DIRITTO D'AUTORE


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31 maggio 2019

26/19. Autonoma transazione nel termine assegnato per la mediazione: sì. Improcedibilità dell’opposizione: decreto ingiuntivo definitivo e irrevocabile (Osservatorio Mediazione Civile n. 26/2019)

=> Tribunale di Verona, 14 febbraio 2019

Inviate le parti in mediazione il giudice può, salva la autonomia dell’organismo di mediazione, ipotizzare una soluzione alla controversia, ribadendo esplicitamente che resta altresì ferma la facoltà per le parti di conciliare o transigere in termini diversi da quelli proposti dal mediatore, ovvero di tentare autonoma transazione, nel termine concesso per esordire la mediazione.

Il mancato avvio del procedimento mediatorio comporta l’improcedibilità definitiva dell’opposizione (art. 5, d.lgs. 28/2010) con la conseguenza che, in caso di detta improcedibilità definitiva dell’opposizione, il decreto ingiuntivo diventerà definitivo ed irrevocabile (I).


Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 26/2019

Tribunale di Verona
Ordinanza
14 febbraio 2019

Omissis

Rilevato che deve concedersi provvisoria esecuzione;
rilevato, infatti, come il parametro che deve essere adottato in questa sede, al fine di concedere o non concedere la provvisoria esecuzione, è quello della liquidità della opposizione stessa, cioè della presenza o meno di prova scritta o di pronta soluzione;
rilevato che tale prova manca, nel caso di specie, tenuto conto della assenza di denunce scritte in ordine ai vizi, tenuto conto della contestazione di parte opposta in ordine alla sussistenza di una prassi di denunce soltanto orali e tenuto conto della circostanza che non è stata pagata (circostanza pacifica) neppure una parte del credito azionato in monitorio, pur a fronte della pacifica sussistenza del titolo giuridico e della consegna della merce; peraltro la fotografia di cui al doc. 3 di parte opponente appare prima facie ed in questa fase non sufficiente a dimostrare i vizi prospettati in atto di citazione; pertanto, le argomentazioni di parte opponente andranno meglio risolte con la sentenza finale, dovendosi ora concedere provvisoria esecuzione; rilevato che può offrirsi alle parti la facoltà di godere di tentativo di mediazione, sia per favorire un componimento della vicenda sia per una eventuale soluzione generale delle questioni correnti fra le parti;
rilevato che, salva la autonomia dell’organismo di mediazione, potrebbe ipotizzarsi la seguente soluzione: a) pagamento di parte opponente in favore di parte opposta, purché effettivo e certo, di una percentuale della somma di cui al decreto ingiuntivo, con regolamentazione equa delle spese legali; b) rinuncia della parte opposta a qualsivoglia pretesa nei confronti di parte opponente, in relazione alle fatture azionate in via monitoria e rinuncia altresì a far valere il decreto ingiuntivo; c) rinuncia della parte opponente a qualsivoglia domanda ed anche ad eventuale domanda riconvenzionale; rinuncia dei difensori alla solidarietà professionale; e) il pagamento dell’opponente quale condizione della stessa accettazione, a pena della inefficacia della accettazione della parte opponente alla ipotesi conciliativa; rilevato che la parte opposta, pur di fronte alla riduzione della propria pretesa, potrebbe trovare conveniente accettare la proposta, che le garantirebbe pronta liquidità, evitando costi e rischi della esecuzione;
rilevato come parte opponente ben potrebbe trarre vantaggio dalla rilevante diminuzione dell’esborso, anche tenendo conto delle spese legali e di possibili condanne ai sensi dell’art.96 c.p.c., compresa l’ipotesi di cui al terzo comma.

Concede la provvisoria esecutorietà al decreto opposto.

Dispone che la parte più diligente avvii la mediazione, entro trenta giorni (30 gg) da oggi. presso apposito ed autorizzato organismo di mediazione.
Avvisa le parti che il mancato avvio del procedimento mediatorio comporterà la improcedibilità definitiva di questa opposizione.
Avvisa che, in caso di improcedibilità definitiva della opposizione, il decreto ingiuntivo diventerà definitivo ed irrevocabile.
Avvisa che, in caso di improcedibilità definitiva della opposizione, le spese della opposizione stessa resteranno regolate dalle norme di legge (art. 310 ultimo comma c.p.c.) con riferimento alle spese della opposizione (le spese del monitorio resteranno definitivamente fissate in decreto).
Autorizza le parti o anche solo una di esse, dopo il termine di trenta giorni, per il caso in cui non sia stata avviata la mediazione, a richiedere al giudice una fissazione anticipata di udienza, al fine di constatare la improcedibilità definitiva; la udienza sarà fissata prima di quella di cui in appresso.
Ferma la provvisoria esecutività, anche durante i termini per mediazione.
Ferma la facoltà per le parti di conciliare o transigere in termini diversi da quelli proposti dal mediatore, ovvero di tentare autonoma transazione, nel termine di trenta giorni, concesso per esordire la mediazione.

Rinvia al ---, con udienza che avrà ancora con valore di prima udienza (prima udienza differita a tale data, dopo mediazione); ivi saranno assegnati i termini di cui all’art.183 cpc, qualora le parti vi insistano o li richiedano.

Letto alle parti in udienza.
Il giudice Francesco Bartolotti

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

24 maggio 2019

25/19. Procedibilità: basta che i fatti a fondamento della domanda siano gli stessi di quelli descritti nell’istanza di mediazione; non è richiesta l'indicazione degli elementi di diritto (Osservatorio Mediazione Civile n. 25/2019)

=> Tribunale di Pordenone, 18 febbraio 2019

Deve ritenersi sufficiente, al fine di ritenere soddisfatto il requisito di procedibilità, che i fatti posti a fondamento della domanda siano gli stessi di quelli descritti nell’istanza di mediazione, a nulla rilevando l'esatta qualificazione giuridica della vicenda, operazione riservata al successivo giudizio di merito. Ed invero, l'art. 4, d.lgs. 28/2010 richiede che siano indicate le “ragioni della pretesa”, con ciò riferendosi evidentemente ai fatti oggetto della pretesa (trattandosi di un procedimento anteriore al giudizio), in cui la ragione della pretesa deve intendersi quella della verificazione di un accadimento ingiusto. Si consideri, invero, che l'istanza di mediazione non richiede anche l'indicazione degli "elementi di diritto", come avviene invece per la citazione, ex art. 163 c.p.c. (I).


Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 25/2019

Tribunale di Pordenone
Sentenza
18 febbraio 2019

Omissis

Con atto di citazione ritualmente notificato, il sig. X conveniva in giudizio il sig. Y, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni nella misura di 36.090,00, o nella diversa somma ritenuta di giustizia, a titolo di riduzione del prezzo ex art. 1480 c.c., in conseguenza dell' allegata vendita di cosa in parte altrui ovvero, in subordine, per violazione dei doveri di buona fede e correttezza ex art. 1337 c.c., anche ai sensi dell' art. 1440 c.c., oltre al rimborso degli interessi sulla differenza fra il prezzo pagato per l' immobile e quello ridotto.
Il convenuto si costituiva in giudizio, contestando le domande attoree e chiedendone il rigetto, con contestuale istanza di autorizzazione alla chiamata in causa del Notaio dott. ---, nei cui confronti proponeva domanda di manleva.
Il terzo chiamato si costituiva in giudizio, contestando le domande proposte nei suoi confronti e chiedendone il rigetto e, in subordine, la riduzione proporzionale del risarcimento del danno ex art. 1227, 1 comma, c.c.
La causa è stata istruita in via documentale, mediante assunzione di prova per testi e con disposizione di consulenza tecnica d'ufficio e, intervenuto nelle more del giudizio il mutamento del Giudice assegnatario, è stata trattenuta in decisione sulle conclusioni riportate in epigrafe, previa assegnazione dei termini ordinari ex art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e di replica.
Va preliminarmente respinta l'eccezione di improcedibilità sollevata dal convenuto per l'asserita mancanza del procedimento di mediazione obbligatorio prima del giudizio.
L'attore ha infatti ritualmente esperito il procedimento dinanzi all'Organismo di Mediazione di Pordenone (doc. 5 di parte attrice). Parte convenuta afferma che in sede di mediazione X ha fatto riferimento solo alla domanda di risoluzione del contratto e non anche alla domanda di riduzione del prezzo azionata nel presente giudizio (v. comparsa di risposta, pag. 3 ).
Orbene, premesso che il convenuto, il quale ha sollevato l'eccezione, non ha fornito alcun elemento da cui emerga quale fosse l' oggetto dell' invito alla mediazione e che dal verbale di mediazione (doc. 5 cit., unico documento versato in atti) non risulta la descrizione dei fatti, pur dando per provato quanto affermato dal convenuto, deve ritenersi sufficiente, al fine di ritenere soddisfatto il requisito di procedibilità, che i fatti posti a fondamento della domanda siano gli stessi, a nulla rilevando l'esatta qualificazione giuridica della vicenda, operazione riservata al successivo giudizio di merito. Ed invero, l'art. 4, d. lgs. 28/2010 richiede che siano indicate le "ragioni della pretesa", con ciò riferendosi evidentemente ai fatti oggetto della pretesa (trattandosi di un procedimento anteriore al giudizio), in cui la ragione della pretesa deve intendersi quella della verificazione di un accadimento ingiusto. Si consideri, invero, che l'istanza di mediazione non richiede anche l'indicazione degli "elementi di diritto", come avviene invece per la citazione, ex art. 163 c.p.c.
Nella fattispecie in esame, secondo quanto allegato in comparsa di risposta dal convenuto, la divergenza lamentata consisterebbe soltanto nell' indicazione, in sede di mediazione, della domanda di risoluzione del contratto anziché di quella di riduzione del prezzo, non avendo il convenuto contestato espressamente che la mediazione abbia avuto ad oggetto fatti diversi' rispetto a quelli oggetto dell' odierno giudizio.
Nel merito, le domande attoree sono in parte fondate e vanno pertanto solo in parte accolte.
La domanda proposta in via principale è relativa all' allegata vendita, da parte del convenuto, di un bene di proprietà parzialmente altrui (art. 1480 c.c.). omissis
Profili di reciproca soccombenza giustificano la compensazione delle spese di lite tra parte attrice e parte convenuta, a carico dei quali vanno altresì definitivamente poste, pro quota (50% ciascuno) le spese di CTU, mentre le spese di lite relative al terzo chiamato vanno poste a carico del convenuto soccombente che ne ha chiesto la chiamata in causa, liquidate come in dispositivo, in base al DM 55/2014 e successive modifiche, scaglione di riferimento, applicate le aliquote medie ridotte ex art. 4 DM cit. in ragione dell' attività svolta e del concreto grado di complessità della controversia.

PQM

Definitivamente pronunciando nella causa omissis, ogni diversa domanda, istanza, eccezione e deduzione disattesa o assorbita, così provvede: accoglie in parte le domande attoree e, per l'effetto, condanna parte convenuta Y al pagamento, in favore di parte attrice X, della somma complessiva di euro 17.744, 25, oltre interessi legali dalla domanda al saldo; rigetta la domanda di manleva proposta dal convenuto nei confronti del terzo chiamato; compensa tra parte attrice e parte convenuta le spese di lite, ponendo definitivamente le spese di c.t.u. pro quota a carico di entrambe le parti, salva la solidarietà verso il CTU; condanna parte convenuta Y al pagamento, in favore del terzo chiamato ---, delle spese di lite che liquida in complessivi euro 3.972, 00 per compensi, oltre spese forfettarie, i.v.a. e c.p.a. come per legge.

Pordenone, 18/02/2019.
Il Giudice dr. Piero Leanza

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

19 maggio 2019

24/19. Leasing immobiliare con finalità di finanziamento e stipulato con una banca: mediazione c.d. obbligatoria? (Osservatorio Mediazione Civile n. 24/2019)

=> Cassazione civile, 12 giugno 2018, n. 15200

In tema di mediazione c.d. obbligatoria, non può essere condivisa la ricostruzione per cui sussiste la condizione di procedibilità relativa all'esperimento della mediazione, in relazione alle ipotesi alternative dei contratti bancari e finanziari, in caso di contratto stipulato con una banca e con la finalità di finanziamento, coessenziale al leasing immobiliare. Difatti il riferimento di cui all’art. 5, comma 1-bis, d.lgs. n. 28 del 2010 è ai contratti bancari, e non, più generalmente, ai contratti stipulati con un istituto di credito, così come ai contratti finanziari, e non, più generalmente, a contratti con finalità di finanziamento, anche in chiave mista. Nella relazione illustrativa al decreto legislativo in parola, poi, si legge che la volontà del legislatore è quella di riferirsi ai "rapporti bancari" ovvero ai "contratti di servizi" quali quelli finanziari e, nella medesima prospettiva, nella stessa relazione, si menzionano le esperienze conciliative del D.Lgs. 8 settembre 2007, n. 179, e quella del procedimento istituito in attuazione dell'art. 128 bis, del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385. E' quindi sufficientemente chiaro il richiamo, non altrimenti alterabile, alla disciplina dei contratti bancari contenuta nel codice civile e nel TUB, nonchè alla contrattualistica involgente gli strumenti finanziari di cui al TUF (D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, e succ. mod., v. in specie all'art. 1). In questa cornice normativa, non è possibile estendere l'area della condizione di procedibilità alla diversa ipotesi di leasing immobiliare anche se, nelle varie forme, allo stesso sono coessenziali finalità di finanziamento specificatamente funzionali, però, all'acquisto ovvero all'utilizzazione di quello specifico bene coinvolto (I).


Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 24/2019

Corte Suprema di Cassazione
Sezione terza civile
Ordinanza
12 giugno 2018, n. 15200

Omissis

Fatti di causa

Il Banco omissis, in nome e per conto della Banca omissis, s.p.a., conveniva in giudizio, con citazione notificata l'8 aprile 2014, la M. Immobiliare per ottenere la risoluzione per inadempimento di un contratto di locazione finanziaria immobiliare stipulato tra la Banca omissis, quale concedente, e la convenuta.
Il Tribunale di Firenze, nella contumacia della M. Immobiliare, con sentenza n. 813 del 2015 accoglieva la domanda, ordinando il conseguente rilascio dell'immobile.
La Corte di appello di Firenze, pronunciando sul gravame della M. Immobiliare, con sentenza ex art. 281 sexies c.p.c., del 19 gennaio 2016 confermava la decisione, osservando che la notifica della citazione in prime cure, effettuata via posta elettronica certificata (PEC) dopo un iniziale tentativo senza esito a mezzo del servizio postale, era rituale e, comunque, aveva raggiunto lo scopo. Infatti l'atto, in uno alla relativa procura, era stato formato su supporto cartaceo e poi legittimamente convertito in immagine digitale per la suddetta notifica la cui corretta ricezione non era stata contestata, nell'ambito di un processo che, al di fuori della notificazione medesima, non si era svolto in forma telematica. La corte di appello, inoltre, disattendeva l'eccezione di improcedibilità per omesso svolgimento della mediazione per la composizione amichevole delle controversie, rilevando che il leasing non poteva considerarsi o assimilarsi, ai fini in parola, nè alla locazione nè ai contratti finanziari.
Avverso la suindicata decisione della corte di merito ricorre per cassazione la M. Immobiliare s.r.l. in liquidazione, affidandosi a tre motivi. Resiste con controricorso il Banco Popolare Società Cooperativa. Il pubblico ministero ha formulato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.

