DIRITTO D'AUTORE


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31 marzo 2019

17/19. Mancata partecipazione alla mediazione, condanna per responsabilità aggravata: criteri per calcolarne l’ammontare (Osservatorio Mediazione Civile n. 17/2019)

=> Tribunale di Roma, 27 settembre 2018

In tema di mancato esperimento della mediazione demandata (art. 5 comma 2 d.lgs. 28/2010), con riferimento alla condanna per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., comma 3, l’ammontare della somma deve essere rapportato:
- allo stato soggettivo del responsabile (valutato anche il chiaro contenuto dell’ordinanza con cui il giudice ha inviato le parti in mediazione e la volontaria scelta di renitenza nei confronti dell’invito del giudice di cercare di trovare un accordo);
- alla qualifica ed alle caratteristiche del responsabile, persona fisica o giuridica che sia, ed alla sua maggiore o minore capacità anche in termini organizzativi, di preparazione professionale, culturale, tecnica, di assumere condotte consapevoli (si tratta di un parametro che riguarda la scusabilità, ove esistente, in misura maggiore o minore, della condotta censurata);
- alla necessità che, in relazione alle caratteristiche del soggetto responsabile, costituisca un efficace deterrente ed una sanzione significativa ed avvertibile (I).


Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 17/2019

Tribunale di Roma
Sentenza
sezione tredicesima
27 settembre 2018

Omissis

Il fatto e la responsabilità esclusiva, della causazione  del sinistro della Volkswagen Golf condotta da omissis e di proprietà omissis (assicurata spa omissis) sono indiscutibili. Omissis. La frenata c’è stata e la caduta è stata causata da tale frenata improvvisa che a sua volta è stata determinata dalla scriteriata condotta di guida della irresponsabile conducente della Golf.
omissis
Con ordinanza del 4.5.2017 il giudice disponeva un percorso di  mediazione demandata.
Nel provvedimento il giudice  evidenziava fra l’altro che ai sensi e per l’effetto del secondo comma dell’art.5 decr.lgsl.28/10 come modificato dal D.L.69/’13 è richiesta l’effettiva partecipazione al procedimento di mediazione demandata, laddove per effettiva si richiede che le parti non si fermino alla sessione informativa e che oltre agli avvocati difensori siano presenti le parti personalmente; e che la mancata partecipazione (ovvero l’irrituale partecipazione) senza giustificato motivo al procedimento di mediazione demandata dal giudice oltre a poter attingere alla stessa procedibilità della domanda, è in ogni caso comportamento valutabile  nel merito della causa. Nonché ai sensi dell’art. 96 III° cpc.
Nonostante queste premesse, la spa omissis non riteneva di partecipare al procedimento di mediazione pur ritualmente convocata come attestato dal verbale negativo redatto dal mediatore dell’organismo attinto dalla domanda degli attori.
omissis L’importo del risarcimento, previa devalutazione, rivalutazione e interessi legali, ammonta ad €.10.700,00 Le somme riconosciute sono la risultanza della rivalutazione alla data della decisione (secondo le tabelle aggiornate): ed invero solo attraverso il meccanismo della rivalutazione monetaria è possibile rendere effettivo il principio secondo cui il patrimonio del creditore danneggiato deve essere ricostituito per intero (quanto meno per equivalente); essendo evidente che, pur nell’ambito del vigente principio nominalistico, altro è un determinato importo di denaro disponibile oggi ed altro è il medesimo importo disponibile in un tempo  passato). Omissis In definitiva all’attrice spetta complessivamente la somma (ulteriore) di 10.700,00 = oltre interessi legali fino al saldo al cui pagamento i convenuti (esclusa omissis) vanno in solido condannati.
Le spese (che vengono regolate secondo le previsioni – orientative per il giudice che tiene conto di ogni utile circostanza per adeguare nel modo migliore la liquidazione al caso concreto-  della l. 24.3.2012 n.27 e del D.M. Ministero Giustizia 22.7.2012 n.140) vengono liquidate e distratte (a richiesta) come in dispositivo. omissis

