DIRITTO D'AUTORE


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28 ottobre 2019

43/19. Domanda riconvenzionale: no alla mediazione obbligatoria (Osservatorio Mediazione Civile n. 43/2019)

=> Tribunale di Taranto, 2 maggio 2019

Va condiviso l’orientamento interpretativo secondo cui la mediazione obbligatoria (cfr. art. 5, comma 1 bis, d.lgs. 28/2010) non si estende alle domande riconvenzionali sollevate dal convenuto, o proposte da eventuali terzi intervenuti; orientamento che appare maggiormente conforme alla stessa ratio del tentativo obbligatorio di mediazione, identificabile in ragioni di economia processuale, conseguendone che dilazionare il processo per permettere l'esperimento del tentativo di conciliazione, su domande ulteriori rispetto a quella introduttiva, sarebbe contrario alle intenzioni del legislatore (I) (II).


(II) Tra le ragioni poste alla base dell’indirizzo interpretativo seguito dalla sentenza qui massimata (invero contrastato da altro e contrario filone giurisprudenziale), la stessa pronuncia esplicitamente osserva che “il procedimento di mediazione sulla domanda riconvenzionale non è generalmente idoneo, dopo il fallimento del procedimento di mediazione sulla domanda principale, a porre fine al giudizio (cfr. Tribunale Reggio Calabria, 22 aprile 2014, in Osservatorio Mediazione Civile n. 42/2014; Tribunale di Palermo, 11 luglio 2011, in Osservatorio Mediazione Civile n. 29/2012)”.

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 43/2019

Tribunale di Taranto
Sentenza
2 maggio 2019

Omissis

Con atto di citazione ritualmente notificato omissis s.r.l. ha convenuto in giudizio innanzi all'intestato tribunale omissis s.r.l., deducendo che con contratto stipulato il 25.08.2006 e registrato il successivo 28.08.2006 aveva ceduto in locazione in favore della società convenuta (poi resistente) i locali di sua proprietà omissis per un canone mensile di Euro 5.000,00 ridotto a Euro 4.000,00 per il primo anno e a Euro 4.500,00 per il secondo, al fine di agevolare l'avvio della produzione, e successivamente, a decorrere dal mese di ottobre 2010 e fino al dicembre 2011 a Euro 4.000,00 mensili; che i pagamenti non erano avvenuti con regolarità e erano cessati dal settembre 2013 sino a novembre 2013, data di rilascio dell'immobile; chiedeva pertanto che la convenuta (di seguito resistente) fosse condannata al versamento della somma complessiva di Euro 82.076,06, di cui Euro 79.576,06 a titolo di canoni non corrisposti e Euro 7.500,00 a titolo di risarcimento dei danni, detraendo la cauzione di Euro 5.000,00 versata al momento della stipula del contratto.
Con comparsa di costituzione e risposta con domanda riconvenzionale depositata in data 02.05.2014 omissis s.r.l. si è costituita nel presente giudizio e ha, in via preliminare, eccepito la nullità dell'atto di citazione, atteso che oggetto della domanda è materia locatizia, per cui la stessa andava proposta con ricorso ex artt. 447 bis e 414 c.p.c.; ha, inoltre, eccepito la improcedibilità della domanda per mancato esperimento del tentativo di mediazione e la nullità della domanda ai sensi degli artt. 164, comma 4, e 163, comma 3, n. 4, c.p.c.; nel merito ha rilevato l'insussistenza del credito per canoni di locazione, per effetto della riduzione pattuita dal marzo 2013 a Euro 3.850,00 mensili e che l'IVA sino all'ottobre 2013 era fissata al 21%; l'infondatezza della spiegata domanda risarcitoria; ha proposto, quindi, domanda riconvenzionale di risoluzione contrattuale per inadempimento della locatrice, consistito nella mancata consegna alla conduttrice della documentazione indispensabile per lo svolgimento dell'attività in relazione alla quale fu stipulato il contratto (istituto scolastico), che aveva determinato il diniego dell'istanza per il riconoscimento della parità scolastica da parte del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca; ha segnatamente dedotto che l'anticipata risoluzione del contratto di locazione aveva cagionato danni alla società convenuta pari a Euro 40.000,00; che era da ritenersi indebito, per effetto della risoluzione del contratto, il pagamento dei canoni di locazione da giugno 2008 a giugno 2009 pari a Euro 48.000,00, di cui domandava la restituzione; che era inoltre dovuta l'indennità per la perdita di avviamento commerciale ex art. 34 L. n. 392 del 1978 e per i miglioramenti apportati al bene locato, pari a Euro 20.000,00, oltre alla restituzione della somma di Euro 5.000,00 versata a titolo di caparra.
All'udienza del 28 maggio 2014 veniva concesso termine di gg. 15 per l'esperimento della mediazione obbligatoria.
Con memoria del 19.9.2014, la società ricorrente rideterminava, sulla scorta dei rilievi di parte resistente in punto di riduzione del canone e IVA, in Euro 67.944,94 la somma dovuta per canoni di locazione non versati, e chiedeva all'istruttore l'emissione di ordinanza di pagamento ex art. 423 c.p.c. ovvero 186-bis c.p.c., istanza rigettata con ordinanza del 10.11.2014.
All'udienza del 18.03.2015, veniva disposto il mutamento del rito da ordinario a speciale locatizio e assegnati alle parti termini per eventuale integrazione degli atti introduttivi.
La causa, a seguito del mutamento del rito, è stata istruita a mezzo di interrogatorio formale dei legali rappresentanti delle parti e prova per testi, e infine, riservata per la decisione dal precedente istruttore ai sensi dell'art. 190 c.p.c. all'udienza del 15.02.2017, è stata rimessa sul ruolo per la discussione ai sensi dell'art. 447 bis c.p.c. e decisa all'udienza del 2 maggio 2019, con lettura in udienza del dispositivo e delle contestuali motivazioni.

