momento che la mancata notifica (e la mancata prova in giudizio del fatto che essa sia avvenuta) non è causa di nullità, cioè di un vizio sanabile con l'avvenuta costituzione in giudizio delle parti, ma è causa di improcedibilità, cioè di un vizio comunque non sanabile, neppure a seguito della costituzione delle parti.

7.2. Risulta infine irrilevante e privo di pregio il fatto che GG abbia “dovuto anche depositare istanza di correzione di errore materiale sul punto” (v. p. 20 del ricorso), in quanto allegato in maniera del tutto generica, in violazione dell'art. 366, n. 6, cod. proc. civ. ed in assenza di correlazione con quanto motivato dalla corte territoriale nel ritenere improcedibile l'appello incidentale; che poi, in allegato a tale istanza di correzione di errore materiale, GG abbia prodotto le ricevute telematiche relative alla notifica alle controparti dell'appello incidentale allo scopo di cercare di ovviare all'omessa produzione nel corso del giudizio, è evenienza parimenti irrilevante, dato che tale produzione è tardiva, essendo intervenuta dopo la pronuncia della sentenza nel giudizio di appello.

8. In conclusione, vanno rigettati il primo ed il terzo motivo di ricorso, mentre va accolto il secondo; l'impugnata sentenza va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altra Sezione della Corte d'Appello di Firenze, comunque in diversa composizione, per nuovo esame in applicazione del principio di diritto indicato al par. 6 della motivazione.

9. Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.


PQM


La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso; rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia ad altra Sezione della Corte d'Appello di Firenze, comunque in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.


AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

17 ottobre 2024

33/24. Clausole di mediazione e rilevanza nel processo [cfnews] (Osservatorio Mediazione Civile n. 33/2024)


Clausole di mediazione e rilevanza nel processo


di Pier Giorgio AVVISATI

(fonte CassaForense: cfnews.it del 8.8.2024)


NOTE: per approfondimenti si veda il Focus tematico Speciale MEDIAZIONE E RIFORMA DEL PROCESSO CIVILE DI CUI ALLA L. 206/2021 E AL D.LGS 149/2022.


Le Clausole di Mediazione nella Riforma Cartabia

La Riforma Cartabia, nell’ampliamento della giustizia complementare, ha  introdotto, all’art. 5 sexies del novellato D.Lgs. 28/2010, le c.d. clausole di mediazione previste da patto contrattuale  o statutario.

Punto di arrivo della evoluzione di questo strumento è la previsione che, nel caso di inserimento della clausola, “l’esperimento della mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale”.

Vi è in definitiva una sussunzione nella macro categoria della mediazione obbligatoria, al pari di quella demandata dal Giudice, con la particolarità che, in linea di principio, è come se tale ipotesi fosse ricompresa tra le materie che impongono  preliminarmente di esperire il procedimento di mediazione.

Nel caso di loro inclusione nell’accordo, tutte le controversie nascenti da quel rapporto o da quello statuto o atto costitutivo dovranno necessariamente essere precedute dal tentativo richiamato e, in difetto, occorrerà eccepire il mancato adempimento entro la prima udienza e il giudice (o l’arbitro nel caso di procedimento arbitrale) provvederà ex art. 5 comma 2 invitando le parti all’esperimento del tentativo, fissando la udienza seguente successivamente alla scadenza del termine di durata della mediazione e dovrà dichiarare diversamente la improcedibilità della domanda giudiziale.

Già prima del recente intervento normativo innovativo la giurisprudenza ne aveva orientato la direzione: secondo Trib. Ravenna 22.6.2023  con tale clausola “le parti hanno inteso favorire una soluzione stragiudiziale delle controversie contrattuali e attraverso la quale le stesse si sono pertanto obbligate reciprocamente a svolgere il tentativo di mediazione prima di agire in giudizio…trattasi di clausola pattizia diversa dalla condizione di procedibilità di cui all’art.5 comma 1 bis del D.Lgs. 28/10 con conseguente improcedibilità, stante il mancato esperimento della procedura conciliativa, della domanda ex adverso proposta anche in sede monitoria e conseguente nullità del decreto ingiuntivo.

La clausola contrattuale di mediazione ha infatti valore cogente per le parti e, se la stessa non viene espletata prima dell’esercizio dell’azione, ciò determina la improcedibilità della domanda (cfr. Tribunale di Milano n.1008/22; Tribunale Roma n.20690/2017”; secondo la richiamata Trib. Milano n.1008/2022 “la clausola con cui le parti si siano pattiziamente obbligate ad esperire una procedura di mediazione convenzionalmente regolata, prima di una qualsiasi azione giudiziale, qualora sia sorta una controversia dai contratti di cui è causa, deve interpretarsi come avente valore cogente per ciascuna delle parti, così come ogni altra clausola contrattuale, ai sensi dell’art.1372 c.c..

