=> Corte dei Conti, Sez. giurisd. per la Sicilia, 23 luglio 2013, n. 2719
Ai fini della verifica
dal parte della Corte dei conti se un
accordo conciliativo concluso a seguito di procedimento di mediazione sia
nel suo complesso congruo va osservato che: a. è irrilevante la
circostanza che la mediazione sia stata attivata pur non essendo
obbligatoria; b. non appare
censurabile, né frutto di scriteriatezza, la scelta dell’amministrazione di
giungere – nella specie - ad una soluzione transattiva; c. nella specie
era anzi evidente la necessità di addivenire ad una rapida conclusione della
vicenda sia per evitare i maggiori costi relativi al contenzioso civile
(basti pensare all’aggravio per spese legali e di consulenze tecniche), sia per
rimediare al notevole danno di immagine subito dalla p.a. a causa del
clamore mediatico suscitato dalla particolarità della vicenda.
Fattispecie: caso
di condanna penale dei medici e dell’azienda
ospedaliera a seguito della quale gli
eredi della paziente accettavano a titolo di provvisionale la somma di €
200.000,00 offerta dal nosocomio, il quale formulava domanda di mediazione al fine di pervenire ad un componimento bonario della vertenza cui
giungevano (in seguito a un ripetuto procedimento di mediazione) tutti coloro
che erano stati coinvolti nel decesso della paziente, con eccezione di uno dei medici, riconoscendo un danno complessivo
di € 834.424,00, di cui la somma di €
24.000,00, pari alla quota del suddetto sanitario, veniva corrisposta
dall’azienda ospedaliera.
Innanzi alla corte dei Conti il medesimo medico
veniva quindi convenuto per danno erariale. La difesa del
convenuto si incentrava essenzialmente sull’assenza di nesso causale tra la
condotta illecita contestata e l’evento dannoso, consistito nella stipulazione
“di una transazione atipica ed irragionevole” tra l’Azienda e gli eredi della paziente.
La Corte dei Conti, in accoglimento
della domanda della Procura Regionale, condanna il medico convenuto a
pagare a favore dall’Azienda Ospedaliera la somma di € 24.000,00.
Fonte: Osservatorio
Mediazione Civile n. 4/2014
Corte dei conti
Sezione giurisdizionale per la Sicilia
23 luglio 2013
Sentenza n. 2719
dott. Luciano PAGLIARO - Presidente -
dott. Giuseppe COLAVECCHIO - Consigliere relatore -
dott.ssa Igina MAIO - Referendario -
ha pronunciato la seguente
Sentenza 2719/2013
nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 60901
del registro di segreteria, promosso dalla Procura Regionale nei confronti di
G.C., nato a ---, il ---, rappresentato e difeso dall’avv. --- e dall’avv. ---,
giusta procura in calce alla comparsa di costituzione ed elettivamente
domiciliato presso lo studio ---
Visto l’atto di citazione.
Letti gli atti ed i documenti di causa.
Uditi, nella pubblica udienza del 26.06.2013, il
relatore cons. Giuseppe Colavecchio, il pubblico ministero dott. Alessandro
Sperandeo, sostituto procuratore generale e gli avv.ti Rosalba Basile e
Domenico Cantavenera per il convenuto.
Ritenuto in
FATTO
La Procura Regionale, con atto di citazione
depositato in segreteria in data 21.02.2013 e ritualmente notificato, chiamava
in giudizio il dott. C. per essere condannato al pagamento della somma di €
24.000,00, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali, a titolo di danno
erariale patito dall’Azienda Ospedaliera ---.
