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Corte di Cassazione, 19
febbraio 2024 n. 4405
L’impugnata
sentenza va cassata e rinviata alla Corte d'appello in applicazione
del seguente principio di diritto: “Ai fini del rispetto del
beneficium ordinis previsto dall'art. 36 della legge 392/1978, ciò
che rileva è l'inadempimento vero e proprio del
cessionario/conduttore, che, da parte del locatore,
deve essere fatto constatare con autonomo atto, prima di rivolgersi
al cedente e di esperire l'azione giudiziale. Tale autonomo atto può
essere anche costituito dalla domanda di mediazione, ovvero dalla
richiesta di partecipazione alla mediazione (nel caso di specie
obbligatoria), estese - in funzione del successivo giudizio - anche
al cessionario (e nel caso di cessioni successive all'ultimo
cessionario), atteso che una simile iniziativa, per le sue
caratteristiche funzionali ben può essere considerata come richiesta
di adempimento ante causam fatta nei riguardi del cessionario (o
dell'ultimo cessionario)” (I)
(II).
(I)
Si veda l’art. 5,
d.lgs.
n. 28/2010 (come novellato dalla c.d. riforma Cartabia), in
Osservatorio Mediazione Civile n. 28/2023.
(II)
Art. 36, l. 27.7.1978, n. 392.
Sublocazione
e cessione del contratto di locazione.
Il
conduttore può sublocare l'immobile o cedere il contratto di
locazione anche senza il consenso del locatore, purché venga insieme
ceduta o locata l'azienda, dandone comunicazione al locatore mediante
lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Il locatore può
opporsi, per gravi motivi, entro trenta giorni dal ricevimento della
comunicazione. Nel caso di cessione, il locatore, se non ha liberato
il cedente, può agire contro il medesimo qualora il cessionario non
adempia le obbligazioni assunte.
Le
indennità previste dall'articolo 34 sono liquidate a favore di colui
che risulta conduttore al momento della cessazione effettiva della
locazione.
Fonte:
Osservatorio
Mediazione Civile n. 34/2024
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)
Cote
di cassazione
sezione
III
ordinanza
n. 4405
19
febbraio 2024
Omissis
rilevato
1.
GG Srl, con contratto registrato il 21.12.2010, concedeva in
locazione a EE Srl l'immobile a uso commerciale sito in Osmannoro per
la durata dal 1.12.2010 al 30.11.2016, dietro corresponsione di
canone annuale.
Successivamente
EE vendette a X Srl (all'epoca X Srl), un ramo d'azienda, del quale
faceva parte il contratto di locazione dello stabile in questione, e
comunicò a GG la cessione, pregando la società locatrice di
provvedere alla “volturazione” del contratto di Via Volga a X
(X). Il 19.10.2016 X vendette a X Network Srl un ramo di azienda che
non comprendeva il contratto di locazione, ma altre “autorizzazioni
e rapporti contrattuali”.
1.2.
GG -sostenendo in fatto di essere stata lasciata all'oscuro dei vari
passaggi e di non avere mai acconsentito ad alcuna cessione, ed
eccependo in diritto che non era intervenuta alcuna liberazione della
originaria conduttrice da parte di essa proprietaria, la quale non
aveva mai espresso il consenso alla cessione, cosicché la stessa
rimaneva obbligata in solido con la cessionaria per il pagamento dei
canoni di locazione- agiva (sia con ricorso ex 447 bis cod. proc.
civ., sia con intimazione di sfratto, procedimenti poi riuniti)
contestualmente contro EE, X (già X) e X Network, chiedendo (i) la
risoluzione per grave inadempimento di EE, X e X Network; (ii) la
loro condanna in solido a riconsegnare l'immobile; (iii) la loro
condanna in solido a pagarle i canoni scaduti e a scadere.
Si
costituiva resistendo EE, deducendo di avere dato rituale
comunicazione a GG della cessione, ed inoltre chiedendo:
(i)
dichiararsi la propria carenza di legittimazione passiva rispetto
alle domande di risoluzione e di rilascio dell'immobile, perché il
contratto era stato ceduto, assieme al ramo d'azienda, a X, così
come la conseguente disponibilità materiale dell'immobile;
(ii)
rigettarsi la domanda di pagamento dei canoni, perché GG, ai sensi
dell'art. 36 L. 392/78, avrebbe dovuto prima agire contro la
cessionaria X, che, per contro, neppure era stata messa in mora;
(iii) in subordine, chiedeva di essere manlevata da X e da X Network,
alle quali esclusivamente sarebbe stata ascrivibile qualsiasi
responsabilità.
Si
costituiva X (già X), nella sola causa di sfratto per morosità,
sostenendo di avere liberato e rilasciato l'immobile, perché, in
sostanza, erano sopravvenuti fatti che rendevano ormai inservibile
l'immobile a fini di impresa, e di aver comunicato a GG di avere
liberato i locali, e dunque chiedendo:
(i)
rigettarsi ogni domanda di GG contro di sé, avendo rilasciato i
locali e non avendo nulla a che fare con la situazione creatasi;
(ii)
rigettarsi, in ogni caso, la malleva di EE, perché per un parte la
morosità risaliva all'agosto 2014, periodo che doveva restare a
carico di EE anche in base a una transazione intervenuta fra loro,
mentre la morosità successiva al 28 aprile 2016 era stata sanata con
un versamento a GG (a titolo di canoni da maggio a ottobre 2016)
effettuata da tale Agestel Srl
Si
costituiva X Network, infine, chiedendo dichiararsi la propria
carenza di legittimazione passiva, perché del tutto estranea alla
vicenda, essendo stata cessionaria da EE di un diverso ramo
d'azienda, non comprendente l'immobile oggetto di causa; aderiva
comunque alle difese di X.