Le parti hanno liberamente deciso di regolamentare i loro rapporti, favorendo la specifica modalità di soluzione stragiudiziale di ogni controversia sorta dai contratti, obbligandosi reciprocamente a tentare la mediazione, e, solo dopo il fallimento della stessa, adire l’autorità giudiziaria. Conformemente a condivisibile orientamento di merito (Trib. Roma n. 20690/2017), deve “ritenersi nella disponibilità delle parti medesime la subordinazione della lite alla previa sottoposizione del rapporto controverso ad un terzo”.

Simile clausola pattizia non costituisce un limite illecito al diritto di ciascuna parte, costituzionalmente sancito dall’art. 24 Cost., di agire in giudizio per far valere i propri diritti, non avendo le parti escluso il diritto ad adire l’autorità giudiziaria, ma essendosi imposte di esercitare il diritto ad agire in giudizio solo dopo l’esperimento del tentativo di mediazione, come dalle parti regolata”

Vantaggi e Finalità delle Clausole di Mediazione

Nella auspicabile prospettiva di “tutele differenziate” nel quale il ricorso al Giudice resta sempre l’ultimo rimedio esperibile, l’utilizzo di queste clausole rende appunto obbligatorio tentare una soluzione concordata con l’ausilio di un esperto quale il mediatore e soddisfa l’interesse di dare la precedenza agli strumenti collaborativi rispetto a quelli avversariali per la soluzione delle controversie.

L’inserimento delle clausole in oggetto al momento della stipula del contratto, mira a salvaguardare la relazione fra le parti ed a preservarla anche in futuro nel momento in cui si potesse correre il rischio, per le dinamiche imprevedibili del rapporto creato, di una rottura traumatica foriera di azioni dirette a risolvere il contratto o a farne dichiarare la nullità.

Sotto questo profilo, pertanto, si favorisce indubbiamente il perseguimento della  coesione sociale e la permanenza del reticolo relazionale intessuto nei rapporti commerciali avviati, con una scelta di piena tutela e garanzia.

E’ questa indubbiamente la “posta motivazionale” più evidente nell’evitare, finchè possibile, la delega al Magistrato preferendo un procedimento che permetta alle parti di mantenerne il controllo nell’esercizio e sviluppo di quella autonomia negoziale che le ha spinte all’incontro nel contratto.

L’impegno delle parti è quello di privilegiare buona fede e lealtà con una ricerca costante nel tempo di quel dialogo, unico antidoto alla esasperazione del conflitto spesso caratteristica principale della guerra legale in campo giudiziario.

La informalità della procedura proprio in tale ambito volontario permette di cogliere l’indubbio ed evidente vantaggio di poter ampliare il limite angusto di quello che sarebbe in giudizio il thema decidendum, consentendo alle parti di inserire rapporti giuridici ulteriori e diversi da quelli in contestazione con una collaborazione virtuosa che garantirà il rispetto degli accordi non solo iniziali ma anche venuti meno nel corso di una relazione di durata.

Implementazione e Diffusione delle Clausole di Mediazione

La clausola in questione consentirà principalmente di rendere obbligatorio il tentativo in materie non ricomprese in quelle previste dalla legge, ma anche in tali ambiti consentirebbe comunque un regolamento pattizio della procedura con indicazioni precise e vincolanti.

Pertanto per tutte le controversie relative al contratto di riferimento delle clausole in oggetto, ovviamente limitate a diritti disponibili, bisognerà esperire un procedimento di mediazione.

Tali clausole, come accennato, potranno fornire indicazioni per un disciplinamento preventivo della procedura di mediazione, riguardanti anche la identificazione dell’organismo di mediazione prescelto o il mediatore stesso con l’individuazione a priori del meccanismo di nomina del medesimo o le sue caratteristiche, con i tempi e il luogo di svolgimento dell’incontro ed i criteri da adottare in riferimento al regolamento che preveda o meno determinate caratteristiche (ad es. relativamente alla consulenza tecnica in mediazione o alla proposta del mediatore o anche alla modalità telematica della procedura).

Una cautela specifica deve essere adottata nel caso in cui uno dei soggetti sia un consumatore, visto che il Codice del Consumo (D.lgs. 206/2005 art.33 c.1) considera “ vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”; ecco perché la clausola di mediazione deve essere in tale caso approvata specificamente ai sensi degli artt. 1341 e 1342 c.c..

Diversamente, non risultando le clausole di conciliazione inserite, al contrario della clausola compromissoria, all’interno dell’art.1341 c.c., esse possono in linea di principio ritenersi non vessatorie, anche se, per evitare ogni possibile contrasto in relazione alla affinità tra le richiamate diverse clausole, sembra preferibile procedere alla specifica approvazione anche delle seconde.