Le eccezioni preliminari.
Le eccezioni preliminari rilevate dalla società convenuta (e dalla attrice quanto alla asserita improcedibilità della domanda riconvenzionale per non avere la parte resistente esperito il procedimento di mediazione obbligatorio per legge) sono infondate.
In punto di improcedibilità della domanda per mancato esperimento del procedimento di mediazione obbligatoria, le eccezioni delle parti non meritano accoglimento, atteso che la condizione di procedibilità è stata adempiuta attraverso il rituale espletamento della mediazione ad opera della parte resasi diligente (ovvero la società ricorrente) nel termine assegnato dal Presidente Istruttore all'udienza del 28 maggio 2014 e pertanto non sussiste la eccepita improcedibilità.
Secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale in materia, invero, la mediazione obbligatoria non si estende alle domande riconvenzionali sollevate dal convenuto, o proposte da eventuali terzi intervenuti.
Le ragioni poste alla base di tale condivisibile indirizzo interpretativo possono essere così sintetizzate:
a) le disposizioni che prevedono condizioni di procedibilità sono di stretta interpretazione, poiché introducono limitazioni all'esercizio del diritto di agire in giudizio, garantito dall'art. 24 Cost., quindi la locuzione "chi intende esercitare in giudizio un'azione", contenuta nel comma 1, art. 5, D.Lgs. n. 28 del 2010, sarebbe da intendersi come "chi intende instaurare un giudizio";
b) vanno fatti salvi i principi di ragionevole durata del processo e di equilibrata relazione tra procedimento giudiziario e mediazione, indicato nella direttiva comunitaria 2008/52/CEE;
c) il procedimento di mediazione sulla domanda riconvenzionale non è generalmente idoneo, dopo il fallimento del procedimento di mediazione sulla domanda principale, a porre fine al giudizio (cfr. Tribunale Reggio Calabria, 22 aprile 2014, in Osservatorio Mediazione Civile n. 42/2014; Tribunale di Palermo, 11 luglio 2011, in Osservatorio Mediazione Civile n. 29/2012);
d) l'art. 5, comma 1-bis, D.Lgs. n. 28 del 2010, prevede la facoltà del convenuto di eccepire il mancato tentativo di mediazione, sicché va considerato tale "chi viene citato in giudizio", e non già "chi, avendo promosso un'azione e , pertanto, notificato ad altri una vocatio in ius, risulti a sua volta destinatario di una domanda, collegata a quella originaria";
e) non è opportuno consentire che vengano formulate domande riconvenzionali al solo fine di costringere il giudice a mandare le parti in mediazione, così da dilazionare i tempi del processo; infine
f) l'interpretazione propugnata dalla giurisprudenza di legittimità già con riferimento all'art. 46 della L. n. 203 del 1982 e, cioè, che " l'onere del preventivo esperimento del tentativo di conciliazione ... sussiste, oltre che a carico dell'attore che agisce in via principale in giudizio, anche nei confronti del convenuto che proponga una domanda riconvenzionale, secondo uno dei criteri di collegamento previsti dall'art. 36 cod. proc. civ."(Cass. 18 gennaio 2006, n. 830).
L'orientamento qui condiviso appare, pertanto, maggiormente conforme alla stessa ratio del tentativo obbligatorio di mediazione, identificabile in ragioni di economia processuale, conseguendone che dilazionare il processo per permettere l'esperimento del tentativo di conciliazione, su domande ulteriori rispetto a quella introduttiva, sarebbe contrario alle intenzioni del legislatore.
Quanto alla nullità della domanda per essere stata introdotta con atto di citazione anzicchè con ricorso, deve osservarsi che con ordinanza emessa all'udienza del 18.03.2015 è stato disposto il mutamento del rito da ordinario a speciale locatizio e che le parti hanno ritualmente integrato gli atti introduttivi mediante il deposito di memorie integrative nei termini all'uopo concessi, con l'effetto che l'eccezione deve ritenersi definitivamente superata.
In relazione alla nullità della domanda per violazione dell'art. artt. 164, comma 4, e 163, comma 3, n. 4, c.p.c., la domanda non presenta profili di incompletezza ed indeterminatezza essendo stati esposti in modo sintetico ma esauriente gli aspetti fattuali e giuridici che ne costituiscono il fondamento.

Nel merito, la domanda è fondata, per quanto di ragione. omissis
Tutte le ulteriori domande sono prive di fondamento e devono, pertanto, essere rigettate.
Quanto alla ulteriore domanda di risarcimento del danno proposta dalla società ricorrente, essa è rimasta del tutto sfornita di prova e, d'altronde, la situazione dei luoghi, per come ricavabile dai rilievi fotografici prodotti, peraltro privi di qualsiasi attestazione circa la data della loro effettuazione e quindi non certamente riferibili al momento del rilascio, non attestano se non problematiche di scarsissima entità e presumibilmente di modesto rilievo economico.
Sul punto una CTU, la cui richiesta non è stata peraltro formalmente reiterata dalla società ricorrente in sede di conclusioni, avrebbe natura palesemente esplorativa, risultando inoltre inutilmente onerosa per le parti e contraria ad esigenze di economia processuale.
In relazione alla domanda di risoluzione del contratto per inadempimento proposta in via riconvenzionale dalla società resistente, con conseguente domanda di restituzione dei canoni versati e risarcimento del danno subito per effetto del mancato conseguimento delle autorizzazioni necessarie all'esercizio dell'attività al cui esercizio il bene è destinato, deve osservarsi che la specifica destinazione d'uso cui sarà adibito l'immobile locato (nel caso di specie ad istituto scolastico) è di norma determinata da quanto dichiarato e convenuto tra le parti nel contratto di locazione ovvero da esso desumibile. Allorché per l'esercizio dell'attività prevista nel contratto di locazione siano poi necessarie specifiche autorizzazioni amministrative, che il conduttore non riesca ad ottenerle dai competenti enti pubblici per mancanza di requisiti dell'immobile, potrebbe astrattamente sussistere una responsabilità in capo al locatore.
Al fine di valutare se in effetti ricorra la responsabilità del locatore occorre, tuttavia, a mente del più recente e restrittivo orientamento della giurisprudenza di legittimità, accertare se sia stata stipulata una espressa clausola contrattuale con la quale il locatore si sia assunto l'obbligo di garantire l'idoneità del bene all'uso pattuito ovvero il conseguimento delle necessarie licenze ed autorizzazioni, in quanto solo in questa ultima ipotesi il locatore sarà responsabile, accertata l'inidoneità del bene all'uso a cui è destinato o la mancata attivazione dell'obbligato nell'ottenimento delle certificazioni richieste, ad agire per la risoluzione del contratto e l'eventuale risarcimento del danno.
In punto di distribuzione dell'onere della prova, si afferma, peraltro, con indirizzo ormai consolidato, che nei contratti di locazione relativi ad immobili destinati ad uso non abitativo grava sul conduttore l'onere di verificare con la dovuta diligenza che le caratteristiche del bene siano adeguate a quanto tecnicamente necessario per lo svolgimento dell'attività che egli intende esercitarvi, nonché al rilascio delle necessarie autorizzazioni amministrative, con l'effetto che ove il conduttore non riesca ad ottenere tali autorizzazioni, non è configurabile alcuna responsabilità per inadempimento a carico del locatore e ciò anche se il diniego sia dipeso dalle caratteristiche dello stesso bene locato.
La destinazione dell'immobile può, allora, assumere rilevanza, quale condizione di efficacia, quale elemento presupposto o, infine, quale contenuto dell'obbligo assunto dal locatore nella garanzia di pacifico godimento dell'immobile in relazione all'uso convenuto, solo se abbia formato oggetto di specifica pattuizione, non essendo sufficiente la mera enunciazione, in contratto, che la locazione sia stipulata per un certo uso, a maggior ragione allorché vi sia stato il riconoscimento dell'idoneità dell'immobile da parte del conduttore in relazione alla specifica destinazione (cfr. Cass., 3, n. 1735 del 25/1/2011; Cass., 3, n. 5836 del 13/3/2007; Cass., 3, n. 25278 del 1/12/2009: Cass. 3.12.2010, n. 1735; App. Milano, sent. n. 3525/2017, Cass. sent. n. 11865/2015).
Tali principi sono stati di recente ribaditi, con ancora maggiore vigore, dalla S.C. che con sentenza del 7 giugno 2018, n. 14731 ha affermato quanto segue: " omissis ".
Sulla scorta di tali rigorosi principi interpretativi, va quindi esaminata la fattispecie in esame. omissis Conclusivamente, non sussistendo alcun espresso obbligo in capo al locatore di assicurare l'ottenimento delle autorizzazioni amministrative necessarie per l'espletamento dell'attività cui l'immobile era nello specifico destinato, non può ritenersi ricorrere nella fattispecie in esame alcun inadempimento contrattuale ascrivibile al locatore, il cui comportamento è stato invece costantemente improntato a diligenza e buona fede, con l'effetto che devono essere rigettate, in quanto infondate, le domande di risoluzione del contratto, di restituzione dell'indebito e di risarcimento del danno.
Quanto al rimborso dei presunti miglioramenti, è del tutto verosimile ritenere che le opere appaltate alla società L. s.r.l. con contratto del 3 luglio 2008 (v. fascicolo parte resistente allegato n. 7), vadano identificate con gli "adattamenti" di cui hanno riferito i citati testimoni, autorizzati dal locatore e da effettuarsi a cura e spese del conduttore, come ammesso dalla stessa sig.ra G., legale rappresentante della società resistente nel corso dell'interrogatorio formale.
In ogni caso, non è stato provato che essi sussistessero al momento del rilascio, per cui la relativa domanda va anch'essa respinta.
Infine, non è fondata la pretesa della resistente di indennità per perdita dell'avviamento ex art. 34 L. n. 392 del 1978, in quanto il conduttore di un locale ad uso non abitativo ha diritto all'indennità per la perdita di avviamento" in caso di cessazione del rapporto di locazione soltanto se non dovuta a disdetta o recesso del conduttore stesso, ciò che nel caso di specie deve ritenersi pacifico, in quanto è incontestato che la società resistente ebbe a recedere dal contratto, rilasciando l'immobile in data 6.12.2013, come ammesso dal legale rappresentante della società resistente in sede di interrogatorio formale.

