DIRITTO D'AUTORE


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29 giugno 2016

51/16. Diffamazione, richiesta danni inferiore a € 50.000: mediazione obbligatoria (Osservatorio Mediazione Civile n. 51/2016)

=> Tribunale di Verona, 12 maggio 2016

La domanda di risarcimento danni per diffamazione inferiore a euro 50.000 è soggetta alla sola mediazione c.d. obbligatoria (art. 5, comma 1-bis d.lgs. 28/2010) e non alla negoziazione assistita c.d. obbligatoria (art. 3, d.l. 132/2014, conv. con mod. in l. 162/2014. L’art. 3, comma 1, primo periodo, d.l. 132/2014, infatti, esclude dalla negoziazione assistita le controversie che rientrano nel novero di quelle contemplate dall’art. 5, comma 1 bis, d. lgs. 28/2010. (I) (II). 


Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 51/2016

Tribunale di Verona
ordinanza
12 maggio 2016

Omissis

A sostegno delle domanda l’attrice, dopo aver premesso di gestire, insieme al proprio figlio, una rivendita speciale secondaria di valori bollati al piano terra dell’edificio ove è ubicato il tribunale civile e penale di Verona, ha dedotto che i convenuti, suoi concorrenti, in quanto titolari di una tabaccheria e rivendita di valori bollati posta a distanza di poche centinaia di metri dalla predetta rivendita, avevano esposto, per circa due mesi, un articolo del quotidiano veronese --- del 26 aprile 2015 nel quale era stato riferito che il figlio dell’attrice, il giorno precedente al predetto, era stato controllato dalla polizia ferroviaria e trovato in possesso di alcune marche da bollo apparentemente contraffatte.
Secondo l’attrice l’esposizione di quell’articolo aveva avuto l’unico scopo di screditarla e diffamarla davanti ai clienti della tabaccheria --- (soprattutto avvocati e segretarie di studi legali) e presso gli uffici comunali che avevano bandito la gara per l’assegnazione dei citati locali proprio nel predetto periodo. L’attrice ha individuato espressamente il fondamento della propria domanda risarcitoria sia nel disposto dell’art. 2043 c.c., in relazione alla condotta di diffamazione a mezzo stampa o con altro mezzo di pubblicità attribuita ai convenuti, sia in quello dell’art. 2598, comma 1 n.2 c.c. c.c. in tema di concorrenza sleale.
I convenuti nel costituirsi in giudizio hanno eccepito in via pregiudiziale il difetto di procedibilità della domanda attorea per non essere stata preceduta dalla mediazione finalizzata alla conciliazione.
A prima vista, alla luce della prospettazione attorea, parrebbe esservi la necessità di far espletare sia la mediazione, tenuto conto del primo dei titoli di responsabilità invocato dalla ricorrente, sia la negoziazione assistita avuto riguardo all’entità della condanna richiesta sulla scorta del diverso e concorrente titolo di responsabilità.
Deve però escludersi che nel caso di specie possa trovare applicazione il disposto dell’art. 3, comma 5, d.l. 132/2015 che, come già affermato da questo giudice in altro provvedimento, effettivamente consente il cumulo tra negoziazione assistita obbligatoria e altre condizioni di procedibilità. Infatti l’ambito di applicazione di tale norma, la cui legittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 24, comma 1, Cost è alquanto dubbia, ad avviso di questo giudice, va limitato ai casi in cui la medesima domanda o una pluralità di domande distinte siano soggette a condizioni di procedibilità diverse. Si può pensare, a titolo esemplificativo, al caso della domanda di condanna la pagamento di una somma fino ad euro 50.000,00 che si fondi su un contratto agrario, che come tale è soggetta sia a negoziazione assistita che al tentativo obbligatorio di conciliazione davanti all’ispettorato agrario, o a quello di una domanda di condanna al pagamento di una somma fino ad euro 50.000,00 fondata su una ipotesi di responsabilità professionale alla quale sia connessa una domanda relativa ad un contratto assicurativo, atteso che mentre la prima è soggetta a negoziazione assistita la seconda soggiace a mediazione.
Il caso in esame esula dall’ambito di applicazione della norma succitata in virtù del disposto dell’art. 3, comma 1, primo periodo del d.l. 132/2014 che esclude dalla negoziazione assistita le controversie che rientrano nel novero di quelle contemplate dall’art. 5, comma 1 bis, d. lgs. 28/2010, quale è la presente in relazione alla prospettata condotta di diffamazione;

PQM

Assegna alle parti termine di quindici giorni dal momento della comunicazione del presente provvedimento per presentare l’istanza di mediazione e rinvia la causa all’udienza ---.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

24 giugno 2016

50/16. Primo incontro, verbale, ragione del rifiuto a proseguire: il principio di riservatezza è riferito al merito, non allo svolgimento procedimentale (Osservatorio Mediazione Civile n. 50/2016)