1.3.
Con sentenza del 19 novembre 2019 il Tribunale di Firenze rigettava
ogni domanda di GG contro X e X Network per carenza di legittimazione
passiva; accoglieva tutte le domande di GG contro EE, pronunciando la
risoluzione del contratto e condannando EE a rilasciare l'immobile,
nonché a pagare tutti i canoni di locazione scaduti e di futura
scadenza sino alla riconsegna; rigettava la domanda di manleva
proposta da EE; condannava EE a rimborsare le spese a GG; condannava
GG a rimborsare le spese a X e a X Network.
2.
Avverso tale sentenza EE proponeva appello avanti alla Corte
d'Appello di Firenze.
Si
costituiva GG, resistendo e proponendo appello incidentale.
Si
costituiva X Network Srl, resistendo e proponendo appello
incidentale.
Restava
intimato il Fallimento X Srl in liquidazione.
2.1.
Con sentenza n.410/2021 pubblicata il 9 marzo 2021, la Corte
d'Appello di Firenze accoglieva l'appello proposto da EE Srl, così
pronunciando: “1. in accoglimento dei motivi primo, terzo e quarto
dell'appello principale, assorbiti il secondo e il quinto; assorbite
altresì le domande di malleva reiterate contro EE Srl da X Network
Srl e da X Srl; nonché dichiarato improcedibile l'appello
incidentale di GG Srl; rigettato infine l'appello incidentale
proposto da X Network Srl contro GG Srl, in corrispondente parziale
riforma della impugnata sentenza n. 3483/2019 emessa dal Tribunale di
Firenze il 19.11.2019, confermata nel resto: a. rigetta tutte le
domande proposte da GG Srl nei confronti di EE Srl; b. condanna GG
Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, a rimborsare a
EE Srl le spese processuali di primo grado, che liquida in
complessivi Euro 8.030,00 per compensi professionali di avvocato,
oltre al 15% per rimborso di spese generali, c.a.p. e i.v.a. secondo
legge; 2. condanna GG Srl, in persona del legale rappresentante pro
tempore, a rimborsare a EE Srl le spese processuali del presente
grado, che liquida in complessi Euro 10.916,50, di cui Euro 165,50
per esborsi ed Euro 10.751,00 per compensi professionali di avvocato,
oltre al 15% sui compensi per rimborso di spese generali, c.a.p. e
i.v.a. secondo legge; 3. compensa integralmente fra GG Srl e X
Network Srl le spese processuali del grado”.
3.
Avverso tale sentenza GG Srl propone ora ricorso per cassazione,
affidato a tre motivi.
Resiste
con controricorso Sirti-Net Srl in liquidazione (già EE Srl in
liquidazione).
Resiste
con controricorso X Network Srl
Sebbene
intimato, il Fallimento X Srl non ha svolto attività difensiva.
4.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai
sensi dell'art. 380-bis.1, cod. proc. civ.
Il
Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni
La
ricorrente e le resistenti hanno depositato memorie illustrative.
Considerato
1.
Con il primo motivo la società ricorrente denuncia “Violazione e/o
falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3,
cod. proc. civ. e, in particolare dell'art. 36 della L.392/1978, e/o
omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio ex art.
360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.”.
Lamenta
che la Corte d'Appello di Firenze non avrebbe preso in considerazione
la reale posizione giuridica delle parti, dato che EE non è il
locatore originario, bensì il primo dei cessionari e dunque un
cedente intermedio, e per l'effetto avrebbe erroneamente ritenuto la
EE gravata da responsabilità sussidiaria, caratterizzata dal
beneficium ordinis, senza invece tenere conto dell'orientamento di
legittimità, secondo cui tra tutti i cedenti intermedi (tra cui
appunto EE) vige la regola della presunzione di una responsabilità
solidale.
Ne
deriva altresì che erroneamente la corte territoriale ha applicato
al caso di specie il principio, derivante dal citato art. 36, del
necessario rispetto del beneficium ordinis, per cui occorre che prima
dell'azione giudiziale il cessionario sia quanto meno messo mora con
specifico atto, ancorché stragiudiziale.
Se
la corte territoriale avesse correttamente applicato i suddetti
principi, avrebbe escluso la necessità di preventiva messa in mora
del cessionario finale per poter agire giudizialmente nei confronti
del cedente intermedio.
2.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia “Violazione e/o falsa
applicazione delle norme di diritto ex art. 360 c.p.c. e, in
particolare, dell'art.36 della L.392/1978, Disciplina delle locazioni
di immobili urbani, G.U. n.211 del 29 luglio 1978 e/o
omessa
motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360,
comma 1, n.5, cod. proc. civ. e, in particolare, la Corte d'Appello
di Firenze avrebbe errato nel ritenere che GG non abbia
preventivamente cercato di ottenere l'adempimento dall'ultimo, nonché
dal primo dei cessionari intermedi”.
Lamenta,
lungi dal volere equiparare un invito a partecipare ad un
procedimento di mediazione ad una formale messa in mora, che la corte
di merito non ha considerato che essa GG prima di agire contro EE
aveva inviato a X Srl ed a X Network l'invito alla mediazione
obbligatoria prodromica alla causa, e dunque non ha considerato che
prima di convenire in giudizio EE, GG ha preventivamente tentato di
ottenere il pagamento da tutti i cessionari intermedi, dunque
conformandosi pienamente al dettato normativo di cui all'art. 36
della legge 392/1978.