L’art. 96 dispone che:
I° se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche di ufficio, nella sentenza.
II° Il giudice che accerta l’inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziaria, o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l’esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l’attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma del comma precedente.
E per quel che qui interessa: III° In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata
La norma del terzo comma introdotta dalla l.18.6.2009 n.69 ed entrata in vigore dal 4.7.2009 ha cambiato completamente il quadro previgente con alcune importanti novità: in primo luogo non è più necessario allegare e dimostrare l’esistenza di un danno che abbia tutti i connotati giuridici per essere ammesso a risarcimento essendo semplicemente previsto che il giudice condanna la parte soccombente al pagamento di un somma di denaro; non si tratta di un risarcimento ma di un indennizzo (se si pensa alla parte a cui favore viene concesso) e di una punizione (per aver appesantito inutilmente il corso della Giustizia, se si ha riguardo allo Stato), di cui viene gravata la parte che ha agito con imprudenza, colpa o dolo; l’ammontare della somma è lasciata alla discrezionalità del giudice che ha come unico parametro di legge l’equità per il che non si potrà che avere riguardo, da parte del giudice, a tutte le circostanze del caso per determinare in modo adeguato la somma attribuita alla parte vittoriosa; a differenza delle ipotesi classiche (primo e secondo comma) il giudice provvede ad applicare quella che si presenta né più né meno che come una sanzione d’ufficio a carico della parte soccombente e non (necessariamente) su richiesta di parte; infine, la possibilità di attivazione della norma non è necessariamente correlata alla sussistenza delle fattispecie del primo e secondo comma.
Come rivela in modo inequivoco la locuzione in ogni caso la condanna di cui al terzo comma può essere emessa sia nelle situazioni di cui ai primi due commi dell’art. 96 e sia in ogni altro caso. E quindi in tutti i casi in cui tale condanna, anche al di fuori dei primi due commi, appaia ragionevole.
Benché non sia richiesto espressamente dalla norma, si ritiene dalla giurisprudenza necessario anche il requisito della gravità della colpa.
Nel caso di specie è indubbia la sussistenza della gravità della colpa (se non del dolo, inteso come volontaria e consapevole volontà  di disattendere l’ordine del Giudice) dell’omissis che non ha aderito alla convocazione in mediazione.
La giurisprudenza richiede la sussistenza del dolo o della colpa grave poiché non è ragionevole che possa essere sanzionata la semplice soccombenza, che è un fatto fisiologico alla contesa giudiziale, ed è necessario che esista qualcosa di più rispetto ad essa, esattamente come nel caso di specie. La sussistenza di tali elementi soggettivi può essere riscontrata ricavandola da qualsiasi indicatore sintomatico.
Nel caso in esame, in presenza di chiare circostanze che imponevano a tutta evidenza di dismettere una posizione processuale di ostinata pregiudiziale e pervicace resistenza, la condotta della spa omissis che ha scelto deliberatamente quanto ingiustificatamente di non aderire alla mediazione demandata dal giudice, integra certamente colpa grave se non dolo.
Che il mancato rispetto dell’ordine impartito dal Giudice ai sensi dell’art. 5 co. II della legge integri colpa grave (se non dolo) è indiscutibile, ampiamente motivato, dimostrato e confermato dalla giurisprudenza, che si richiama, anche ai sensi dell’art.118 att. c.p.c.
L’ammontare della somma deve essere rapportato:
- allo stato soggettivo del responsabile. In questo caso, a fronte del chiaro contenuto dell’ordinanza del 5.2017 vi è stata la volontaria scelta di renitenza da parte della spa omissis che, disattendendo il motivato e ragionevole invito del giudice di cercare di trovare un conveniente accordo, ha preferito portare la causa alle estreme conseguenze, aggravando inutilmente il lavoro del giudice, piuttosto che ragionare e discutere responsabilmente in sede conciliativa;
- alla qualifica ed alle caratteristiche del responsabile, persona fisica o giuridica che sia, ed alla sua maggiore o minore capacità anche in termini organizzativi, di preparazione professionale, culturale, tecnica, di assumere condotte consapevoli (si tratta di un parametro che riguarda la scusabilità, ove esistente, in misura maggiore o minore, della condotta censurata). In questo caso la condotta dell’omissis, soggetto strutturato e organizzato,  è grave  e non  scusabile
- alla necessità che in relazione alle caratteristiche del soggetto responsabile, costituisca un  efficace deterrente ed una sanzione significativa ed avvertibile. In questo caso si tratta di una società per azioni di notoria elevata capacità finanziaria e patrimoniale
Si ritiene, nel quantum, di liquidare una somma  pari a quella per la quale vi è condanna alle spese a favore dell’attrice: ed invero le conseguenze delle ingiustificata renitenza e l’applicabilità dell’art. 96 cpc sono da tempo ubiqualmente note, quali espresse da giurisprudenza (che si intende qui richiamata, anche ai sensi dell’art.118 att. c.p.c.), edita su ogni sorta di rivista cartacea ed on line, e conseguentemente, considerato pure l’espresso motivato avvertimento contenuto nell’ordinanza del 12.5.2017, non sussiste neppure la ipotetica giustificabilità della non conoscenza delle conseguenze della condotta di cui trattasi, vale a dire del rifiuto del percorso di mediazione  impartito dal Giudice.
La sentenza è per legge esecutiva.

PQM

Definitivamente pronunziando, ogni contraria domanda eccezione e deduzione respinta, così provvede: condanna s.p.a. omissis in persona del legale rappresentante pro tempore in solido con omissis al risarcimento dei danni che liquida in favore di omissis nella complessiva somma di 10.700,00= oltre agli interessi legali dalla data della sentenza al saldo; condanna s.p.a. omissis in solido con omissis al pagamento delle spese di causa che liquida in favore omissis per compensi in complessivi €. 5.000,00 oltre IVA, CAP e spese generali; oltre alle spese della consulenza di ufficio; condanna ai sensi dell’art. 96 co. III c.p.c. s.p.a. omissis al pagamento della somma di €. 5.000,00 a favore di omissis; condanna ex art. 8 co.4 bis decr. lgsl. 28/10, spa omissis al pagamento in favore dell’Erario di una somma pari al contributo unificato dovuto per il giudizio.

Sentenza esecutiva
Roma lì 27.9.2010
Il Giudice dott. cons. Massimo Moriconi

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità. 

25 marzo 2019

16/19. Mediazione obbligatoria e processo esecutivo (Osservatorio Mediazione Civile n. 16/2019)

=> Tribunale di Vicenza, 10 ottobre 2018

Vero che il dettato legislativo non fa espressa menzione dell’esecuzione forzata (l’art. 5 comma 4 d.lgs. 28/2010 fa riferimento ai soli "procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata") ma tale - apparente - omissione può ben giustificarsi alla luce della definizione di "mediazione" fornita dalla stessa legge, quale "attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia" (art. 1). Nel caso delle procedure esecutive, in quanto volte all’attuazione coattiva di un diritto già accertato nel titolo, manca lo stesso elemento della "controversia" - che può invece riemergere negli eventuali giudizi di cognizione che sull’esecuzione si innestino. L’inapplicabilità della mediazione alla procedura esecutiva deriva, in sostanza, dalla inscindibile connessione - logica prima che giuridica - tra un’attività di bilanciamento di opposti interessi (operata dal mediatore) e una controversia in atto, laddove invece nessun bilanciamento appare realizzabile né ipotizzabile in presenza di un titolo che accerti una pretesa e ne consenta il soddisfacimento coattivo (I).


Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 16/2019

Tribunale di Vicenza
Sentenza
sezione prima
10 ottobre 2018

Omissis

X propone opposizione all'esecuzione immobiliare introdotta da Banca Y, in base a contratto di mutuo fondiario, stipulato in data 13.07.2010 per la somma omissis. Nel proprio atto di citazione, meramente riproduttivo dei contenuti dell'opposizione svolta davanti al G.E., delle memorie depositate in tale fase e del successivo reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c., l’odierna attrice valorizza: l’inidoneità del contratto di mutuo a costituire titolo esecutivo, per non essersi lo stesso mai perfezionato, in mancanza di consegna della somma a X e in ogni caso per essere lo stesso contratto condizionato; il mancato esperimento della procedura di conciliazione di cui all’art 5 d.lgs. d.lgs. 28/2010 prevista quale condizione di procedibilità per le azioni relative a contratti bancari, da intendersi riferita anche alle procedure esecutive; la natura usuraria del contratto, per superamento del tasso soglia (pari a 3, 84% ratione temporis), considerando ricomprese nel tasso di interesse applicato anche ulteriori voci contrattuali (spese assicurative, spese notarili, spese per la custodia titoli, spese occulte, penale per estinzione anticipata, interessi di mora); in ogni caso, l'applicabilità del Tasso Bot quale sanzione prevista dall’art. 124 T.U.B. vigente al momento della conclusione del contrato, per il caso di omessa specificazione delle varie voci che compongono il tasso effettivo applicato al contratto. Nella propria memoria ex art. 183 comma comma 6 n. 2 l’attrice ha chiesto disporsi CTU bancaria per valutare la corrispondenza tra ISC dichiarato e ISC effettivamente praticato, l'eventuale natura usuraria del contratto di mutuo, nonché per il ricalcolo del saldo dovuto.
L'istanza è stata rigettata dal giudice con ordinanza del 04.06.2018.
Il convenuto Banca Y ha contestato gli avversi motivi di opposizione. Ha negato l’inidoneità del mutuo a costituire titolo esecutivo, dovendosi ritenere perfezionata la fattispecie reale con la messa a disposizione della somma mutuata. Le condizioni apposte al contratto di mutuo, inoltre, non sarebbero tali da paralizzare l'efficacia esecutiva. Quanto alla procedura di conciliazione, la stessa è da ritenersi inapplicabile alle procedure esecutive. Con riguardo, infine, all’usurarietà del mutuo, la Banca ha sostenuto la piena compatibilità del contratto alla normativa anti-usura. Infatti, spese assicurative conteggiate sarebbero in gran parte relative ad una polizza che nulla ha a che vedere con il contratto di mutuo; le "spese occulte"menzionate sarebbero insussistenti, in quanto conformi al contratto o - quanto alle spese d’incasso - originate dall’inadempimento della stessa attrice alla restituzione dell’importo. Si nega, infine, la legittimità della sommatoria tra interessi corrispettivi e interessi moratori, ai fini della determinazione del tasso soglia, non potendo i secondi computarsi - per la loro differente natura e ratio. Ancora, le spese di "custodia titoli" non sarebbero da classificare quali spese ulteriori applicate dalla banca, ma deriverebbero da una libera operazione di investimento messa in atto dall’attrice. Non sussisterebbe, per i motivi esposti, alcuna erronea indicazione dell'ISC. Il convenuto ha inoltre eccepito l'inammissibilità delle domande di rideterminazione della somma dovuta nonché di accertamento dell'illegittima risoluzione contrattuale, in quanto non formulate nella prima fase della presente opposizione davanti al G. e contestato l'ampliamento del thema decidendum al conto corrente n. 8014547, preesistente al contratto (oggetto della CTU richiesta da X).

Considerato in diritto

Sulla richiesta di CTU formulata dall’attrice e riproposta in sede di conclusioni, lo scrivente non ritiene di discostarsi da quanto deciso dal Tribunale con ordinanza del 04.06.2018. La CTU risulta sicuramente inammissibile nelle parte in cui esorbita dall’oggetto del presente giudizio, facendo riferimento alle condizioni economiche del conto corrente omissi o al rating del titolo sottoscritto dall’attore. Nella sua interezza, in ogni caso, la stessa appare di carattere meramente esplorativo, demandando al consulente un generale accertamento di eventuali spese e condizioni applicate e non pattuite dalle parti.
Quanto alle voci puntualmente determinate, che secondo la prospettazione attorea determinerebbero il superamento del tasso soglia, ciò che viene in rilievo è unicamente la questione - meramente giuridica e, pertanto, non demandabile ad una consulenza tecnica - della loro inerenza o meno all’ISC e quindi della loro rilevanza ai fini del superamento del tasso soglia.
Inammissibile appare la domanda di accertamento dell’illegittima risoluzione del contratto, formulata da X per la prima volta con l’atto di citazione e pertanto costituente un novum che non può essere in questa sede esaminato, laddove - correttamente - si valorizzi la continuità tra il presente giudizio e la fase svoltasi di fronte al G.E. Non costituisce novum, invece, la domanda relativa all’eventuale accertamento della minor somma dovuta, da considerarsi ricompresa (per la sua minore portata e l’identità di causa petendi) in quella volta all’integrale rigetto delle pretese della banca.
Nel merito, il contratto di mutuo fondiario (prodotto sub doc. 1 allegato all’atto di costituzione del convenuto) è sicuramente idoneo a costituire titolo esecutivo ai sensi dell’art. 474 c.p.c. e, pertanto, a fondare la procedura esecutiva. In primo luogo, la natura meramente "contabile" della messa a disposizione della somma presa a mutuo, tramite accredito su conto corrente (dato incontestato e comunque emergente dall’estratto conto prodotto da parte attrice sub doc. 15), derivandone comunque l’effetto di attribuire la piena disponibilità giuridica sulla stessa in capo al mutuatario, è pienamente idonea a soddisfare il carattere "reale" dell’operazione negoziale di cui all’art. 1813 c.c. e quindi a determinarne il perfezionamento (Cass Sez. I, 21.02.2001, 2483). Non possono, inoltre, ritenersi ostative all’efficacia esecutiva del titolo, le condizioni apposte (conformi alle prassi del settore), che attengono alla sola "utilizzabilità" della somma (e non alla sua erogazione, di cui si dà atto a pag. 3 del contratto) e di cui non è contestata la verificazione.
Manifestamente infondata è altresì l’eccezione relativa al mancato esperimento della procedura di conciliazione quale condizione di procedibilità applicabile anche alle procedure esecutive. Vero che il dettato legislativo non fa espressa menzione dell’esecuzione forzata (l’art. 5 comma 4 d.lgs. 28/2010 fa riferimento ai soli "procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata") ma tale - apparente - omissione può ben giustificarsi alla luce della definizione di "mediazione" fornita dalla stessa legge, quale "attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia" (art. 1) Nel caso delle procedure esecutive, in quanto volte all’attuazione coattiva di un diritto già accertato nel titolo, manca lo stesso elemento della "controversia"- che può invece riemergere nelle eventuali giudizi di cognizione che sull’esecuzione si innestino. L’inapplicabilità della mediazione alla procedura esecutiva deriva, in sostanza, dalla inscindibile connessione - logica prima che giuridica - tra un’attività di bilanciamento di opposti interessi (operata dal mediatore) e una controversia in atto, laddove invece nessun bilanciamento appare realizzabile né ipotizzabile in presenza di un titolo che accerti una pretesa e ne consenta il soddisfacimento coattivo.
Passando al terzo ordine di contestazioni operate dall’attrice e relative all’usurarietà del mutuo si rileva che, dei vari importi allegati e asseritamente non conteggiati ai fini del calcolo del tasso effettivo rispetto a quello dichiarato in atto (3, 570 %) e al superamento del tasso soglia vigente ratione temporis (3, 840 %), assumono rilevanza unicamente quelli di cui agli interessi usurari, alla polizza assicurativa "Chartis" (prodotta sub doc. 12 attore) e al deposito titoli. Con riguardo alle altre voci (spese notarili, spese di incasso, spese di cui alla polizza omissis), parte opponente non ha adeguatamente replicato alle contestazioni del convenuto che affermano essere le stesse già conteggiate ai fini del calcolo del tasso effettivo, o comunque originate dal comportamento inadempiente dello stesso attore. In ogni caso, si rileva che le stesse, per la loro entità, non sarebbero idonee a determinare lo sforamento del tasso soglia anche qualora cumulate tra loro (si veda tabella pag. 35 dell’atto di citazione).
Passando, quindi, all’analisi delle singole voci rilevanti, si evidenzia che del tutto impropria è l’operazione di aritmetica sommatoria tra il tasso degli interessi corrispettivi e il tasso di interesse moratori (si veda, sul punto, la recente Cass. Ord. 04.10.2017, n. 23192), attenendo i primi alla fase fisiologica del rapporto, i secondi alla (eventuale) deriva patologica del medesimo. Si tratta, quindi, di tassi dovuti in via alternativa, la cui sommatoria dà origine ad una entità "ibrida" del tutto estranea alle pattuizioni delle parti e all’assetto di interessi dalle stesse determinato.
Quanto alla polizza assicurativa omissis, l’attore non ha puntualmente replicato alle allegazioni del convenuto. Valorizzando le circostanze evidenziate dalla banca e cioè l’anteriorità della polizza (risalente al 17.02.2009) rispetto al mutuo, il diverso soggetto contraente (pur essendo poi la stessa volturata all’attrice), la terzietà della controparte contrattuale, deve concludersi per l’estraneità della stessa al contratto di mutuo fondiario e, quindi, per la non computabilità delle relative spese ai fini del calcolo del tasso. L’affermazione di cui alla memoria 183 n. 2 per cui le polizze "sono riconducibili alla banca quale intermediario" appare del tutto indimostrata.
Quanto alle spese sostenute per "deposito titoli", ugualmente l’attrice non ha replicato alle affermazioni del convenuto, che evidenzia essersi trattato di una libera operazione di investimento, posta in essere (come risulta dall’estratto conto sub. 15 allegato alla citazione) oltre un mese dopo l’erogazione del mutuo, in data 02.09.2017. La circostanza per cui si sarebbe trattato di un "trattenimento" della banca, non rispondente alla volontà dell’attrice (si veda pag. 14 dell’atto di citazione) appare del tutto indimostrata.  Da quanto sopra esposto con riferimento alle singole voci, deriva che ugualmente sfornita di prova appare la contestazione circa l’errata indicazione dell’ISC e la conseguente applicazione del tasso Bot prescritta dall’art. 124 TUB. Per quanto esposto, deve integralmente rigettarsi l’opposizione proposta.
Le spese si liquidano a favore del convenuto banca Y, determinate ai medi dello scaglione di riferimento (52.000 - 260.000) secondo il D.M. 55/2014.