Le spese.
Le spese processuali seguono la soccombenza e tenuto conto della soccombenza di parte ricorrente su alcuni capi della domanda, questo giudice reputa equo compensarle al 25 % tra le parti e quindi condannare la società resistente al rimborso verso la parte ricorrente della parte residua, che si liquida in Euro 700,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge.

PQM

Il Tribunale di Taranto, seconda sezione civile, in composizione monocratica nella persona della dott.ssa Stefania D'Errico, sentita la discussione della causa, decidendo sulla domanda proposta con atto di citazione notificato in data 06.02.2014 dalla omissis s.r.l., in persona omissis, nei confronti della omissis s.r.l., in persona omissis, con successivo mutamento del rito da ordinario a locatizio, e sulla domanda riconvenzionale proposta da quest'ultima nei confronti della società ricorrente a mezzo della comparsa di costituzione e risposta con domanda riconvenzionale depositata il 02.05.2014, così provvede: accoglie, per quanto di ragione, la domanda e, per l'effetto: condanna la resistente omissis s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., al pagamento in favore della società ricorrente omissis s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., della somma di Euro 62.944,06, oltre interessi legali dal di' della singola maturazione del credito sino al saldo, a titolo di canoni di locazione scaduti in relazione ai periodi indicati nell'atto introduttivo del giudizio, in virtù del contratto di locazione stipulato tra le parti in data 25.08.2006 e registrato il 28.08.2006, detratto quanto versato a titolo di deposito cauzionale; rigetta ogni altra domanda; dichiara compensate al 25% le spese processuali tra le parti; condanna la resistente omissis s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., al rimborso in favore della società ricorrente omissis s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., della residua parte, liquidata come da motivazione, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Taranto, il 2 maggio 2019.
Depositata in Cancelleria il 2 maggio 2019.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità. 

24 ottobre 2019

42/19. ADR in ambito sportivo (Bergamo, 25.10.2019) (Osservatorio Mediazione Civile n. 42/2019)

Come la mediazione può aiutare le società sportive a gestire i conflitti?

Venerdì 25 ottobre 2019 si svolgerà il convegno “La responsabilità delle Società sportive tra codici, norme e relazioni” (Bergamo, Cittadella dello sport, via Gleno 2/L).

Tra i relatori, si segnala l’Avv. Alessandra GRASSI (www.accademiadr.it) con un intervento dedicato al tema “A.D.R. in ambito sportivo: una scelta responsabile”. 


Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 42/2019
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

22 ottobre 2019

41/19. Ministero della Giustizia: dati statistici sulla mediazione 1 gennaio – 31 marzo 2019 (Osservatorio Mediazione Civile n. 41/2019)


Sono state rese note le nuove statistiche ministeriali sulla mediazione (rilevazione statistica con proiezione nazionale a cura del Dipartimento della Organizzazione Giudiziaria, del Personale e dei Servizi - Direzione Generale di Statistica e Analisi Organizzativa) relative al periodo 1 gennaio – 31 marzo 2019 (1).
Con riferimento all’ultimo trimestre dell’anno, gli organismi rispondenti sono stati 435 su 597. Progressivamente, quindi, sebbene lentamente, il numero degli organismi rispondenti continua ad aumentare.

Tra le controversie maggiormente trattate in mediazione rimangono quelle in tema di contratti bancari (13,2%), di diritti reali (circa il 15,6%), di condominio (circa il 13,2%) e di locazione (circa il 12,4%).
Si tratta di dati sostanzialmente in linea con le rilevazioni precedenti.

Nel periodo in questione l’aderente compare nel 50% dei casi. Tale dato è sostanzialmente in linea con le rendicontazioni precedenti, anche se, il trend di leggero aumento evidenziato sino alla precedente rendicontazione subisce una battuta di arresto (al 31.21.2019, difatti, il dato era del 50,4%).
In tali casi (ovvero in caso di aderente comparso), nel 26,5% dei procedimenti si raggiunge l’accordo conciliativo.
Da un’analisi a campione, però, risulta che quando le parti accettano di sedersi al tavolo della mediazione anche dopo il primo incontro si giunge all’accordo conciliativo nel 43% dei casi. Può quindi dedursi che alle parti conviene svolgere con fiducia e serietà il tentativo conciliativo, senza fermarsi al primo incontro, ma proseguendo il percorso mediatizio anche oltre. Qualcosa in più, però, potrebbe farsi (a livello normativo) per favorire maggiormente la scelta delle parti di proseguire la mediazione oltre il primo incontro.
In linea generale detti dati sono sostanzialmente in linea con le rendicontazioni precedenti, anche se, il trend di leggero aumento miglioramento delle performances degli Organismi di mediazione evidenziato sino alla precedente rendicontazione subisce anche in tal caso una battuta di arresto (al 31.21.2019, difatti, i due dati riportati erano 27,3% e 44,8%).