=> Tribunale di Roma, 25 gennaio 2016

Il principio relativo alla riservatezza delle dichiarazioni delle parti (art. 9 d.lgs. 28/2010) deve essere riferito al solo contenuto sostanziale dell'incontro di mediazione, vale a dire al merito della lite. Ogni qualvolta, invece, tali dichiarazioni, quand'anche trasposte al di fuori del procedimento di mediazione, riguardano circostanze che attengono alle modalità della partecipazione delle parti alla mediazione e allo svolgimento (in senso procedimentale) della stessa, va predicata la assoluta liceità della verbalizzazione e dell'utilizzo da parte di chicchessia. Difatti, il mediatore non è né un collaboratore del giudice né un suo ausiliario, ma lo schema della legge prevede, in sommo grado nella mediazione demandata, una serie di link che non possono essere ignorati fra il procedimento di mediazione e la causa (fra essi vanno ricordati in primo luogo la condizione di procedibilità prevista dall'art. 5 c. 1-bis e 2, nonché le conseguenze della mancata partecipazione al procedimento di mediazione senza giustificato motivo di cui all'art. 8 co. 4-bis, gli effetti nella causa della proposta del mediatore di cui all'art. 13, l'efficacia di titolo esecutivo del verbale di accordo ove regolarmente asseverato dagli avvocati che abbiano assistito le parti che hanno aderito alla mediazione di cui all'art. 12 e, benché non espressamente affermato dalla legge, la producibilità nella causa della relazione dell'esperto di cui all'art. 8 c. 4; ciò, in via generale, anche in relazione all'art. 96 c. 3 c.p.c. (I) (II).

Con riferimento al primo incontro di mediazione (art. 8 c. 1) è necessario e doveroso che venga verbalizzata la ragione del rifiuto a proseguire nella mediazione vera e propria. Ciò, sempre che la parte dichiarante la esponga e chieda la relativa verbalizzazione: il mediatore non è tenuto a richiedere ad essa la ragione di tale rifiuto, ma neppure può esimersi dalla relativa verbalizzazione, ove richiesta dall'avente diritto. In mancanza di qualsiasi dichiarazione, autorizzativamente verbalizzata, della parte, sulla ragione del rifiuto di proseguire nel procedimento di mediazione, tale rifiuto va considerato non giustificato (I).

Con riferimento all’incontro di mediazione di cui all'art 8 c. 5, solo in presenza di ragioni ostative formali/procedurali (si pensi ad esempio ad un convocato in mediazione caduto vittima di un grave incidente, per il quale è in corso la procedura per la nomina di un amministratore di sostegno) può predicarsi realizzata validamente la impossibilità di iniziare la procedura di mediazione e quindi la ragionevolezza del considerare validamente concluso il procedimento di mediazione (con l'inveramento della condizione di procedibilità e l'assenza di sanzioni). Tale interpretazione è perfettamente in linea con la logica, il buon senso e la Costituzione (I). 


(II) Si veda l’art. 116, comma 2, c.p.c. in Codice di Procedura Civile, La Nuova Procedura Civile, 2016.

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 50/2016

Tribunale di Roma
Sezione XIII
ordinanza
25 gennaio 2016

Omissis

Nella causa epigrafata, avente ad oggetto la richiesta di risarcimento relativa ad un danno subito dall'attrice Omissis a seguito di un trattamento estetico per la ricostruzione delle unghie, il giudice, dopo una breve istruttoria, disponeva la mediazione demandata con ordinanza dell'11.5.2015.
Con tale ordinanza il giudice, oltre ad indicare, secondo un modello procedimentale già positivamente sperimentato in altre cause, i punti sui quali le parti in mediazione avrebbero potuto utilmente dirigere ed approfondire la discussione con l'ausilio e la fattiva presenza di un mediatore dell'organismo prescelto, evidenziava (icasticamente, visto che il testo veniva redatto in neretto sottolineato), con significativo avvertimento, la necessità della effettiva partecipazione delle parti al procedimento di mediazione demandata (1) , invitando altresì il mediatore a verbalizzare le dichiarazioni delle parti all'esito dell'introduzione del procedimento da parte dello stesso mediatore, per le valutazioni di competenza da parte del giudice nel caso la causa fosse proseguita (2) .
Sempre nella medesima ordinanza, il giudice ricordava che "la mancata partecipazione (ovvero l'irrituale partecipazione) senza giustificato motivo al procedimento di mediazione demandata dal giudice oltre a poter attingere, secondo una sempre più diffusa interpretazione giurisprudenziale, alla stessa procedibilità della domanda, è in ogni caso comportamento valutabile nel merito della causa".
La causa in effetti proseguiva, e nel verbale di mediazione del 6.7.2015, la mediatrice dott.ssa omissis dell'Organismo omissis, dava atto che: erano comparsi OMISSIS (attrice della presente causa) istante, assistita omissis (convenuta nella presente causa) convocata, assistita dall'avv. omissis; aveva illustrato alle parti compiutamente le modalità del procedimento di mediazione; aveva invitato le parti ad esprimersi sull'interesse (sic, n.d.r.) a proseguire nella procedura di mediazione; la parte attrice aveva manifestato il proprio assenso all'avvio della procedura di mediazione; la parte convenuta NON manifestava il proprio assenso all'avvio della procedura di mediazione; ed infine che le parti dichiaravano l'esito negativo del primo incontro di mediazione, dando atto della volontà delle parti di non dare prosecuzione al procedimento.

