DIRITTO D'AUTORE


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14 gennaio 2018

3/18. La mediazione obbligatoria non si estende alle domande nei riguardi di terzi chiamati in causa (Osservatorio Mediazione Civile n. 3/2018)

=> Tribunale di Palermo, 6 maggio 2017

Va ritenuta preferibile l’opzione interpretativa per cui la mediazione obbligatoria non si estende alle domande nei riguardi di terzi chiamati in causa; difatti, la ratio legis sottesa all’art. 5, d.lgs. 28/2010 deve intendersi ragionevolmente limitata all’iniziativa processuale che dà vita ad un processo e non si estende anche ai fenomeni di ampliamento dell’ambito oggettivo del giudizio già avviato. Pertanto, è preferibile intendere l’espressione “chi intende esercitare in giudizio un’azione” come “chi intende instaurare un giudizio”, optando per un’interpretazione costituzionalmente orientata e maggiormente conforme allo spirito delle richiamate norme europee (I).


Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 3/2018

Tribunale di Palermo
ordinanza
6 maggio 2017

Omissis

considerato che l’art. 5 c. 1 bis. D. Lgs. 28/2010, nell’imporre il preventivo esperimento del procedimento di mediazione a chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa ad una controversia nelle materie specificamente indicate e nel sancire che l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale, non regola espressamente le ipotesi in cui il giudizio, dopo la proposizione della domanda giudiziale, si arricchisce di nuove domande o di nuove parti;
rilevato che parte della dottrina e della giurisprudenza di merito, argomentando sulla base del dato letterale e della finalità deflattiva della mediazione, ha sostenuto che l’esperimento del tentativo di mediazione costituisca condizione di procedibilità non genericamente del processo, bensì della domanda giudiziale, tal che ogni domanda (riconvenzionale, trasversale nei confronti di altro convenuto, del convenuto nei riguardi del chiamato in causa) dev’essere preceduta dallo svolgimento effettivo della fase di mediazione e l’assolvimento di detto onere rende procedibile non l’intero giudizio bensì la singola domanda;
rilevato che da parte degli stessi autori si è escluso che una simile opinione contrasti con il dato testuale, che indica nel convenuto il soggetto legittimato alla formulazione dell’eccezione di improcedibilità, sul rilievo che tale termine ben potrebbe riferirsi all’attore rispetto alla domanda riconvenzionale o al terzo cui l’ambito soggettivo del giudizio sia esteso ai sensi degli artt. 105 e 106 c.p.c. e si è sostenuto che, in simili casi, la trattazione congiunta delle reciproche pretese dinanzi al mediatore piuttosto che dilatare i tempi del processo potrebbe invece favorire la soluzione conciliativa a condizione che in mediazione venga discussa non solo la nuova domanda bensì anche quella principale;
ritenuto tuttavia che diversi sono gli argomenti che inducono a ritenere preferibile l’opzione interpretativa contraria, per cui la mediazione obbligatoria non si estenda alle domande nei riguardi di terzi chiamati in causa;
premesso, infatti, che le disposizioni che prevedono condizioni di procedibilità, costituendo deroga all’esercizio di agire in giudizio garantito dall’art. 24 Cost, non possano essere interpretate in senso estensivo (Cass. 16092/12, 967/04), non può prescindersi dalla rigorosa interpretazione del dato testuale, che prevede che l’improcedibilità sia sollevata dal convenuto, qualificazione che il codice di rito annette non al destinatario di una qualunque domanda giudiziale, bensì a colui che riceve la vocatio in jus da parte dell’attore;
considerato, peraltro, che l’evenienza di dove esperire, in tempi diversi e nell’ambito dello stesso processo, una pluralità di procedimenti di mediazione, comportando un inevitabile, sensibile allungamento dei tempi di definizione del processo, è all’evidenza difficilmente compatibile con il principio costituzionale della ragionevole durata del giudizio e con l’esigenza di evitare ogni possibile forma di abuso strumentale del processo medesimo, ciò che impone di preferire un’interpretazione costituzionalmente orientata del precetto normativo;
ritenuto altresì che sostenere (in maniera del tutto logica e coerente con la ratio dell’istituto) che,  una volta ammessa la mediazione obbligatoria anche per le domande proposte da e nei confronti dei terzi, eventualmente distinguendo la chiamata in garanzia propria da quella impropria (escludendo soltanto nella prima la necessità del preventivo esperimento del tentativo di mediazione che si sia già svolto rispetto alla domanda principale), occorre che alla mediazione sia demandata l’intera controversia, perché solo in tal modo essa potrà essere definita in via conciliativa, equivale a gravare oltremodo la posizione dell’attore obbligato a farsi nuovamente carico del costo dell’organismo di mediazione pur avendo già invano sostenuto quelli della mediazione sulla domanda principale;
ritenuto che, come correttamente osservato da altri giudici anche di questo Tribunale e come sostenuto deciso da questo Giudice in altre analoghe fattispecie, un’interpretazione conforme alla normativa europea è anch’essa nel senso di escludere la mediazione obbligatoria rispetto alle domande proposte da e nei confronti dei terzi oltre che rispetto alle c.d. domande riconvenzionali inedite;
rilevato, infatti, che la direttiva 2008/52/CE – costituente criterio guida della legge 69/09, richiamata persino nel preambolo del D. Lgs. 28/10 si prefigge di garantire un miglior accesso alla giustizia promuovendo metodi alternativi di risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale garantendo un’equilibrata relazione tra mediazione e procedimento giudiziario (art. 1); essa inoltre cerca di promuovere i diritti fondamentali e tiene conto dei principi riconosciuti in particolare dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea;
ritenuto che l’allungamento dei tempi di durata del processo – già seriamente appesantiti nelle controversie per responsabilità professionale sanitaria  dai plurimi differimenti dovuti alle chiamate in causa dei sanitari e dei rispettivi assicuratori – connesso al nuovo tentativo di mediazione contrasterebbe, di fatto, oltre che con l’intento deflativo, anche con il diritto alla ragionevole durata del processo sancito dall’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo e dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea;
ritenuto che ne risulterebbe dunque sacrificata quell’equilibrata relazione tra mediazione e procedimento giudiziario che la direttiva del 21.5.08 in materia di mediazione civile e commerciale si propone invece di assicurare;
ritenuto che, per tutte le illustrate ragioni, la ratio legis sottesa all’art. 5 D. Lgs. 28/2010 deve intendersi ragionevolmente limitata all’iniziativa processuale che dà vita ad un processo e non si estende anche ai fenomeni di ampliamento dell’ambito oggettivo del giudizio già avviato;
ritenuto, pertanto, preferibile intendere l’espressione “chi intende esercitare in giudizio un’azione” come “chi intende instaurare un giudizio”, optando per un’interpretazione costituzionalmente orientata e maggiormente conforme allo spirito delle richiamate norme europee;
ritenuto che non v’è pertanto, allo stato, ragione per un ulteriore arresto del procedimento, che deve invece proseguire verso l’appendice di trattazione scritta preannunciata dalle parti;
ritenuto che, avendone fatto richiesta, va a queste ultime ac-cordato il rinvio ai sensi dell’art. 183 co. 6 c.p.c.