Tra le controversie nelle quali si registra una maggiore percentuale di comparizione dell’aderente (superiore al 50%) si confermano quelle che riguardano rapporti tra parenti, nonché le liti relative, in generale, a rapporti sociali o contrattuali, destinati a durare nel tempo, caratterizzati dalla particolare rilevanza soggettiva delle parti (patti di famiglia, successioni ereditarie, divisione, diritti reali, condominio, affitto di aziende, locazione).

In merito alla categorie di mediazione, nel periodo di riferimento la maggior parte dei procedimenti definiti (quasi il 90%) afferisce alla mediazione c.d. obbligatoria ex lege o ante causam (art. 5, comma 1-bis, d.lgs. 28/2010), mentre poco più dell’1% dei procedimenti definiti nel periodo in questione afferisce alla c.d. mediazione delegata o demandata dal giudice (art. 5, comma 2, d.lgs. 28/2010). Poco più del 10% dei procedimenti afferisce alla mediazione volontaria o facoltativa, categoria in cui, di contro, si registra la maggiore percentuale di raggiungimento dell’accordo conciliativo: 40 % (dato che sale al 61% di procedimenti che si chiudono con l’accordo quando le parti accettano di incontrarsi per un tentativo di conciliazione).
I casi in cui più difficilmente si giunge all’accordo sono invece quelli in cui le parti vengono inviate in mediazione dal giudice (invio in mediazione in quanto materia soggetta a mediazione c.d. obbligatoria, ovvero mediazione demandata).

Questi i numeri relativi agli Organismi di mediazione presenti in Italia.


Tipologia Organismi di conciliazione

Organismi al 31.3.2019
Procedimenti definiti

ORGANISMI DELLE CAMERE DI COMMERCIO

78
3.663

ORGANISMI PRIVATI

376
18.650

ORDINE AVVOCATI

103
13.772

ALTRI ORDINI PROFESSIONALI

40
244

Totale complessivo

597
36.330

Quanto alla presenza dell’avvocato in mediazione, nelle mediazione volontarie ben il 78% dei proponenti è assistito dal proprio legale, mentre tra i chiamati in mediazione il 87% è assistito da un avvocato. Si tratta di dati sostanzialmente in linea con le rilevazioni precedenti.

Quanto alla durata delle mediazione, rispetto agli 882 gg (dato 2016 relativo al contenzioso in Tribunale, sceso rispetto al 2015 in cui durata era registrata in 921 gg), la procedura ADR, con aderente comparso e accordo raggiunto, dura 142 giorni (1.1.2018-31.12.2018); dato in costante crescita rispetto ai 129 giorni del 2017, 115 del 2016 e 103 del 2015.


Durata delle procedure:

Contenzioso in Tribunale

882 gg
(dato: 2016)

Procedimento di mediazione

144 gg
(dato: 1.1.2019-31.3.2019;
con aderente comparso e accordo raggiunto)


La rilevazione statistica ministeriale è consultabile sul sito web del Ministero della Giustizia al seguente indirizzo:

(1) Le analisi curate dall'Osservatorio Nazionale sulla Mediazione Civile di tutte le precedenti rilevazioni statistiche sono consultabili a questo indirizzo.

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 41/2019

20 ottobre 2019

40/19. Opposizione a decreto ingiuntivo: l'onere della mediazione grava sull’opponente (Osservatorio Mediazione Civile n. 40/2019)

=> Corte di Cassazione 16 settembre 2019, n. 23003

Va confermato il principio per cui in tema di opposizione a decreto ingiuntivo, l'onere di esperire il tentativo obbligatorio di mediazione grava sulla parte opponente; ciò in quanto l’art. 5, d.lgs. 28/2010 deve essere interpretato in conformità alla sua ratio e, quindi, al principio della ragionevole durata del processo, sulla quale può incidere negativamente il giudizio di merito che l'opponente ha interesse ad introdurre. Difatti, posto che il tentativo obbligatorio di mediazione è strutturalmente legato ad un processo fondato sul contraddittorio, grava sulla parte che promuove un simile giudizio l'onere di assolvere tale condizione di procedibilità; e, nel procedimento monitorio, un processo fondato sul contraddittorio, ossia il giudizio di cognizione ordinaria, consegue solo all'eventuale opposizione dell'ingiunto (I) (II) (III).


(II) Sul principio riportato nella prima parte della massima si veda Cassazione civile, 3 dicembre 2015, n. 24629, in Osservatorio Mediazione Civile n. 2/2016.

(III) Sula recente rimessione alle Sezioni Unite della questione relativa all’identificazione della parte onerata di esperire il procedimento mediatizio, a pena di improcedibilità della domanda, nell’opposizione a decreto ingiuntivo di veda Cassazione civile, 12 luglio 2019, n. 18741, in Osservatorio Mediazione Civile n. 34/2019.