Va premesso che la verbalizzazione ad opera della mediatrice delle suddette dichiarazioni delle parti è ammissibile e corretta (salvo quell' "interesse" su cui si dirà in prosieguo). E' opportuno, a tale proposito, esporre sinteticamente il quadro normativo in tema di mediazione, riservatezza e verbalizzazione del mediatore.
Il procedimento di mediazione è improntato alla riservatezza (3) il che sta a significare che al fine di consentire l'effettiva possibilità delle parti di poter parlare liberamente senza la remora che eventuali dichiarazioni a sé sfavorevoli possano essere utilizzate nella causa, non si devono verbalizzare (da parte del mediatore) né possono essere propalate da chiunque (compresi gli avvocati delle parti) tali dichiarazioni che neppure possono essere oggetto di testimonianza et similia... .
Occorre però perimetrare con esattezza giuridica tale principio.
Che, in primo luogo, non vale, per espressa disposizione di legge (art. 9 cit.) contro la volontà della parte dichiarante.
Inoltre, per coerenza logico-giuridica con quanto testé osservato a proposito della tutela della libertà di dialogo che va garantita alle parti, il principio relativo alla riservatezza delle dichiarazioni delle parti deve essere riferito al solo contenuto sostanziale dell'incontro di mediazione, vale a dire al merito della lite.
Ogni qualvolta, invece, tali dichiarazioni, quand'anche trasposte al di fuori del procedimento di mediazione, riguardano circostanze che attengono alle modalità della partecipazione delle parti alla mediazione e allo svolgimento (in senso procedimentale) della stessa, va predicata la assoluta liceità della verbalizzazione e dell'utilizzo da parte di chicchessia.
Ed invero, in tale ambito una compiuta verbalizzazione è necessaria al fine di consentire al giudice la conoscenza del contenuto della condotta delle parti nello specifico contesto di cui trattasi; conoscenza indispensabile in relazione alle previsioni del decr.lgsl.28/2010 relative alla procedibilità delle domande ed all'art.8 co. 4 bis (4) dello stesso decreto, nonché, in via generale, dell'art. 96 III° cpc.
Sarebbe infatti un'assoluta aporia prevedere da una parte che il giudice debba e possa sanzionare la mancata o irrituale partecipazione delle parti al procedimento di mediazione e per contro precludergli la conoscenza e la valutazione degli elementi fattuali che tale ritualità o meno integrano. Per la medesima ragione, deve essere verbalizzata dal mediatore la risposta di ciascuna delle parti interpellate alla fatidica domanda (del mediatore) sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione (art. 8 co. I° quinto periodo decr. lgsl. 28/2010).
A tale proposito, oltre alla dichiarazione consistente nella risposta alla predetta domanda, è necessario e doveroso che venga verbalizzata la ragione del rifiuto a proseguire nella mediazione vera e propria. Ciò, sempre che la parte dichiarante la esponga e chieda la relativa verbalizzazione (peraltro nell'ambito delle attività del mediatore, sarebbe buona prassi degli organismi fornire alle parti, oltre le informazioni che la legge prevede, quelle relative allo stato della giurisprudenza sulle questioni più rilevanti e di interesse in tema di mediazione).
Come si vedrà in prosieguo, la ragione del non voler proseguire oltre l'incontro informativo non è affatto irrilevante per la parte. E se, di sicuro, il mediatore non è tenuto a richiedere ad essa la ragione di tale rifiuto, neppure può esimersi dalla relativa verbalizzazione, ove richiesta dall'avente diritto. Ed invero ogni parte può esonerare il mediatore dall'obbligo di riservatezza relativamente alle sue dichiarazioni (cfr. art. 9 della legge). Ciò assume specifico rilievo nel caso in cui, come quello in esame, la dichiarazione abbia notevole rilevanza nel contesto delle varie norme che disciplinano il procedimento di mediazione.
Conclusivamente, il mediatore deve trascrivere ogni circostanza - quand'anche consistente in dichiarazioni delle parti - utile a consentire (al giudice) le valutazioni di competenza, altrimenti impossibili, attinenti alla partecipazione (o meno) delle parti al procedimento di mediazione ed allo svolgimento dello stesso, come pure le circostanze che attengono al primo incontro informativo. In relazione al quale la parte che rifiuta di proseguire può esporne la ragione chiedendo che venga trascritta, con il correlativo obbligo del mediatore di verbalizzarla.
Il mediatore non è né un collaboratore del giudice né un suo ausiliario, ma lo schema della legge prevede, in sommo grado nella mediazione demandata, una serie di link che non possono essere ignorati fra il procedimento di mediazione e la causa. Fra essi vanno ricordati in primo luogo la condizione di procedibilità prevista dall'art. 5 commi 1 bis e 2, nonché le conseguenze della mancata partecipazione al procedimento di mediazione senza giustificato motivo di cui all'art. 8 co. 4 bis, gli effetti nella causa della proposta del mediatore di cui all'art. 13, l'efficacia di titolo esecutivo del verbale di accordo ove regolarmente asseverato dagli avvocati che abbiano assistito le parti che hanno aderito alla mediazione di cui all'art.12 e, benché non espressamente affermato dalla legge, la producibilità nella causa della relazione dell'esperto di cui all'art. 8 co. 4  (5).