Ragioni della decisione

Con il primo motivo di ricorso la M. Immobiliare prospetta la violazione della L. 21 gennaio 1994, n. 53, artt. 3 bis e 11, poichè la corte di appello avrebbe errato nell'escludere la nullità della notifica della citazione in primo grado in quanto: a) sarebbe stato violato l'art. 3 bis citato, con conseguente nullità stabilita dal seguente art. 11, posto che non vi era stata relazione di notifica redatta su documento informatico separato oltre che sottoscritto digitalmente; b) la relazione non conteneva l'identificazione comprensiva di codice fiscale del soggetto che aveva conferito la procura; c) nella relata della notifica non vi era menzione della notifica via PEC, contenendo essa solo indirizzi anagrafici, e non quelli elettronici come richiesto dalla norma in uno all'indicazione dell'elenco da cui erano stati tratti questi ultimi. Inoltre vi sarebbe stata altra ragione di nullità, integrata dalla violazione del D.M. 21 febbraio 2011, n. 44, art. 18, posto che non era stata allegata la procura con atto separato contenente la certificazione autografa. Infine sarebbero state violate le norme regolamentari previste dalla determinazione della Direzione generale per i sistemi informativi automatizzati del 16 aprile 2014, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 30 aprile 2014, e in specie l'art. 19 bis, che vietava la scansione per immagini nel caso di notifica di documento informatico.
Con il secondo motivo di ricorso prospetta la violazione del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, art. 5, poichè il leasing, stipulato con un istituto di credito, sarebbe stato da qualificare non locazione ma contratto bancario o finanziario, attesa la finalità di finanziamento insita nello stesso.
Con il terzo motivo di ricorso prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., e D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, poichè la corte di appello avrebbe errato nell'omettere di compensare le spese e nello statuire sul raddoppio del contributo unificato, dopo aver dato atto che, in particolare con riferimento all'applicabilità della condizione di procedibilità di cui alla seconda censura, la questione era "molto opinabile".
Il primo motivo di ricorso è in parte manifestamente inammissibile, in parte manifestamente infondato.
Va preliminarmente disattesa l'eccezione d'inammissibilità del motivo formulata da parte controricorrente in ragione del fatto che la censura deduce violazioni normative ulteriori a quelle enunciate nella sua stessa rubrica, essendo evidente che le prospettazioni della parte debbono essere apprezzate nella loro completezza e senza superfetazioni formalistiche.
Va poi premesso che la corte di appello (pagg. 1-2 della sentenza gravata) ha risposto ai motivi di appello così riassunti sul punto: a) mancanza di un separato atto contenente la procura difensiva attorea, con violazione del D.M. n. 44 del 2011, art. 18, comma 5; b) mancanza degli identificativi anche fiscali del soggetto che aveva rilasciato la procura medesima, con violazione della L. n. 53 del 1994, art. 3 bis; c) mancanza di autenticazione della procura a norma del D.M. n. 44 del 2011, art. 18, comma 5. La sentenza non menziona, pertanto, la questione della mancata indicazione, nella relata della notifica via PEC, degli indirizzi di posta elettronica in uno all'indicazione dell'elenco da cui erano stati tratti. Al riguardo, va dato seguito alla giurisprudenza secondo cui qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione d'inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l'avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza e dunque specificità del motivo: a) di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass., 18/10/2013, n. 23675); b) riprodurre in via diretta il contenuto che sorregge la censura oppure in via indiretta, con specificazione della parte del documento cui corrisponde l'indiretta riproduzione (Cass., 09/04/2013, n. 8569, Cass., 15/07/2015, n. 14784, Cass., 27/07/2017, n. 18679). Parte ricorrente ha indicato e riprodotto quanto necessario in relazione al profilo del divieto di scansione, mentre non ha fatto altrettanto in ordine alla questione inerente agli indirizzi PEC, da considerarsi perciò nuova.
Quanto al merito, il motivo è nel complesso manifestamente infondato in ogni suo profilo, come emerge dalle onnicomprensive ragioni di seguito evidenziate.
La corte territoriale, senza alcuna delle contraddizioni ipotizzate nel ricorso, ha evidenziato che: a) solo la notifica in questione era stata effettuata via PEC; b) il processo si era poi svolto in modalità analogica; c) la notifica via PEC era avvenuta scansionando l'originale cartaceo come legittimamente poteva procedersi a fare, a mente del regime di cui alla L. n. 53 del 1994.
Tali rilievi sono corretti.
In primo luogo va rimarcato che il provvedimento D.G.S.I.A. 16 aprile 2014, contenente le specifiche tecniche per le notificazioni da farsi in via telematica, dagli avvocati, entrato in vigore il 15 maggio successivo, è successivo alla notifica in parola avvenuta il giorno 8 aprile 2014.
In secondo luogo, lo stesso art. 19 bis, del provvedimento, invocato dalla ricorrente, chiarisce che si riferisce alla diversa ipotesi in cui "l'atto da notificarsi sia un documento originale informatico". Si tratta, cioè, del documento nativo informatico, e non, come nel caso di specie, di quello nativo analogico - in cui l'originale è cartaceo - comprensivo della procura, notificato via PEC.
Questa constatazione rende chiaro perchè alla fattispecie non si applica il D.M. n. 44 del 2011, art. 18, comma 5. Il disposto prevede quanto segue: "la procura alle liti si considera apposta in calce all'atto cui si riferisce quando è rilasciata su documento informatico separato allegato al messaggio di posta elettronica certificata mediante il quale l'atto è notificato. La disposizione di cui al periodo precedente si applica anche quando la procura alle liti è rilasciata su foglio separato del quale è estratta copia informatica, anche per immagine". Esso è diretto a stabilire quando la procura si debba considerare "in calce" ovvero riferibile all'atto difensivo, sia nel caso in cui la procura sia un documento nativo digitale, sia quando essa sia un documento nativo analogico, poi scansionato e allegato.
Nel caso in scrutinio invece, la procura, in originale cartaceo con relativa autenticazione, è stato complessivamente scansionato e poi allegato al messaggio PEC, sicchè all'originale non si applicano le norme del processo telematico, ferma la disciplina della PEC.
Venendo quindi alla notifica via PEC, e dunque alle pretese violazioni della L. n. 53 del 1994, art. 3 bis, nella versione "ratione temporis" applicabile, deve darsi continuità alla giurisprudenza che ha concluso nel senso che l'irritualità della notificazione via PEC non può mai comportare la nullità della stessa se ha comunque prodotto il risultato della conoscenza dell'atto, e cioè lo scopo della sequenza notificatoria (Cass., Sez. U., 18/04/2016, n. 7665, in un caso afferente allo stesso formato elettronico dell'atto; Cass., 31/08/2017, n. 20625). La stessa L. n. 53 del 1994, conferma indirettamente il principio desumibile dall'art. 156 c.p.c., comma 3, all'art. 11, in cui è stabilito che la nullità delle notificazioni telematiche incorre qualora siano violate le relative norme (contenute negli articoli precedenti) "e, comunque, se vi è incertezza sulla persona cui è stata consegnata la copia dell'atto o sulla data della notifica". Correttamente la corte territoriale ha rilevato il raggiungimento dello scopo, atteso che, in relazione ai complessivi profili di censura, non è stata contestata: a) la riferibilità della procura al rappresentato che ne risultava firmatario e di cui manca l'indicazione del solo codice fiscale; b) la sussistenza della procura stessa, e i poteri del soggetto che l'aveva rilasciata; c) la ricezione della suddetta notifica, nella data indicata, a un indirizzo PEC effettivamente riferibile al destinatario correttamente individuato come tale.
Nè, per completezza, risultava censurata in appello, e neppure risulta censura in questa sede, la (peraltro attestata) conformità dell'atto scansionato a quello analogico, e quindi la sua sussistenza come tale, comprensivo della procura (cartacea) a margine e delle relative (e cartacee) sottoscrizioni.
Il secondo motivo è infondato.
Ad avviso della ricorrente sussisteva la condizione di procedibilità relativa all'esperimento della mediazione D.Lgs. n. 28 del 2010, ex art. 5, in relazione alle ipotesi alternative dei contratti bancari e finanziari, in quanto il contratto coinvolto era stato stipulato con una banca e con la finalità di finanziamento coessenziale al leasing immobiliare.
La ricostruzione non può essere condivisa.
Il riferimento della norma ("ratione temporis" applicabile, non modificata in "parte qua") è appunto ai contratti bancari, e non, più generalmente, "stipulati con un istituto di credito"; così come ai contratti finanziari, e non, più generalmente, a contratti "con finalità di finanziamento" anche in chiave mista. Nella relazione illustrativa al decreto legislativo in parola si legge che la volontà del legislatore è quella di riferirsi ai "rapporti bancari" ovvero ai "contratti di servizi" quali quelli finanziari. Nella medesima prospettiva, nella stessa relazione, si menzionano le esperienze conciliative del D.Lgs. 8 settembre 2007, n. 179, e quella del procedimento istituito in attuazione dell'art. 128 bis, del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385. E' quindi sufficientemente chiaro il richiamo, non altrimenti alterabile, alla disciplina dei contratti bancari contenuta nel codice civile e nel TUB, nonchè alla contrattualistica involgente gli strumenti finanziari di cui al TUF (D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, e succ. mod., v. in specie all'art. 1). In questa cornice normativa, come accenna anche il pubblico ministero nella sua requisitoria scritta, non è possibile estendere l'area della condizione di procedibilità alla diversa ipotesi di leasing immobiliare anche se, nelle varie forme, allo stesso sono coessenziali finalità di finanziamento specificatamente funzionali, però, all'acquisto ovvero all'utilizzazione di quello specifico bene coinvolto.
Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Il sindacato della Corte di Cassazione in punto di regolazione delle spese processuali è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell'opportunità di compensarle in tutto o in parte (cfr., di recente, Cass., 17/10/2017, n. 24502).
Quanto alla dichiarazione relativa a. c.d. doppio contributo unificato la corte di appello ha fatto mera applicazione della norma di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, i cui presupposti sussistono anche in questa sede.
Spese secondo soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della controricorrente liquidate in Euro 7.000,00, oltre a Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15 per cento di spese forfettarie oltre accessori legali. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità. 