L’organo requirente riferiva che i medici --- erano
stati rinviati a giudizio “per il reato di cui agli artt. 113 e 589 c.p., per
avere nelle rispettive qualità di sanitari operanti presso l’IMI di Palermo,
reparto di ginecologia ed ostetricia, in cooperazione colposa tra loro, per
colpa consistita in imprudenza, imperizia, negligenza, ed in particolare per
non avere adottato, anche in virtù della natura specialistica del reparto,
dall’ingresso avvenuto il 15.04.2004 alle ore 22,00 fino alla morte avvenuta in
data 18.04.2004 alle ore 16,00, in ordine alla situazione clinica di ---, le
misure di natura diagnostica e terapeutica atte a fronteggiare la patologia in
atto di sindrome da iperstimolazione ovarica, così cagionando la morte della
predetta”; aggiungeva che i medici --- erano stati rinviati a giudizio anche
per il reato di cui agli artt. 110, 61 n. 2, 48, 476 cpv c.p., per avere
indotto --- a falsificare la cartella clinica al fine di occultare o comunque
assicurarsi l’impunità del reato di cui all’art. 589 c.p., nonché per il reato
di cui agli artt. 624 e 625 n. 7 c.p., per avere indotto terzi, non
identificati, “a sottrarre la fustella relativa al flacone di albumina
asseritamente riportato in cartella clinica come somministrato nel pomeriggio
del 16.04.2004 ed in realtà appartenente ad altro flacone di albumina di fatto
non somministrato alla paziente ---”.
Il Tribunale di Palermo, con sentenza n. 5024/2010,
condannava i predetti medici - con eccezione di --- che assolveva - per i reati
loro ascritti e, dopo avere condiviso le conclusioni dei consulenti tecnici che
avevano ritenuto gravemente censurabile la condotta degli stessi “con sicuro ed
ininterrotto nesso causale con il decesso dell’---”, riscontrava “una
gravissima violazione dei doveri professionali e deontologici realizzata con le
gravi omissioni singolarmente accertate, che si sono risolte nel sostanziale
stato di abbandono in cui è stata lasciata la sig.ra --- lungo il corso della
sua degenza”.
A seguito della citata sentenza, gli eredi della
sig.ra --- accettavano a titolo di provvisionale la somma di € 200.000,00
offerta dal nosocomio con nota prot. n. 1045 del 29.10.2010; quest’ultimo, in
data 20.07.2011, formulava anche domanda di mediazione presso il Concilium
A.D.R. al fine di pervenire ad un componimento bonario della vertenza.
Tutti coloro che erano stati coinvolti nel decesso
della paziente, con eccezione del dott. C., sottoscrivevano in data 04.07.2012
l’accordo transattivo, riconoscendo un danno complessivo di € 834.424,00; la
società Cattolica Assicurazione metteva a disposizione il massimale di €
515.424,00; la differenza era sborsata dai medici --- che corrispondevano
ciascuno € 55.000,00, mentre il dott. --- versava € 20.000,00; la rimanente
somma di € 24.000,00, pari alla quota del dott. C., era corrisposta
dall’azienda ospedaliera.
Tale esborso veniva considerato dall’attore
pubblico danno erariale da attribuire al dott. C. che in qualità “di primario
di un reparto ospedaliero è il primo responsabile del corretto ed efficiente
funzionamento della struttura dallo stesso diretta. Ciò comporta un preciso
obbligo di controllo e informazione sullo stato di salute di tutti i pazienti
ricoverati ed, in particolare, di quelli in condizioni gravi o critiche, al fine
di disporre tutte le misure necessarie a garantire, tramite il coordinamento
del personale sanitario assegnato al reparto, la migliore assistenza
possibile”. Lo stesso, invece, ometteva deliberatamente di occuparsi della
paziente e di informarsi sulle condizioni di salute e sulle terapie applicate.
Il dott. C., nella memoria depositata in data
06.06.2013, chiedeva in via principale il rigetto della domanda attorea e, in
via subordinata, la riduzione dell’addebito.