3.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia “Violazione e/o falsa
applicazione delle norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3, cod.
proc. civ. e, in particolare, degli artt. 348,348-bis, 348-ter e 350
c.p.c. nonché 436 e 437 cod. proc. civ. per aver dichiarato
erroneamente improcedibile l'appello incidentale di GG verso X Srl”.
Lamenta
che la corte di merito ha erroneamente dichiarato improcedibile
l'appello incidentale proposto da GG.
Deduce
che tutte le parti erano costituite telematicamente e che in tal
caso, come scritto nel decreto di fissazione di udienza, non era
necessario né richiesto il deposito di ricorsi o notifiche; inoltre
sul tema specifico dell'appello incidentale tutte le controparti
avevano dispiegato ampie difese deduzioni ed eccezioni, per cui non
era ravvisabile lesione alcuna del loro diritto di difesa.
4.
Il primo motivo, in disparte il pur non marginale rilievo per cui la
GG -solo genericamente evocando la documentazione prodotta in primo
grado- sostanzialmente sollecita un riesame del merito in ordine alla
posizione di EE quale cedente intermedio, evenienza mai menzionata
nelle precedenti decisioni di merito, è infondato.
L'art.
36 legge n. 392/1978 prevede che: “Il conduttore può sublocare o
cedere il contratto di locazione anche senza il consenso del
locatore, purché venga insieme ceduta o locata l'azienda, dandone
comunicazione al locatore mediante lettera raccomandata con avviso di
ricevimento. Il Locatore può opporsi, per gravi motivi, entro trenta
giorni dal ricevimento della comunicazione. Nel caso di cessione, il
locatore, se non ha liberato il cedente, può agire contro il
medesimo qualora il cessionario non adempia alle obbligazioni
assunte”.
4.1.
Tanto premesso, questa Corte, con orientamento cui si intende dare
continuità, ha già avuto modo di affermare che “in caso di
cessione del contratto di locazione (contestualmente a quella
dell'azienda) effettuata ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 36,
senza il consenso del locatore, mentre tra (l'unico) cedente e
(l'unico) cessionario intercorre un vincolo di responsabilità
sussidiaria (contraddistinta dal beneficium ordinis, che consente,
perciò, al locatore di rivolgersi al cedente, con l'esperimento
delle relative azioni giudiziali per il soddisfacimento delle
obbligazioni inerenti il suddetto contratto, solo dopo che si sia
configurato l'inadempimento del cessionario), nell'ipotesi di
verificazione di plurime cessioni a catena, caratterizzate ciascuna
dalla dichiarazione di non liberazione dei distinti cedenti, viene a
configurarsi tra tutti i cedenti “intermedi” del contratto stesso
(compreso il primo) un vincolo di corresponsabilità, rispetto al
quale, in assenza di qualsivoglia limitazione ex lege, deve ritenersi
normalmente applicabile la regola generale della presunzione di
solidarietà (prevista dall'art. 1294 c.c.), in virtù della quale
tutti i cedenti (a loro volta cessionari) non liberati dal locatore
risponderanno, in solido tra loro, dell'obbligazione inadempiuta
dall'attuale conduttore” (così Cass. n. 9486/2007)
4.2.
La giurisprudenza successiva ha poi consolidato i seguenti principi:
a)
a differenza della cessione del contratto, a struttura trilaterale
(il consenso del contraente ceduto è elemento essenziale della
cessione, e non co-elemento di efficacia della stessa) la cessione ex
art. 36 si perfeziona con la semplice comunicazione al locatore,
senza che, rispetto alla sua struttura, incida l'eventuale
opposizione del locatore per gravi motivi;
b)
in caso di cessione (o locazione) di azienda, con contestuale
cessione del contratto di locazione dell'immobile nel quale l'azienda
è esercitata, la disciplina recata dalla predetta norma (deviando in
parte da quella generale di cui all'art. 1408 cod. civ.) comporta
che, se il locatore non può opporsi alla sublocazione o alla
cessione del contratto di locazione, unitamente alla cessione o
locazione dell'azienda, tuttavia lo stesso può contare sul protrarsi
della responsabilità del cedente per il pagamento del canone, nel
caso di inadempimento del cessionario, salvo che egli stesso dichiari
espressamente di liberarlo (Cass., 28809/2019; Cass. 30/09/2015, n.
19531).
c)
il cedente è obbligato in via sussidiaria nei confronti del
cessionario, alla stregua di una interpretazione storica e letterale
dell'art. 36 in negativo, non essendo stata riprodotta la
disposizione della legge n. 19 del 1965, art. 5 che prevedeva
testualmente la responsabilità solidale tra cedente e cessionario;
d)
la sussidiarietà si sostanzia, peraltro, nel semplice beneficium
ordinis (e non anche nel più gravoso beneficium excussionis) in
favore del cedente;
e)
il rispetto di tale principio postula la semplice messa in mora senza
esito del cessionario (con relativa prova a carico del locatore);
f)
solo dopo aver rivolto senza esito la richiesta di inadempimento al
cessionario ovvero all'ultimo cessionario in caso di cd. cessioni a
catena, il locatore potrà rivolgersi, indifferenziatamente e
solidalmente, a ciascuno dei cedenti intermedi, che non godono di
alcun beneficium ordinis tra loro, e senza alcuna esigenza di
integrare il contraddittorio tra i potenziali co-obbligati (da questo
principio consegue la configurabilità del litisconsorzio
facoltativo, che comporta rapporti scindibili sotto il profilo
processuale: v. la già citata Cass., n. 9486/2007: “la illustrata
struttura della coobbligazione solidale tra i conduttori convenuti in
lite, escluso ogni rapporto di dipendenza o di subordinazione tra le
posizioni degli stessi (escluso cioè che la responsabilità dell'un
conduttore presupponga o consegua alla responsabilità dell'altro),
determina l'autonomia delle domande cumulativamente proposte nei
confronti degli stessi, impedendo la configurabilità di un rapporto
unico ed inscindibile. Si versa, cioè, in una tipica fattispecie di
litisconsorzio facoltativo con rapporti processualmente scindibili”;
per cui: “con specifico riferimento alla cessione del contratto di
locazione correlata alla cessione di azienda, si è espressa, in
maniera reiterata, questa Corte, univoca nell'affermare che sussiste
litisconsorzio necessario tra cedente, cessionario e ceduto soltanto
quando siano in questione l'avvenuta conclusione, validità ed
efficacia del contratto di cessione, ma non quando si controverta
unicamente delle vicende del rapporto, potendo in questo caso il
locatore esperire separate e distinte azioni nei riguardi dei
soggetti tra loro obbligati in solido”; v. ex plurimis, Cass.