PQM

Rigetta l’eccezione di improcedibilità sollevata dalla difesa del dott. omissis; rinvia al merito l’esame dell’eccezione pregiudiziale di in-competenza territoriale; assegna alle parti i termini di cui all’art. 183 co. 6 nn. 1,2,3, cp.c. decorrenti omissis e rinvia la causa, per l’adozione dei successivi provvedimenti, all’udienza omissis.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

27 settembre 2016

67/16. Mediazione delegata espletata, ma con istanza depositata oltre il termine dei 15 giorni: no all’improcedibilità (Osservatorio Mediazione Civile n. 67/2016)

=> Corte d’appello di Milano, 28 giugno 2016

Disposto l'instaurazione del procedimento di mediazione secondo quanto previsto ai sensi dell'art.5 d.lgs. n. 28/2010, fissando il termine di legge di 15 giorni per il deposito della domanda di mediazione, va osservato che il mancato rispetto di un termine di natura ordinatoria, fissato dal giudice in stretta applicazione dei termini di legge previsti ai sensi dell'art. 5 d.lgs, n. 28/2010, non comporta l'improcedibilità del giudizio, stante la natura non perentoria del termine medesimo, la cui mancata osservanza non determina certamente gli effetti decadenziali rilevati dal giudice di primo grado, atteso che il tentativo di mediazione è stato regolarmente espletato (I) (II) (III).


(II) La pronuncia d’appello massimata è relativa alla pronuncia di primo grado Tribunaledi Monza, 21 gennaio 2016, n. 156, in Osservatorio Mediazione Civile n. 39/2016

(III) La giurisprudenza in tema di mancato rispetto dei termini di presentazione dell’istanza di mediazione è consultabile al seguente link:

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 67/2016

Corte d’appello di Milano
ordinanza
28 giugno 2016

Omissis

il giudice di prime cure ha disposto l'instaurazione del procedimento di mediazione secondo quanto previsto ai sensi dell'art. 5 d.lgs. n. 28/2010, fissando il termine di legge di 15 giorni per il deposito della domanda di mediazione;
a fronte dei tardivo deposito della suddetta domanda, avvenuto il 18 novembre 201.5 e, pertanto, oltre il termine del 31 luglio 2015 indicato dal giudice in conformità alla norma di cui sopra, il giudice di prima istanza ha dichiarato l'improcedibilità del giudizio nonostante fosse stata dal medesimo accertata la natura ordinatoria del termine suddetto;
il mancato rispetto di un termine di natura ordinatoria, fissato dal giudice in stretta applicazione dei termini di legge previsti ai sensi dell'art. 5 d.lgs, n. 28/2010, non comporterebbe pertanto l'improcedibilità del giudizio, stante la natura non perentoria del termine medesimo, la cui mancata osservanza non determina certamente gli effetti decadenziali rilevati dal giudice, atteso che il tentativo di mediazione è stato regolarmente espletato;
ai fini del decidere il merito della controversia, risulta pertanto necessario procedere alla fase istruttoria sollecitata dal omissis sin dai primo grado di giudizio, francata solo per effetto della declaratoria d' improcedibilità;
risulta pertanto necessario procedere alla nomina di un consulente tecnico affinché venga effettuata una perizia calligrafica sulla sottoscrizione apposta alla fideiussione asseritamente rilasciata da parte del omissis nei confronti di omissis, disconosciuta dalla parte opponente sin dall'atto di opposizione e di cui la controparte ha chiesto di avvalersi producendone l' originale;
alla stregua di quanto rilevato, è necessario nominare all'uopo il CTU dott. omissis cui si assegna il seguente quesito peritale: "Accerti il consulente, esaminati gli atti e i documenti di causa, se la sottoscrizione apposta alla fideiussione rilasciata da parte del omissis nei confronti di omissis sia riconducibile al sig. omissis ".

PQM

La Corte d'Appello nomina quale CTU dott. omissis, convocandolo per il conferimento del suddetto incarico innanzi al consigliere relatore omissis all'udienza monocratica che si terrà omissis.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

21 settembre 2016

65/16. Mediazione demandata: contenuto dell’istanza di mediazione e termine ultimo per il rilievo officioso dell’improcedibilità (Osservatorio Mediazione Civile n. 65/2016)

=> Tribunale di Verona, 7 luglio 2016

L’art. 4, comma 2, d.lgs. 28/2010 richiede, al fine di assolvere la condizione di procedibilità, che vengano individuate nell’istanza di mediazione tutte le ragioni sottostanti alle diverse domande svolte in giudizio, a nulla rilevando che parte convenuta nulla abbia eccepito al riguardo né in fase di mediazione né nel corso del giudizio. Pertanto, se dalla domanda di mediazione emerge che questa ha riguardato solo alcuni dei diversi titoli azionati in causa, va dichiarata l’improcedibilità delle altre domande (I).

L’art. 5, comma 2, d.lgs. 28/2010 non individua un termine ultimo per il rilievo officioso del difetto della condizione di procedibilità in caso di mediazione demandata (I).




Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 65/2016

Tribunale di Verona
sentenza
7 luglio 2016

Omissis

Omissis Srl, in qualità di debitrice principale, e i suoi garanti omissis hanno promosso nei confronti del Banco Popolare società cooperativa un'azione d'indebito oggettivo, finalizzata ad ottenere la restituzione delle somme indebitamente incassate dalla Banca, e ammontanti a euro 17.237,85, nel corso di un rapporto bancario di conto corrente, meglio identificato in atto di citazione e concluso in data 18.12.2006. A sostengo di tali domande l’attrice ha dedotto che, nel corso del rapporto di conto corrente, l’istituto di credito aveva applicato interessi passivi superiori al tasso soglia e comunque in condizioni di usura soggettiva dell’attrice, nonché la capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori. Gli attori hanno inoltre lamentato la nullità totale o parziale del contratto di conto corrente sotto numerosi profili, meglio esplicitati alle pag. 18 e 19 dell’atto di citazione. Gli attori hanno anche lamentato l’invalidità del contratto di mutuo chirografario dell’importo di euro 8.092,16 concesso alla omissis dalla convenuta, per mancanza di causa e contrarietà a norme imperative, in quanto accordato al fine di estinguere le passività derivanti dal contratto di conto corrente, e per essere stati applicati interessi anatocistici nel corso di esso.
Gli attori hanno anche svolto una domanda di inibitoria della convenuta dalla segnalazione alla centrale rischi dei loro nominativi, sul presupposto che sarebbe stata contraria alla buona fede, e una domanda di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti per effetto del comportamento della convenuta.
Quest’ultima si è costituita in giudizio, resistendo alle domande avversarie e assumendone l’infondatezza.
Ciò detto con riguardo agli assunti delle parti, in via preliminare va dichiarata l’improcedibilità, delle domande, avanzate dalla omissis, di nullità del contratto e delle clausole del rapporto di conto corrente e di quella di inibitoria alla segnalazione in Centrale rischi per mancato espletamento della procedura di mediazione demandata da questo giudice, ai sensi dell’art. 5, comma 2, d. lgs. 28/2010, con ordinanza del 18 dicembre 2014. Tale conclusione discende dalla considerazione che dalla istanza di mediazione, presentata in data 24.12.2014, che parte attrice ha prodotto solo in data 18 aprile 2016, in ossequio all’ordinanza interlocutoria di questo Giudice, emerge che il procedimento conciliativo ha riguardato solo alcuni dei diversi titoli azionati in causa, vale a dire la ripetizione degli interessi anatocistici ed usurari applicati al rapporto di conto corrente e l’accertamento della gratuità del contratto di mutuo e della clausola di esso relativa alla pattuizione di interessi usurari (cfr. la parte della domanda di mediazione relativa alla indicazione delle ragioni della pretesa, prodotta da parte attrice).
Orbene, l’art. 4, comma 2, D. Lgs. 28/2010 richiedeva, al fine di assolvere la condizione di procedibilità, che fossero individuate nella istanza di mediazione tutte le ragioni sottostanti alle diverse domande svolte dalla omissis, a nulla rilevando in contrario che parte convenuta nulla abbia eccepito al riguardo né in fase di mediazione né nel corso del presente giudizio. Non va poi trascurato che l’art. 5, comma 2, d. lgs. 28/2010 non individua un termine ultimo per il rilievo officioso del difetto della condizione di procedibilità in caso di mediazione demandata. Infatti il richiamo al comma 1 bis operato da tale disposizione deve intendersi riferito alla elencazione delle ipotesi di mediazione obbligatoria ex lege presente nel comma suddetto.
In ogni caso nel caso di specie questo giudice è stato posto in condizioni di rilevare la mancanza del presupposto processuale solo dopo che era stata fissata udienza di discussione. La stessa conclusione di improcedibilità non è invece consentita per le domande, relative ai predetti profili, svolte dal B. e dalla S., in qualità di fideiussori della omissis, atteso che, ad avviso di questo Giudice, il contratto di fideiussione non è riconducibile alla categoria dei contratti bancari, di cui all’art. 5, comma 1 bis, D. Lgs. 28/2010. Infatti deve ritenersi che con tale espressione il legislatore abbia inteso far riferimento solamente ai rapporti tipicamente bancari. Venendo al merito le restanti domande attoree sono tutte infondate e vanno pertanto rigettate.
A giustificare il rigetto della doglianza relativa alla pretesa applicazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori, è sufficiente la considerazione che il contratto di conto corrente per cui è causa è stato stipulato nel dicembre 2006 e in esso era stata prevista la pari periodicità degli interessi attivi e passivi (cfr. doc.3 di parte convenuta).
Quanto ai molteplici profili di nullità del contratto prospettati dagli attori, essi vanno tutti disattesi o perché generici (considerazione che vale per quello relativo alle clausole contrattuali che stabiliscono non meglio precisate condizioni più sfavorevoli per il cliente, per quello relativo alle clausole, non identificate e qualificate come abusive o vessatorie e di quelle relative all’applicazione delle valute in mancanza dell’indicazione del parametro sulla base del quale sono state considerate invalide) o perché infondati in quanto relativi a facoltà e iniziative dell’istituto di credito che erano state previste nel contratto (considerazione che vale per tutti i rilievi non ritenuti generici e di cui alle pagine 18 e 19 dell’atto di citazione). Parimenti generico è l’assunto relativo alla situazione di usura soggettiva in cui si sarebbe trovata la omissis al momento della conclusione del contratto, in difetto di precisazione della parte attrice di quale fosse stato il tasso medio praticato per operazioni similari da assumere come riferimento per la valutazione del caso.
Quanto poi alla doglianza relativa alla applicazione di interessi debitori usurari nel corso del rapporto di conto corrente anch’essa va disattesa poiché si fonda su criteri non condivisibili.
A tale riguardo, occorre innanzitutto osservare che, per il periodo precedente all’entrata in vigore della L. n. 2/09, non si condivide l'assunto teorico attoreo che ricollega il metodo di calcolo del TEG alla diretta applicazione del principio di cui all'art. 644, 4 comma cod.pen., ("…per la determinazione del tasso d'interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all'erogazione del credito”), che ricomprende nel calcolo del TEG anche la CMS. Invero, può evidenziarsi, criticamente, che tale assunto: 1) porta alla ‘disapplicazione’ delle Istruzioni emanate dalla Banca d'Italia ai sensi dell’art. 2, comma 1, della legge n. 108/96, che espressamente escludono la CMS dal computo del TEG prevedendone la rilevazione separata (vedi pgf. C5 delle Istruzioni come periodicamente aggiornate sino al 2009), senza tuttavia considerare che la stessa legge 108/96, nel rimettere all'autorità amministrativa ministeriale il compito del rilevamento periodico dei tassi, esige la rilevazione comparata di “… operazioni della stessa natura”, cioè di elementi omogenei tra loro, quali non sono gli interessi e la CMS, ove concepita, secondo il modello di tecnica bancaria (ripreso poi anche da Cass. n. 870/06, che ne ha valorizzato il carattere di remunerazione per la messa disposizione dei fondi indipendente dall'effettivo prelevamento) come “…il corrispettivo pagato dal cliente per compensare l'intermediario dell'onere di dover essere sempre in grado di fronteggiare una rapida espansione nell'utilizzo dello scoperto del conto” (cfr. Istruzioni Banca d'Italia, nei vari aggiornamenti periodici, sub pgf. C5) e perciò fatta oggetto di autonoma rilevazione “…finalizzata all’enucleazione di una specifica soglia usuraria ad hoc, all’evidente fine di non omogeneizzare categorie di interessi pecuniari finanziariamente disomogenei (si pensi, ad es., a quelli che accedono al mutuo fondiario familiare per l’acquisto della prima casa rispetto a quelli, assai diversi financo sul piano ragionieristico, derivanti da apertura di credito in conto corrente in favore di impresa commerciale”) (cfr. Tribunale di Verona, sent. 3/10/12); 2) non tiene conto del fatto che, riconosciuta nell'art. 644 una norma penale in bianco suscettibile di eterointegrazione per la determinazione del “…limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari”, sono gli stessi Decreti Ministeriali di rilevazione dei tassi usurari, emessi ai sensi dell'art. 2 della legge n. 108/96 e, quindi, integrativi della stessa norma penale (cfr. art. 644, 3 comma, cod.pen.), che, ‘legificando’ il criterio tecnico della B.I.: a) prevedono espressamente che i tassi non sono comprensivi della commissione di massimo scoperto eventualmente applicata, la quale viene rilevata e pubblicata a parte, come allegato alla tabella dei tassi (cfr. art. 1, 2 comma, dei decreti); b) fanno propri i criteri illustrati dalla Banca d'Italia nelle “Istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull'usura”, che sono elaborate dall'Istituto di Vigilanza non già per ragioni interne al sistema bancario o meramente statistiche bensì proprio nell'ambito del procedimento disciplinato dall'art. 2 della legge n. 108/96; c) ribadiscono che le banche e gli intermediari finanziari, al fine di verificare il rispetto del limite di cui all'art. 2, 4 comma, della legge n. 108/96, si attengono ai criteri di calcolo delle Istruzioni della Banca d'Italia (cfr. art. 3, 2 comma, dei decreti).
Inoltre, la tesi dell’inclusione della CMS nel calcolo del TEG, si pone in aperto contrasto: a) con la ultima parte del 2 comma dell'art. 2 bis della legge n. 2/09, che, a chiusura del dibattito giurisprudenziale insorto negli anni in materia, ha previsto l'inclusione della CMS nel calcolo del TEG solo a partire dalla data dell’entrata in vigore della legge stessa, confermando per il periodo precedente la disciplina anteriormente in vigore (cfr. l’art. 2 bis, 2 comma, ultima parte, della L. 2/09, secondo cui “Il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Banca d'Italia, emana disposizioni transitorie in relazione all'applicazione dell'articolo 2 della legge 7 marzo 1996, n. 108, per stabilire che il limite previsto dal terzo comma dell'articolo 644 del codice penale, oltre il quale gli interessi sono usurari, resta regolato dalla disciplina vigente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto fino a che la rilevazione del tasso effettivo globale medio non verrà effettuata tenendo conto delle nuove disposizioni”); b) con la prima parte del 2 comma dell'art. 2 bis della legge n. 2/09, che correlativamente prevede che “Gli interessi, le commissioni e le provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall'effettiva durata dell'utilizzazione dei fondi da parte del cliente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono comunque rilevanti ai fini dell'applicazione dell'articolo 1815 del codice civile, dell'articolo 644 del codice penale e degli articoli 2 e 3 della legge 7 marzo 1996, n. 108”).
Le superiori considerazioni giustificano anche il rigetto delle domande di nullità e accertamento di simulazione relative al contratto di mutuo atteso che, una volta escluso che le passività derivanti dal contratto di conto corrente fossero non dovute, esso deve ritenersi pienamente valido.
Quanto invece alla doglianza relativa al tasso di interesse applicato alla somma mutuata deve osservarsi che, come affermato da diverse pronunce di merito (cfr. tra le altre le pronunce di questo Tribunale del 24 marzo 2015 e del 27 aprile 2015) non è concettualmente configurabile il fenomeno anatocistico con riferimento a mutuo con ammortamento c.d. alla francese, difettando in sede genetica del negozio, il presupposto stesso dell’anatocismo, vale a dire la presenza di un interesse giuridicamente definibile come scaduto” sul quale operare il calcolo dell’interesse composto ex art. 1283 c.c.
Pertanto, in tale tipo di ammortamento, il metodo di calcolo della tradizionale rata costante espressa nel relativo piano (rata contenente, nel suo senso la restituzione frazionata del capitale e dell’interesse fissato per il mutuo) si risolve, a tutto voler concedere, in una formula più complessa di calcolo del futuro interesse corrispettivo da versare, estranea dunque alla disciplina imperativa di cui all’art. 1283 c.c.
Venendo alla regolamentazione delle spese di lite esse vanno poste a carico degli attori in applicazione del principio della soccombenza.
Alla liquidazione delle somme spettanti a titolo di compenso si procede come in dispositivo sulla base del d.m. 55/2014.
In particolare il compenso per le fasi di studio ed introduttiva può essere determinato assumendo a riferimento i corrispondenti valori medi di liquidazione previsti dal succitato regolamento mentre quello per le fasi istruttoria e decisionale va quantificato in una somma pari ai corrispondenti valori medi di liquidazione, ridotti del 30 %, alla luce della considerazione che la prima è consistita nel solo deposito delle memorie ex art. 183 VI comma c.p.c.. e nella partecipazione ad una udienza mentre nella fase decisionale le parti hanno ripreso le medesime argomentazioni che avevano già svolto in precedenza.
Il compenso così risultante è pari ad euro 2581,00 ed esso va aumentato del 40% ai sensi dell’art. 4, comma II, d.m.55/2014.
Sull’importo riconosciuto a titolo di compenso alla convenuta spetta anche il rimborso delle spese generali nella misura massima consentita del 15 % della somma sopra indicata.