PQM

Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda di X nei confronti di Banca Y, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: rigetta l’opposizione; condanna X alla rifusione delle spese di lite in favore di Banca Y, che si liquidano in 13.430, 00, oltre accessori di legge.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità. 

21 marzo 2019

15/19. Procedibilità della domanda: basta il deposito dell’istanza di mediazione? (Osservatorio Mediazione Civile n. 15/2019)

=> Tribunale di Savona, 19 ottobre 2018

Diversamente da quanto affermato dalla giurisprudenza maggioritaria, deve ritenersi che l’unico adempimento richiesto dal d.lgs. 28/2010 ai fini della procedibilità della domanda è il deposito della domanda di mediazione presso l’organismo deputato; non è invece necessario dar vita ad un tentativo di conciliazione effettivo (I) (II).


Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 15/2019

Tribunale di Savona
Sentenza
19 ottobre 2018

Omissis

omissis sono comproprietari dell’appartamento int. 7 sito nel condominio omissis. Gli attori hanno impugnato alcuni punti della delibera assembleare del 22 aprile 2017, chiedendone l’annullamento. Gli attori hanno notificato la citazione, ma non hanno iscritto a ruolo la causa, salvo poi riassumerla in un secondo momento. Il condominio si è costituito in giudizio, contestando le argomentazioni di parte attrice e chiedendo il rigetto dell’impugnazione. Con provvedimento del 4 maggio del 2018, il Giudice, su eccezione di parte convenuta, rilevato che la materia oggetto di causa ricadeva tra quelle soggette alla mediazione obbligatoria, ha fissato termine di 15 gg. per adire l’organismo di mediazione.
Per quanto nessuna delle parti abbia prodotto il relativo verbale, è pacifico che parte attrice ha proposto la relativa istanza all’organismo di mediazione nei termini di legge, ma non ha, poi, presenziato al primo incontro fissato dal mediatore, cui, invece, era presente parte convenuta.
Quest’ultima ha eccepito l’improcedibilità della domanda.