Una corretta verbalizzazione da parte del mediatore delle circostanze che attengono a segmenti del procedimento di mediazione che, in vario modo, rilevano e si riverberano nella causa, si appalesa quindi più che utile, doverosa e necessaria. Ed il giudice svolge a tale fine una fondamentale attività didattica e di raccordo, nella grande varietà di condotte, non sempre approvabili, che emergono dall'esame dei verbali degli organismi di mediazione  (6) .
La natura dell'incontro di mediazione di cui all'art 8 co. quinto della legge (7) .
Sulla base di una interpretazione meramente letterale delle norme (cf. pure il comma 2 bis 8 dell'art.5 della legge) ove le parti, o una di esse, neghino, a domanda del mediatore, che sussista la possibilità di iniziare la procedura di mediazione, si potrebbe ritenere che il procedimento di mediazione sia concluso e la condizione di procedibilità della domanda giudiziale realizzata.
L'erroneità di tale opzione interpretativa è agevolmente dimostrabile.
Sarebbe a dire, in altre parole, che da una parte la legge prescrive che per introdurre (o proseguire) la causa occorre che venga esperito il procedimento di mediazione (che consiste in ciò che è ben descritto nella lettera a. dell'art.1 della legge, nonché negli artt. 8 commi 2-4 ed nell'art.11 della legge) e dall'altra che anche se le parti (ed in particolare il proponente la domanda) dichiarano di non voler effettuare la mediazione (che conseguentemente non si è svolta) … la mediazione si considera svolta e la procedibilità attinta ... . Un perfetto ossimoro. Aderendo a tale accezione si deve postulare che le parti abbiano il diritto potestativo di decidere di non svolgere la mediazione (finanche quando il giudice lo ha ordinato !), ottenendo il medesimo vantaggioso risultato (procedibilità, assenza di sanzioni per la mancata partecipazione) che la mediazione fosse stata esperita davvero. Conclusione questa del tutto azzardata ed irrazionale. Non solo. Immaginare che le parti in mediazione demandata (qual'è quella che ci occupa) possano rapportarsi alle informazioni che il mediatore gli somministra nel corso del "primo incontro" (“il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione”) come davanti ad un quid novi che dischiuda loro, solo in quel momento, la prospettiva della mediazione, è cosa confliggente con la realtà, posto che invero le parti sono state già adeguatamente, abbondantemente e preventivamente informate di che trattasi.
Una prima volta al momento del conferimento del mandato (cfr. art. 4 della legge, norma particolarmente puntigliosa al riguardo; che contiene anche una clausola di salvaguardia dell'informativa mancata, con l'intervento supplettivo del giudice) ed una seconda, all'atto della doverosa informativa dell'avvocato al cliente del contenuto dell'ordinanza di mediazione demandata.
Ed ancora. “Il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l’esperimento del procedimento di mediazione”. A fronte di tale impegno del magistrato, che presuppone lo studio degli atti, la valutazione di opportunità, e l'individuazione del momento migliore per la mediazione, e che si sostanzia infine nella redazione di un provvedimento che può anche contenere - come l'esperienza sempre più spesso attesta- utili spunti di discussione, il non pòssumus delle parti (o di una di esse) si qualifica null'altro che mera ingiustificata renitenza ad un ordine legittimamente dato dal giudice.
Quale che sia stato l'intento (non dei più chiari e lineari) del legislatore, è necessario apprestare per le norme in commento un'interpretazione in linea con la Carta Costituzionale. Va premesso che per molto tempo, nel nostro Paese, il giudizio di costituzionalità delle leggi è stato considerato, sotto ogni aspetto, monopolio e riserva della Corte Costituzionale. Ciò in virtù della originaria (e tuttora immutata) scelta del legislatore Costituente che ha privilegiato la formula del controllo di costituzionalità accentrato su un solo soggetto, creato ad hoc, la Corte Costituzionale. Le ragioni sono state molteplici e non è questa la sede per esporle. Ciò che conta è che nel corso degli anni, il timore che i giudici ordinari non fossero sufficientemente sensibili al controllo di costituzionalità delle leggi è svanito superato dalla prova dei fatti, che hanno dimostrato il contrario.