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 40/2019

Corte di Cassazione
Ordinanza n. 23003
16 settembre 2019

Ritenuto omissis che l'unico motivo deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, per avere la corte erroneamente ritenuto che l'onere di esperire il tentativo obbligatorio di mediazione, in caso di giudizio instaurato a seguito di opposizione a decreto ingiuntivo, gravi sull'opponente piuttosto che sull'opposto, con la conseguenza che il suo mancato esperimento nei termini causa l'improcedibilità dell'opposizione e la conferma del decreto ingiuntivo opposto, e comunque tale onere resta soggetto all'evenienza che venga domandata la provvisoria esecuzione del decreto o la sospensione di essa;
che il motivo è manifestamente infondato;
che la statuizione della corte di merito risulta essere conforme al principio secondo cui "in tema di opposizione a decreto ingiuntivo, l'onere di esperire il tentativo obbligatorio di mediazione grava sulla parte opponente poichè il D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, deve essere interpretato in conformità alla sua ratio e, quindi, al principio della ragionevole durata del processo, sulla quale può incidere negativamente il giudizio di merito che l'opponente ha interesse ad introdurre" (Cass. n. 24629/2015); che, in fatti, "la peculiarità del procedimento monitorio, consente di collegare la procedibilità dell'azione alla formale introduzione del giudizio di merito - mediante la notifica dell'atto di opposizione -, piuttosto che alla introduzione della lite - mediante la notifica del ricorso e del provvedimento monitorio -, soluzione che, da un lato, appare funzionale alla logica deflattiva del processo cui tende il meccanismo conciliativo, come questa Corte ha già affermato, in quanto è con l'atto di opposizione - e non anche con il ricorso monitorio - che la parte interessata intende accedere al giudizio ordinario di cognizione (Cfr. - Corte cass. Sez. 3, Sent. n. 24629 del 03/1212015), e dall'altro, risponde alla peculiare struttura del procedimento monitorio che, nella fase sommaria, volta a conseguire agevolmente una definizione della lite senza giudizio di merito, non richiede la instaurazione di un contraddittorio, invece previsto dalla procedura conciliativa che, pertanto, se applicata "anticipatamente" al momento della proposizione del ricorso monitorio ex art. 633 c.p.c., priverebbe di utilità tale fase" (Cass. n. 25611/2016, sia pure in obiter dictum);
che, in altri termini, essendo il tentativo obbligatorio di mediazione strutturalmente legato ad un processo fondato sul contraddittorio (in tal senso, relativamente alla procedura conciliativa obbligatoria di cui all'oggi abrogato art. 412-bis c.p.c., Corte Cost. n. 376/2000), grava sulla parte che promuove un simile giudizio l'onere di assolvere tale condizione di procedibilità;
che nel procedimento monitorio un processo fondato sul contraddittorio, ossia il giudizio di cognizione ordinaria, consegue solo all'eventuale opposizione dell'ingiunto: pertanto, spetta a quest'ultimo - e sempre a condizione che sia domandata la concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo o la sospensione della stessa: come nella specie appunto è avvenuto (cfr. la narrativa del processo, p. omissis della decisione impugnata) - l'esperimento nei termini del tentativo obbligatorio di mediazione, essendo nel suo interesse definire alternativamente il giudizio; da ciò logicamente consegue che, in caso di mancato assolvimento di tale condizione di procedibilità, sarà la sua azione (proposta sotto forma di opposizione) a rimanere travolta dalla declaratoria di improcedibilità;
che, dunque, contrariamente a quanto sostenuto dall'odierna ricorrente, la "logica del contraddittorio" (p. omissis del ricorso) viene adeguatamente garantita proprio assicurando al destinatario della ingiunzione la possibilità di definire in via extragiudiziaria la controversia nella fase del giudizio di merito instaurato a seguito di opposizione (la cui proposizione è soggetta a termine perentorio che, in difetto di espressa norma di legge, non viene ad essere sospeso dalla proposizione della istanza di mediazione divenendo definitivo ed irrevocabile il decreto di condanna in caso di omessa attivazione dell'opponente); omissis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento, in favore della parte costituita, delle spese di lite, liquidate in Euro 3.300,00 (di cui Euro 100 per esborsi), oltre alle spese forfetarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità. 

15 ottobre 2019

39/19. Principio di obbligatorietà dell’assistenza legale in mediazione: improcedibilità e sanzioni in caso di violazione; compatibilità col diritto Europeo (Osservatorio Mediazione Civile n. 39/2019)

=> Tribunale di Vasto, 9 aprile 2018

Il principio di obbligatorietà dell’assistenza legale nelle forme di mediazione obbligatoria sancito dal d.lgs. 28/10 è sicuramente compatibile, sotto il profilo della onerosità della procedura, con il principio comunitario della tutela giurisdizionale effettiva di cui agli artt. 6 e 13 della CEDU e art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (I) (II).

La condotta della parte che si reca personalmente al primo incontro di mediazione (nei casi di mediazione c.d. obbligatoria), rifiutandosi di farsi assistere da un avvocato e pretendendo di partecipare autonomamente agli incontri di mediazione, è illegittima perché assunta in violazione delle prescrizioni del d.lgs. 28/10. Nei casi di mediazione c.d. obbligatoria, l’assenza dell’avvocato di una o di entrambe le parti si traduce in un vizio di comparizione di uno dei soggetti necessari della procedura, che inficia la regolarità dello svolgimento della mediazione; se il rifiuto della assistenza legale proviene dalla parte istante, deve ritenersi che la condizione di procedibilità della domanda giudiziale non si sia avverata; se il rifiuto proviene dalla parte invitata, si verifica un presupposto per l’irrogazione della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 8, comma 4 bis, d.lgs. 28/2010, oltre che un fattore da cui desumere argomenti di prova, ai sensi dell’art. 116, secondo comma, c.p.c. (I) (II) (III).


(II) Per approfondimenti si veda SPINA, Mediazione, l’assistenza legale obbligatoria è compatibile con diritto europeo, Altalex, 2018.



Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 39/2019

Tribunale di Vasto
Ordinanza
9 aprile 2018
Omissis

1. Il giudizio introdotto da omissis ha ad oggetto una domanda di annullamento di un contratto finanziario per vizio del consenso e, pertanto, rientra nel novero delle controversie in materia di contratti bancari e finanziari, per le quali l’art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. n. 28/10 impone il previo esperimento del procedimento di mediazione come condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
2. Dal verbale del primo incontro di mediazione prodotto dall’attore, emerge che la banca odierna convenuta, costituitasi nel presente giudizio e ritualmente invitata a prendere parte alla mediazione, ha partecipato in videoconferenza, a mezzo di un proprio delegato, all’incontro all’uopo fissato dal mediatore, ma senza l’assistenza di un avvocato ed, anzi, espressamente rifiutandosi di farsi assistere legalmente, sebbene a ciò opportunamente invitata dal mediatore. Quest’ultimo, preso atto della impossibilità di “addivenire all’acquisizione del consenso previsto dall’art. 8 del D. Lgs. n. 28/10, nelle modalità conformi alla legge e al regolamento” (cfr. verbale dell’incontro del 06.06.2016), ha dichiarato chiuso il procedimento.
Si impone, a questo punto, la necessità di valutare, per un verso, la correttezza dell’operato del mediatore e, per altro verso, la legittimità del rifiuto opposto dalla banca a farsi assistere da un avvocato nel corso del primo incontro, al fine di adottare gli opportuni provvedimenti per la prosecuzione del giudizio. Il tema coinvolge la sottesa e dibattuta questione della necessarietà della assistenza legale in mediazione, rispetto alla quale il complessivo impianto normativo del D. Lgs. n. 28/10 non offre risposte chiare ed univoche, prestandosi ad interpretazioni contrastanti.
Da un lato, infatti, l’art. 5, comma 1 bis, del citato decreto statuisce che “chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di […] è tenuto, assistito dall’avvocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione” e l’art. 8, comma 1, prescrive che “al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato”, offrendo in tal modo un’argomentazione di carattere letterale ai sostenitori della tesi della obbligatorietà della assistenza legale delle parti in mediazione. Dall’altro lato, il successivo art. 12 stabilisce che “ove tutte le parti aderenti alla mediazione siano assistite da un avvocato, l'accordo che sia stato sottoscritto dalle parti e dagli stessi avvocati costituisce titolo esecutivo per l'espropriazione forzata, l'esecuzione per consegna e rilascio, l'esecuzione degli obblighi di fare e non fare, nonché per l'iscrizione di ipoteca giudiziale. Gli avvocati attestano e certificano la conformità dell'accordo alle norme imperative e all'ordine pubblico […]. In tutti gli altri casi l'accordo allegato al verbale è omologato, su istanza di parte, con decreto del presidente del tribunale, previo accertamento della regolarità formale e del rispetto delle norme imperative e dell'ordine pubblico”. Tale norma, regolando compiutamente sia il caso in cui le parti siano tutte assistite dall’avvocato, sia il diverso caso in cui ciò non accada, si presta ad essere interpretata nel senso che l’assistenza legale in mediazione è indispensabile solo al fine di attribuire efficacia di titolo esecutivo all’accordo raggiunto in mediazione, ma non è sempre necessaria: nell’ipotesi in cui taluna delle parti non sia assistita da un avvocato, l’accordo necessita di un decreto di omologa da parte del Presidente del Tribunale.
L’antinomia dei dati normativi innanzi esaminati esige un chiarimento interpretativo che tenti di comporre l’apparente contrasto: premesso che la formulazione letterale delle disposizioni di cui agli artt. 5, comma 1 bis e 8, comma 1, è inequivocabilmente chiara nell’imporre alle parti l’obbligo di essere assistite, per tutta la durata della procedura di mediazione, da un avvocato (cfr., in tal senso, T.A.R. Lazio, 26.01.2015, n. 1421; Trib. Torino 30.03.2016, n. 1770), l’unico plausibile significato che, ad avviso di questo giudicante, può essere attribuito al primo periodo dell’art. 12, che prefigura ipotesi di mediazioni in cui taluna delle parti non sia assistita da un avvocato, è quello per cui tale disposizione faccia riferimento ai casi di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 28/10, vale a dire alle mediazioni attivate su base volontaria, nelle quali l'esperimento del procedimento non costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
La chiave di lettura che qui si propone, per un verso, valorizza gli elementi di differenziazione delle due forme di mediazione: quella obbligatoria, in cui la previsione della assistenza legale obbligatoria è funzionalmente correlata alla necessità di fornire alle parti il supporto di una adeguata consulenza professionale per il corretto compimento di valutazioni e scelte dal cui esercizio possono derivare rilevanti conseguenze sul piano della effettività della tutela dei diritti dei soggetti protagonisti, prima fra tutte il rischio della declaratoria di improcedibilità della domanda giudiziale; e quella volontaria, il cui tratto distintivo risiede nella centralità del ruolo dell’autodeterminazione delle parti, come rimarcato anche dal considerando n. 13 della direttiva comunitaria n. 2008/52, da cui si desume che il carattere volontario della mediazione consiste non già nella libertà delle parti di ricorrere o meno a tale procedimento, bensì nel fatto che "le parti gestiscono esse stesse il procedimento e possono organizzarlo come desiderano e porvi fine in qualsiasi momento", senza l’obbligo di una previa assistenza legale, della quale le parti sono libere di decidere se avvalersi o meno.
Per altro verso, l’opzione interpretativa propugnata appare maggiormente rispettosa della ratio sottesa alla novella del D.L. 21 giugno 2013, n. 69 che, nel riformare la disciplina della mediazione, introducendo l’obbligo dell’assistenza dell’avvocato durante l’intera procedura di mediazione, ha inteso, in chiave protettiva degli interessi dei soggetti coinvolti in una controversia, attribuire una nuova centralità al ruolo del professionista forense, il cui compito è quello di accompagnare il proprio cliente nella procedura tutelando sia le sue pretese che i suoi interessi, da un lato lasciando a quest’ultimo la possibilità di partecipare attivamente nella gestione del conflitto che lo vede protagonista e, dall’altro, cercando di dissuaderlo da tutte quelle condotte elusive dell’obbligo di partecipazione effettiva alla procedura di mediazione che potrebbero avere gravi ripercussioni di tipo sanzionatorio, sia sul piano processuale che economico.
Peraltro, l’ulteriore conseguenza di tale scelta legislativa consiste nella progressiva emersione di una nuova figura professionale - quella dell’avvocato, esperto in tecniche negoziali, che “assiste” la parte nella procedura di mediazione - che si distingue dalla figura tradizionale dell’avvocato, esperto di tecniche processuali, che “rappresenta” la parte nel processo. Al professionista forense, in altri termini, è richiesta l’acquisizione di nuove competenze di tipo umano e relazionale (ad esempio, la capacità di ascoltare in modo attivo, di sapere rimanere in silenzio, la capacità di comunicare con il cliente e con le controparti e di trarre elementi dalla comunicazione verbale e non verbale, di essere empatici, nonché di comprendere gli interessi delle parti al di là delle pretese giuridiche avanzate), che si aggiungono a quelle di difesa tecnica di tipo tradizionale. Tali competenze professionali, presupponendo l’approfondimento di aspetti che vanno al di là di quelli giuridici ed appartengono alla sfera dei valori, dei sentimenti e delle emozioni che sono alla base di ogni conflitto, richiedono l’abbandono della logica avversariale e di scontro, tipica delle tecniche processuali e del negoziato di “posizioni” (ossia quello tradizionale ove ogni parte cerca di ottenere per sé il maggiore risultato possibile), per passare al negoziato di “interessi”, ove lo scopo è di intavolare un negoziato in modo collaborativo, volto a che il professionista comprenda il punto di vista dell’altra parte, per arrivare a una cooperazione con la stessa ed eventualmente al raggiungimento di un accordo condiviso ove questo sia possibile.
3. Dopo aver chiarito quali sono la ratio e la funzione della obbligatorietà della assistenza legale nelle forme di mediazione obbligatoria, è appena il caso di evidenziare come la normativa nazionale che impone l'obbligo per le parti di essere assistite da un avvocato per promuovere una procedura di mediazione non può ritenersi incompatibile con le norme di diritto comunitario.
È noto che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza n. 457 del 14.06.2017 ha stabilito che “il requisito di una procedura di mediazione come condizione di procedibilità di un ricorso giurisdizionale può rivelarsi compatibile con il principio della tutela giurisdizionale effettiva qualora tale procedura non conduca a una decisione vincolante per le parti, non comporti un ritardo sostanziale per la proposizione di un ricorso giurisdizionale, sospenda la prescrizione o la decadenza dei diritti in questione e non generi costi, ovvero generi costi non ingenti, per le parti, a patto però che la via elettronica non costituisca l'unica modalità di accesso a detta procedura di conciliazione e che sia possibile disporre provvedimenti provvisori nei casi eccezionali in cui l'urgenza della situazione lo impone”.
Tuttavia, contrariamente a quanto affermato da una recente giurisprudenza di merito (cfr. Trib. Verona, 27.02.2018) con riferimento all’istituto della negoziazione assistita, è opinione di questo giudicante che la disciplina nazionale del D. Lgs. n. 28/10 sulla mediazione obbligatoria non sia in contrasto con la penultima delle predette condizioni, dal momento che, pur non potendo prescindere dall'intervento di un difensore, il procedimento mediatorio non comporta costi ingenti per le parti.