L’improcedibilità del giudizio.
L’obbligatorietà della mediazione in materia condominiale è prevista dall’art. 5 del Dlgs 28/10 e dall’art. 71 quater disp. att. c.c.
Al riguardo, l’art. 5, co. 1-bis prevede: “Chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa a una controversia in materia di condominio … è tenuto, assistito dall'avvocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto… L'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale”.
Si pone il problema di identificare qual è l’adempimento richiesto perché il procedimento di mediazione possa dirsi esperito.
Sul punto, il co. 2 bis del medesimo art. 5 precisa che “Quando l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l'accordo”.
La giurisprudenza maggioritaria (si vedano, tra gli altri, Corte d'Appello di Milano, sentenza 10 maggio 2017 in Leggi d’Italia; Corte d'Appello di Ancona, sentenza 23 maggio 2018 in www.mondoadr.it; Tribunale di Pavia, sez. III, sentenza 20 gennaio 2017 e Trib. di Roma, Ord., 26 ottobre 2015, n. 100801 in Leggi d’Italia; Trib. Vasto, 9 marzo 2015, in Giur. it., 2015, 1885; Trib. Firenze, 26 novembre 2014, in Riv. dir. proc., 2015, 558; Trib. Firenze, 19 marzo 2014, in Plurisonline - Giurisprudenza di merito) ha sostenuto che, perché la mediazione possa dirsi esperita, è necessario dar vita ad un tentativo di conciliazione effettivo.
Ciò presuppone, in primis, la presenza fisica delle parti al primo incontro fissato dal mediatore. Qualora ciò non avvenga, la domanda dovrà essere dichiarata improcedibile.
Sul piano letterale, si dice, il co. 2 bis dell’art. 5 del Dlgs 28/10 richiede, perché la condizione di procedibilità possa dirsi avverata, che “il primo incontro” si concluda “senza accordo”.
Tale incontro è disciplinato dall’art. 8 che prevede, tra l’altro, che ad esso “le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato”.
La condizione di procedibilità, quindi, può dirsi realizzata solo quando le parti (a ciò giuridicamente tenute) si sono materialmente incontrate davanti ad un mediatore.
Sul piano teleologico, invece, si richiama la ratio dell’istituto: se bastasse, la sola presentazione della domanda all’organismo di mediazione e non fosse necessaria la presenza delle parti medesime, la mediazione non potrebbe mai realizzare il suo fine, che consiste nel creare le condizioni perché si riattivi la comunicazione tra i litiganti, al fine di renderli in grado di verificare la possibilità di una soluzione concordata del conflitto. In sostanza, basterebbe adempiere solo formalmente all’obbligo della mediazione, presentando la domanda ma senza usufruire in concreto delle potenzialità dell’istituto, per svuotarlo completamente di ogni significato.
Ecco allora che il legislatore, per evitare che ciò si verifichi, ha fatto ricorso ad un incentivo forte: l’improcedibilità della domanda.
Tuttavia, tale conclusione non convince, in quanto sembra fondarsi più su argomenti de jure condendo che non su argomenti de jure condito.
La tesi criticata non considera che ogni ostacolo frapposto alla piena esplicazione del diritto all’azione tutelato dalla Costituzione deve considerarsi eccezionale.
Con riferimento ad ipotesi di giurisdizione condizionata, qual è quella in esame, la giurisprudenza ha affermato il “principio, espresso anche dalla giurisprudenza di legittimità, secondo il quale le disposizioni che prevedono condizioni di procedibilità, costituendo deroga alla disciplina generale, devono essere interpretate in senso non estensivo” (Corte Cost. 403/07; Cass. 967/04) e, anzi, “devono essere interpretate in senso restrittivo” (Cass. 26560/2014), “dovendo limitarsene l'operatività ai soli casi nei quali il rigore estremo è davvero giustificato” (Cass. 6130/2011).
La Cassazione ha, poi, precisato che “l’improcedibilità, quale conseguenza sanzionatoria di un comportamento procedurale omissivo, derivante dal mancato compimento di un atto espressamente configurato come necessario nella sequenza procedimentale “dev'essere espressamente prevista, non potendo procedersi ad applicazione analogica in materia sanzionatoria, attese le gravi conseguenze del rilievo dell'improcedibilità”, ragion per cui
l’improcedibilità non può operare in difetto di espressa previsione legislativa (Cass. 20975/17) che, nel caso di specie, manca.
Infatti, l’ipotesi di mancata partecipazione delle parti al procedimento di mediazione è disciplinata da una norma specifica: l’art. 8, co. 4 bis, Dlgs 28/10 che prevede, come conseguenza dell’assenza delle parti, l’applicazione di una sanzione pecuniaria e la rilevanza di tale comportamento ex art. 116 c.p.c.
Nulla viene detto, invece, in ordine all’improcedibilità dell’azione. O meglio: qualcosa, sul punto, implicitamente la norma dice. Si prevede, infatti, che la mancata partecipazione al procedimento di mediazione è valutabile ex art. 116 c.p.c. Questo significa che, se la parte non partecipa alla mediazione, il processo andrà avanti e dovrà concludersi con una pronuncia di merito, nell’ambito del quale l’assenza dell’attore o del convenuto sarà valutabile come argomento di prova contro l’assente.
Non è neppure sostenibile che le sanzioni di cui all’art. 8 si cumulino con quella dell’improcedibilità.
Infatti, la norma non distingue a seconda che sia assente l’attore o il convenuto.
Questo significa che la sola assenza del convenuto (e, quindi, il mancato incontro di cui agli artt. 5, co. 2 bis ed 8) dovrebbe comportare il mancato realizzarsi della condizione di procedibilità.
Ma è impensabile che il convenuto possa, con la propria colpevole o volontaria inerzia, addirittura beneficiare delle conseguenze favorevoli di una declaratoria di improcedibilità della domanda, che paralizzerebbe la disamina nel merito delle pretese avanzate contro di sé o possa, comunque, rallentare l’andamento del processo per almeno 3 mesi.
Né può ritenersi che solo l’attore dovrebbe presenziare all’incontro di mediazione.
Tale soluzione non è sostenibile, in primo luogo, in quanto nessuna norma distingue la posizione dell’attore da quella del convenuto ai fini della mediazione, per cui sarebbe arbitrario ritenere sussistere un obbligo solo per tale parte. L’art. 8, co. 1, è chiaro nell’affermare che entrambe le parti “devono partecipare” al primo incontro, per cui non c’è alcuna ragione per sanzionare l’inosservanza dell’una o dell’altra in modo diverso. Una soluzione diversa determinerebbe, infatti, una disparità di trattamento tra la parte che ha interesse alla realizzazione della condizione di procedibilità e le sue controparti, perché sola la prima è esposta alla grave sanzione processuale ipotizzata (sul punto, Trib. Verona Ord. 11 maggio 2017, n. 1626 in www.altalex.com).
In secondo luogo, non solo non c’è alcun dato normativo a differenziare la disciplina dell’assenza dell’attore da quella del convenuto, ma non c’è neppure alcuna valida ragione perché ciò avvenga. L’attore ed il convenuto, di fronte al mediatore, perdono il loro ruolo processuale: non c’è più un soggetto che si afferma titolare di un diritto ed un convenuto indicato come gravato, invece, da un corrispondente dovere, come nel processo. Con la mediazione “scompaiono” i diritti e fanno ingresso gli interessi, originariamente confliggenti e che, per effetto della mediazione, sono destinati a divenire convergenti: entrambi i contendenti devono impegnarsi a porre fine ad una controversia tra loro esistente, collaborando, a tal fine, in modo soddisfacente e sfruttando le opportunità offerte dalla mediazione, evitando i costi economici ed umani del giudizio.
Neppure può sostenersi che l’improcedibilità è prevista dall’art. 5 del Dlgs 28/10 laddove precisa che la condizione di procedibilità è avverata quando il primo incontro si conclude senza accordo.
Infatti, il legislatore ha semplicemente descritto quello che il legislatore ha pensato poter essere lo sviluppo della procedura. Ciò che interessa al legislatore, perché si realizzi la condizione di procedibilità è che, nel primo incontro, le parti si esprimano sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione, come si evince dall’art. 8 che prevede che, nel corso di tale incontro, “il mediatore invita poi le parti ed i loro avvocati ad esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione”. Accertata tale impossibilità, il processo deve andare avanti. Con l’assenza, la parte ed il suo avvocato danno una risposta chiara alla possibile prosecuzione del procedimento: la mancata partecipazione è espressione inconfutabile di mancanza di volontà di iniziare la mediazione.
Del resto, se l'ordinamento riconosce il diritto a non partecipare al processo restando contumace, senza che ciò abbia alcuna diretta conseguenza sul piano processuale, in modo analogo deve essere riconosciuto il diritto a non aderire al procedimento di mediazione, in un sistema, quale il nostro, retto dal principio dispositivo e dal diritto costituzionale all'azione in giudizio. Ciò è tanto più vero ove si consideri la contraddittorietà intrinseca nel voler costringere le parti alla mediazione ed alla conciliazione.
Non è, poi, vero quanto sostenuto dall’orientamento qui criticato, secondo cui, se l’assenza della parte non comportasse la sanzione dell’improcedibilità e fosse sufficiente solo la presentazione della domanda alla mediazione, l’istituto sarebbe svuotato di ogni sua utilità. A parte il fatto che, comunque, la presenza fisica della parte non garantisce un impegno effettivo a conciliare la lite, comunque, si osserva che il Dlgs 28/10 istituisce una gerarchia fra le varie fattispecie sanzionatorie, al cui vertice si pone l'improcedibilità dell'azione, da dichiararsi unicamente nei casi più gravi; in posizione mediana, si pongono la condanna pecuniaria ed il potere giudiziale di desumere argomenti di prova di cui all’art. 8; infine, nel caso in cui le parti abbiano partecipato alla mediazione, senza, però, sfruttare immotivatamente l’occasione offerta di una conciliazione, la conseguenza sanzionatoria è la condanna alle spese legali ex art. 13. Da tale quadro emerge che la pacifica affermazione secondo cui le parti hanno l’obbligo di presenziare all’incontro di mediazione non comporta automaticamente che l’inosservanza sia punita con l’improcedibilità.
Infatti, il legislatore ha, comunque, previsto uno stimolo per le parti a presenziare all’incontro di mediazione: l’assenza viene punita con una pena pecuniaria (il pagamento di un importo pari al contributo unificato) e con una pena processuale (applicazione dell’art. 116 c.p.c.), secondo quanto previsto dall’art. 8.
Qualora tali rimedi si rivelino non adeguati, sarà compito del legislatore porvi rimedio.
A questo, deve aggiungersi che l’art. 6 prevede che il procedimento di mediazione non possa avere una durata superiore a 3 mesi. Trascorso tale lasso di tempo, quindi, il processo può proseguire verso la definizione nel merito; in questo caso, quindi, la condizione di procedibilità può dirsi realizzata, pur in assenza dell’incontro di cui all’art. 8 del Dlgs 28/10 che, in ipotesi, potrebbe non intervenire prima della sentenza conclusiva.
Ciò che, invece, non manca mai, perché il processo possa proseguire, è la proposizione della domanda ex art. 4.
A ciò va aggiunto che tale conclusione trova supporto anche da un confronto tra l’istituto in esame e l’altro istituto “fratello”: la convenzione assistita. L'art. 3 del Dlgs 132/14, disciplinando l'invito obbligatorio alla stipula di una "convenzione di negoziazione assistita" dagli avvocati, fra le parti di una controversia rientrante nel novero di quelle assoggettate a tale (nuova) ipotesi di improcedibilità della domanda giudiziale, stabilisce, al comma 2°, che "Quando l'esperimento del procedimento di negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se l'invito non è seguito da adesione, è seguito da rifiuto entro trenta giorni dalla sua ricezione, ovvero quando è decorso il periodo di tempo di cui all'articolo 2, comma 2, lettera a)": eventi, tutti, innegabilmente riconducibili – espressamente o implicitamente (nel caso di mancata adesione o di infruttuoso decorso del termine) - alla mera volontà negativa delle parti in lite alla negoziazione.
L’assenza della parte, quand’anche sia attrice, all’incontro di mediazione disposto ex art. 5 Dlgs 28/10, è, quindi, sì punita dal Dlgs 28/10, ma non con l’improcedibilità, bensì con le sanzioni di cui all’art. 8.
In conclusione, deve ritenersi che l’unico adempimento richiesto ai fini della procedibilità della domanda è il deposito della domanda di mediazione presso l’organismo deputato.
Si deve, quindi, decidere nel merito delle argomentazioni di parte attrice.