PQM

Il Giudice unico del Tribunale di Verona, definitivamente pronunciando ogni diversa ragione ed eccezione disattesa e respinta, dichiara improcedibili le domande di nullità relative al contratto di conto corrente per cui è causa e quella di inibitoria dalla segnalazione alla Centrale rischi avanzate da omissis; rigetta tutte le altre domande di parte attrice e condanna gli attori in solido tra loro a rifondere alla convenuta le spese del presente giudizio che liquida nella somma di euro 3.613,40, oltre rimborso spese generali nella misura del 15 % del compenso, Iva, se dovuta e Cpa.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

8 settembre 2016

61/16. Mediazione e pubbliche amministrazioni: per gli enti pubblici stessi oneri ed obblighi di qualsiasi altro soggetto (Osservatorio Mediazione Civile n. 61/2016)

=> Tribunale di Roma, 10 marzo 2016

Sebbene gli enti pubblici tendano a non partecipare, pur quando ritualmente convocati, in mediazione, la partecipazione al procedimento di mediazione demandata (art. 5, comma 2, d.lgs. 28/2010) è obbligatoria per legge e proprio in considerazione di ciò non è giustificabile una negativa e generalizzata scelta aprioristica di rifiuto e di non partecipazione al procedimento di mediazione. Neppure ove tale condotta muova dal timore di incorrere in danno erariale a seguito della conciliazione (I). 

La legge, nel disciplinare la mediazione, sia dal punto di vista attivo che passivo, non fa alcuna eccezione per quanto riguarda l’ente pubblico: la lettera e la sostanza della normativa sulla mediazione va nella direzione del raggiungimento di accordi conciliativi, senza alcuna eccezione soggettiva. Le PP.AA. pertanto hanno, in subjecta materia, gli stessi oneri ed obblighi di qualsiasi altro soggetto.

È opportuno procedimentalizzare la condotta delle PP.AA. in mediazione: il soggetto che va in mediazione in rappresentanza della P.A. deve quindi concordare con chi ha il potere dispositivo perimetri oggettivi all’interno dei quali poter condurre le trattative.

Una conciliazione raggiunta sulla base del correlativo provvedimento del giudice, spesso anche corredato da indicazioni motivazionali, in nessun caso potrebbe esporre il funzionario a responsabilità erariale, caso mai potendo essa derivare dalle conseguenze sanzionatorie (art. 96 III cpc) che possono conseguire ad una condotta deresponsabilizzata ignava ed agnostica della P.A.

In sede di mediazione al fine di facilitare il raggiungimento di un accordo, le parti possono convenire la nomina di un consulente per l’accertamento dell’ammontare del danno, producibile in giudizio: anche in caso di mancato accordo, quindi, tale attività conserva utilità.


Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 61/2016

Tribunale di Roma
Sezione XIII
ordinanza
10 marzo 2016

Omissis

Gli enti pubblici, per quanto risulta in base alla lunga e significativa esperienza del Giudicante, tendono a non partecipare, pur quando ritualmente convocati, in mediazione.
Ove mai l'esistenza di una tale scelta pregiudiziale e generalizzata non esista, non sarebbe da aggiungere altro. In caso contrario vale ricordare che la partecipazione al procedimento di mediazione demandata è obbligatoria per legge e che proprio in considerazione di ciò non è giustificabile una negativa e generalizzata scelta aprioristica di rifiuto e di non partecipazione al procedimento di mediazione. Neppure ove tale condotta muova dal timore di incorrere in danno erariale a seguito della conciliazione.
Va infatti considerato che in tale timore è insita un’aporia. A prescindere che esiste la possibilità di un autorevole e rassicurante ausilio nel percorso conciliativo in mediazione, sta di fatto che è la legge, nel disciplinare la mediazione, sia dal punto di vista attivo che passivo, non fa alcuna eccezione per quanto riguarda l’ente pubblico.
Un pregiudizio in tale senso pertanto costituisce un controsenso. Come dire che se una P.A. deve intentare una causa in una delle materie di cui all’art. 5 co. 1 bis del decr.lgsl.20/2010, promuove necessariamente il procedimento di mediazione, ma lo fa con la riserva mentale di non poter accordarsi (sic?).
Si tratta all’evidenza di un paradossale non pòssumus, del tutto contrario alla lettera ed alla sostanza della legge, che va in tutt’altra direzione. Che è quella del raggiungimento di accordi conciliativi, senza alcuna eccezione soggettiva. Le PP.AA. pertanto hanno, in subjecta materia, gli stessi oneri ed obblighi di qualsiasi altro soggetto. Fermo restando che è opportuno procedimentalizzare la loro condotta al riguardo. Il che sta a significare che il soggetto che va in mediazione in rappresentanza della P.A. deve concordare con chi ha il potere dispositivo perimetri oggettivi all’interno dei quali poter condurre le trattative.
Peraltro, va considerato che una conciliazione raggiunta sulla base del correlativo provvedimento del giudice, spesso, come in questo caso anche corredato da indicazioni motivazionali, in nessun caso potrebbe esporre il funzionario a responsabilità erariale, caso mai potendo essa derivare dalle conseguenze sanzionatorie (art. 96 III° cpc) che possono conseguire ad una condotta deresponsabilizzata ignava ed agnostica della P.A.
Alle parti si assegna termine fino all'udienza di rinvio per il raggiungimento di un accordo amichevole. Va fissato il termine di gg.15 decorrente dal 1.4.2016, per depositare presso un organismo di mediazione, a scelta delle parti congiuntamente o di quella che per prima vi proceda, la domanda di cui al secondo comma dell’art.5 del decr.legisl.4.3.2010 n.28; con il vantaggio di poter pervenire rapidamente ad una conclusione, per tutte le parti vantaggiosa, anche da punto di vista economico e fiscale (cfr. art.17 e 20 del decr.legisl.4.3.2010 n.28), della controversia in atto.
Va evidenziato che ai sensi e per l'effetto del secondo comma dell'art.5 decr.lgsl.28/10 come modificato dal D.L.69/13 è richiesta l'effettiva partecipazione al procedimento di mediazione demandata, laddove per effettiva si richiede che le parti non si fermino alla sessione informativa e che oltre agli avvocati difensori siano presenti le parti personalmente; e che la mancata partecipazione (ovvero l'irrituale partecipazione) senza giustificato motivo al procedimento di mediazione demandata dal giudice oltre a poter attingere, secondo una sempre più diffusa interpretazione giurisprudenziale, alla stessa procedibilità della domanda, è in ogni caso comportamento valutabile nel merito della causa.
All’udienza di rinvio, le parti, in caso di accordo, potranno anche non comparire; viceversa, in caso di mancato accordo, potranno, volendo, in quella sede fissare a verbale quali siano le loro posizioni al riguardo, anche al fine di consentire l’eventuale valutazione giudiziale della condotta processuale delle parti ai sensi degli artt. 91 e 96 III° cpc.
In sede di mediazione al fine di facilitare il raggiungimento di un accordo, le parti potranno convenire la nomina di un consulente per l’accertamento dell’ammontare del danno (chi scrive ha già espresso in provvedimenti noti – sui siti on line relativi alla mediazione- i termini e le condizioni per la producibilità in giudizio della consulenza in mediazione; come dire che anche in caso di mancato accordo tale attività potrebbe conservare utilità).

PQM

A scioglimento della riserva che precede,
- ammette i documenti prodotti dalle parti;
- dispone che le parti procedano alla mediazione demandata, ai sensi dell'art. 5 comma secondo del decr.lgsl. 28/2010, della controversia;
- invita i difensori delle parti ad informare i loro assistiti della presente ordinanza nei termini di cui all’art.4, co. 3 decr.lgsl. 28/2010, e specificamente della necessità di partecipare effettivamente e di persona, assistiti dai rispettivi avvocati, al procedimento di mediazione;
- informa le parti che l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda ai sensi dell’art. 5, co.2 e che ai sensi dell’art. 8 dec.lgs. 28/10 la mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione comporta le conseguenze previste dalla norma stessa; oltre che dall’art. 96 III° cpc;
- va fissato il termine dilatorio di gg. 15, decorrente dal 1.4.2016, per depositare presso un organismo di mediazione, a scelta delle parti congiuntamente o di quella che per prima vi proceda, la domanda di cui al secondo comma dell’art. 5 del dec.lgs. 28/10;
- rinvia all’udienza del omissis.

Roma lì 10.3.2016
Il Giudice dott. cons. Massimo Moriconi

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

17 febbraio 2016

15/16. Mediazione demandata, attivazione oltre il termine di 15 giorni: improcedibilità della domanda (Osservatorio Mediazione Civile n. 15/2016)

=> Tribunale di Firenze, 4 giugno 2015

In caso di mediazione demandata, la mancata attivazione del procedimento di mediazione entro il termine di 15 giorni disposto dal giudice, ex art.5, comma 2, d.lgs. n. 28/2010, e dunque la tardiva proposizione del procedimento, comporta l’improcedibilità della domanda (I) (II).








Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 15/2016

Tribunale di Firenze
Sezione III civile
sentenza
4 giugno 2015

Omissis

Il sig. X ha chiesto disporsi la risoluzione per inadempimento imputabile alla convenuta dell’atto transattivo di cui al verbale di conciliazione in data 3.12.2009, con condanna della stessa a rimuovere i manufatti eseguiti in parziale adempimento di esso e con condanna della medesima al risarcimento dei danni, quantificati in € 25.000,00.
Y ha resistito alle domande, di cui ha chiesto il rigetto, avanzando a sua volta domanda riconvenzionale per il pagamento dell’importo di € 4.944,62 oltre alla quota parte posta a carico dell’attore ed alle relative spese di demolizione del manufatto.
Il procedimento, già incardinato presso la sezione distaccata di Empoli, è stato istruito con prova per testi, in via documentale, e con CTU.
A seguito della soppressione ex lege della Sezione Distaccata, la causa è stata trasferita presso la sede centrale ed assegnata a questo Giudice (provv. Presidenziale 13.11.2013).
All’udienza 15.4.2014 l’ufficio ha disposto procedersi a mediazione delegata nel termine di gg 15 ai sensi dell’art. 5, II co., D. Lgs. N. 28/2010 e successive modifiche.
Tale incombente non ha sortito esito positivo.
All’udienza 5.5.2015 è stata rilevata di ufficio la improcedibilità delle domande proposte attesa la tardiva attivazione del procedimento di mediazione.
Le parti hanno quindi precisato le conclusioni, confermando quelle di cui agli atti introduttivi.
La causa è passata in decisione a seguito di discussione orale.
Le parti hanno depositato note conclusive autorizzate.
L’invio delle parti in mediazione (c.d. mediazione delegata o disposta dal giudice) costituisce potere discrezionale dell’ufficio che può essere esercitato “valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione ed il comportamento delle parti” sempreché non sia stata tenuta l’udienza di precisazione delle conclusioni. Ove la mediazione venga disposta, il suo esperimento “è condizione di procedibilità della domanda giudiziale” (art. 5, II co. D.Lgs. citato).
Ne segue che il mancato esperimento della mediazione vizia irrimediabilmente il processo, impedendo l’emanazione di sentenza di merito.
Tale disciplina, finalizzata a favorire la conciliazione della lite con l’intervento di soggetto terzo imparziale, non pone problemi di natura costituzionale né appare lesiva dei precetti di cui alla normativa sovranazionale sul diritto di azione e di accesso alla giustizia (Carta di Nizza, CEDU).
Non vi è dubbio infatti che l’intento perseguito – deflazionamento del contenzioso con positivi effetti sotto il profilo della ragionevole durata del processo – giustifichi sotto il profilo razionale e costituzionale, da un lato, il potenziamento degli istituti di definizione delle controversie alternativi al processo, e, dall’altro, la sanzione prevista in caso di inottemperanza all’ordine giudiziale.
Nessun dubbio può poi porsi circa la applicabilità della disciplina della mediazione delegata ai procedimenti pendenti alla data del 21.9.2013, data di entrata in vigore delle nuove disposizioni in materia di mediazione.
Invero, in assenza di una espressa diversa disciplina transitoria ed in coerente osservanza del principio tempus regit actum, secondo cui la validità degli atti processuali deve essere valutata con riferimento alla disciplina vigente al momento in cui l’atto è compiuto, e non a quella in vigore alla data di avvio del processo, non vi è alcuna ragione di ritenere l’istituto in questione applicabile esclusivamente ai procedimenti avviati dopo la sua entrata in vigore.
N’è d’altra sul punto si traggono spunti interpretativi diversi dal disposto dell’art. 24 del D. Lgs. N. 28 (che differiva l’efficacia dell’originario art. 5, comma 1, ai procedimenti avviati dopo il 21.3.2011), posto che tale norma si riferisce espressamente alla mediazione ante causam, oggi disciplinata dall’art 5, co. 1 bis, e non a quella delegata/demandata dal giudice (art. 5, co. 2), così come novellata dal DL n. 69/13 conv. con modif. nella L. 98/2013.
Nella fattispecie è pacifico che, nel termine concesso all’udienza 15.4.2014, nessuna delle parti ha attivato la mediazione. Irrilevante e tardivo, ad avviso del Tribunale, è poi il successivo esperimento della mediazione su iniziativa della parte convenuta in data 8.7.2014 (cfr sul punto quanto risultante dal verbale di mediazione depositato).
Trattasi, infatti, di adempimento posto in essere quando il termine ex lege assegnato per l’esperimento (rectius: attivazione) del procedimento di mediazione era già ampiamente scaduto.
Né d’altra parte giova obbiettare che, in difetto di legale espressa previsione, il termine in questione non avrebbe natura perentoria, ma solo ordinatoria (art. 152 c.p.c.).
Invero, secondo la giurisprudenza di legittimità, che si condivide, il carattere della perentorietà del termine può desumersi, anche in via interpretativa tutte le volte che, per lo scopo che persegue e la funzione che adempie, lo stesso debba essere rigorosamente osservato (in questo senso Cass. n. 14624/00, 4530/04).
Non si dubita ad esempio, che, il termine per proporre opposizione a decreto ingiuntivo di cui all’art. 641 c.p.c., pur non espressamente dichiarato perentorio da tale disposizione, abbia tale qualità, sia perché tale procedimento presenta taluni caratteri del procedimento impugnatorio, la cui proposizione è secondo i principi generali sempre scandita da rigorosi termini processuali, sia perché la mancata osservanza di tale termine comporta esecutorietà del decreto ex art. 647 c.p.c.
Ritiene il giudicante che a conclusione analoga si debba pervenire in caso di mancato rispetto del termine concesso dal giudice ex art. 5, II co., ultimo periodo D. Lgs. citato per il deposito della domanda di mediazione.
La implicita natura perentoria di tale termine si evince dalla stessa gravità della sanzione prevista, l’improcedibilità della domanda giudiziale, che comporta la necessità di emettere sentenza di puro rito, così impedendo al processo di pervenire al suo esito fisiologico.
Apparirebbe assai strano che il legislatore, da un lato, abbia previsto la sanzione dell’improcedibilità per mancato esperimento della mediazione, prevedendo altresì che la stessa debba essere attivata entro il termine di 15 gg, dall’altro, abbia voluto negare ogni rilevanza al mancato rispetto del suddetto termine. In proposito è solo il caso di rilevare che, anche a ritenere di natura ordinatoria e non perentoria il termine di 15 gg per l’avvio della mediazione, la mancata proposizione di tempestiva istanza di proroga comporta inevitabilmente secondo la prevalente giurisprudenza, che si condivide, la decadenza dalla relativa facoltà processuale (così, in materia di conseguenze del mancato rispetto di termini ordinatori processuali, non prorogati, cfr, di recente, Cass. N. 589/2015, n. 4448/13, e con pronunce più risalenti, Cass. n. 4877/05; 1064/05; 3340/97).
Il principio è stato da ultimo applicato nelle indicate sentenze della corte di legittimità essenzialmente con riferimento al caso della violazione del termine concesso dal giudice per l'assunzione dei mezzi di prova fuori della circoscrizione del tribunale (art. 203, II co. c.p.c. secondo cui “Nell’ordinanza di delega il giudice delegante fissa il termine entro il quale la prova deve assumersi…”).
La S.C., confermando un orientamento già più volte espresso, con la sentenza n. 589/2015, premesso che tale termine ha carattere ordinatorio, e che quindi lo stesso è prorogabile, ex art. 154 cod. proc. civ., in caso di istanza avanzata prima della scadenza del termine stesso, ha evidenziato che il suo inutile decorso “comporta la decadenza della parte dal diritto di far assumere la prova delegata, e non soltanto dal diritto di far assumere, per delega, la prova medesima”.
Va pertanto senz’altro disatteso quel diverso e più risalente orientamento, secondo cui “lo scadere di un termine ordinatorio … non produce effetti preclusivi, conformemente al disposto di cui all'art. 152 c.p.c., sempre che non si sia verificata una situazione processuale incompatibile” (v. Cass. Sez. Lav. N. 420/1998).
Né d’altra parte sul punto può valorizzarsi il diverso orientamento giurisprudenziale, anche recentemente ribadito, formatosi in materia di mancato rispetto del termine, ritenuto ordinatorio, per la attivazione del contraddittorio nei procedimenti attivati con ricorso (tra le tante vedi SSUU n. 5700/14; conforme Sez. I, n. 11418 del 22/05/2014).
Invero in tali casi la mancata messa in notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza da parte del ricorrente è stata ritenuta sanabile in applicazione analogica del disposto di cui all’art. 291 c.p.c., con conseguente obbligo per il giudice, in caso di omessa notifica ovvero di notifica tardiva, di assegnare nuovo termine, questa volta di natura perentoria, per la rinnovazione della notifica fissando ulteriore prima udienza.
In quella fattispecie infatti la deroga ai principi generali in materia di effetti della violazione dei termini ordinatori è conseguenza della applicazione analogica di specifica disposizione normativa (art. 291 c.p.c.), riguardante il meccanismo di sanatoria della nullità della notifica dell’atto introduttivo.
Tale disposizione prevede che, “se il convenuto non si costituisce e il giudice rileva un vizio che comporta nullità della notificazione della citazione, fissa all’attore un termine perentorio per rinnovarla. La rinnovazione impedisce ogni decadenza”.
Appare evidente che tale norma, per diversità di oggetto e materia, non può essere applicata alla fattispecie, nemmeno in via analogica.
Si aggiunga che non risulta altra disposizione di ordine generale che consenta, sia pure mediante ricorso all’analogia, la sanatoria del mancato rispetto di termine ordinatorio non prorogato, in materia estranea a quella delle formalità per la instaurazione del contraddittorio.
Né d’altra parte appare lecito fare riferimento in via analogica al meccanismo di sanatoria previsto dal D. Lgs. N. 28/2010 e s.m.i. in caso casi di mancato esperimento della mediazione nelle materie in cui la stessa è obbligatoria ante causam (art. 5 co 1 bis).
Invero, considerata la natura speciale della disciplina della mediazione “iussu iudicis”, e la espressa sanzione di improcedibilità prevista in caso di inottemperanza, non appare ragionevole ammettere che, in caso di mancato esperimento e/o esperimento tardivo della mediazione disposta dal giudice, sia consentito alle medesime di sanare la propria inerzia mediante la concessione di nuovo apposito termine.
D’altra parte nella mediazione obbligatoria ante causam il relativo procedimento deve essere esperito prima del giudizio, e quindi d’iniziativa dalle parti.
Ciò spiega perché, ove tale incombente non venga assolto, e la questione sia eccepita dalla parte interessata o rilevata di ufficio, sia consentito sanare l’omissione mediante successivo esperimento della stessa. Si è voluto cioè, in coerenza con analoghe disposizioni processuali (si pensi al caso del tentativo obbligatorio di conciliazione) evitare l’applicazione della grave sanzione dell’improcedibilità per omissione che poteva essere frutto di mancata conoscenza dell’obbligo normativo. L’improcedibilità in tal caso consegue infatti solo al mancato esperimento della mediazione, ove non sia ottemperato l’ordine del giudice di esperire la mediazione art. 5, I co. bis, D. Lgs. n. 28/10 e ss.mm.ii.
Del tutto coerente con tale impostazione è l’aver previsto che il mancato esperimento della mediazione disposta dal giudice ai sensi del II comma della disposizione citata, comporti immediatamente, e quindi senza possibilità di sanatoria, l’improcedibilità della domanda.
Deve pertanto concludersi nel senso che la mediazione tardivamente attivata rende improduttivo di effetti il relativo incombente, provocando gli stessi effetti del mancato esperimento di esso.
Ne segue quindi la applicazione della sanzione della improcedibilità della domanda giudiziale.
Alla luce dei principi di diritto di cui sopra vanno pertanto sanzionate con l’improcedibilità le domande principali e quella riconvenzionale proposte.
Resta assorbita ogni questione di merito.
Considerata la novità della questione e la circostanza che la stessa è stata rilevata di ufficio, le spese di lite vanno interamente compensate. Le spese di CTU, liquidate come in atti, per la stessa ragione vanno poste a carico delle parti, metà per ciascuna, con spese di CTP compensate.