Per lo sviluppo del modello di giustizia collaborativo risulterà quindi di vitale importanza favorire la massima diffusione da parte degli avvocati di queste clausole all’interno dei contratti o statuti stipulati, anche mediante la combinazione della clausola di mediazione con una compromissoria (c.d. clausola multistep), con la quale le parti si impegnano ad affrontare la lite insorta tra loro inizialmente con un tentativo di mediazione e, in caso di insuccesso, mediante un procedimento arbitrale.

La integrazione dei procedimenti appare sicuramente preferibile laddove i contraenti intendano, anche in ipotesi di fallimento del tentativo di mediazione, rimanere all’interno di una giustizia “non giurisdizionale”, tenendo conto che la controversia non potrà essere decisa dalla stessa persona, stante l’obbligo di riservatezza al quale deve attenersi il mediatore, che  gli impedirebbe di mantenere la necessaria indipendenza nel successivo incarico, nel quale oltretutto si troverebbe a svolgere un ruolo sovrapponibile a quello del giudice, ben lontano da quello del mediatore, che cerca invece di favorire l’accordo tra le parti rimanendo privo, secondo la definizione di legge (art.1 D.Lgs.28/2010) “del potere di rendere giudizi o decisioni vincolanti per i destinatari del servizio medesimo”.


Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 33/2024

(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

10 ottobre 2024

32/24. Mediazione obbligatoria: apposita prima udienza anticipata per sentire i difensori sul tema della condizione di procedibilità (Osservatorio Mediazione Civile n. 32/2024)


=> Tribunale di Bologna, 15 aprile 2024


Posto che non è preclusa al giudice che ne sia richiesto la possibilità di fissare un'apposita udienza, la "prima udienza" in senso cronologico cui si riferisce l'art. 648 c.p.c., in una data anteriore a quella destinata alla prima comparizione personale delle parti e alla trattazione della causa, allo scopo di sentire le parti o almeno i difensori sull'istanza di concessione dell'esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo opposto e decidere su di essa, detta udienza ben può consentire anche il confronto diretto tra difensori e giudice sulle questioni relative alla mediazione obbligatoria. L’art.171-bis c.p.c. non esclude infatti che il giudice possa sentire direttamente i difensori sul tema della condizione di procedibilità, anche in relazione ai possibili successivi sviluppi del processo ed in particolare all’immediato invio in mediazione: esso non stabilisce che il giudice debba limitarsi ad indicare la questione relativa alla condizione di procedibilità e non vieta al giudice, né si vede come ciò potrebbe giustificarsi quando invece si attua il principio del contraddittorio, di sentire sul punto le parti, o comunque i difensori, in una apposita udienza, se del caso richiesta dalle parti stesse, prima ancora che la questione venga trattata nelle memorie integrative (come prevede il secondo periodo del primo comma dell’art. 171-bis, c.p.c., con riguardo, peraltro, ad una serie eterogenea di questioni preliminari): audizione dei difensori che potrebbe essere particolarmente utile non solo nelle ipotesi in cui sia dubbio se la mediazione è condizione di procedibilità della domanda, ma anche in quelle, certamente più numerose, nelle quali le parti, caso per caso, possono concordare circa l’opportunità di un immediato invio in mediazione (con fissazione dell’udienza di trattazione in data successiva allo scadere del termine previsto dall’art. 6, d.lgs. 28/2010 e conseguente differimento dei termini a ritroso di cui all’art. 171-ter c.p.c.) (I) (II).


(I) Si veda il d.lgs. n. 28/2010 (come novellato dalla c.d. riforma Cartabia), in Osservatorio Mediazione Civile n. 28/2023.


(II) In argomento Trib. Bologna, 8 marzo 2024.


Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 32/2024

(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)


Tribunale di Bologna

15.4.2024

decreto ex art. 171-bis c.p.c.


Omissis


La richiesta della convenuta può essere accolta: ne consegue la fissazione di una udienza anticipata rispetto a quella indicata nell'atto di citazione (o determinata, come nel caso di specie, ex artt. 168-bis, comma 4 c.p.c. e 82, comma 1, disp. att. c.p.c.) o a quella differita dal giudice ai sensi dell'art. 171-bis c.p.c. (sui termini a ritroso per la costituzione del convenuto, con riferimento alla previgente disciplina, v. le ordinanze n. 461/1997, n. 164/1998, n. 134/2009 e n. 174/2013 della Corte costituzionale); tale udienza consentirà inoltre alle parti, tramite i loro difensori, di prendere posizione sulla questione relativa alla mediazione obbligatoria, rilevabile d'ufficio e che sin d'ora di segnala (l'art. 171-bis c.p.c. non esclude che il giudice possa sentire direttamente i difensori sul tema della condizione di procedibilità, anche in relazione ai possibili successivi sviluppi del processo ed in particolare all'immediato invio in mediazione), nonché di discutere davanti al giudice della chiamata del terzo ad opera dell'attrice opponente, la quale ha veste sostanziale di convenuta e necessita di essere autorizzata dal giudice (sul tema, da ultimo, v. Cass., sez. III, ord. 12 marzo 2024, n. 6503);