La difesa del convenuto si incentrava
essenzialmente sull’assenza di nesso causale tra la condotta illecita
contestata e l’evento dannoso, consistito nella stipulazione “di una
transazione atipica ed irragionevole” tra l’Azienda e gli eredi della sig.ra ---,
liquidando una somma che risarciva “il massimo del danno iure proprio agli
stessi spettante e il massimo del danno iure hereditatis agli stessi non
spettante (c.d. danno tanatologico), in assenza di un giudizio civile per la
determinazione dei danni, cui la sentenza penale del Tribunale di Palermo n.
5024/2010 acutamente aveva espressamente rinviato … e in difetto di una
preliminare individuazione e valutazione ad opera di un tecnico e di un legale
dei danni risarcibili agli eredi, sia iure proprio che iure hereditatis”.
In particolare, sosteneva che era da escludere il
danno tanatologico, riconducibile nell’alveo del danno morale, quale
conseguenza della sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche
che, rimasta lucida durante l’agonia, sia deceduta dopo breve tempo; la sig.ra ---,
secondo la prospettiva difensiva, corroborata dalla perizia di parte della
dott.ssa ---, vedeva aggravarsi le proprie condizioni alle ore 14.25 del 18
aprile 2004 e, dopo la sedazione e le cure del caso, decedeva poco dopo alle
ore 16.00, non potendo percepire l’angosciosa consapevolezza della fine
imminente; ciò escludeva che agli eredi (---) potesse essere riconosciuto iure
hereditario tale voce di danno.
La difesa, inoltre, contestava la quantificazione
dei danni morali corrisposti iure proprio ai citati eredi; il danno non
patrimoniale avrebbe dovuto essere determinato, infatti, in una frazione -
stimabile tra 1/4 e la metà - di un ipotetico danno biologico tabellare della
sig.ra --- (tra un minimo di € 196.058,30 e un massimo di € 294.087,46, tenuto
conto delle tabelle in uso presso il Tribunale di Palermo nel periodo
2006/2007), assunto unicamente come parametro di riferimento del danno
risarcibile; ne conseguiva che il danno risarcibile di ciascun erede avrebbe
dovuto essere quantificato tra un minimo di € 49.041,57 e un massimo di €
147.043,73, per un totale complessivo oscillante tra € 200.000,00 ed €
600.000,00, con una valore mediano di € 400.000,00, pari alla prima proposta
transattiva formulata dall’Azienda con la delibera n. 1101 del 20.12.2010 e,
poi, inopinatamente abbandonata.
Inoltre, si soffermava sulla celerità e sulle
anomalie procedurali del procedimento con il quale l’Azienda era giunta alla
definizione dell’accordo transattivo con gli eredi, proponendo dapprima una
domanda di mediazione, con una conclusione negativa presso, il Concilium
A.D.R., anteriormente al deposito delle motivazioni della sentenza del
Tribunale di Palermo, in una fattispecie nella quale, ai sensi dell’art. 5 del
decreto legislativo n. 28/2010, era espressamente esclusa l’obbligatorietà del
tentativo di mediazione; poi, con un nuovo tentativo - proposto in pendenza del
giudizio di appello - conclusosi positivamente con l’accordo del 04.07.2012,
senza alcuna previa comunicazione dell’apertura di tale ulteriore procedimento.
Il convenuto, quindi, sosteneva che le gravi
negligenze a lui addebitate dall’organo requirente “in relazione alle cure
prestate (o meglio non prestate) alla paziente tragicamente deceduta” ai fini
della configurazione della responsabilità amministrativa non potevano
costituire la condotta determinante, in termini causali, del danno che era,
invece, conseguenza di una transazione conclusa senza un’adeguata valutazione
della congruità delle somme offerte agli eredi che, se si fosse correttamente
operato, avrebbero potuto essere interamente coperte dalla compagnia di
assicurazione.