15 maggio 2019

24/19. Contrasto giurisprudenziale merito vs Cassazione: nel primo incontro si deve procedere ad effettiva mediazione (Osservatorio Mediazione Civile n. 24/2019)

=> Tribunale di Firenze, 8 maggio 2019

Non è condivisibile il principio di diritto espresso da Cassazione civile, 27 marzo 2019 n. 8473, dovendosi invece ritenere che, ai fini della condizione di procedibilità, già nel corso del primo incontro, superata e conclusa la fase dedicata all’informativa delle parti, si debba procedere ad effettiva mediazione avendo difatti il primo incontro di mediazione natura essenzialmente “bifasica”, la prima informativa, sulle modalità e funzioni della mediazione, e la seconda di mediazione effettiva (I) (II) (III).

(I) Cassazione civile, 27 marzo 2019 n. 8473 (in Osservatorio Mediazione Civile n. 19/2019) ha di recente affermato che la condizione di procedibilità può ritenersi realizzata al termine del primo incontro davanti al mediatore, qualora una o entrambe le parti, richieste dal mediatore dopo essere state adeguatamente informate sulla mediazione, comunichino la propria indisponibilità di procedere oltre.

(II) Si vedano gli artt. 5, comma 2-bis, e 8 D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 (Osservatorio Mediazione Civile n. 38/2018).

(III) La sentenza, di cui si riporta di seguito estratto (concernente la parte motivazionale dedicata al contrasto giurisprudenziale evidenziato nella massima), è pubblicata gratuitamente, in esclusiva, in La Nuova Procedura Civile 3, 2019.

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 24/2019

Tribunale di Firenze
Sentenza
sezione terza civile
8 maggio 2019

Omissis

1) La mediazione delegata dal Giudice come condizione di procedibilità. La normativa vigente e la lettura offerta dalla giurisprudenza di merito.

…omissis…

Altro orientamento, sempre a sostegno dell’effettività della mediazione, condiviso da questo Giudice, come già esplicitato chiaramente nell’ordinanza di invio in mediazione, ritiene invece che, già nel corso del primo incontro di mediazione, superata e conclusa la fase dedicata all’informativa delle parti, si debba procedere ad effettiva mediazione (trattasi di linea interpretativa generalmente condivisa negli ultimi anni dai Giudici della III e V sez. civile di questo Ufficio, oltre che, ad es., da Trib. Pavia, ord. 26.09.2016; Trib. Siracusa, ord. 15.05.2018; Corte d'Appello Milano, Sent. 10.05.2017. Sul punto si veda anche, da ultimo, questo Tribunale sentenza 27.4.2019, est. Mazzarelli).
Il primo incontro di mediazione dovrebbe, quindi, avere natura essenzialmente “bifasica”, la prima informativa, sulle modalità e funzioni della mediazione, e la seconda di mediazione effettiva.

…omissis…

2) Il dictum della Corte di Cassazione sent. n. 8473 del 27.03.2019.

In questo contesto interpretativo, come accennato, è intervenuta la Suprema Corte di Cassazione.
La questione in diritto all’esame della Corte concerneva, in un caso di mediazione ante causam la problematica, ai fini della procedibilità, della necessaria presenza o meno delle parti e della legittimazione rappresentativa dei difensori nell’ambito del primo incontro avanti al mediatore.
In tale contesto la Suprema Corte ha affrontato anche il seguente ulteriore e diverso aspetto, costituente vero e proprio obiter dictum, affermando il seguente principio di diritto: “La condizione di procedibilità può ritenersi realizzata al termine del primo incontro davanti al mediatore, qualora una o entrambe le parti, richieste dal mediatore dopo essere state adeguatamente informate sulla mediazione, comunichino la propria indisponibilità di procedere oltre”.