- con specifico riferimento alla discussione anticipata sull'istanza ex art. 648 c.p.c., a tale risultato, pur in assenza di una espressa previsione, si perviene in via di interpretazione sulla base di una serie di passaggi argomentativi:

a) le norme generali sull'introduzione della causa, come modificate dal d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 149, vanno coordinate con le speciali disposizioni relative al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, rimaste inalterate, e con la nuova disciplina della mediazione obbligatoria, anch'essa frutto della riforma Cartabia, con riguardo all'ipotesi di domanda di condanna proposta con ricorso per decreto ingiuntivo (v. ora gli artt. 5,5-bis, 6, d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 nel testo applicabile al caso di specie ratione temporis);

b) la riforma Cartabia non ha toccato l'art. 648 c.p.c., il cui primo comma, nel testo applicabile ai procedimenti instaurati (a norma dell'art. 643, u.c., c.p.c.) dopo il 22 giugno 2013 (art. 78, comma 1, lett. b), d.l. 21 giugno 2013, n. 69, conv. in l. 9 agosto 2013, n. 98), disponeva, e tuttora dispone, che il giudice può concedere la provvisoria esecuzione "provvedendo alla prima udienza", ma nel contesto in cui era intervenuta la novella del 2013 la prima udienza precedeva il maturare delle preclusioni assertive ed istruttorie: il silenzio del d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 149, dunque, non ostacola di per sé una lettura volta a ritenere possibile la fissazione di una apposita udienza, la "prima" in ordine cronologico e anteriore al maturare delle preclusioni, nella quale discutere dell'istanza formulata ai sensi dell'art. 648 c.p.c. (come certamente è consentito fare quando sia chiesta la sospensione ex art. 649 c.p.c.);

c) la novella del 2013, mirante ad introdurre "misure per la tutela del credito", aveva altresì previsto uno speciale e più rigido meccanismo di "anticipazione" della "udienza per la comparizione delle parti" (il raffronto va fatto con l'art. 163-bis, u.c., c.p.c., ora modificato) proprio al fine di ridurre i tempi per la decisione sulla provvisoria esecuzione: infatti, il secondo periodo del comma 2 dell'art. 645 c.p.c. è stato aggiunto dall'art. 78, comma 1, lett. a), d.l. 21 giugno 2013, n. 69, conv. in l. 9 agosto 2013, n. 98. Tale meccanismo, che richiama il terzo comma dell'art. 163-bis, c.p.c. (articolo oggi in realtà composto da soli due commi, l'ultimo dei quali mal congegnato e meritevole di una correzione anche nel secondo periodo, laddove mantiene la previsione, ormai incompatibile col nuovo rito e col deposito delle memorie integrative, secondo cui il decreto di anticipazione deve essere comunicato all'attore "almeno cinque giorni liberi prima dell'udienza [per la comparizione delle parti, n.d.r.] fissata dal presidente") e che impone di fissare la prima udienza a "non oltre trenta giorni dalla scadenza del termine minimo a comparire" (previsione oggi inattuabile, se l'udienza da anticipare è quella regolata dal nuovo art. 183 c.p.c., perché interferisce coi termini fissati dall'art. 171-ter c.p.c.), è rimasto formalmente immutato nonostante l'allungamento da novanta a centoventi giorni del termine minimo a comparire (v. il nuovo art. 163-bis, comma 1, c.p.c.) e la radicale ristrutturazione della fase introduttiva, sì da essere oggi di fatto inutilizzabile, ove l'"udienza per la comparizione delle parti" da anticipare sia fatta coincidere – come sempre è avvenuto ante riforma Cartabia - con quella regolata dall'art. 183 c.p.c. L'anticipazione dell'udienza di cui al secondo periodo del comma 2 dell'art. 645 c.pc. è infatti incompatibile, nelle cause soggette al nuovo rito, con la trattazione scritta regolata dall'art. 171-ter c.p.c. Ci si trova dunque di fronte ad una disposizione priva di senso, una sorta di relitto, a meno di ritenere che per udienza anticipata ai sensi dell'art. 645, comma 2, secondo periodo, c.p.c., debba oggi intendersi quella che viene fissata dal giudice, ai fini della sola decisione sull'istanza di provvisoria esecuzione, in una data successiva, ovviamente, alla effettiva costituzione del convenuto opposto (il difettoso coordinamento tra i nuovi artt. 163, comma 3, n.7, 163-bis, 166,171-bis, 171-ter, 183 c.p.c. e l'inalterato secondo periodo del comma 2 dell'art. 645 c.p.c. non lascia spazio che ad un'interpretazione c.d. ortopedica) ma anteriore a quella dell'udienza di trattazione regolata dall'art. 183 c.p.c. Resta il fatto che il legislatore aveva avvertito l'esigenza di ridurre i tempi tra la notifica del decreto ingiuntivo (non munito della clausola di cui all'art. 642 c.p.c.) e la discussione sull'istanza ex art. 648 c.p.c. e che quell'esigenza non può dirsi venuta meno;