All’uopo, deve innanzitutto precisarsi che la determinazione dei compensi di avvocato attualmente vigenti per l’attività di assistenza in mediazione deve essere effettuata, ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 e 20 del D.M. n. 55/14, sulla base dei parametri numerici di cui alla tabella n. 25, riguardante le prestazioni di assistenza stragiudiziale. Tali parametri, se confrontati con quelli fissati dalla tabella n. 2 per i giudizi ordinari e sommari di cognizione innanzi al tribunale di primo grado (generalmente applicabili in caso di instaurazione o prosecuzione del giudizio a seguito del fallimento della procedura di mediazione), sono di gran lunga inferiori a questi ultimi, attestandosi su valori che oscillano all’incirca da un terzo alla metà. A ciò aggiungasi che, facendo applicazione analogica delle disposizioni di cui all’art. 4, comma 1 del D.M. n. 55/14 (consentita dal principio generale sancito dal precedente art. 3), nella liquidazione del compenso per l’attività di assistenza legale in mediazione, il giudice può diminuire fino al 50% i valori medi di cui alla menzionata tabella, tutte le volte in cui la procedura di mediazione si sia interrotta al primo incontro o non abbia comunque condotto ad un proficuo esito conciliativo della controversia, in tal modo esercitando un potere di contenimento dei costi di assistenza difensiva che, per un verso, permette di adeguare il compenso dovuto all’avvocato alle attività da questi effettivamente svolte nel singolo caso concreto e, per altro verso, realizza l’obiettivo di ridurre i costi della procedura di mediazione, per evitare che il suo esperimento obbligatorio si traduca nella imposizione di un peso economico eccessivo a carico della parte che deve sopportarlo.
A tale fine si ispira anche la bozza di decreto ministeriale di riforma dei parametri forensi, attualmente in fase di approvazione, atteso che essa si basa sulla introduzione di valori medi di liquidazione per l'attività di assistenza nella mediazione e negoziazione assistita, prevedendo compensi distinti (ed, invero, significativamente contenuti) per ciascuna delle tre fasi (fase di attivazione, fase di negoziazione e fase di conciliazione) in cui vengono suddivise le procedure di mediazione e di negoziazione assistita obbligatorie. Tale suddivisione permetterà di circoscrivere la liquidazione dei compensi alle sole attività realmente svolte, in modo tale da limitare i costi delle procedure, soprattutto in quei casi in cui le stesse terminino con esito infruttuoso o si arrestino in una fase iniziale.
Ad ulteriore conferma della compatibilità col diritto comunitario della disciplina nazionale sulla mediazione obbligatoria, sotto lo specifico profilo della onerosità della procedura, deve aggiungersi che, per quanto concerne la posizione dei non abbienti, pur in assenza di una espressa previsione normativa, i principi e le garanzie costituzionali impongono di includere la mediazione obbligatoria fra le procedure accidentali o comunque connesse a quelle giudiziali cui l’art. 75 del D.P.R. n. 115/02 estende l’applicazione del patrocinio a spese dello Stato (cfr., in tal senso, Trib. Firenze, 13.12.2016). Questo significa che, per i soggetti in possesso dei requisiti economici per l’ammissione al beneficio del gratuito patrocinio, la liquidazione dei compensi spettanti all’avvocato per l’attività di assistenza svolta nella fase di mediazione stragiudiziale obbligatoria potrà essere effettuata a carico dell’Erario, così sollevando la parte non abbiente dall’onere di sopportarne i costi.
A quanto finora osservato occorre, da ultimo, aggiungere un’ulteriore considerazione: la valutazione in merito al carattere ingente dei costi di una procedura di A.D.R. obbligatoria deve essere condotta contemperando, da un lato, il diritto del professionista a vedere remunerata la propria attività professionale con un compenso dignitoso e proporzionato all’importanza, alla natura, alla difficoltà e al valore dell’affare, oltre che alla complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate e, dall’altro, il diritto del cliente a non farsi carico di oneri economici non adeguati alle proprie risorse economiche e ai benefici concretamente ottenuti come risultato della prestazione professionale del proprio difensore.
Nel caso in cui il procedimento di mediazione si concluda positivamente con il raggiungimento di un accordo amichevole, la parte avrà conseguito un risultato quantomeno equiparabile, sul piano della tutela dei diritti e degli interessi, a quello che avrebbe ottenuto con una soluzione giudiziale della controversia, con la differenza di aver sostenuto dei costi di gran lunga inferiori a quelli che avrebbe dovuto affrontare in caso di giudizio, com’è agevolmente riscontrabile dal confronto tra i parametri forensi per le prestazioni di assistenza stragiudiziale e quelli per le attività di rappresentanza in giudizio. Tale considerazione è già, di per sé sola, sufficiente ad escludere che i costi della procedura obbligatoria di risoluzione alternativa delle controversie che si sia conclusa con esito positivo possano essere considerati ingenti, posto che il fruttuoso esperimento della mediazione si è comunque tradotto in un vantaggioso risparmio di spesa per la parte.
Nel diverso caso in cui il procedimento di mediazione si concluda negativamente senza il raggiungimento di un accordo amichevole, il compenso dovuto all’avvocato per l’attività di assistenza legale sarà sicuramente più modesto, vuoi per la decurtazione che il giudice è legittimato ad applicare con il regime degli attuali parametri forensi, vuoi per la limitazione del compenso soltanto ad alcune fasi della procedura (nel futuro regime della riforma dei parametri forensi innanzi esaminata e di prossima approvazione). Ne consegue che, sebbene l’esito negativo della procedura comporta che i costi della stessa dovranno cumularsi con quelli del futuro giudizio, il modesto importo dei compensi professionali previsti sia dalla tabella attualmente vigente, sia da quelle di imminente entrata in vigore, è tale da far ritenere che essi assicurino un’equa remunerazione per l’attività professionale dell’avvocato e, allo stesso tempo, evitino alle parti di sopportare costi eccessivi.
Sulla scorta di tutte le riferite considerazioni, deve concludersi che il principio di obbligatorietà dell’assistenza legale nelle forme di mediazione obbligatoria sancito dal D.Lgs. n. 28/10 è sicuramente compatibile, sotto il profilo della onerosità della procedura, con il principio comunitario della tutela giurisdizionale effettiva, sancito dagli artt. 6 e 13 della CEDU e dall'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, in quanto non determina a carico delle parti, che devono sostenere il peso economico dell’attività di assistenza dei rispettivi avvocati, costi qualificabili come ingenti.
4. Venendo alla disamina delle questioni poste nel caso di specie e facendo ad esso applicazione dei principi di diritto fin qui enunciati, deve affermarsi che la condotta della parte che si reca personalmente al primo incontro di mediazione, rifiutandosi di farsi assistere da un avvocato (sebbene a ciò compulsata dal mediatore) e pretendendo di partecipare autonomamente agli incontri di mediazione, è illegittima perché assunta in violazione delle prescrizioni del D.Lgs. n. 28/10 che impongono alle parti l’obbligo di assistenza legale per tutta la durata della procedura di mediazione.
In altri termini, l’assenza dell’avvocato di una o di entrambe le parti si traduce in un vizio di comparizione di uno dei soggetti necessari della procedura, che inficia la regolarità dello svolgimento della mediazione.
Da ciò consegue che il rifiuto di farsi assistere da un avvocato, costituendo un comportamento antidoveroso assunto in violazione di un preciso obbligo di legge, espone la parte che decide di presenziare da sola alla procedura di mediazione al rischio di subire le conseguenze sanzionatorie, sia sul piano economico che processuale, previste dagli artt. 5 e 8, comma 4 bis, del D. Lgs. n. 28/10. In particolare, se il rifiuto della assistenza legale proviene dalla parte istante, deve ritenersi che la condizione di procedibilità della domanda giudiziale non si sia avverata, per la dirimente ragione che, ai fini della procedibilità, non è sufficiente esperire un procedimento di mediazione purchessia, ma è necessario rispettare tutte le condizioni di legge per un rituale e corretto svolgimento della procedura, prima tra tutte quella che impone alle parti di munirsi di un avvocato che le assista. Se, invece, il rifiuto proviene dalla parte invitata (come è accaduto nel caso di specie), lungi dal poterne dedurre l’improcedibilità della domanda giudiziale della parte istante, si verifica un presupposto per l’irrogazione – anche nel corso del giudizio – della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 8, comma 4 bis, D. Lgs. n. 28/10, oltre che un fattore da cui desumere argomenti di prova, ai sensi dell’art. 116, secondo comma, c.p.c.
5. Sulla scorta delle considerazioni innanzi espresse, va rilevato che, nel caso in esame, omissis s.p.a., nel corso del primo incontro, ha espressamente dichiarato di non volersi avvalere della assistenza di un avvocato.
In modo del tutto corretto, il mediatore, nella sua veste di soggetto istituzionalmente preposto ad esercitare funzioni di verifica e di garanzia della puntuale osservanza delle condizioni di regolare espletamento della procedura, ha dapprima invitato la parte riluttante a nominare un avvocato e, a fronte del perdurante rifiuto opposto dalla interessata, ha successivamente dichiarato chiuso il procedimento, prendendo atto della impossibilità di proseguire la mediazione nel rispetto delle condizioni imposte dalla legge.
6. Per tali motivi, visto che la parte invitata non ha correttamente partecipato - senza giustificato motivo - al procedimento di mediazione, ricorrono i presupposti per adottare, ai sensi dell’art. 8, comma 4 bis, del D. Lgs. n. 28/10, una pronuncia di condanna della stessa (che si è ritualmente costituita in giudizio) al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio. La lettera della citata disposizione, in virtù dell’uso da parte del legislatore del tempo indicativo presente, induce a ritenere obbligatoria la pronuncia di condanna in questione ogniqualvolta la parte che non ha correttamente partecipato al procedimento non fornisca una idonea giustificazione alla propria condotta.
Sulla questione della applicabilità della predetta disposizione anche in corso di causa, questo giudicante ritiene che l’irrogazione della sanzione pecuniaria prescinda del tutto dall’esito del giudizio e non sia necessariamente subordinata alla decisione del merito della controversia. Conformemente a quanto affermato da una parte della giurisprudenza di merito (cfr., Trib. Termini Imerese, 09/05/2012; Trib. Mantova, 22/12/2015), la sanzione pecuniaria in questione può, dunque, ben essere irrogata anche alla prima udienza o, comunque, in un momento temporalmente antecedente rispetto alla pronuncia del provvedimento che definisce il giudizio.
7. A prescindere dalle questioni relative alla procedura di mediazione obbligatoria, va rilevato che le parti hanno chiesto alla scorsa udienza la fissazione dei termini di cui all’art. 183, sesto comma, c.p.c. e che la richiesta deve essere accolta.
Si reputa, in ogni caso, conveniente sollecitare le parti a considerare l’opportunità e a valutare i vantaggi di una definizione transattiva della controversia, dalla quale deriverebbe la possibilità non solo di sottrarsi all’inevitabile incertezza dell’esito del giudizio, ma anche di pervenire ad una immediata definizione della lite, evitando il prevedibile prolungamento dei tempi del processo e l’ulteriore aggravio di spese processuali.