…omissis…

3) Le ragioni del dissenso rispetto a tale pronuncia. Necessità che il primo incontro di mediazione abbia contenuto anche effettivo ai fini della procedibilità della domanda.
Ritiene il giudicante che il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte, a quanto consta primo ed unico precedente di legittimità sul punto, non sia condivisibile per molteplici ragioni, in buona parte già evidenziate dalla pregressa giurisprudenza di merito e che il giudice di legittimità, nell’obiter dictum sopra indicato, non sembra avere adeguatamente valutato.
Ciò induce a dare ulteriore seguito all’indirizzo interpretativo di merito sopra evidenziato.
In proposito vengono in rilievo le seguenti considerazioni in diritto.
In primis, circa l’argomento fondato sulla struttura del procedimento, si osserva che non si rinviene, nella disciplina legale (in part. art. 8 D.lgs. n. 28/2010) una rigida distinzione tra “incontro preliminare” e “uno o più incontri di effettivo svolgimento della mediazione”.
Infatti, dall’art. 8 cit. si rinviene piuttosto un dato diverso, essendo ivi previsto che “nello stesso primo incontro, [il mediatore] invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento”. Espressa la “possibilità di iniziare la procedura”, il mediatore “procede con lo svolgimento” del procedimento di mediazione “nello stesso primo incontro”. Il contenuto della norma, di per sé sembra condurre a conclusioni esattamente opposte a quelle fatte proprie dalla pronuncia di legittimità.
Del resto, lo stesso D.lgs. n. 28/2010 prevede che, nell’ambito del primo incontro, possa addivenirsi ad un accordo conciliativo.
Ciò si ricava, a contrario, dall’art. 5 comma 2-bis e dall’art. 17 comma 5-ter del decreto che fanno riferimento all’ipotesi che “il primo incontro si concluda senza accordo”, così lasciando intendere che un accordo vi possa anche essere; ma, sembra evidente, che perché vi possa essere un accordo, le parti devono essere messe nella condizione di interloquire nel merito delle reciproche posizioni e far emergere i propri interessi già in quella sede. Occorre, in altre parole, che già al primo incontro la mediazione tra le parti sia effettiva.
Ancora, rimanendo sull’analisi letterale delle disposizioni di legge oggetto della pronuncia, la sentenza della Corte di legittimità interpreta il termine “possibilità”, sulla quale il mediatore chiede alle parti di esprimersi ex art. 8 D.lgs. n. 28/2010, come “parere negativo sulla possibilità di utilmente iniziare (rectius proseguire) il procedimento”, in tal modo di fatto confondendo la “possibilità” di avviare la mediazione con la “volontà” di mediare, che è concetto ben diverso.
Un criterio letterale di interpretazione suggerisce, al contrario, di tenere ben distinti i concetti di “possibilità”, termine utilizzato dall’art. 8 D.lgs. n. 28/2010, da quello di volontà, essendo solo il primo volto, normalmente, a indicare situazioni oggettivamente abilitanti il compimento di azioni o l’esercizio di facoltà o diritti. Nella fattispecie, sembra maggiormente conforme alla lettera della legge l’interpretazione secondo cui la “possibilità”, che le parti sono chiamate a rappresentare al mediatore e sulla quale egli le chiama ad esprimersi, debba considerarsi come inerente alle condizioni ostative all’utile e legittimo esperimento della mediazione vera e propria. Tale impossibilità, ad esempio, e senza pretesa di completezza, ricorrerà nei casi in cui vi sia un difetto di legittimazione o di rappresentanza sostanziale del soggetto che partecipa alla mediazione; ovvero, qualora il procedimento sia stato attivato in relazione a controversie aventi a oggetto materia sottratta alla disponibilità delle parti. Dunque, il vaglio preliminare di possibilità sembra doversi intendere come possibilità oggettiva di procedere alla mediazione, a nulla rilevando le valutazioni delle parti, meramente soggettive, inerenti la mera volontà di procedere.
In tal senso depongono anche argomenti logici e sistematici.
Ritenere che “possibilità” equivalga a “volontà” finisce con equiparare la mediazione obbligatoria (per volontà del legislatore, ovvero del giudice che l’abbia disposta in corso di causa) a quella facoltativa, sempre ammessa in materia di diritti disponibili ed il cui mancato esperimento è privo di sanzione processuale.
Così opinando, tuttavia, la mediazione facoltativa e quella obbligatoria non sarebbero più sostanzialmente distinguibili, con l’effetto di un’interpretazione abrogante dello stesso istituto della mediazione obbligatoria (in questo senso, tra le molte, v. Trib. Firenze, ordinanza 19 marzo 2014- est. Breggia; Trib. Firenze, ord. 15 ottobre 2015 – est. Scionti; Tribunale Siracusa, sez. II 30 marzo 2016; Tribunale Firenze Sez. spec. Impresa 16 febbraio 2016; Tribunale Firenze, 21 aprile 2015).
Non condivisibile è poi l’ulteriore argomento addotto dalla S.C. circa la necessità di interpretare restrittivamente (o meglio, “in modo non estensivo”) le ipotesi di giurisdizione condizionata quali quelle ove è obbligatoria la mediazione. Tale impostazione sembra voler intendere che l’obbligatorietà di una mediazione effettiva sarebbe sostanzialmente ostativa e pregiudicante rispetto al diritto di azione, così potendosi ipotizzare un potenziale conflitto di tale disciplina con l’art. 24 della Costituzione.
Sul punto è sufficiente richiamarsi, per confutare la tesi della S.C., ai principi che provengono dal Giudice delle Leggi e dalla giurisprudenza comunitaria.
La Corte Costituzionale, nella materia analoga del tentativo obbligatorio di conciliazione nelle controversie in materia di lavoro –previsto fino al 2010 – e del possibile contrasto di tale istituto con gli artt. 3 e 24 Cost. ha statuito, con sentenza n. 276/2000, che “la giurisprudenza consolidata di questa Corte ritiene che l’art. 24 della Costituzione, laddove tutela il diritto di azione, non comporta l’assoluta immediatezza del suo esperimento, ben potendo la legge imporre oneri finalizzati a salvaguardare <<interessi generali>>, con le dilazioni conseguenti. E’ appunto questo il caso in esame, in quanto il tentativo obbligatorio di conciliazione tende a soddisfare l’interesse generale sotto un duplice profilo: da un lato, evitando che l’aumento delle controversie attribuite al giudice ordinario in materia di lavoro provochi un sovraccarico dell’apparato giudiziario, con conseguenti difficoltà per il suo funzionamento; dall’altro, favorendo la composizione preventiva della lite, che assicura alle situazioni sostanziali un soddisfacimento più immediato rispetto a quella conseguita attraverso il processo. La normativa denunciata è, d’altronde, modulata secondo linee che rendono intrinsecamente ragionevole il limite all’immediatezza della tutela giurisdizionale. […]Quanto all’improcedibilità della domanda per il mancato esperimento del tentativo di conciliazione (art.412-bis), tale sanzione, lungi dal risolversi in una questione processuale inutile, rappresenta la misura con la quale l’ordinamento assicura effettività all’osservanza dell’onere. Dal suo canto l’estinzione del giudizio per mancata tempestiva riassunzione (art. 412-bis, quinto comma) costituisce normale applicazione del principio generale che considera con sfavore l’inattività delle parti. Sotto nessuno degli indicati profili può, pertanto, ravvisarsi violazione dell’art. 24 della Costituzione.”.
Trattasi di considerazioni senz’altro estensibili anche all’istituto della mediazione obbligatoria e al suo “impatto” sulla tutela giurisdizionale dei diritti.
Sostanzialmente sulla stessa linea interpretativa è il dibattito in ambito sovranazionale, ove è ricorrente l’affermazione, fondata sulle Carte dei diritti fondamentali (in part. CEDU e CDFUE) secondo cui i sistemi di risoluzione delle controversie alternativi alla giurisdizione, ove previsti obbligatoriamente dalla legge, devono essere giustificati da ragioni di interesse pubblico e non devono essere eccessivamente gravosi.
La Dir. 2008/52/CE, relativa a “determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale” (il cui testo è stato recentemente confermato dalla Commissione europea nel 2016), che prevede il ricorso a procedimenti di mediazione nell’ambito delle controversie di natura transfrontaliera, è conforme a tali indicazioni: l’art. 5 co. 2 della Direttiva fa salva la possibilità per la legislazione nazionale di prevedere forme obbligatorie di mediazione, sia prima che dopo l’inizio del procedimento giudiziario, “purché tale legislazione non impedisca alle parti di esercitare il diritto di accesso al sistema giudiziario”.