Considerato in
DIRITTO
Preliminarmente, deve darsi atto che il prof. C.
non contesta che la condotta a lui addebitata nell’atto di citazione sia
concausa del decesso della sig.ra ---, come inequivocabilmente, del resto, si
evince dalla lettura della sentenza n. 5024/2010 del Tribunale di Palermo,
nonché dalla consulenza tecnica espletata nel giudizio penale, e dalle
dichiarazioni testimoniali agli atti; ne consegue che sul punto trova
applicazione il disposto dell’art. 115, comma 1, c.p.c. secondo il quale il
giudice deve porre a fondamento della decisione, oltre alle prove offerte,
anche “i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita”.
Nella presente fattispecie è addebitato al
convenuto un danno indiretto, derivante da un accordo transattivo stipulato tra
gli eredi della sig.ra --- e tutti i soggetti coinvolti nel procedimento
penale, nonché con l’intervento della compagnia di assicurazione dall’azienda
sanitaria e della azienda stessa.
Il convenuto sostiene che la quantificazione dei
danni liquidati ai citati eredi in misura pari a € 834.424,00 sia stata
esorbitante rispetto a quanto si sarebbe potuto ottenere all’esito di un
ordinario giudizio civile; tale somma, infatti, avrebbe potuto oscillare tra un
minimo di € 200.000,00 e un massimo di € 600.00,00, con un valore medio di €
400.000,00, con integrale copertura da parte della compagnia assicurativa; per
tale motivo contesta che il danno a lui addebitato di € 24.000,00, pari alla
quota sborsata dall’Azienda ospedaliera per la sua mancata partecipazione
all’accordo transattivo, possa ritenersi in nesso causale con la sua condotta.
La tesi difensiva non è in alcun modo
condivisibile.
Innanzitutto, la stipula della transazione del
04.07.2012, preceduta dalla delibera n. 757 del 20.06.2012 di approvazione
dell’accordo di massima sottoscritto il 29.05.2012 presso la sede del Concilium
A.D.R. di Palermo, organismo di mediazione, è frutto - contrariamente a quanto
opinato dal convenuto - di una lunga trattativa, iniziata a seguito di plurime
diffide inviate dal legale degli eredi della sig.ra ---, come si legge nella
nota prot. n. 14071 del 16.10.2012 e come risulta dai documenti ivi allegati;
in tale trattativa sono stati coinvolti il prof. ---ai fini della valutazione
della responsabilità dell’Azienda ospedaliera, il direttore generale, il
responsabile dell’ufficio legale e il responsabile dell’unità di medicina
legale, appositamente convocati dall’assessore regionale alla Sanità; il primo
procedimento di mediazione n. 85/2011 si è concluso negativamente perché nel
termine di legge non è giunta la composizione della controversia, mentre ha
avuto buon esito - dopo ulteriori trattative - il secondo procedimento n.
307/2012 (l’attivazione di tale procedimento è stata comunicata al prof. C.
mediante email inviata al legale di sua fiducia; deve, comunque, mettersi in
luce che il predetto non aveva mai mostrato alcun interesse alla trattativa,
tanto da non partecipare al primo procedimento e, pertanto, non si comprende -
in questa sede - la doglianza circa la sua mancata partecipazione).
Evidente era la necessità di addivenire ad una
rapida conclusione della vicenda sia per evitare i maggiori costi relativi al
contenzioso civile (basti pensare all’aggravio per spese legali e di consulenze
tecniche), sia per rimediare al notevole danno di immagine subito dall’Azienda
a causa del clamore mediatico suscitato dalla particolarità della vicenda (si
leggano gli articoli di stampa in atti); ciò ha indotto l’amministrazione,
nell’addivenire alla transazione, ad assumere a proprio carico la somma di €
24.000,00, pari alla quota di danno attribuibile all’odierno convenuto.
Irrilevante è, poi, la circostanza che la
mediazione sia stata attivata pur non essendo obbligatoria giacché non appare
censurabile, né frutto di scriteriatezza la scelta dell’amministrazione,
unitamente a quella degli altri medici coinvolti, di giungere ad una soluzione
transattiva.