Ed è proprio in dipendenza della grande attenzione ed interesse della magistratura alla conformità alla Costituzione delle norme di legge, attraverso la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale, che si è da tempo avviato un processo inverso che si può riassumere nella nota espressione della interpretazione costituzionalmente orientata della legge da parte del giudice ordinario. Non si è pervenuti per tale strada, né si potrebbe, ad un controllo di costituzionalità diffuso (per il limite costituito dalla diversa previsione costituzionale) ed il giudice ordinario non espunge le norme dall'ordinamento giuridico come fa la Corte. Tuttavia, con l'avallo della stessa Corte Costituzionale, tale forma di controllo contribuisce ad arricchire l'opera di adeguamento delle norme ordinarie a quelle costituzionali (e, più prosaicamente, a sgravare la Corte da una parte dell'ingente lavoro che la onera).
Detto ciò, resta da ricordare che uno dei riferimenti elaborati dalla Corte (e che il giudice per quanto detto è correlativamente autorizzato ad adoperare) per il vaglio di costituzionalità è quello della ragionevolezza della norma sottoposta a scrutinio. Nel caso in esame, l'interpretazione letterale che è stata supra esposta presta visibilmente il fianco ad una fondata censura di incostituzionalità sotto entrambi i profili che sono stati elaborati, per questo vizio, dalla Corte Costituzionale. Che in un primo tempo aveva correlato la ragionevolezza all'art. 3 della Costituzione, con la conseguente necessità, per accertare l'irragionevolezza della norma, che fosse individuato il c.d. tertium comparationis (che in questo caso esiste ed è evidente, consistendo precisamente nel caso in cui le parti abbiano svolto effettivamente la mediazione consentendo al mediatore di svolgere il suo lavoro). L'interpretazione che si ripudia pone sullo stesso piano e somministra le medesime conseguenze (avveramento della condizione di procedibilità, mancanza di sanzioni per la parte renitente) ad entrambe le (pur diverse e opposte) situazioni. Successivamente, ed allo stato, il parametro della ragionevolezza viene dalla Corte Costituzionale non più rapportato all'art. 3 della Costituzione, quanto individuato nella sostanziale disparità di trattamento tra fattispecie omogenee, allorché la norma presenti una intrinseca incoerenza, contraddittorietà od illogicità rispetto alla complessiva finalità perseguita dal legislatore. Anche in base a tale parametro l'interpretazione letterale non supera lo scrutinio di costituzionalità, essendo di tutta evidenza che solo in presenza di ragioni ostative formali/procedurali (si pensi ad esempio ad un convocato in mediazione caduto vittima di un grave incidente, per il quale è in corso la procedura per la nomina di un amministratore di sostegno) può predicarsi realizzata validamente la impossibilità di iniziare la procedura di mediazione e quindi la ragionevolezza del considerare validamente concluso il procedimento di mediazione (con l'inveramento della condizione di procedibilità e l'assenza di sanzioni).
Tale interpretazione è perfettamente in linea con la logica, il buon senso e la Costituzione. Invero salvaguarda le parti dalla necessità dello svolgimento integrale della mediazione (con i costi relativi) nei casi nei quali ragioni "pregiudiziali" non rendano possibile, nel senso di utilmente svolgibile, l'esperimento conciliativo; viceversa imponendolo, tutte le volte che la discussione possa concentrarsi sul merito e sul contenuto del conflitto, senza che possa fare da usbergo al soggetto renitente l'opinione di aver ragione e quindi di ritenere inutile dialogare con l'altra parte (per quanto all'evidenza viziata dal punto di vista logico, vera e propria aporia, è questa la più diffusa giustificazione che viene offerta da chi non intende aderire e partecipare alla mediazione ) (9) .
In mancanza di qualsiasi dichiarazione, autorizzativamente verbalizzata, della parte, sulla ragione del rifiuto di proseguire nel procedimento di mediazione, tale rifiuto va considerato non giustificato. Le conseguenze di tale rifiuto - ingiustificato- di procedere nella mediazione sono sovrapponibili alla mancanza tout court della (partecipazione alla) mediazione: non della mediazione, in virtù della dichiarazione dell'istante-attrice di voler procedere.
Con quanto ne può conseguire.
Non può infatti essere oggetto di dubbio che il mero incontro informativo (che, per come configurato dalla legge, nulla ha a che vedere con lo specifico merito della controversia insorta fra le parti), non possa giammai, e specialmente nella mediazione demandata, neppure con i più acrobatici sforzi dialettici, essere parificato allo svolgimento dell'esperimento della mediazione. La quale, giova ricordarlo, consiste nell' “attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, anche con formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa” (così testualmente l'art. 1 co.1 lett. A della legge).
Con tali premesse, non si ritiene necessario disporre la consulenza tecnica medica sulla persona dell'attrice (e sugli atti), essendo la causa matura per la decisione.