d) tornando all'art. 648, comma 1, c.p.c., con l'inserimento dell'inciso "provvedendo alla prima udienza" il legislatore del 2013 aveva inteso confermare la possibilità, e di regola la doverosità, salva diversa valutazione discrezionale del giudice (ad esempio, nel caso di tardiva costituzione dell'opposta, avvenuta solo alla prima udienza), di una pronuncia sull'istanza ex art. 648 c.p.c. sin dal primo contatto tra parti e giudice ("generalmente in limine litis", osservava già Corte cost., 8 marzo 1996, n. 65) e dunque anche prima del maturare delle preclusioni assertive e istruttorie. In tal senso, peraltro, era orientata, con il conforto della dottrina, la prevalente giurisprudenza nella fase iniziale di applicazione della riforma introdotta con la l. 26 novembre 1990, n. 353 e successive modificazioni, quando ancora si distingueva tra udienza di prima comparizione ai sensi dell'art. 180 c.p.c. e prima udienza di trattazione, regolata dall'art. 183 c.p.c. (fra le tante, v. Trib. Milano, ord. 20 luglio 1995, in Foro it., 1995, I, 1994, in Giur. It., 1996, I, 2, 196; Pret. Monza, ord. 29 settembre 1995, in Foro it., 1995, I, 3298; Trib. Firenze, 13 ottobre 1995, in Foro it., 1996, I, 1074; Trib. Bari, ord. 20 maggio 1996, in Giust. it., 1997, I, 2, 104; Trib. Reggio Emilia, ord. 25 settembre 1996, in Giur. it., 1997, I, 2, 738; Pret. Verona, ord. 7 marzo 1997, in Giur. merito, 1997, 695), mentre Corte cost., 8 marzo 1996, n. 65, aveva osservato che

"[a]i (soli) fini dei provvedimenti che accordano o negano la provvisoria esecuzione, secondo le complementari norme ex artt. 648 e 649 cod. proc. civ., le difese dell'opponente si presentano ontologicamente complete ed esaustive; e proprio per questo al giudice è attribuita, in particolare nella denunciata norma, una piena discrezionalità […]). D'altronde, la presentazione dell'istanza ex art. 648 c.p.c. e la decisione sulla provvisoria esecuzione alla prima udienza erano sempre state ritenute ammissibili anche nel regime anteriore alla c.d. miniriforma del 1990 e dunque nel quadro di un sistema di preclusioni del tutto elastico. Dunque, già nel vigore di una disciplina (quella ora superata dalla riforma Cartabia) che collegava le preclusioni assertive ed istruttorie ad un momento successivo alla prima udienza di trattazione e quando l'intervento legislativo del 2013 era ancora di lì da venire, l'art. 648 c.p.c. era inteso come disposizione che "mira manifestamente ad indurre "l'opponente – in sintonia, peraltro, con la peculiare diligenza impostagli dall'art. 647 cod. proc. civ. – ad una particolare esaustività dell'atto di opposizione, e pertanto su di lui tendenzialmente trasferendo, quando l'apprezzamento delle sue ragioni non sia immediatamente delibabile ma richieda la trattazione della causa, l'onere della durata del processo di cognizione attraverso l'anticipazione del momento dell'efficacia rispetto a quello del pieno accertamento"" (così Corte cost., 20 luglio 2007, n. 306, 3.2, che riprende un passo di Corte cost., ord. 18 ottobre 2002, n. 428, a sua volta in continuità con Corte cost., 8 marzo 1996 n. 65). In altri termini, ai giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo pendenti al 28 febbraio 2023, compresi quelli instaurati con atto notificato dopo quella data se il decreto era stato emesso o richiesto prima (v., fra le altre, Trib. Bologna, ord. 19 maggio 2023; Trib. Bologna, ord. 5 giugno 2023), si è applicata la regola che consente al giudice, "provvedendo in prima udienza" sull'istanza ex art. 648 c.p.c., di emettere una decisione allo stato degli atti, quando thema decidendum e thema probandum non sono ancora pienamente definiti;