Il Collegio, ora, è chiamato a verificare se
l’accordo transattivo sulla quantificazione del risarcimento da versare agli
eredi sia nel suo complesso congruo o se, invece, sia conseguenza di scelte
illogiche, contra legem o abnormi che abbiano comportato liquidazione di poste
di danno non dovute, come sostenuto dalla difesa, con la conseguenza che la
somma di € 24.000,00, considerata illecito erariale per il pubblico ministero,
debba rimanere a carico dell’amministrazione stessa.
Innanzitutto una premessa è necessaria: il
risarcimento del danno agli eredi della sig.ra --- è conseguenza diretta ed
immediata di una condotta gravemente colposa attribuibile all’odierno convenuto
in concorso con altri medici; non vi era, poi, alcun obbligo da parte della
struttura sanitaria di procedere alla stipula di un contratto di assicurazione.
Ciò posto, il dott. C. sostiene che agli eredi non
poteva essere liquidato iure hereditatis il danno tanatalogico perché il
decesso della sig.ra --- è avvenuto in un lasso temporale molto breve e senza
che la stessa percepisse l’angosciosa consapevolezza della fine imminente.
La Corte di cassazione (ex multis sezione lavoro n.
13672/2010) ha sancito che “in caso di morte che segua le lesioni fisiche dopo
breve tempo, il danno c.d. tanatologico, consistente nella sofferenza patita
dalla vittima che sia rimasta lucida durante l’agonia, in consapevole attesa
della fine, dev’essere ricondotto nella dimensione del danno morale, inteso
nella sua più ampia accezione, ed il diritto al relativo risarcimento è
trasmissibile agli eredi. (Nella specie, avente ad oggetto il decesso
conseguente ad un infortunio sul lavoro causato dal crollo di un muro, la S.C.
ha cassato la pronuncia della corte di merito che aveva ritenuto che l’ambito
temporale estremamente circoscritto dei fatti rendesse irrilevante
l’accertamento sull’esistenza in vita del lavoratore al momento dell’estrazione
dalle macerie e sulla sua richiesta di aiuto)”.
Ebbene, dall’esame degli atti di causa, in
particolare la perizia del prof. --- e
del prof. ---, si evince che la sig.ra --- non può non avere avuto
consapevolezza dell’aggravarsi delle sue condizioni di salute e della fine
imminente; basti pensare che la stessa, prima che la crisi respiratoria
prendesse il sopravvento provocandone il decesso (il medico di guardia è
arrivato alle ore 14,25), accusava dispnea, cianosi distrettuale, tachicardia
(130 b/min), tachipnea (inoltre all’auscultazione si repertavano fischi, sibili
e rantoli su tutto l’apparato polmonare, tanto da procedere inizialmente con la
somministrazione di Bentelan); l’aggravarsi della situazione clinica
consigliava il trasporto in sala operatoria ove veniva somministrato ossigeno
in maschera e solo successivamente veniva sottoposta ad intubazione
oro-tracheale, ventilazione assistita e rianimazione; il decesso avveniva alle
ore 16.00. Dalla documentazione agli atti, in particolare la predetta perizia,
non risulta in alcun modo che la sig.ra ---abbia perso immediatamente
conoscenza poco dopo le 14.25.
Per quanto riguarda, poi, il danno iure proprio
degli eredi la quantificazione avviene tra una forbice minima e massima giacché
deve tenersi conto, tra i diversi parametri, anche del tipo di legame intercorrente
con il de cuius; tenuto conto che gli eredi della sig.ra --- sono il marito, i
genitori e i fratelli, appare plausibile che la quantificazione del danno
morale sia avvenuta in corrispondenza del valore massimo.