09/12/1997, n. 12454; Cass. 29/11/1993, n. 11847; Cass. 31.03.1987,
n. 3102)”.
4.3.
Questo consolidato orientamento della Corte da un lato è rispettoso
della ratio del citato art. 36, che è quella di agevolare il
trasferimento di aziende esercenti la loro attività in immobili
condotti in locazione dall'imprenditore e di tutelare l'avviamento
commerciale (con riferimento a tale ratio v. Cass. 19/01/2010, n.
685), ma, per altro verso, stante l'irrilevanza del consenso del
locatore alla cessione della locazione contestuale alla cessione
dell'azienda, evenienza questa che rende peculiare l'intera
fattispecie speciale di detta cessione, valorizza l'opzione
ermeneutica che risulti compatibile con una tutela “rafforzata”
del soggetto ceduto al quale, in evidente spregio dei principi di
successione nel debito, si nega la facoltà di esprimere la propria
volontà ed il proprio assenso.
A
tal proposito, perciò, da un lato tra il cedente ed il cessionario
divenuto successivo conduttore dell'immobile esiste un vincolo di
responsabilità sussidiaria, caratterizzata dal mero beneficium
ordinis, che consente, perciò, al locatore di rivolgersi al cedente,
con l'esperimento delle relative azioni giudiziali per il
soddisfacimento delle obbligazioni inerenti il suddetto contratto,
solo dopo che si sia consumato l'inadempimento di detto nuovo
conduttore, nei cui confronti è necessaria la preventiva richiesta
di adempimento mediante la semplice modalità della messa in mora.
Dall'altro deve ritenersi legittima la configurabilità di una
fattispecie di responsabilità cumulativa tra cessionari intermedi,
che di per sé integra patente violazione del generale principio
della incedibilità delle posizioni passive del rapporto obbligatorio
senza il consenso del contraente ceduto, in quanto tuttavia
giustificata alla luce della riconduzione ad equilibrio dell'intera
vicenda contrattuale in fieri, mediante il meccanismo della
“cumulatività indeterminata” della responsabilità tra
coobbligati (Cass. 20/04/2007, n. 9486; Cass., 29/08/2019, n. 21794),
alla quale si applica la regola generale della presunzione di
solidarietà prevista dall'art. 1294 cod. civ., in virtù della quale
tutti i cedenti (a loro volta cessionari) non liberati dal locatore
risponderanno, in solido tra loro, dell'obbligazione inadempiuta
dall'attuale
conduttore
(cfr. Cass. n. 9486/2007).
4.4.
Orbene, la corte di merito ha fatto puntuale applicazione dei
suindicati principi (v. punto 3 della motivazione della sentenza
impugnata), in forza dei quali interpreta l'art. 36 legge 392/1978
correttamente e dunque nel senso per cui, si ribadisce, nel caso di
cessione plurima di contratto di locazione ad uso diverso
dall'abitazione, di fronte all'inadempimento del pagamento del canone
di locazione, il locatore deve -in primo luogo e prima di esercitare
l'azione nei confronti del cedente-richiedere l'adempimento
all'ultimo cessionario; nel caso in cui costui non adempia, scatta
automaticamente la solidarietà fra tutti i cedenti e cessionari
antecedenti, a cui dunque il locatore potrà successivamente ed
indifferenziatamente rivolgersi.
E'
per contro manifestamente infondata la tesi del ricorrente, che
vorrebbe far discendere - non è chiaro in forza di quale principio -
dal riconoscimento della responsabilità solidale di tutti i
successivi cessionari, nel caso di plurime cessioni, l'esclusione del
beneficium ordinis per cui, prima di agire, occorre che il locatore
compulsi, chiedendo l'adempimento, l'ultimo cessionario.
E'
vero che nel caso in cui l'ultimo cessionario non adempia, scatta
automaticamente la solidarietà tra tutti i cedenti ed i cessionari
antecedenti, ma -si ribadisce- resta pur sempre fermo il principio
del beneficium ordinis, per cui, di fronte all'inadempimento, il
locatore anzitutto deve compulsare l'ultimo cessionario.
5.
Il secondo motivo è invece fondato.
Esso
pone una questione nuova, che ad avviso di questa Corte deve essere
risolta in senso contrario a quanto deciso della corte fiorentina.
5.1.
Giova dunque anzitutto ricordare che in primo grado il Tribunale di
Firenze aveva così statuito:
“ ...
in caso di mancata liberazione del cedente, per tutte le azioni
attinenti alla prosecuzione o alla estinzione del rapporto locatizio,
permane la legittimazione passiva dell'originario conduttore. Quanto
alla responsabilità del cedente, da ultimo la Suprema Corte ha
ritenuto applicabile il principio della responsabilità sussidiaria
all'interno dei rapporti tra i coobbligati, sia pure sotto il
limitato profilo del beneficium ordinis (vedi Cass., 20/04/2007, n.