La tempestività dell’azione
Parte convenuta ha eccepito la tardività dell’impugnazione proposta. Infatti, secondo parte attrice nel termine di 60 gg. gli attori avrebbero dovuto attivare la procedura di mediazione o, comunque, depositare in cancelleria la citazione. Non avendolo fatto, gli attori erano, quindi, decaduti dall’impugnazione. Tuttavia, dal momento che l’impugnazione della delibera deve avvenire con citazione e non ricorso (Cass. Sez. Un. 8491/11), basta che la notifica di tale atto sia intervenuta nel termine di 30 gg. (Cass. 8839/17). Nel caso in cui, notificata la citazione, la causa non sia iscritta a ruolo e sia, invece, riassunta ben dopo il decorso di 30 gg. dalla delibera, la giurisprudenza (Cass. 14661/13), in una fattispecie analoga alla presente, ha affermato che “La notificazione della citazione, ancorché non seguita dall'iscrizione della causa a ruolo, né dalla costituzione delle parti nei termini loro rispettivamente assegnati, è sufficiente a determinare la pendenza della lite, poiché la mancata costituzione non comporta senz'altro l'estinzione del processo, il quale, benché in stato di quiescenza, può essere riassunto ai sensi dell'art. 307 c.p.c. Pertanto, la riassunzione della causa non iscritta a ruolo non determina l'instaurazione di un nuovo giudizio, ma la prosecuzione di quello già pendente, con la conseguenza che gli effetti sostanziali e processuali della domanda permangono inalterati e riferiti, quanto alla loro produzione, alla data della notifica della prima citazione”.
Ne discende che l’eccezione è infondata.

Mancato rispetto del termine di convocazione dell’assemblea.
Parte attrice ha lamentato che l’assemblea era stata convocata in prima convocazione a dicembre, mentre in seconda convocazione era stata convocata ad aprile e, quindi, ben oltre il termine di 10 gg. dalla prima. Tuttavia, parte convenuta ha specificato che la prima assemblea si era tenuta non a dicembre, come indicato nel relativo verbale che conteneva, quindi, un evidente errore materiale, bensì ad aprile, con la conseguenza che l’intervallo temporale tra la prima e la seconda convocazione previsto dall’art. 1136 c.c. era stato rispettato.
La sussistenza di un errore materiale nella datazione del verbale della prima assemblea è circostanza non specificamente contestata ex art. 115 c.p.c. Solo in sede di comparsa conclusionale, parte attrice ha insistito sul punto, ma quando i termini per le allegazioni in fatto (e, quindi, per le contestazioni) erano già spirati.
Ne discende che anche tale eccezione è infondata.