e) a ben vedere, quella regola, che consente di provvedere allo stato degli atti "attraverso un giudizio di mera prognosi" (Corte cost., 8 marzo 1996, n. 65, par. 2.2), non è venuta meno, poiché non abrogata, né espressamente né per effetto di disposizioni incompatibili, e non in contrasto con la (apparente) rigidità del processo ordinario di cognizione dopo la riforma Cartabia;

f) manca in particolare l'espressa previsione secondo cui l'ordinanza sull'istanza ex art. 648 c.p.c. è pronunciata "all'esito dell'udienza di cui all'art. 183 c.p.c.", come invece stabilito dall'art. 183-quater c.p.c. a proposito della nuova "ordinanza di rigetto della domanda" (regola che gli interpreti ritengono implicita nell'art. 183-ter c.p.c., atteso il riferimento alla prova dei fatti). D'altronde, come già osservato, l'applicazione dell'art. 648 c.p.c. non presuppone il completo dispiegamento delle istanze istruttorie (prima demandato alle memorie ex art. 183, comma 6, c.p.c., e ora alle memorie integrative di cui all'art. 171-ter c.p.c.) ma consente l'adozione di un provvedimento allo stato degli atti, "se l'opposizione non è fondata su prova scritta o di pronta soluzione", sulla base di un giudizio di mera prognosi;

g) dunque, nel nuovo contesto normativo, immutati gli artt. 645 e 648 c.p.c. (alla pari dell'art. 649 c.p.c.), sempre attuali le ragioni che nel 2013 avevano indotto il legislatore ad introdurre le già evidenziate "misure per la tutela del credito" (l'anticipazione della prima udienza, art. 645, comma 2, secondo periodo, c.p.c.; l'esplicita previsione della decisione con ordinanza non impugnabile "in prima udienza", art. 648, comma 1, c.p.c.) e considerati gli "obiettivi di semplificazione, speditezza e razionalizzazione del processo civile" (art. 1, comma 1, l. 26 novembre 2021, n. 206) nonché i molteplici interventi per dare attuazione alle misure P.N.R.R., deve ritenersi tuttora possibile, così come lo era nei procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023, adottare allo stato degli atti, quando non sono ancora compiutamente maturate le preclusioni assertive e istruttorie, un provvedimento che conceda o neghi la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto;

h) pertanto, in mancanza di previsioni contrarie, non vi è motivo di ritenere che la "prima udienza" nella quale il giudice provvede sull'istanza formulata ai sensi dell'art. 648 c.p.c. debba necessariamente coincidere con quella regolata dall'art. 183 c.p.c. (eventualmente anticipata ai sensi dell'art. 163-bis, comma 2, c.p.c., ma che può essere discrezionalmente differita dal giudice ai sensi del comma 3 dell'art. 171-bis c.p.c.), la quale, nel disegno della riforma Cartabia, si tiene solo dopo il deposito, o almeno il compimento dei termini per il deposito, delle tre memorie integrative previste dall'art. 171-ter c.p.c., a preclusioni ormai compiutamente maturate; se così non fosse, si giungerebbe, paradossalmente e senza una ragionevole motivazione, ad un risultato in contrasto con gli obiettivi della riforma e con l'esigenza di conservare le "misure a tutela del credito" ormai da lungo tempo operanti nel sistema (cfr. ancora Corte cost., 8 marzo 1996, n. 65, par. 2.2);

i) l'astratta possibilità per il convenuto opposto di chiedere un sequestro conservativo nelle more dell'udienza ex art. 183 c.p.c. (evenienza molto rara) non appare ragione sufficiente a contrastare l'interpretazione qui accolta, non essendovi oltretutto piena equivalenza tra le due vie alternative, la cui scelta spetta alla parte interessata in relazione alle circostanze del caso concreto, poiché solo la concessione della provvisoria esecuzione consente (almeno ove vi siano beni da aggredire) l'immediata soddisfazione del credito;

l) ove l'opponente chieda la sospensione ex art. 649 c.p.c. non si è mai dubitato della possibilità di fissare una apposita udienza anteriore a quella di prima comparizione e trattazione "ai fini di una delibazione anticipata rispetto all'udienza delle questioni concernenti la provvisoria esecuzione del decreto" (così Corte cost., ord. 28 luglio 1998, n. 936; sulla complementarietà delle norme di cui agli artt. 648 e 649 c.p.c., v. Corte cost., 8 marzo 1996, n. 65, par. 2.2; sulla natura interinale dell'ordinanza di rigetto dell'istanza ex art. 649 c.p.c., v. Cass., sez. VI-2, 16 giugno 2014, n. 13596; Cass., sez. VI-3, ord. 13 novembre 2015), benché non appaia configurabile la concessione della provvisoria esecuzione con decreto inaudita altera parte (v. anche l'obiter dictum contenuto in Cass., sez. III, 13 marzo 2012, n. 3979, 5.2);