9486; Cass., 11/11/2011, n. 23557), attraverso una preventiva
richiesta di adempimento al cessionario, oppure, come sostenuto dalla
giurisprudenza di legittimità più recente, attraverso la semplice
modalità della messa in mora (vedi Cass., n. 13706/2017). Applicando
i suesposti principi al caso di specie, ne discende la responsabilità
dell'originario conduttore EE Srl per i canoni di locazione non
pagati anche per il periodo successivo alla cessione del ramo di
azienda e del contratto di locazione (1.5.2016), non essendo stato
liberato dal locatore, che ne ha ricevuto formale comunicazione;
incontestato, poi, è l'inadempimento all'obbligo di pagamento dei
canoni di locazione sin dal mese di maggio 2016 del conduttore
cessionario, il quale, pur non avendo ricevuto alcuna formale
richiesta di adempimento o di messa in mora da parte del locatore
prima dell'introduzione del presente giudizio, ha manifestato sin da
subito, con l'introduzione del procedimento di mediazione, la volontà
di non adempiere (vedi verbale negativo di mediazione del
18.10.2017), con conseguente maturarsi dell'inadempimento di
quest'ultimo”.
5.2.
La corte d'appello ha invece integralmente riformato la decisione
sotto tali profili, espressamente affermando che non è sufficiente,
al fine del rispetto del beneficium ordinis, la richiesta inviata per
la mediazione obbligatoria prodromica alla causa, dal momento che:
“tale
atto non è equipollente a una (preventiva) messa in mora. Ammesso e
non concesso che una comunicazione indirizzata in via immediata non
al debitore, ma all'Organismo di Mediazione, possa dirsi comunque
utile ai presenti fini, è dirimente considerare che con la richiesta
di mediazione il creditore non intima affatto al debitore di
adempiere, ma -proprio per la natura dell'atto - riserva al
successivo eventuale giudizio ogni richiesta.
Al
massimo, cioè, la richiesta di mediazione manifesta al debitore che
la sua controparte vanta una pretesa nei suoi confronti e, ove la
mediazione non abbia buon esito, è intenzionata ad agire in
giudizio; ma di certo non costituisce una intimazione immediata di
adempimento, essendo ciò intrinsecamente in contrasto con la
funzione dell'atto, che è quello di avviare una mediazione. È
d'altra parte noto che la messa in mora, pur se a forma libera, deve
manifestare la incondizionata volontà del creditore di pretendere
l'immediato adempimento: “La costituzione in mora del debitore,
anche al fine della interruzione della prescrizione, postula
l'estrinsecazione della pretesa creditoria, con richiesta
d'adempimento, e, per tanto, non può essere ravvisata in una
generica riserva di far valere il diritto o di agire a sua tutela in
un momento successivo.” (Cass. sez. civ. 21.5.1985 n. 3096 rv
440793); non sono idonee alla messa in mora “(…) semplici
sollecitazioni prive del carattere di intimazione e dell'espressa
richiesta di adempimento al debitore.” (Cass. sez. 6 civ. ord.
14.6.2018 n. 15714 rv 649150-01; conf.: Cass. sez. 6 civ. ord.
7.9.2020 n. 18546). Sarebbe inutile obiettare - e GG non lo fa - che
l'art. 5 co. 6 primo periodo D. Lgs 28/2010 stabilisce che “Dal
momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di
mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda
giudiziale”, perché la peculiare parificazione va considerata
limitata, così come la legge specifica, ai soli fini della
interruzione della prescrizione; ché, se poi si opinasse
diversamente, si dovrebbe allora, per esser conseguenti, operare una
parificazione totale della domanda di mediazione a quella giudiziale,
col risultato, comunque favorevole alla tesi dell'appellante EE, che
sarebbe mancata una intimazione al debitore principale precedente
all'avvio della causa, con mancato rispetto del beneficium ordinis”.
La
corte territoriale, pertanto, conclude nel senso che, ricevuta da
parte di EE la comunicazione dell'avvenuta cessione, GG, prima di
convenirla in giudizio per far valere la sua responsabilità
sussidiaria rispetto a inadempimenti interamente attribuibili al
cessionario, avrebbe dovuto mettere in mora X (all'epoca X).
5.3.
Orbene, la corte di merito richiama astrattamente i principi di
diritto posti da questa Suprema Corte in sede di interpretazione
dell'art. 36 legge 392/1978 e qui riportati in sede di scrutinio del
primo motivo di ricorso, ma non li applica correttamente al caso di
specie, in cui viene in rilievo il profilo, mai esaminato sinora, per
cui prima della instaurazione del giudizio di merito la GG ha
comunicato a tutte le controparti di aver depositato istanza di
mediazione, rispetto alla quale la corte fiorentina svolge
considerazioni non condivisibili.
Anzitutto
va rilevato che, per un verso, la corte d'appello sostanzialmente non
disconosce l'esistenza del credito di GG e che, per altro verso, è
cosa giudicata interna, formatasi per effetto della mancata
impugnazione, che la mediazione fosse stata estesa all'ultimo
cessionario, quello nei cui riguardi doveva rivolgersi la richiesta
di pagamento.
Ciò
posto, è errato quanto afferma la corte fiorentina circa
l'impossibilità di considerare la richiesta di mediazione, come
attività stragiudiziale, sub specie di richiesta di adempimento.