PQM

Visto l’art. 281 sexies c.p.c. il Tribunale di Firenze, III Sez. Civ., definitivamente decidendo, ogni altra e contraria istanza disattesa, così provvede: dichiara improcedibili la domanda principale e quella riconvenzionale proposte; compensa le spese di lite; pone le spese di CTU, liquidate come in atti, definitivamente a carico delle parti, metà per ciascuna, con spese di CTP compensate.
Il Giudice
dott. Alessandro Ghelardini

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

27 gennaio 2016

8/16. Mediazione obbligatoria, primo incontro: non basta manifestare l’intenzione di non dare seguito alla procedura; il decreto ingiuntivo deve quindi essere revocato. (Osservatorio Mediazione Civile n. 8/2016)

=> Tribunale di Firenze, 15 ottobre 2015

In caso di mancato esperimento del procedimento di mediazione obbligatoria, la domanda introdotta da parte opposta con ricorso monitorio e sfociata nell’emissione del decreto ingiuntivo opposto, così come la riconvenzionale avanzata dall’opponente in citazione, devono essere dichiarate improcedibili a norma dell’art.5, d.lgs. 28/2010 (I). Difatti, posto che il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ha ad oggetto l’accertamento dei fatti costitutivi della pretesa creditoria fondante l’emissione del decreto ingiuntivo opposto, la sanzione dell’improcedibilità dovrà innanzitutto colpire la domanda sostanziale azionata in sede monitoria, con conseguente revoca dell’opposto decreto.

L’effettivo esperimento del tentativo di mediazione obbligatoria non è rimesso alla mera discrezionalità delle parti, con conseguente libertà di queste, una volta depositata la domanda di avvio della procedura e fissato il primo incontro davanti al mediatore, di manifestare il proprio disinteresse nel procedere al tentativo, ma costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L’art. 8 d.lgs. 28/2010 deve difatti essere interpretato nel senso di attribuire al mediatore il compito di verificare l’eventuale sussistenza di concreti impedimenti all’effettivo esperimento della procedura e non già quello di accertare la volontà delle parti in ordine alla opportunità di dare inizio alla stessa (II). Se così non fosse non si tratterebbe, nella sostanza, di mediazione obbligatoria bensì facoltativa e rimessa al mero arbitrio delle parti. Pertanto, non può dirsi ritualmente svolto il tentativo di mediazione qualora le parti presenti al primo incontro davanti al mediatore si limitino a manifestare la loro intenzione di non dare seguito alla procedura obbligatoria, senza fornire ulteriore e più specifica indicazione degli impedimenti all’effettivo svolgersi del procedimento. A nulla vale la circostanza che siano ambedue le parti ad impedire l’effettivo tentativo di mediazione con la loro concorde (ingiustificata) volontà di sottrarsi ad esso, ciò comportando piuttosto che ciascuna di esse sarà sottoposta alla sanzione indicata dalla legge, vale a dire alla dichiarazione di improcedibilità della rispettiva domanda proposta.



Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 8/2016

Tribunale di Firenze
Sezione III civile
sentenza
15 ottobre 2015


Omissis

Con un atto di citazione notificato il data omissis, Società omissis, in qualità di debitore principale e omissis e omissis, in qualità di fidejussori, proponevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. omissis emesso dal Tribunale di Firenze in data omissis, con il quale veniva ingiunto il pagamento solidale in favore di Banca della somma di euro omissis oltre interessi in forza di saldo passivo del conto corrente ordinario n. omissis, con competenze al omissis per euro omissis, e del correlato conto anticipi export con competenze al omissis per euro omissis.
In particolare, gli opponenti deducevano che il credito azionato in monitorio da parte opposta traeva origine da un contratto di conto corrente e un contratto di conto anticipi export accesi dalla Società presso Banca; che omissis e omissis si costituivano fidejussori a favore di Banca omissis; che, nell’ambito dei rapporti di affidamento bancario intercorsi con Banca omissis quest’ultima compiva una serie di irregolarità, tali da rendere il credito azionato in monitorio e oggetto dell’opposto decreto incerto, illiquido ed inesigibile; che, in specifico, era violato l’obbligo di forma scritta del contratto di apertura di credito, era applicato un tasso di interesse superiore al tasso soglia in materia di usura ed un’illegittima capitalizzazione degli interessi, erano addebitate somme di denaro a titolo di commissione di massimo scoperto con illegittima anticipazione o posticipazione nella determinazione dei giorni di valuta per le singole operazioni.
Gli opponenti concludevano pertanto: affinché fosse revocato il decreto opposto e stabilito l’esatto dare – avere tra le parti, con conseguente condanna di parte opposta alla restituzione in favore degli opponenti delle somme versate e non dovute, oltre interessi e rivalutazione monetaria; affinché fosse altresì condannata, in ogni caso, parte opposta al risarcimento dei danni subiti dagli opponenti a causa dell’illegittima condotta assunta ex adverso; con vittoria di compensi e spese, anche della fase monitoria.
Si costituiva in giudizio la convenuta opposta, la quale, in via preliminare, eccepiva l’inammissibilità delle avverse domande di restituzione di somme e risarcimento dei danni, in quanto erroneamente non proposte dagli opponenti in via riconvenzionale; nel merito, ne eccepiva comunque l’infondatezza, in quanto non provate né quantificate; concludeva, in tesi, affinché fosse respinta l’opposizione e, in subordine, affinché fossero condannati gli opponenti al pagamento in favore di Banca omissis della somma che sarebbe risultata in corso di causa, con vittoria di spese e compensi.
Concessa la provvisoria esecutorietà del decreto opposto, il Giudice, con ordinanza del omissis, disponeva che le parti esperissero il procedimento di mediazione obbligatorio ex lege con onere di impulso a carico di parte opposta, dando specifico conto dell’interpretazione offerta dal Tribunale in ordine all’effettivo perfezionarsi di detto procedimento. Alla successiva udienza emergeva dal verbale reso dall’Organo di mediazione prodotto in atti che le parti presenti al primo incontro avevano dato atto che “allo stato non sussistono i presupposti per poter dare avvio al procedimento di mediazione” senza fornire idonea, specifica e motivata giustificazione al mancato avvio di un effettivo tentativo di mediazione.
Ritenuta la causa matura per la decisione, il Giudice rinviava le parti all’udienza odierna ai sensi dell’art. 281sexies c.p.c. Queste ultime precisavano le conclusioni come in verbale e discutevano oralmente la causa.
La domanda introdotta da parte opposta con ricorso monitorio e sfociata nell’emissione del decreto ingiuntivo n. omissis di questo Tribunale qui opposto, così come la riconvenzionale avanzata dagli opponenti in citazione, devono essere dichiarate improcedibili a norma dell’art.5 bis del D. Lgs. 28/2010 (come modificato dal D.L. 21.6.2013, n. 69, convertito in L. 9.8.2013).
Come già rilevato in sede di ordinanza del omissis, al cui specifico contenuto si rinvia, l’effettivo esperimento del tentativo di mediazione non è rimesso alla mera discrezionalità delle parti, con conseguente libertà di queste, una volta depositata la domanda di avvio della procedura e fissato il primo incontro davanti al mediatore, di manifestare il proprio disinteresse nel procedere al tentativo, ma costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L’articolo 8 del succitato D. Lgs. 28/2010 , nel prevedere che il mediatore durante i primo incontro, debba invitare le parti e i loro avvocati “ad esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione”, deve difatti essere interpretato nel senso di attribuire al mediatore il compito di verificare l’eventuale sussistenza di concreti impedimenti all’effettivo esperimento della procedura e non già quello di accertare la volontà delle parti in ordine alla opportunità di dare inizio alla stessa. Se così non fosse non si tratterebbe, nella sostanza, di mediazione obbligatoria bensì facoltativa e rimessa al mero arbitrio delle parti con sostanziale interpretatio abrogans del complessivo dettato normativo e assoluta dispersione della sua finalità esplicitamente deflattiva. Ciò ribadito, nel caso di specie non può dirsi ritualmente svolto il tentativo di mediazione. Alla luce del verbale prodotto in atti da parte opposta all’udienza del omissis, le parti presenti al primo incontro davanti al mediatore si son limitate a manifestare la loro intenzione di non dare seguito alla procedura obbligatoria, senza fornire ulteriore e più specifica indicazione degli impedimenti all’effettivo svolgersi del procedimento e rendendo, di fatto, necessaria l’applicazione della sanzione comminata dall’art. 5/1 bis del D. Lgs. 28/2010. A nulla vale la circostanza che siano state ambedue le parti ad impedire l’effettivo tentativo di mediazione con la loro concorde –ingiustificata- volontà di sottrarsi ad esso, ciò comportando piuttosto che ciascuna di esse sarà sottoposta alla sanzione indicata dalla legge, vale a dire alla dichiarazione di improcedibilità della rispettiva domanda proposta.
Difatti, posto che il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ha ad oggetto l’accertamento dei fatti costitutivi della pretesa creditoria fondante l’emissione del decreto ingiuntivo opposto, la sanzione dell’improcedibilità dovrà innanzitutto colpire la domanda sostanziale azionata da Banca omissis  in sede monitoria, con conseguente revoca dell’ opposto decreto.
D’altro lato, indipendentemente, dalla parte opposta, analoga volontà di non procedere nel merito del tentativo era manifestata altresì da parte opponente, la cui riconvenzionale – come sopra anticipato – deve essere altrettanto dichiarata improcedibile.
Ogni questione di merito deve intendersi assorbita.
Tenuto conto dell’esito della lite, le spese devono intendersi interamente compensate tra le parti.

PQM

Il Tribunale di Firenze, ogni altra domanda reietta, definitamente pronunciando sull’opposizione promossa da Società omissis, in qualità di debitore principale, omissis e omissis in qualità di fidejussori, nei confronti di Banca omissis avverso il decreto ingiuntivo n. omissis emesso dal Tribunale di Firenze in data omissis, così provvede:
1. dichiara l’improcedibilità della domanda introdotta da Banca omissis con ricorso monitorio e, per l’effetto, revoca il decreto ingiuntivo n. omissis emesso dal Tribunale di Firenze in data omissis;
2. dichiara l’improcedibilità della domanda riconvenzionale avanzata dagli opponenti;
3. dichiara le spese di lite interamente compensate tra le parti, come in parte motiva.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

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