In argomento si richiama la sentenza 14.06.2017 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, (Livio e altri, causa C-75/16), la quale, in una fattispecie di mediazione obbligatoria in materia consumeristica, interpretando la Dir. 2013/11/UE (nota come direttiva “ADR consumatori”), ha ritenuto che la previsione di ipotesi di mediazione obbligatoria ante causam sia compatibile con il Diritto dell’Unione, purché si tratti di interventi “con obiettivi di interesse generale e tali interventi non siano sproporzionati ed inaccettabili”, tali da ledere la sostanza stessa dei diritti così garantiti. Si tratta di principi già affermati in precedenza dalla CGUE, ad esempio con sentenza 18.03.2010, Alassini e altri (cause da C-317/08 a C-320/08), resa in una fattispecie caratterizzata da tentativo obbligatorio di conciliazione ante causam in materia consumeristica (in questo caso, con riferimento alla Direttiva “servizio universale” Dir. 2002/22/CE). In tale arresto (punti 61-64) si legge che “il principio della tutela giurisdizionale effettiva costituisce un principio generale del diritto dell’Unione che deriva dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e che è stato sancito dagli artt. 6 e 13 della CEDU, oltre ad essere stato ribadito anche dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (v. sentenza Mono Car Styling, cit., punto 47 e giurisprudenza ivi citata). A tal riguardo è pacifico nelle fattispecie principali che, subordinando la ricevibilità dei ricorsi giurisdizionali proposti in materia di servizi di comunicazioni elettroniche all’esperimento di un tentativo obbligatorio di conciliazione, la normativa nazionale di cui trattasi ha introdotto una tappa supplementare per l’accesso al giudice. Tale condizione potrebbe incidere sul principio della tutela giurisdizionale effettiva. Tuttavia, secondo una giurisprudenza costante, i diritti fondamentali non si configurano come prerogative assolute, ma possono soggiacere a restrizioni, a condizione che queste rispondano effettivamente ad obiettivi di interesse generale perseguiti dalla misura di cui trattasi e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato ed inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa dei diritti così garantiti (v., in tal senso, sentenza 15 giugno 2006, causa C 28/05, Dokter e a., Racc. pag. I-5431, punto 75, e giurisprudenza ivi citata, nonché Corte eur. D.U., sentenza Fogarty c. Regno Unito del 21 novembre 2001, Recueil des arrêts et décisions 2001-XI, § 33). Orbene, come rilevato in udienza dal governo italiano, si deve anzitutto constatare che le disposizioni nazionali di cui trattasi hanno ad oggetto una definizione più spedita e meno onerosa delle controversie in materia di comunicazioni elettroniche, nonché un decongestionamento dei tribunali, e perseguono quindi legittimi obiettivi di interesse generale”.
Venendo in concreto alla disciplina dell’istituto della mediazione di cui al D. Lgs. n. 28/2010 e ssmmii, non può dubitarsi che essa sia in linea con i suddetti principi generali, ancorché interpretata nel senso che qui si va sostenendo.
Infatti, emergono gli interessi generali che si intendono perseguire mediante il ricorso alla mediazione obbligatoria.
Essa è istituto giuridico che ha funzione complessa, che in parte ha una ricaduta in termini di deflazione del contenzioso giurisdizionale e in parte mira a favorire un diverso e alternativo metodo di risoluzione dei conflitti inter-privati.
La produzione normativa degli ultimi anni mostra una sempre maggiore attenzione da parte del legislatore rispetto a forme alternative rispetto a quella classica (decisum del giudice) di definizione delle controversie, in modo tale cioè da valorizzare e promuovere, per quanto possibile, forme di definizione concordata tra le parti, con gli inevitabili effetti “benefici” per il sistema ad esse conseguenti.
Ciò è avvenuto, prima, nell’ambito della giurisdizione penale ove, mutuando istituti che già avevano dato buona prova di sé negli ordinamenti anglosassoni, si sono creati modelli procedimentali “alternativi” al rito ordinario, notoriamente lungo e costoso, che poggiano, quale dato saliente, sul consenso delle parti (si pensi agli istituti del rito abbreviato e, soprattutto, all’applicazione della pena su richiesta, artt. 438 e 444 c.p.p.).
Senza alcuna pretesa di esaustività, ma solo al fine di descrivere una tendenza legislativa ormai consolidata, sono stati introdotti nell’ordinamento processuale civile istituti finalizzati a perseguire al massimo la conciliazione della lite (si pensi alla consulenza tecnica preventiva a fini conciliativi art. 696-bis c.p.c., alla mediazione stessa, alla negoziazione assistita ed agli altri interventi per favorire la de-giurisdizionalizzazione della lite, alla proposta conciliativa giudiziale ex art. 185-bis c.p.c. ecc.).
Si è voluto cioè, in primo luogo, decongestionare l’accesso alla giustizia civile ovvero favorirne l’esodo, al fine di recuperare funzionalità agli uffici della giurisdizione civile, notoriamente “affossati” in molte realtà da endemica grave sproporzione tra entità dei carichi di lavoro e personale disponibile. Così si è inteso rimediare anche alla connessa grave problematica della lentezza del processo civile e alla onerosità per lo Stato delle conseguenze della violazione delle disposizioni (sovranazionali e nazionali) inerenti l’irragionevole durata delle procedure (cfr L. n. 89/2001).
In secondo luogo, in un’ottica per così dire di sistema, e tenuto conto di interessanti contributi dottrinali, è stata acquisita specifica consapevolezza del valore primario della conciliazione della lite, quale strumento idoneo a consentire la pacificazione dei contendenti.
Ciò, oltre ai positivi effetti sul piano extra-giuridico, produce ricadute positive sul sistema processuale, vuoi perché in presenza di un accordo le parti rinunciano ad avvalersi degli ordinari rimedi processuali (es. impugnazioni), con corrispondente effetto benefico per le giurisdizioni superiori; vuoi perché, essendo dato di comune esperienza che gli impegni assunti in sede di accordo sono di regola osservati spontaneamente dalle parti, assai raro è in tal caso il ricorso alle procedure esecutive ed alle relative fasi di opposizione.
La scelta ermeneutica operata con la sentenza n. 8473/2019, fondata sull’idoneità, ai fini della procedibilità della domanda, di un primo incontro meramente informativo e preliminare, si pone in distonia con le suddette finalità della mediazione ed in genere con i sistemi di risoluzione alternativa delle controversie, c.d. ADR (“alternative despute resolution”).
Ridurre l’esperimento del procedimento di mediazione, ai fini della procedibilità, a una mera comparizione delle parti innanzi al mediatore (per di più con la possibilità di farsi rappresentare dai propri difensori muniti di procura speciale come precisato dalla S.C.), per ricevere un’informazione preliminare sulle finalità e le modalità di svolgimento della mediazione e per dichiarare che semplicemente non c’è volontà di mediare comporta, infatti, un elevato rischio che tutto il procedimento divenga un “vuoto rituale”. Il tutto con ricadute negative anche sulla tempestiva erogazione del servizio giustizia, che di fatto potrebbe essere ostacolato dagli stessi incombenti legati alla mediazione.
Né d’altra parte l’orientamento che qui si condivide pone problemi sotto il profilo della menomazione del diritto fondamentale di accesso alla tutela giurisdizionale dei diritti, così come inteso dal Giudice delle leggi e dalla giurisprudenza comunitaria.
La partecipazione al solo primo incontro, anche se comprensivo di una fase di effettiva mediazione, rende trascurabili i maggiori oneri richiesti alle parti, rispetto all’opzione fatta propria dalla Suprema Corte (incontro dal contenuto meramente informativo). L’inevitabile maggior durata del primo incontro, è infatti pienamente giustificata dalla concreta possibilità di conciliazione della controversia.
Piuttosto, sembra opportuno interrogarsi su un aspetto inerente ai costi del procedimento di mediazione, i quali, ove ritenuti eccessivi, potrebbero costituire un ostacolo di natura economica all’esercizio giudiziale dei diritti.
Occorre, in particolare, valutare le implicazioni che il ricostruito carattere di effettività del primo incontro produce sui costi della mediazione.
Sul punto, la risposta non può che essere ampiamente tranquillizzante.
Ai sensi dell’art. 17 comma 5-ter D.lgs. n. 28/2010 ss.mm.ii, “Nel caso di mancato accordo all'esito del primo incontro, nessun compenso è dovuto per l'organismo di mediazione”.
Ne segue, stante l’inequivocabile tenore letterale di tale norma, che, ove le parti non proseguano la procedura oltre il primo incontro, nessun compenso sarà dovuto all’organismo di mediazione (le uniche spese da sostenere saranno quelle di avvio della procedura e il rimborso delle spese vive che incidono per poche decine di euro), salvo che le parti raggiungano già al primo incontro l’accordo conciliativo.
Non è vero pertanto che effettività della mediazione vada necessariamente insieme al pagamento dei suddetti oneri economici, come incidentalmente afferma la Suprema Corte.
In realtà l’unico costo aggiuntivo effettivo per le parti è quello dell’assistenza legale, che è obbligatoria, giusto il disposto dell’art. 8 D.lgs. n. 28/2010 ssmmii.
I maggiori compensi legali, peraltro non appaiono oggettivamente eccessivi.
I parametri fissati dal D.M. 55/2014, così come modificati dal D.M. 37/2018, prevedono che il diritto al compenso dell’avvocato in mediazione riguardi tre fasi distinte: attivazione, negoziazione e conciliazione.
Ovviamente in caso di primo incontro con mediazione effettiva senza stipula di accordo, saranno dovuti i compensi per la fase di “attivazione” e di “negoziazione”.
Al riguardo, i parametri non distinguono tra negoziazione nel corso di una mediazione composta da più sessioni e quella avvenuta nel corso di un solo primo incontro. Il relativo compenso, così come quantificato dalla tabella, potrà dunque essere liquidato dal Giudice tenuto conto delle peculiarità del caso di specie. Sul punto è solo il caso di evidenziare che i compensi medi previsti per la fase di mediazione ai sensi dell’art. 20 comma 1-bis del D.M. cit. sono applicabili solo “di regola”. È lasciato pertanto sul punto spazio ad un ampio potere del giudice nella liquidazione del dovuto non essendo previsto un minimo tariffario garantito (diversamente per i compensi relativi all’attività defensionale giudiziale e stragiudiziale in genere – cfr artt. 4, co. 1, e 19).
L’aumento dei costi di mediazione derivanti dall’opzione interpretativa adottata sarà pertanto di modesta entità in termini percentuali rispetto al costo complessivo dell’assistenza legale nel procedimento giurisdizionale. Così ad esempio, in caso di mediazione per causa di competenza o pendente avanti al Tribunale di valore compreso tra € 26.000 e 52.000, a fronte di compensi medi complessivamente dovuti per € 7.254,00, oltre accessori, quelli relativi alla fase di negoziazione nella mediazione (parametro medio € 1.020,00), potranno essere liquidati anche in misura assai più contenuta.
Il tutto senza considerare che gli importi sostenuti per il procedimento di mediazione potranno comunque essere recuperati a carico della parte soccombente ai sensi dell’art. 91 c.p.c..