Genericità dell’ordine del giorno.
Parte attrice ha, poi, lamentato che l’ordine del giorno dell’assemblea del 22 aprile 2017 non conteneva una specifica indicazione degli argomenti oggetto dell’assemblea quanto ai punti 3, 4 e 5. Il punto 3 dell’odg era così rubricato “Esame preventivi lavori di rifacimento e impermeabilizzazione solettone box completo e scelta ditta appaltatrice”; il punto 4 era riportato come “approvazione lavori di rifacimento e impermeabilizzazione solettone box completo e scelta ditta appaltatrice e suo riparto col criterio di riparto deliberato nell’assemblea del 7/8/14”. Infine, il punto 5 prevedeva “approvazione lavori di adeguamento antincendio autorimessa e suo riparto”.
L’assemblea ha, poi, approvato i lavori in questione.
La giurisprudenza, sul punto, ha evidenziato: “In tema di condominio negli edifici, affinché la delibera assembleare sia valida, non occorre che l'avviso di convocazione prefiguri lo sviluppo della discussione e il risultato dell'esame dei singoli punti all'ordine del giorno” (Cass. 13047/14); “In tema di deliberazioni dell'assemblea condominiale, ai fini della validità dell'ordine del giorno occorre che esso elenchi specificamente, sia pure in modo non analitico e minuzioso, tutti gli argomenti da trattare, sì da consentire a ciascun condomino di comprenderne esattamente il tenore e l'importanza, e di poter ponderatamente valutare l'atteggiamento da tenere, in relazione sia alla opportunità o meno di partecipare, sia alle eventuali obiezioni o suggerimenti da sottoporre ai partecipanti. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto che l'autorizzazione all'amministratore ad aprire un nuovo conto corrente, una volta saldato quello precedente in passivo, e di procedere ad uno sconfinamento - in quanto connessa e logicamente conseguenziale ai punti dell'ordine del giorno relativi alla nomina del nuovo amministratore ed all'avvio della nuova gestione condominiale, con l'approvazione del rendiconto relativo alle annualità pregresse - non richiedesse una indicazione analitica e separata della questione) (Cass. 21449/10).
Tali requisiti sono stati chiaramente rispettati anche nel caso di specie.
A questo deve aggiungersi che la giurisprudenza afferma che “L'obbligo di preventiva informazione dei condomini in ordine al contenuto degli argomenti posti all'ordine del giorno dell'assemblea risponde alla finalità di far conoscere ai convocati, sia pure in termini non analitici e minuziosi, l'oggetto essenziale dei temi da esaminare, in modo da consentirgli di partecipare consapevolmente alla relativa deliberazione; pertanto, in considerazione della "ratio" di detto avviso, la sua eventuale genericità non comporta l'invalidità della delibera condominiale, qualora risulti che il condomino, sia pure "aliunde", era                       sufficientemente informato sull'argomento che avrebbe costituito oggetto dell'assemblea” (Cass. 63/06). I lavori oggetto della delibera impugnata avevano costituito l’oggetto di altra delibera, anch’essa impugnata dagli attori e, poi, revocata dal condominio. Ne discende che questi erano già a conoscenza di ciò su cui l’assemblea sarebbe stata chiamata a pronunciarsi.

Omessa allegazione di documentazione all’avviso di convocazione.
La delibera, nei punti 3 e 4, era viziata, in quanto non era stato allegato alcun documento all’avviso di convocazione, nonostante fossero sopravvenuti 3 preventivi, come specificamente indicato in verbale.
Come riconosciuto dall’attore, nessuna norma impone all’amministratore di allegare all’ordine di convocazione la documentazione oggetto della discussione in sede di delibera assembleare. Nulla viene detto, in particolare, dall’art. 66 disp. att. c.c. Peraltro, il condomino è tutelato in quanto può prendere visione di tale documentazione ove ne faccia richiesta, nei giorni e nelle ore indicate dall’amministratore stesso ex art. 1129, co. 2 c.c.
La giurisprudenza afferma che “al fine di soddisfare adeguatamente il diritto d’informazione dei condomini circa l’oggetto della delibera non è necessario allegare all’avviso anche i singoli importi dei preventivi in questione, posto che per assolvere agli oneri di specificità e chiarezza dell’ordine del giorno e soddisfare il diritto d’informazione dei condomini è sufficiente l’indicazione della materia su cui deve vertere la discussione e la votazione, mentre è onere del condomino, ove intendesse avere a disposizione i dati specifici e la documentazione relativa alla materia su cui decidere, attivarsi per visionarla presso l’amministratore stesso ed eventualmente farsene rilasciare copie a proprie spese (Tribunale Roma, sez. V, 12/01/2010, n. 316 Guida al diritto 2010, 13, 74 e Trib. Nocera Inf. 10 maggio 2012 n. 394 in www.dejure.it).
La circostanza che siano sopravvenuti alcuni preventivi non giustifica alcuna deroga ai principi di cui sopra.

Indeterminatezza dei votanti alla delibera di cui al punto 5.
L’assemblea approvò anche i lavori di cui al punto 5. Nel verbale si legge che tale punto “viene deliberato all’unanimità degli aventi diritto, nessun voto contrario e nessun astenuto”. Secondo parte attrice, non si comprende chi votò la delibera.
In realtà, in assenza di indicazioni di segno contrario, si deve ritenere che gli aventi diritto altri non sono che coloro che parteciparono all’assemblea e che sono titolari di diritti sui beni oggetto dei lavori. E’, quindi, chiaro che si tratta di una delibera approvata dall’unanimità dei condomini presenti.

Illegittimità dei criteri di riparto delle spese e della rateizzazione.
In relazione ai lavori di cui ai punti 4 e 5, l’assemblea deliberò di ripartire le spese secondo i criteri di riparto delle spese di cui alla delibera del 7 agosto 2014. Gli attori hanno lamentato che l’assemblea avrebbe determinato non il riparto, ma solo i criteri di riparto di tali spese e, comunque, il riparto sarebbe avvenuto in violazione della legge e di quanto stabilito dall’assemblea. Tuttavia, parte attrice ha omesso di specificare in che modo si sarebbero manifestate tali illegittimità, e non ha neppure prodotto il relativo riparto. E’, quindi, impossibile pronunciarsi sulla legittimità o meno dei criteri di riparto adottati.
Nessuna norma, poi, vieta all’assemblea di definire in astratto i criteri di riparto rimettendo all’amministratore l’operazione meccanica volta a determinare i contributi dovuti in concreto da ciascun condomino.
Ne discende che anche tale motivo di impugnazione è infondato.