PQM

A scioglimento della riserva che precede, rimette le parti davanti a sé all’udienza del omissis per le conclusioni e per la discussione ai sensi dell’art. 281 sexies cpc con termine per eventuali note autorizzate fino a dieci giorni prima.
Roma lì 25.1.2016
Il Giudice dott. cons. Massimo Moriconi

(1) E' richiesta l'effettiva partecipazione al procedimento di mediazione demandata, laddove per effettiva si richiede che le parti non si fermino alla sessione informativa ". 2 E il mediatore dovrà fissare a verbale quali siano state le posizioni delle parti al riguardo, anche al fine di consentire al giudice le valutazioni di competenza, relativamente alle condotta delle parti, ai sensi degli artt.5, 8 decr.lgsl. 28/10 e artt. 91 2 e 96 III cpc.

(2) E il mediatore dovrà fissare a verbale quali siano state le posizioni delle parti al riguardo, anche al fine di consentire al giudice le valutazioni di competenza, relativamente alle condotta delle parti, ai sensi degli artt.5, 8 decr.lgsl. 28/10 e artt. 91 2 e 96 III cpc.

(3) Art. 9 decr.lgsl.28/2010 - Chiunque presta la propria opera o il proprio servizio nell’organismo o comunque nell’ambito del procedimento di mediazione è tenuto all’obbligo di riservatezza rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite durante il procedimento medesimo. Rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite nel corso delle sessioni separate e salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni, il mediatore è altresì tenuto alla riservatezza nei confronti delle altre parti. Art.10 decr.lgsl.28/2010 - Le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione non possono essere utilizzate nel giudizio avente il medesimo oggetto anche parziale, iniziato, riassunto o proseguito dopo l’insuccesso della mediazione, salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni. Sulle stesse dichiarazioni e informazioni non è ammessa prova testimoniale e non può essere deferito giuramento decisorio.

(4) Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per giudizio.

(5) Come ritenuto dalla giurisprudenza, sono altresì verbalizzabili le operazioni ed il contenuto sostanziale della consulenza in mediazione (cfr. ordinanza 17.3.2014 Tribunale civile di Roma giudice Moriconi – http://www.quotidianodiritto.ilsole24ore del 18.3.2014) che non si sostanziano in dichiarazioni.

(6) Ad esempio, a testimonianza di una certa diffusa confusione che regna negli organismi, di certo alimentata dalle imprecisioni della legge, non può tacersi che, nel caso in esame, erroneamente nel verbale di mediazione dell'organismo presso il quale è stata svolta la mediazione è scritto, verosimilmente con modulistica idonea a perpetuare l'errore, che il mediatore ha richiesto alle parte ad esprimersi "SULL'INTERESSE" a proseguire nella procedura di mediazione. Si tratta di locuzione inventata dal mediatore (o meglio, verosimilmente, dall'organismo, che pone in uso tali moduli). La legge dice altra cosa, parla infatti di "possibilità" che come insegna la giurisprudenza - in primis quella fiorentina, ordinanza Trib.Firenze Pres.Luciana Breggia 26.11.2014, ed a seguire ex multis Trib. Firenze, sez. specializzata imprese, ord. 17/3/2014 e ord. 18/3/2014, in www.ilcaso.it ; Trib. Roma, ord., 30.06.2014, in www.101mediatori.it ; Trib. Bologna, ord., 5.6.2014 in www.adrmaremma.it; Trib. Rimini, ord. 16 luglio 2014, Trib. di Palermo ord. 16.7.2014 - attiene "a eventuali situazioni preliminari che possano ostacolare l’esperimento di mediazione e non alla volontà delle parti di proseguire" (così testualmente ord. Trib.Firenze 26.11.2014 cit).

(7) Art. 8: Al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato. Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento.

(8) Art. 5, c. 2-bis - Quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo.

(9) E' di tutta evidenza l'illogicità e la pochezza dell'argomento: il presupposto normativo e assiologico dell'istituto mediazione è per l'appunto che vi sia una lite (che mediante l'ausilio del mediatore si tenterà di comporre riannodando il filo del dialogo e della comprensione reciproca delle rispettive ragioni), il che sottoindente necessariamente che la parte è convinta di avere ragione e di non condividere l'opinione e le pretese che giudica infondate, della parte opposta, ché, in caso contrario, non esisterebbe neppure la lite!

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

21 giugno 2016

49/16. ADR e Unioni civili tra persone dello stesso sesso di cui alla l. 76/2016 (Osservatorio Mediazione Civile n. 49/2016)

Estratto da

UNIONI CIVILI tra persone dello stesso sesso:
implicazioni della l. 76/2016 su processo civile e ADR

di Giulio SPINA

in La Nuova Procedura Civile, 4, 2016




…omissis…

3. Con riferimento alla questione del rapporto tra la disciplina dettata dalla L. 76/2016  in commento e gli strumenti di risoluzione delle controversie alternativi al ricorso al giudice vanno segnalate le disposizioni di cui all’art. 1, l. cit., commi 21 e 25 (I). Gli istituti coinvolti, tralasciando di richiamare in questa sede la c.d. mediazione familiare (II), sono la mediazione civile (III) e la negoziazione assistita (IV).


Il contributo integrale è consultabile gratuitamente al seguente link:

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 49/2016
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

48/16. Unioni civili tra persone dello stesso sesso: l. 76/2016, art. 1, commi 1, 2, 21 e 25 (Osservatorio Mediazione Civile n. 48/2016)


LEGGE 20 maggio 2016, n. 76

Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze
(GU n.118 del 21-5-2016 )

Entrata in vigore del provvedimento: 05/06/2016

…omissis…

Art. 1

 1. La presente legge istituisce l'unione civile tra persone dello
stesso sesso quale specifica formazione sociale ai sensi degli
articoli 2 e 3 della Costituzione e reca la disciplina delle
convivenze di fatto.
 2. Due persone maggiorenni dello stesso sesso costituiscono
un'unione civile mediante dichiarazione di fronte all'ufficiale di
stato civile ed alla presenza di due testimoni.