Deve, poi, ricordarsi che la transazione è frutto
di reciproche concessioni tra le parti; gli eredi, inizialmente, avevano
chiesto somme ben maggiori: il marito € 1.100.000,00 e gli altri congiunti €
500.000,00 ciascuno (ovviamente tali consistenti importi avrebbero dovuto
essere oggetto di rigorosa prova nel giudizio civile e non sono stati presi in
considerazione nella transazione); l’Azienda aveva offerto la somma di
complessiva di € 400.000,00, per poi giungere alla cifra di € 834.424,00,
ripartita tra tutti i soggetti coinvolti.
Aggiungasi che parte convenuta, nel ritenere
eccessivo il risarcimento accordato agli eredi a titolo di danno morale iure
proprio e iure hereditatis, non ha in alcun modo tenuto conto di ulteriori voci
di danno che questi ultimi avevano chiesto e che avrebbero potuto formare
oggetto di contenzioso: il danno patrimoniale subito dal marito a causa della
perdita della potenziale capacità lavorativa della moglie di anni 32; quello
connesso allo stato di gravidanza (come risulta dalla perizia del prof. --- e
del prof. ---), frutto di apposta proceduta di inseminazione presso il centro
SISMER di Bologna, ecc…
Il Collegio tenuto conto che il risarcimento dei
danni patrimoniali e morali agli eredi di un congiunto deceduto è frutto di
stratificazioni giurisprudenziali, nonché di un giudizio prognostico circa
l’esito di un lungo contenzioso civile che avrebbe comportato aggravio di costi
per spese legali, consulenze tecniche, oneri accessori, ritiene congruo
l’importo liquidato a seguito della stipula della transazione, non ritenendolo
frutto di scelte incongrue o contra legem.
Non vi sono i presupposti per l’esercizio del
potere riduttivo di cui all’art. 52, comma 2, del regio decreto 12 luglio 1934,
n. 1214, e all’art. 83 del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440, per la
gravità della condotta del prof. C.; questi, primario del reparto di
ginecologia e ostetricia, si è disinteressato del tutto del ricovero della
paziente e dopo il decesso non solo ha falsificato la cartella clinica tramite
la dott.ssa Rizzo, ma ha anche istigato un infermiere, rimasto sconosciuto, a
far sparire un flacone di albumina, e ciò per tentare di celare la sua grave
condotta omissiva.
Alla luce di quanto argomentato, ritenuta
sussistente la responsabilità per danno erariale, il Collegio condanna il prof.
C. a pagare a favore dall’Azienda Ospedaliera --- la somma di € 24.000,00, con
rivalutazione monetaria, da calcolarsi secondo gli indici i.s.t.a.t.,
dall’esborso e fino al giorno del deposito della presenta sentenza, nonché con
gli interessi legali sulla somma così rivalutata dal predetto deposito al
soddisfo.
Le spese di causa seguono, liquidate come da
dispositivo a favore dello Stato, la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dei Conti - Sezione Giurisdizionale per la
Regione Siciliana - definitivamente pronunciando, respinta ogni altra contraria
istanza, deduzione ed eccezione, in accoglimento della domanda della Procura
Regionale, condanna il sig. il prof. C. a pagare a favore dall’Azienda
Ospedaliera --- la somma di € 24.000,00, con rivalutazione monetaria, da
calcolarsi secondo gli indici i.s.t.a.t., dall’esborso e fino al giorno del
deposito della presenta sentenza, nonché con gli interessi legali sulla somma
così rivalutata dal predetto deposito al soddisfo; pone, altresì, a carico del
convenuto le spese di giudizio che vengono liquidate a favore dello Stato e
quantificate in € 245,14.
Così deciso in Palermo, nella camera di consiglio
del 26 giugno 2013.
L’ Estensore Il Presidente
F.to Dott. Giuseppe Colavecchio F.to Dott. Luciano
Pagliaro
Depositata oggi in Segreteria nei modi di legge.
Palermo, 23 luglio 2013
Il Direttore della Segreteria
F.to Dr.ssa Rita Casamichele
AVVISO. Il
testo riportato non riveste carattere di ufficialità.