PQM

Disattesa ogni diversa richiesta, così provvede: condanna la parte convenuta omissis s.p.a. al versamento, in favore dell’Erario, della somma di € 237,00, pari all’importo del contributo unificato dovuto per il presente giudizio, in conseguenza della ingiustificata mancata partecipazione al procedimento obbligatorio di mediazione; assegna alle parti i seguenti termini perentori, decorrenti dal 16/04/2018: a) termine di trenta giorni, per il deposito di memorie limitate alle sole precisazioni o modificazioni delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni già proposte; b) termine di ulteriori trenta giorni, decorrente dalla scadenza del termine sub a), per replicare alle domande ed eccezioni nuove, o modificate dall’altra parte, per proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande e delle eccezioni medesime e per l’indicazione dei mezzi di prova e delle produzioni documentali; c) termine di ulteriori venti giorni, decorrente dalla scadenza del termine sub b), per le sole indicazioni di prove contrarie; assegna alle parti termine di ulteriori dieci giorni, decorrente dalla scadenza del termine sub c), per depositare in cancelleria note contenenti una specifica proposta di definizione conciliativa della lite, da sottoporre all’esame della controparte; invita le parti, per la prossima udienza, a prendere precisa posizione sulla proposta e ad esplicitare le ragioni di un eventuale rifiuto, di cui il Giudice terrà conto ai fini della condanna alle spese, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., come modificato dall’art. 45, comma 10, legge 18 giugno 2009, n. 69; rinvia la causa all’udienza omissis, per la verifica delle condizioni di una possibile conciliazione o, in difetto, per la discussione orale sull’ammissione dei mezzi istruttori e per l’adozione dei provvedimenti per l’ulteriore impulso del processo. Manda alla Cancelleria per la comunicazione della presente ordinanza alle parti.

Vasto, 9 aprile 2018.
IL GIUDICE
dott. Fabrizio Pasquale

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità. 

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