In
disparte il rilievo -puramente formalistico ed affatto decisivo- per
cui la domanda di mediazione non è rivolta direttamente al debitore
ma all'Organismo di Mediazione, le argomentazioni della corte di
merito per cui con la domanda di mediazione il creditore “non
intima affatto di adempiere” sono immotivate ed apodittiche, a
fronte della previsione dell'art. 4, comma 2, D.Lgs. n. 28 del 2010,
che stabilisce che la domanda di mediazione è presentata mediante
deposito (presso un organismo di mediazione) di un'istanza che deve
indicare l'organismo, le parti, l'oggetto e le ragioni della pretesa;
tale previsione va letta in combinato disposto con la normativa
dettata dall'art. 5, comma 1-bis in tema di mediazione obbligatoria,
il quale prevede uno stringente collegamento tra il processo civile
(“azione”) e la preventiva mediazione.
La
ratio di tale previsione è quella di ottenere, in caso di eventuale
successivo giudizio, una simmetria tra la disposizione richiamata
(art. 4 comma 2 D.Lgs. 28/2010) e l'art. 125 cod. proc. civ., circa
il contenuto degli atti processuali, (cfr. Cass. n. 29333/2019, non
massimata, che contiene questo espresso riferimento: “L'assunto
cassatorio è che la corte territoriale abbia violato l'art. 4 del
D.Lgs. n. 28/10 che prescrive che la domanda di mediazione debba
contenere l'indicazione dell'organismo, delle parti, dell'oggetto e
delle ragioni della domanda, in sintonia con quanto prescritto
dall'art. 125 cod. proc. civ., quanto al contenuto degli atti
processuali, sì da garantire che quanto sottoposto all'organismo di
mediazione trovi corrispondenza in quanto successivamente portato
alla cognizione del giudice”, per poi concludere nel senso della
infondatezza del motivo, in quanto “All'esito di un accertamento di
merito adeguatamente motivato, insuscettibile di riesame da parte di
questa Corte, la decisione impugnata ha confrontato la domanda di
mediazione con quella giudiziale ed ha ritenuto che non vi fosse una
insanabile non sovrapponibilità del relativo oggetto”).
E'
pacifico, dunque, che l'istanza di mediazione debba avere gli stessi
elementi (parti, oggetto e ragioni), riproposti in sede processuale
(personae, petitum e causa petendi dell'art. 125 cod. proc. civ.), e
questo al fine di rendere effettiva la mediazione, per cui la parte
chiamata deve essere messa in condizione di conoscere tutte le
questioni, nel loro nucleo essenziale, costitutive della pretesa
dell'altra parte.
In
questo contesto, dunque, non è ragionevolmente possibile escludere
che la domanda di mediazione non possa anche rivestire i presupposti
della intimazione ad adempiere; se la mediazione è finalizzata alla
definizione della controversia in via conciliativa, deflazionando il
contenzioso ordinario, per altro verso la medesima costituisce
condizione di procedibilità della successiva domanda giudiziale:
pertanto, l'istanza di mediazione deve contenere quel nucleo
indefettibile di elementi e di contenuto, tale da evidenziare la
pretesa su cui la mediazione medesima possa essere utilmente esperita
ovvero, in caso contrario, che costituirà il fondamento ed il
contenuto della futura iniziativa giudiziale, e per questo dunque non
può non far riferimento alla pretesa creditoria da un lato ed
all'inadempimento, al di là del mero ritardo, dall'altro.
5.4.
Anche l'ulteriore argomento formulato dalla corte di merito e fondato
sul disposto del comma 6 dell'art. 5 D.Lgs. 28/2010 non è
condivisibile.
La
citata disposizione prevede in particolare che: “Dal momento della
comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce
sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa
data, la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per
una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale
deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza,
decorrente dal deposito del verbale di cui all'articolo 11 presso la
segreteria dell'organismo”.
Orbene,
al contrario di quanto dice la corte di merito, proprio il principio
espresso dal citato art. 5, comma 6, primo periodo, attribuendo alla
domanda di mediazione effetti interruttivi della prescrizione a
somiglianza della proposizione della domanda giudiziale, implica a
maggior ragione che l'attivazione della mediazione non possa che
considerarsi come richiesta di adempimento all'ultimo cessionario.
Il
ragionamento svolto dalla corte di merito, secondo cui la
parificazione tra istanza di mediazione e domanda giudiziale sarebbe
limitata ai soli fini della interruzione della prescrizione, invero
non considera che la previsione del citato art. 5, comma 6, D.Lgs.
28/2010, lungi dall'essere letta ed interpretata in maniera puramente
letterale, va considerata sotto un profilo sistematico.
E
sotto tale profilo deve essere rilevato che con questa disposizione
il legislatore si è fatto carico dell'evenienza per cui colui che
esperisce e coltiva un percorso di mediazione (e lodevolmente, visto
che, come si desume dall'art. 8, comma 4-bis del D.Lgs. 2010 n. 28 -
a norma del quale “Il giudice condanna la parte costituita che, nei
casi previsti dall' art. 5, non ha partecipato al procedimento (di
mediazione) senza giustificato motivo al versamento all' entrata del
bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al
contributo unificato dovuto per il giudizio”- è ormai principio
immanente dell' ordinamento giuridico che la partecipazione alla
mediazione è un valore in sé, a prescindere dal merito, e quindi
dal convincimento di non dover incorrere nella soccombenza) non può
essere costretto a subire gli effetti del decorso della prescrizione.
Pertanto,
posto che la domanda di mediazione precede necessariamente la domanda
giudiziale, il legislatore ha optato, a scanso di dubbi, per
parificarla espressamente alla domanda giudiziale ai fini della
interruzione del decorso del termine di prescrizione.