m) i termini della questione non mutano per il solo fatto che la controversia sia soggetta alla condizione di procedibilità della mediazione obbligatoria: da un lato, nel giudizio ex art. 645 c.p.c. gli artt. 5, comma 1 e 5-quater, d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 non si applicano fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione, secondo il disposto dell'art. 5-bis (art. 5, comma 6, lett. a), d.lgs. cit., nel testo applicabile a decorrere dal 30 giugno 2023; in materia di locazione, Trib. Bologna, ord. 10 marzo 2024); dall'altro, l'art. 5-bis, d.lgs. cit., dispone unicamente che il giudice provvede sulle istanze di cui agli artt. 648 e 649 c.p.c. "alla prima udienza" senza escludere che tale possa essere una udienza fissata, anteriormente a quella regolata dall'art. 183 c.p.c., per la sola discussione sulla concessione o sospensione della provvisoria esecuzione. Per altro verso, l'art. 171-bis, comma 1, c.p.c. non stabilisce che il giudice debba limitarsi ad indicare la questione relativa alla condizione di procedibilità e non vieta al giudice, né si vede come ciò potrebbe giustificarsi quando invece si attua il principio del contraddittorio, di sentire sul punto le parti, o comunque i difensori, in una apposita udienza, se del caso richiesta dalle parti stesse, prima ancora che la questione venga trattata nelle memorie integrative (come prevede il secondo periodo del primo comma dell'art. 171-bis, c.p.c., con riguardo, peraltro, ad una serie eterogenea di questioni preliminari): audizione dei difensori che potrebbe essere particolarmente utile non solo nelle ipotesi in cui sia dubbio se la mediazione è condizione di procedibilità della domanda, ma anche in quelle, certamente più numerose, nelle quali le parti, caso per caso, possono concordare circa l'opportunità di un immediato invio in mediazione (con fissazione dell'udienza di trattazione in data successiva allo scadere del termine previsto dall'art. 6, d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 e conseguente differimento dei termini a ritroso di cui all'art. 171-ter c.p.c.), perché, ad esempio, ritengono tale percorso, non appesantito dal triplice deposito di memorie che sovente conduce ad un irrigidimento delle posizioni processuali, più favorevole al raggiungimento dell'accordo. D'altronde, di regola il procedimento di mediazione obbligatoria dovrebbe esperirsi "preliminarmente" all'instaurazione del giudizio (art. 6, comma 1, d.lgs. cit) e, ove la causa sia già pendente, come avviene nell'opposizione a decreto ingiuntivo in materia contemplata dall'art. 5, comma 1, d.lgs. n. 28/2010, l'esercizio del potere di cui all'art. 175 c.p.c. dovrebbe privilegiare le soluzioni concordemente proposte dalle parti al duplice fine di evitare l'immediato compimento di (costose) attività processuali che potrebbero rivelarsi inutili una volta trovato un accordo amichevole, ad esempio, davanti al mediatore (sul differimento della prima udienza congiuntamente chiesto dalle parti in pendenza di serie trattative, Trib. Bologna, ord. 8 marzo 2024), e di realizzare in concreto l'effetto deflattivo perseguito dal legislatore e così risparmiare risorse giurisdizionali (Cass., sez. un., 7 febbraio 2024, n. 3452, 3.3.2.3); ferme restando, in caso di mancato accordo, la garanzia del contraddittorio e la parità delle armi, così come la possibilità di un ordinato svolgimento del giudizio col graduale maturare delle preclusioni nei termini inizialmente differiti;

- in conclusione, benché non espressamente contemplata, non è preclusa al giudice che ne sia richiesto, titolare del potere di direzione del procedimento (art. 175 c.p.c.), la possibilità di fissare un'apposita udienza, la "prima udienza" in senso cronologico cui si riferisce l'art. 648 c.p.c., in una data anteriore a quella destinata alla prima comparizione personale delle parti e alla trattazione della causa (art. 183 c.p.c., cui si collegano, tra gli altri, gli artt. 171-bis e 171-ter c.p.c. nonché l'art. 163-bis c.p.c.), e ciò allo scopo di sentire le parti o almeno i difensori sull'istanza di concessione dell'esecuzione provvisoria, totale o parziale, e decidere su di essa, emettendo un'ordinanza "che opera con l'interinalità propria dei provvedimenti di tipo cautelare" (Cass., sez. III, ord. 26 luglio 2004, n. 14051; Cass., sez. VI-1, 3 ottobre 2019, n. 24658; Cass., sez. III, ord. 11 agosto 2022, n. 24683; v. già Corte cost., 8 marzo 1996, n. 65, par. 2.2. a proposito di "ordinanza […] emessa nel reale e pieno contraddittorio delle parti", che "non ha natura decisoria, siccome destinata ad essere riassorbita nella sentenza di merito, e costituisce strumento per la soddisfazione d'un interesse (del creditore) che non irragionevolmente il legislatore ha ritenuto prevalente su altro interesse contrapposto (del debitore) nel bilanciamento demandato appunto alla sua discrezionalità"), esercitando il potere discrezionale attribuitogli dall'art. 648 c.p.c. (Trib. Bologna, decr. 21 settembre 2023);

