Si può produrre in giudizio la consulenza svolta in mediazione?
di Manuela ZANUSSI
(fonte CassaForense: cfnews.it del 26.4.2024)
La Riforma Cartabia ha modificato l'articolo 8 del D. Lgs. 28/2010, che già dalle origini della mediazione civile e commerciale prevedeva la facoltà di svolgere la consulenza tecnica durante la procedura: “Il mediatore può avvalersi di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i tribunali”.
Il legislatore della novella ha normato, positivizzandola, una prassi consolidata negli Organismi e tra i mediatori. In ogni caso, va verbalizzata la scelta e la pattuizione delle parti di poter produrre l’elaborato nel successivo eventuale giudizio: il documento peritale che si forma all’interno della procedura è infatti diversamente coperto da riservatezza assoluta ai sensi degli artt. 9 e 10 D. Lgs.
Recita il nuovo comma 7 dell’art. 8:
“Al momento della nomina dell'esperto, le parti possono convenire la producibilità in giudizio della sua relazione, anche in deroga all'articolo 9. In tal caso, la relazione è valutata ai sensi dell'articolo 116, comma primo, del codice di procedura civile”.
Se apprezzabile l’intento del legislatore di dare veste normativa alla prassi invalsa, dall’altro lato l’ingresso di un istituto tipicamente officioso e processuale in una procedura informale e destrutturata quale la mediazione determina conseguenze “processualizzanti” che vanno ponderate e ben conosciute per evitarne le aberrazioni.
Quando e come nominare il consulente in mediazione
Il consulente in mediazione va nominato sul presupposto che le parti, sia su loro richiesta sia su sollecitazione del mediatore, ritengano che le questioni trattate abbiano necessità di approfondimenti tecnici (questioni medico sanitarie con una quantificazione medico-legale dei danni, accertamenti estimativi su questioni di divisione immobiliare, redazione dei conteggi di revisione di tabelle millesimali etc.).
La norma dispone che sia il mediatore ad “avvalersi” dell’esperto. Di norma, tuttavia, non è il mediatore a nominare il consulente (come accade all’ausiliario del giudice nel processo), ma alternativamente o la nomina avviene a cura delle parti, ovvero la nomina viene effettuata dall’Organismo, ma subordinatamente all’impegno solidale delle parti a sostenerne i costi.
Il consulente in mediazione: chi deve essere e che regole deve seguire
Il perito deve essere un esperto iscritto nelle liste dei CTU del Tribunale. Tuttavia le parti liberamente, nella loro disponibilità, possono anche nominare un soggetto non inserito nelle liste.
In mediazione non esistono regole precostituite, né l’istituto ha una sua “procedura”, ma uno dei principi cardine che va seguito è quello del contraddittorio, sia per la legittimità nel procedimento di mediazione, sia per l’efficacia nel successivo giudizio.
Spesso, anche solo per deformazione professionale, avvocati e consulenti seguono le abitudini giudiziali di consentire nomine di consulenti di parte entro l’inizio delle operazioni, dare un termine per redigere una bozza, uno successivo per osservazioni ai consulenti di parte e uno finale per il deposito; tuttavia tutto è lasciato alla libera determinazione e disponibilità delle parti stesse.
Anche sulla redazione del quesito, le parti devono accordarsi e stenderlo congiuntamente al mediatore, così come sempre all’atto della nomina prevedere il costo della consulenza e la ripartizione della relativa spesa.
La perizia e il suo valore
Come sopra detto, la novità della riforma Cartabia è stata di chiarire la questione della producibilità dell’elaborato nel successivo giudizio, richiedendo alle parti di verbalizzare, all’atto dell’incarico, se esse vogliano che la perizia sia producibile in giudizio.
Se le parti stabiliscono che l’esito peritale possa essere producibile, esse in pratica rinunciano espressamente all’obbligo di riservatezza che copre il documento (articoli 9 e 10 del decreto 28/2010). La perizia viene così volutamente “dissecretata” e pertanto è producibile; se invece le parti la vogliono riservata e viene successivamente prodotta in violazione di tale disposto, determina innanzitutto conseguenze deontologiche per l’avvocato.
Secondo la giurisprudenza formatasi sotto il testo normativo ante Cartabia, però, la CTM prodotta in giudizio pur se in violazione della segretezza aveva valore probatorio di prova atipica ed era utilizzabile. Diverse sentenze, nella vigenza della vecchia normativa, pur ritenendo la perizia illegittimamente introdotta in giudizio, l’hanno ritenuta infatti utilizzabile quale prova atipica e valutata dal giudice ex art. 116 cpc. Tra le altre, la sentenza 1094/2022 del Tribunale di Roma, che ha ribadito la piena producibilità dell’elaborato in giudizio
“in virtù di un equilibrato contemperamento fra l’esigenza di riservatezza che ispira il procedimento di mediazione e quella di economicità ed utilità delle attività che si compiono nel corso e all’interno di tale procedimento (in questo senso Trib. Roma 17 marzo 2014), trattandosi peraltro di una perizia redatta tenendo conto del principio del contraddittorio.”.
Anche un recente Tribunale di Pordenone n. 595/2022 del 4.11.22 ha seguito l’orientamento del Giudice capitolino, sostenendo che era del tutto infondata la domanda attorea di
“condanna dello stesso convenuto al pagamento –a titolo di sanzione– d’importo equitativamente determinato secondo il prudente apprezzamento del Giudicante, in considerazione del comportamento tenuto nella procedura di mediazione: e ciò in quanto una tale sanzione non è prevista dalla legge […]. Condivisibilmente la giurisprudenza ritiene producibile ed utilizzabile nel successivo giudizio la relazione del consulente nominato nel corso di tale procedimento […]”.
A sgombrare il campo, però, è oggi la nuova norma dell'articolo 8, che ora stabilisce espressamente che il CTM deve essere autorizzato dalle parti a redigere una perizia producibile (o meno), con dichiarazione che deve risultare chiaramente a verbale all’atto dell’incarico. Solo a tale condizione essa potrà essere depositata in giudizio col valore della prova atipica valutabile ex art. 116 cpc, diversamente venendo rafforzata la segretezza della procedura di mediazione.
La riforma Cartabia apre dunque a nuove e diverse pronunce giurisprudenziali; così, nel successivo giudizio, vi potrebbe essere non solo un’espressa declaratoria di inutilizzabilità del documento introdotto in violazione di legge, ma addirittura una valutazione giudiziale della condotta della parte che l’abbia prodotto, con ogni relativa conseguenza di natura deontologica per il legale, in relazione alla violazione del principio di lealtà e buona fede.
Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 37/2024