5.5.
Del tutto formalistico e privo di pregio e poi l'assunto secondo cui
in tal modo si equiparerebbe totalmente la richiesta di mediazione
alla domanda giudiziale, con la conseguenza che mancherebbe l'essersi
richiesto il pagamento all'ultimo cessionario prima di compulsare gli
altri, in quanto il pagamento risulterebbe richiesto a tutti i
cedenti e cessionari, con conseguente mancato rispetto del beneficium
ordinis.
La
domanda di mediazione, per la sua specifica funzione di giustizia
complementare in funzione deflattiva, collegata al solo eventuale
futuro giudizio di merito, viene inviata ante causam e nell'esporre
la pretesa giuridica di cui si e titolari e la relativa esigenza di
tutela, anzitutto al fine di trovare un possibile accordo
conciliativo tra le parti, contiene naturalmente quella richiesta di
adempimento che, pur nella sua forma più elementare, vale ad
escludere il mero ritardo ed è idonea a far constare l'inadempimento
del soggetto obbligato.
Va
condivisa pertanto la censura contenuta nel secondo motivo di ricorso
(p. 17), per cui “nessuno ha mai voluto equiparare un invito a
partecipare a un procedimento di mediazione a una formale messa in
mora, tuttavia non può certo dirsi che prima di convenire in
giudizio EE, GG non abbia preventivamente tentato di ottenere il
pagamento dai cessionari intermedi e dunque conformandosi pienamente
al dettato normativo di cui all'art. 36 della legge 392/1978”.
5.6.
Risulta inoltre illogico che la corte territoriale abbia rigettato la
domanda del proprietario verso il cedente, affermando che il primo
non avrebbe tentato di ottenere l'adempimento dei cessionari
intermedi e giustificando tale rilievo sulla pretesa non equipollenza
tra domanda di mediazione e messa in mora.
Se
infatti si considera complessivamente la motivazione, è possibile
rilevare che l'impugnata sentenza svolge una articolata -e
condivisibile- premessa, richiamando l'orientamento di questa Corte,
secondo cui ciò che conta, ai fini del rispetto del beneficium
ordinis, non è la mora in sé del cessionario, che, a ben vedere, si
produce ex re allo scadere del termine per il pagamento della rata di
canone (cfr. Cass. sez. 3^ civ. 17.12.1986 n. 7628; Cass. sez. 3^
civ. 13.3.2007 n. 5836; Cass. sez. 3^ civ. 9.12.2004 n. 25853; è
fatta salva la deroga dell'art. 1282 co. 2 c.c. nei soli casi,
diversi dal presente, in cui le parti abbiano pattuito la natura
querable della prestazione del conduttore), ma l'inadempimento vero e
proprio, che occorre dunque constatare, al di là del mero ritardo,
con un autonomo atto - ancorché nelle semplici forme
dell'intimazione stragiudiziale - che non può che essere anteriore
all'azione giudiziale (v. Cass., 20/01/2017, n. 1433, nel solco
dell'indirizzo fissato dalla citata Cass., 9486/2007).
In
ogni caso, poi, questa Corte ha già avuto modo di affermare che la
messa in mora non richiede formule sacramentali né di particolari
adempimenti (Cass., 18631/2019: “l'atto di costituzione in mora di
cui all'art. 1219 cod. civ., idoneo ad integrare atto interruttivo
della prescrizione ai sensi dell'art. 2943, ultimo comma, cod. civ.,
non è soggetto a rigore di forme, all'infuori della scrittura, e
quindi non richiede l'uso di formule solenni né l'osservanza di
particolari adempimenti, occorrendo soltanto che il creditore
manifesti chiaramente, con un qualsiasi scritto diretto al debitore e
portato comunque a sua conoscenza, la volontà di ottenere il
soddisfacimento del proprio diritto. Sulla base di tali principi,
perché un atto possa valere come costituzione in mora, deve
contenere unicamente la chiara indicazione del soggetto obbligato
(elemento soggettivo), nonché l'esplicitazione di una pretesa e
l'intimazione o la richiesta scritta di adempimento, idonea a
manifestare l'inequivocabile volontà del titolare del credito di
ottenere il soddisfacimento del proprio diritto nei confronti del
soggetto indicato (elemento oggettivo)”.
5.7.
Ebbene, nel caso di specie GG prima di intraprendere il giudizio ex
art. 447 bis cod. proc. civ. ha tentato di ottenere l'adempimento da
parte di tutti cessionari, dunque in applicazione del disposto di cui
al citato art. 36 legge 392/1978.
Il
ragionamento della corte territoriale sul beneficium ordinis non
considera che tale beneficio implica soltanto che prima
dell'esercizio dell'azione contro il cedente e, quindi contro la
platea dei cedenti e cessionari, ci si debba rivolgere
stragiudizialmente all'ultimo cessionario. L'attività mediatoria,
pur coinvolgente tutti i soggetti coinvolti nelle cessioni a catena
del contratto di locazione, non costituisce quindi esercizio
dell'azione giudiziale contro il cedente originario ed i successivi
cessionari e cedenti anteriori all'ultimo cessionario.
5.8.
La possibile funzione della domanda di mediazione di far constare
ante causam l'inadempimento del debitore risulta vieppiù evidente se
si considera, come ha osservato in prime cure il tribunale ed invece
ha trascurato la corte d'appello, che nel caso di specie i
destinatari della convocazione in mediazione hanno manifestato la
volontà di non adempiere, come risulta dal verbale negativo di
mediazione, per cui in tal modo si è maturato il loro inadempimento,
in forza dell'espresso disposto, che la corte fiorentina ha omesso di
considerare, dell'art. 1219 comma 2, n. 2, cod. civ., per cui non è
necessaria la messa in mora del debitore allorquando lo stesso abbia
dichiarato per iscritto di non voler eseguire l'obbligazione.