...omissis…

21. Alle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso si
applicano le disposizioni previste dal capo III e dal capo X del
titolo I, dal titolo II e dal capo II e dal capo V-bis del titolo IV
del libro secondo del codice civile.

...omissis…

25. Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 4, 5, primo
comma, e dal quinto all'undicesimo comma, 8, 9, 9-bis, 10, 12-bis,
12-ter, 12-quater, 12-quinquies e 12-sexies della legge 1° dicembre
1970, n. 898, nonche' le disposizioni di cui al Titolo II del libro
quarto del codice di procedura civile ed agli articoli 6 e 12 del
decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con
modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162.

…omissis…

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 48/2016
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

20 giugno 2016

47/16. Piattaforma europea per l’online dispute resolution per i consumatori (Osservatorio Mediazione Civile n. 47/2016)

Si segnala il portale sviluppato dalla Commissione europea per la Risoluzione online delle controversie dei consumatori (I).

Questo il link al portale UE in italiano:

Il servizio per la presentazione del reclamo può essere utilizzato da consumatori e commercianti dell’Unione Europea con riferimento agli acquisti online di beni o servizi.

Per approfondimenti sulle controversie dei consumatori (ADR e ODR) si veda il FOCUSTEMATICO “ADR per i consumatori.
Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 47/2016
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

16 giugno 2016

46/16. Consiglio Nazionale Forense, formazione degli Avvocati - mediatori: tuttora valida la circolare n. 6-C-2014 (Osservatorio Mediazione Civile n. 46/2016)

In data 7 giugno 2016 il Consiglio Nazionale Forense ha affermato, con newsletter n. 305, che sono tuttora valide le indicazioni del CNF (circolare CNF n. 6-C-2014) sulla formazione degli Avvocati mediatori anche alla luce della decisione del Consiglio di Stato n. 5230 del 17.11.2015 (I) (II).

Si propone di seguito la comunicazione integrale del CNF.

Tuttora valide le indicazioni del CNF sulla formazione degli Avvocati mediatori anche alla luce della decisione del Consiglio di Stato n. 5230 (depositata il 17 novembre 2015), nella quale si afferma la legittimità del comma 4-bis dell’art. 16 del d.lgs. nr. 28/2010 e pertanto la necessità per gli avvocati iscritti ad organismi di mediazione di adeguata formazione in materia di mediazione e di mantenere la preparazione con percorsi di aggiornamento a ciò finalizzati.

La specificazione è giunta della commissione interna ADR, coordinata da Diego Geraci, che ha inviato ieri una nota in questo senso ai presidenti dei Consigli degli Ordini, dopo aver ricevuto diverse richieste di chiarimento.

In particolare, il riferimento è alla circolare CNF n. 6-C-2014, che aveva fissato gli standard minimi della formazione dell’Avvocato mediatore, ai fini di garantirne la specifica preparazione anche se iscritto “di diritto” agli elenchi dei mediatori, secondo quanto disposto dalla legge sulla mediazione.
Il Consiglio ha dunque confermato la sua validità  attuale e  la conformità ai principi espressi dal Giudice Amministrativo.



Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 46/2016
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

14 giugno 2016

45/16. Primo incontro: il mediatore deve verbalizzare quale parte dichiari di non voler proseguire nella mediazione. Criterio di competenza territoriale dell’organismo: derogabilità (Osservatorio Mediazione Civile n. 45/2016)

=> Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, 22 febbraio 2016

Disposta la mediazione ex art. 5 comma II d.lgs. 4 marzo 2010 n. 28, il giudice può invitare il mediatore a verbalizzare quale, tra le parti presenti, dichiari di non voler proseguire nella mediazione oltre l’incontro preliminare (I).

Disposta la mediazione ex art. 5, comma 2, d.lgs. 4 marzo 2010 n. 28, la domanda di mediazione va depositata nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia avuto riguardo ai criteri dell’art. 4, comma 1, d.lgs. 28/2010, salva la facoltà delle parti di scegliere concordemente un organismo avente sede in luogo diverso da quello indicato nell’art. 4 cit. (I).


Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 45/2016

Tribunale di Santa Maria Capua Vetere
ordinanza
22 febbraio 2016

Omissis

- letto ed osservato l’art. 5 comma II, d.lgs. 4 marzo 2010 n. 28, secondo il quale l’esperimento del procedimento di mediazione disposto dal Giudice è condizione di procedibilità della domanda giudiziale;
- precisato che le parti dovranno essere presenti dinanzi al mediatore personalmente e munite
di assistenza legale di un avvocato iscritto all’Albo;
- viste le modifiche introdotte dal D.L. 21 giugno 2013 n.69, convertito con modificazioni,
dalla L. 9 agosto 2013 n.98;
- visto il proprio carico di ruolo, il quale consiglia, a seguito dello studio della causa e della
proposta conciliativa effettuata, di demandare alla mediazione delegata la ricerca di una comune volontà delle parti di giungere ad una soluzione concordata;

PQM

Letto ed applicato l’art. 185 bis c.p.c., formula alle parti la seguente proposta conciliativa sulla scorta dei fatti costitutivi portati in giudizio: omissis
Letto ed applicato l’art. 5 comma II d.lgs. 4 marzo 2010 n.28, dispone l’esperimento del procedimento di mediazione avvisando le parti che, per l’effetto, l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale; invita il mediatore a verbalizzare quale, tra le parti presenti, dichiari di non voler proseguire nella mediazione oltre l’incontro preliminare; fissa udienza omissis per verificare l’esito della procedura di mediazione, assegnando alle parti il termine di quindici giorni dalla notifica dell’odierna ordinanza, per la presentazione della domanda di mediazione da depositarsi nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia nel luogo avuto riguardo ai criteri dell’art. 4 I comma del d.lgs. 28/2010, salva la facoltà delle parti di scegliere concordemente un organismo avente sede in luogo diverso da quello indicato nell’art.4 citato.
Si riserva all’esito ogni altra eventuale determinazione intesa al proseguimento della causa.
Si comunichi.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

10 giugno 2016

44/16. La riconvenzionale c.d. inedita soggiace alla mediazione obbligatoria? (Osservatorio Mediazione Civile n. 44/2016)

=> Tribunale di Verona, 12 maggio 2016

La riconvenzionale c.d. inedita (domanda riconvenzionale su questione con riferimento alla quale nella fase di mediazione precedentemente svolta le parti non discussero), è anch’essa soggetta alla disciplina della c.d. mediazione obbligatoria di cui all’art. 5 comma 1-bis d. lgs. 28/2010 (I) (II) (III).

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 44/2016

Tribunale di Verona
ordinanza
12 maggio 2016

Omissis

Rilevato il difetto della condizione di procedibilità della riconvenzionale spiegata dall’istituto di credito e avente ad oggetto la condanna degli attori al pagamento in proprio favore della somma di euro omissis a titolo di saldo di un rapporto di conto corrente;
che a tale conclusione non osta la circostanza che la mediazione si è svolta prima dell’inizio del giudizio su iniziativa degli attori perché, sebbene alla procedura stragiudiziale abbia partecipato validamente ed efficacemente il difensore dell’istituto di credito, dal verbale del procedimento, invero piuttosto sintetico, che è stato dimesso all’odierna udienza risulta che in quella fase le parti non discussero della pretesa oggi svolta dalla banca;
che si è pertanto in presenza di una riconvenzionale c.d. inedita, anch’essa soggetta a mediazione ai sensi dell’art. 5 comma 1 bis d.lgs. 28/2010;
che a favore della sottoposizione anche di tale domanda al tentativo obbligatorio di conciliazione militano le seguenti considerazioni: 1) la Cassazione (Cass. sez. III, 18 gennaio 2006, n.830) ha interpretato una norma analoga, ed anzi identica nella sua prima parte, all’art. 5 comma 1 bis d. lgs. 28/2010, ossia l’art. 46 l. 3 maggio 1982 n. 3, ora art. 11 d. lgs. 150/2011 (norma che esordisce così: “Chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ad una controversia agraria…”), nel senso che l’onere del preventivo esperimento del tentativo di conciliazione sussiste anche nei confronti del convenuto che proponga una riconvenzionale secondo uno dei criteri di collegamento previsti dall’art. 36 c.p.c.; 2) il termine convenuto utilizzato dall’art. 5, comma 1 bis, d. lgs. 28/2010. per indicare il soggetto che eccepisce l’improcedibilità della domanda ben può essere riferito all’attore rispetto alla domanda riconvenzionale; 3) l’esclusione della domanda del convenuto dall’ambito di applicazione dell’art. 5, comma 1 bis provocherebbe un’ingiustificata disparità di trattamento tra attore e convenuto del tutto illegittima;
che alle suddette considerazioni non potrebbe validamente obiettarsi che la norma in esame deve essere interpretata restrittivamente, costituendo una deroga al diritto di azione, atteso che tale argomento presuppone che la norma sia inequivoca nell’escludere dall’obblio di mediazione le domande cumulate mentre, dopo quanto detto sopra, così non è;
che deve parimenti escludersi che lo svolgimento di un secondo procedimento di mediazione dopo l’esito infruttuoso del primo sia inutile e dispendioso poiché esso avviene sulla base di una circostanza sopravvenuta costituita dalla domanda di condanna del soggetto convenuto ed essa è idonea a indurre le parti a riconsiderare la possibilità di una definizione transattiva della controversia.

PQM

Assegna alle parti termine di quindici giorni dalla comunicazione del presente provvedimento per depositare l’istanza di mediazione e rinvia la causa all’udienza del omissis.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

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