4) Il caso di specie

…omissis…

PQM

Il Tribunale di Firenze, IIIa Sez. Civ., in composizione monocratica, visto l’art. 281-sexies c.p.c., definitivamente pronunciando dichiara improcedibile la domanda proposta da BANCA omissis; compensa interamente tra le parti le spese di lite.

Firenze, 8 maggio 2019
Provvedimento redatto con la collaborazione del M.O.T. Dott. Pietro Peruzzi
Il Giudice
Dott. Alessandro Ghelardini

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità. 

3 maggio 2019

23/19. MEDIA Magazine n. 5 del 2019 (Osservatorio Mediazione Civile n. 23/2019)


MEDIA Magazine
Mensile dell’Osservatorio Nazionale sulla Mediazione Civile
ISSN 2281 - 5139
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N. 5/19  Maggio 2019


Buona ripresa a tutti dopo Pasqua, Festa della Liberazione e Festa del Lavoro


GIURISPRUDENZA

=> Corte Costituzionale, 18 aprile 2019, sentenza n. 97

=> Cassazione civile, 27 marzo 2019 n. 8473 (+ commento gratuito + primo successivo contrasto giurisprudenziale)

=> Tribunale di Napoli, 2 febbraio 2019


DATI E STATISTICHE



SEGNALAZIONI editoriali

Ruggiero FIORELLA, IL MICROCREDITO Introduzione al credito per soggetti non bancabili (Requisiti, soggetti coinvolti, indicazioni pratiche), Diritto Avanzato, Milano, 2019 (aprile), pag. 159 (link diretto al sito dell'Editore per approfondimenti).

Si segnala anche lo SPECIALE RIFORME PROCESSUALI 2019 (processo esecutivo e crisi d'impresa; link diretto al sito dell'Editore per approfondimenti).


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Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 23/2019
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