6.
Pertanto, in accoglimento del motivo la impugnata sentenza va cassata
e rinviata alla Corte d'appello di Firenze, in diversa composizione,
per nuovo esame in applicazione del seguente principio di diritto:
“Ai
fini del rispetto del beneficium ordinis previsto dall'art. 36 della
legge 392/1978, ciò che rileva è l'inadempimento vero e proprio del
cessionario/conduttore, che, da parte del locatore, deve essere fatto
constatare con autonomo atto, prima di rivolgersi al cedente e di
esperire l'azione giudiziale. Tale autonomo atto può essere anche
costituito dalla domanda di mediazione, ovvero dalla richiesta di
partecipazione alla mediazione (nel caso di specie obbligatoria),
estese - in funzione del successivo giudizio - anche al cessionario
(e nel caso di cessioni successive all'ultimo cessionario), atteso
che una simile iniziativa, per le sue caratteristiche funzionali ben
può essere considerata come richiesta di adempimento ante causam
fatta nei riguardi del cessionario (o dell'ultimo cessionario)”.
7.
Il terzo motivo è manifestamente infondato.
Va
premesso che la corte di merito ha dichiarato l'improcedibilità
dell'appello incidentale di GG in quanto la stessa non ha depositato
nel giudizio di appello la prova dell'avvenuta notificazione del
ricorso incidentale.
Tale
circostanza è pacifica, tanto è vero che la stessa GG motiva le
proprie ragioni sostenendo che tale onere non le incombesse.
Va
invece ricordato che questa Corte a Sezioni Unite, con la sentenza
30/07/2008, n. 20604 ha già avuto modo di affermare che, nel rito
del lavoro, l'appello incidentale, pur tempestivamente proposto, ove
non sia stato notificato va dichiarato improcedibile, poiché il
giudice, in attuazione del principio della ragionevole durata del
processo, non può assegnare all'appellante un termine per provvedere
a nuova notifica, e la suddetta improcedibilità è rilevabile
d'ufficio trattandosi di materia sottratta alla disponibilità delle
parti (v. anche tra le successive conformi, Cass. sez. lav. 19.1.2016
n. 837; Cass., 03/04/2017, n. 8595; Cass., 19/10/2017, n. 24742;
Cass., n. 29870/2008; Cass., n.1721/2009; Cass., n. 11600/2010,
Cass., n.27086/2011; Cass., n. 20613/2013; Cass., n. 6159/2018).
Il
principio discende dall' art. 436, comma 3, cod. proc. civ., il
quale, per effetto dell'espresso richiamo contenuto nell'art. 447
bis, comma 2, cod. proc. civ., si applica anche ai giudizi, come il
presente, in tema di locazione.
Si
è poi ulteriormente precisato che il principio, affermato per
l'appello principale, va applicato anche all'appello incidentale (v.
Cass. 19/01/2016, n. 837).
7.1.
La corte di merito ha dunque fatto buon governo dei suddetti
principi, applicandoli al caso sottoposto al suo esame, in cui
l'appello incidentale di GR verso X e stato tempestivamente proposto,
ma non notificato, sottolineando in motivazione che né nelle fasi
anteriori, ivi compresa quella incidentale di inibitoria, né con le
note di trattazione scritta dell'udienza di discussione GG ha
allegato di avere mai notificato la sua comparsa contenente l'appello
incidentale e men che meno ne ha fornito prova.
Infondate
sono dunque le considerazioni, contenute nel motivo di ricorso,
secondo cui tutte le parti erano costituite in giudizio, dal momento
che la mancata notifica (e la mancata prova in giudizio del fatto che
essa sia avvenuta) non è causa di nullità, cioè di un vizio
sanabile con l'avvenuta costituzione in giudizio delle parti, ma è
causa di improcedibilità, cioè di un vizio comunque non sanabile,
neppure a seguito della costituzione delle parti.
7.2.
Risulta infine irrilevante e privo di pregio il fatto che GG abbia
“dovuto anche depositare istanza di correzione di errore materiale
sul punto” (v. p. 20 del ricorso), in quanto allegato in maniera
del tutto generica, in violazione dell'art. 366, n. 6, cod. proc.
civ. ed in assenza di correlazione con quanto motivato dalla corte
territoriale nel ritenere improcedibile l'appello incidentale; che
poi, in allegato a tale istanza di correzione di errore materiale, GG
abbia prodotto le ricevute telematiche relative alla notifica alle
controparti dell'appello incidentale allo scopo di cercare di ovviare
all'omessa produzione nel corso del giudizio, è evenienza parimenti
irrilevante, dato che tale produzione è tardiva, essendo intervenuta
dopo la pronuncia della sentenza nel giudizio di appello.
8.
In conclusione, vanno rigettati il primo ed il terzo motivo di
ricorso, mentre va accolto il secondo; l'impugnata sentenza va
cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altra Sezione
della Corte d'Appello di Firenze, comunque in diversa composizione,
per nuovo esame in applicazione del principio di diritto indicato al
par. 6 della motivazione.
9.
Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di
legittimità.
PQM
La
Corte accoglie il secondo motivo di ricorso; rigetta gli altri; cassa
la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia ad
altra Sezione della Corte d'Appello di Firenze, comunque in diversa
composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del
giudizio di legittimità.
AVVISO.
Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.