Spese di lite.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate avendo riguardo ai valori medi valore indeterminato.
Quanto all’istanza ex art. 96 c.p.c. non è stato specificato in cosa consisterebbe il danno patito dal condominio. La giurisprudenza afferma: “è onere della parte che richiede il risarcimento dedurre e dimostrare la concreta ed effettiva esistenza di un danno che sia conseguenze del comportamento processuale della controparte, sicché il giudice non può liquidare il danno, neppure equitativamente, se dagli atti non risultino elementi atti ad identificarne concretamente l’esistenza, desumibili anche da nozioni di comune esperienza e dal pregiudizio che la parte resistente abbia subito per essere stata costretta a contrastare una iniziativa del tutto ingiustificata dell’avversario’’; ed ancora ‘’la liquidazione del danno da responsabilità aggravata postula che la parte istante abbia quanto meno assolto l’onere di allegare gli elementi di fatto necessari ad identificarne concretamente l’esistenza ed idonei a consentire al giudice la relativa liquidazione, anche se equitativa’’ (Cass. 16606/10).
La stessa deve pertanto essere respinta.

PQM

definitivamente pronunciando: respinge la domanda attorea; condanna omissis in solido fra loro a rifondere a condominio omissis le spese di lite, spese che liquida in euro 7.254,00 per compensi, oltre accessori di legge e spese generali al 15%; condanna omissis al pagamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma pari al contributo unificato dovuto per il presente giudizio.

Savona 19 ottobre 2018

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità. 

18 marzo 2019

14/19. Improcedibilità del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo in caso di mancato esperimento della mediazione (Osservatorio Mediazione Civile n. 14/2019)

=> Tribunale di Roma, 5 ottobre 2018

In tema di mediazione c.d. obbligatoria ex art. 5, d.lgs. 28/2010, il mancato esperimento della procedura di mediazione determina l'improcedibilità del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, con conseguente definitività del decreto stesso (arg. ex Cass. 24629/2015) (I) (II).



Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 14/2019

Tribunale di Roma
Sentenza
5 ottobre 2018

Omissis

All'udienza del omissis venivano precisate le conclusioni, come indicato in epigrafe, e la causa era trattenuta in decisione con assegnazione dei termini di legge per il deposito di comparse conclusionali (60 giorni) e di repliche (ulteriori 20 giorni): i termini ex artt. 281-quinquies e 190 c.p.c. sono scaduti il 7/6/2018.
L'eccezione di improcedibilità del presente giudizio per mancato espletamento del procedimento obbligatorio di mediazione sul presupposto che" … la procura generale depositata dalla Controparte nel presente giudizio, e utilizzata anche nel procedimento di mediazione, non contempla tra le facoltà all'uopo conferite all'avv. omissis quella di rappresentare la Banca nella procedura stragiudiziale demandata. …" (cfr. comparsa conclusionale dell'opponente omissis) non è fondata, in quanto, a prescindere da ogni altra considerazione, il mancato esperimento della procedura di mediazione, comunque effettuato con esito negativo (cfr. verbale di udienza del 20/9/2016), determinerebbe l'improcedibilità del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, con conseguente definitività del decreto stesso, così pervenendosi ad un risultato processuale opposto rispetto a quello auspicato dall'opponente (arg. ex Cass. 24629/2015). omissis L'opposizione è infondata e va rigettata.
Prima di tutto giova ricordare che il decreto ingiuntivo è un accertamento anticipatorio con attitudine al giudicato e che, instauratosi il contraddittorio a seguito dell'opposizione, si apre un giudizio a cognizione piena caratterizzato dalle ordinarie regole processuali (cfr. art. 645,2 comma, c.p.c.) anche in relazione al regime degli oneri allegatori e probatori (cfr. Cass. 17371/2003; Cass. 6421/2003), con la conseguenza che oggetto del giudizio di opposizione non è tanto la valutazione di legittimità e di validità del decreto ingiuntivo opposto, quanto la fondatezza o meno della pretesa creditoria, originariamente azionata in via monitoria, con riferimento alla situazione di fatto esistente al momento della pronuncia della sentenza (cfr. Cass. 15026/2005; Cass. 15186/2003; Cass. 6663/2002); quindi il diritto del preteso creditore (formalmente convenuto, ma sostanzialmente attore) deve essere adeguatamente provato, indipendentemente dall'esistenza -ovvero, persistenza- dei presupposti di legge richiesti per l'emissione del decreto ingiuntivo (cfr. Cass. 20613/2011). Va poi ricordato che sia con il ricorso per decreto ingiuntivo che con la domanda di rigetto dell'opposizione vi è esercizio di un'azione di condanna (cfr. Cass. 10104/1996; Cass. 9021/2005; Cass. 20613/2011); quindi nella richiesta di rigetto dell'opposizione e di conferma del decreto opposto vi è implicita la richiesta di condanna alla somma accertata come dovuta, senza necessità per l'opposto di formulare una specifica ed espressa domanda diretta ad ottenere una pronuncia sul merito della propria pretesa creditoria. È pertanto non condivisibile la deduzione di parte opponente omissis sul fatto che "… omissis, costituendosi in giudizio, chiedeva esclusivamente che venisse confermata la provvisoria esecutorietà del d.i. opposta e respinta l'opposizione proposta; nel merito nessuna richiesta veniva formulata da controparte circa l'effettivo accertamento dell'esistenza del credito azionato e/o dell'eventuale entità del quantum debeatur. …" (cfr. comparsa conclusionale).
Orbene l'odierna banca opposta (attrice sostanziale) ha agito in via monitoria per ottenere il pagamento della complessiva somma 100.207,10 euro, quale saldo debitore al 29/4/2015 rinveniente sul conto corrente omissis, acceso in data 6/5/2013 (cfr. ricorso monitorio). Da parte sua l'opponente ha eccepito la mancanza di prova del credito, non essendo sufficiente la certificazione ex art. 50 TUB su mera 'lista movimenti' e, in ogni caso, l'illegittima applicazione di interessi usurari, ultralegali ed anatocistici nonché l'applicazione di commissioni e spese non dovute. Di converso la banca ha contestato la fondatezza della proposta opposizione, essendo stata prodotta idonea documentazione. Tanto doverosamente premesso in ordine alla posizione processuale delle parti e ribadito che non vi è stata richiesta di memorie ex art. 183/6 c.p.c., sulle questioni di merito valgono le seguenti osservazioni. omissis

PQM

Rigetta l'opposizione e conferma integralmente il decreto ingiuntivo opposto omissis già munito di efficacia esecutiva; rigetta ogni domanda di parte attrice; condanna in solido gli opponenti omissis al pagamento, in favore dell'opposta omissis, delle spese di lite, che liquida in 7.795,00 euro per compensi professionali, oltre rimborso forfettario, cp ed iva come per legge.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità. 

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