- né può ritenersi che l'attore opponente (convenuto in senso sostanziale) sia pregiudicato dalla possibilità di una pronuncia anticipata sull'istanza di concessione della provvisoria esecuzione, vuoi perché l'opponente ha comunque l'onere di proporre difese che siano "ontologicamente complete ed esaustive" (Corte cost., 13 marzo 1996, n. 11), caratterizzate da "una particolare esaustività dell'atto di opposizione" (Corte cost., ord. 18 ottobre 2002, n. 428, richiamata da Corte cost., 20 luglio 2007, n. 306), tanto più che secondo la nuova disciplina degli atti introduttivi i fatti e gli elementi di diritto a sostegno delle domande e delle difese vanno illustrati "in modo chiaro e specifico"; vuoi perché è possibile adottare ai sensi dell'art. 175 c.p.c. meccanismi di riequilibrio, ad esempio autorizzando l'opponente a depositare una sintetica memoria, secondo modi e tempi correlati e proporzionati alla maggiore o minore complessità del caso da discutere;

- va dunque fissata udienza per la discussione dell'istanza ex art. 648 c.p.c., senza necessità di comparizione personale delle parti (peraltro sempre possibile), con termine all'opponente per eventuale breve memoria;

- nel caso di specie, detta udienza consentirà anche il confronto diretto tra difensori e giudice sulle questioni relative alla mediazione obbligatoria e alla chiamata del terzo per cui l'attrice opponente ha chiesto l'autorizzazione: in ogni caso, è auspicabile una soluzione amichevole e i difensori potranno riferire in proposito;

- avuto riguardo alle già programmate udienze, è opportuno un differimento, ai sensi dell'art. 171-bis, comma 3, c.p.c., della prima udienza ex art. 183 c.p.c.: dalla nuova data decorrono i termini indicati dall'art. 171-ter c.p.c.


PQM


Visti gli artt. 175 e648 c.p.c., fissa per la discussione sull'istanza ex art. 648 c.p.c., oltre che per un confronto sulle questioni relative alla mediazione e alla chiamata del terzo ad opera dell'opponente, l'udienza giovedì 9 maggio 2024 ore 11:00, con termine all'opponente per eventuale breve memoria sino al 7 maggio 2024; visto l'art. 171-bis, comma 3, c.p.c., fissa per la comparizione delle parti e la trattazione ex art. 183 c.p.c. la nuova udienza omissis, data rispetto alla quale decorrono i termini indicati dall'art. 171-ter c.p.c.; dispone pertanto il seguente calendario delle udienze: omissis; visto l'art. 121 c.p.c., invita sin d'ora i difensori ad attenersi, sia nella redazione degli atti che nella produzione dei documenti (ciascun documento va prodotto in telematico con un proprio numero e con una denominazione che ne evidenzi in sintesi e chiaramente il contenuto), alle indicazioni in tema di sinteticità e chiarezza contenute nel Protocollo 6 maggio 2021 (https://www.ordineavvocatibologna.net/documents/19808/1813728/Protocollo+sinteticit%C3%A0+atti+processo+civile/3c512626-0d8f-4d98-9f6f-844eccb08614) da leggersi adeguandolo, ove necessario, alle previsioni del nuovo rito Cartabia: i difensori avranno cura di non ripetere quanto già esposto negli atti introduttivi (sarà sufficiente farvi richiamo) e di evidenziare per punti, anche con riferimento ad eventuali capitoli di prova o temi di indagine tecnica, quali siano i fatti controversi e quelli pacifici, contribuendo così a rendere più chiara ed agevole l'individuazione del thema probandum; si richiamano dunque il Protocollo 6 maggio 2021 dell'Osservatorio sulla giustizia civile del Tribunale di Bologna, i novellati art. 121 c.p.c. eart. 46 disp. att. c.p.c., il d.m. 7 agosto 2023 applicabile ai procedimenti introdotti dopo il 1° settembre 2023; invita le parti ad una soluzione amichevole possibilmente anteriore all'udienza: in mancanza di accordo le spese processuali saranno regolate secondo il principio della soccombenza; in caso di accordo anteriore all'udienza, i difensori ne daranno tempestivo avviso al giudice sia in via informale (email) che mediante comunicazione depositata in via telematica; in tal caso, le parti potranno depositare dichiarazione di rinuncia agli atti e relativa accettazione per consentire così la declaratoria di estinzione senza fissazione di udienza.


AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

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