=> Tribunale di Palermo, 6 maggio 2017
Va ritenuta preferibile l’opzione interpretativa per
cui la mediazione obbligatoria non si
estende alle domande nei riguardi di terzi chiamati in causa; difatti, la
ratio legis sottesa all’art. 5, d.lgs. 28/2010 deve intendersi
ragionevolmente limitata all’iniziativa
processuale che dà vita ad un processo e non si estende anche ai fenomeni di ampliamento dell’ambito oggettivo
del giudizio già avviato. Pertanto, è preferibile intendere l’espressione “chi intende esercitare in giudizio
un’azione” come “chi intende
instaurare un giudizio”, optando per un’interpretazione costituzionalmente
orientata e maggiormente conforme allo spirito delle richiamate norme europee (I).
Fonte: Osservatorio
Mediazione Civile n. 3/2018
Tribunale di Palermo
ordinanza
6 maggio 2017
Omissis
considerato che
l’art. 5 c. 1 bis. D. Lgs. 28/2010, nell’imporre il preventivo esperimento del
procedimento di mediazione a chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa
ad una controversia nelle materie specificamente indicate e nel sancire che
l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità
della domanda giudiziale, non regola espressamente le ipotesi in cui il
giudizio, dopo la proposizione della domanda giudiziale, si arricchisce di
nuove domande o di nuove parti;
rilevato che parte
della dottrina e della giurisprudenza di merito, argomentando sulla base del
dato letterale e della finalità deflattiva della mediazione, ha sostenuto che l’esperimento
del tentativo di mediazione costituisca condizione di procedibilità non
genericamente del processo, bensì della domanda giudiziale, tal che ogni
domanda (riconvenzionale, trasversale nei confronti di altro convenuto, del
convenuto nei riguardi del chiamato in causa) dev’essere preceduta dallo
svolgimento effettivo della fase di mediazione e l’assolvimento di detto onere
rende procedibile non l’intero giudizio bensì la singola domanda;
rilevato che da
parte degli stessi autori si è escluso che una simile opinione contrasti con il
dato testuale, che indica nel convenuto il soggetto legittimato alla
formulazione dell’eccezione di improcedibilità, sul rilievo che tale termine
ben potrebbe riferirsi all’attore rispetto alla domanda riconvenzionale o al
terzo cui l’ambito soggettivo del giudizio sia esteso ai sensi degli artt. 105
e 106 c.p.c. e si è sostenuto che, in simili casi, la trattazione congiunta
delle reciproche pretese dinanzi al mediatore piuttosto che dilatare i tempi
del processo potrebbe invece favorire la soluzione conciliativa a condizione
che in mediazione venga discussa non solo la nuova domanda bensì anche quella
principale;
ritenuto tuttavia
che diversi sono gli argomenti che inducono a ritenere preferibile l’opzione
interpretativa contraria, per cui la mediazione obbligatoria non si estenda
alle domande nei riguardi di terzi chiamati in causa;
premesso, infatti,
che le disposizioni che prevedono condizioni di procedibilità, costituendo
deroga all’esercizio di agire in giudizio garantito dall’art. 24 Cost, non
possano essere interpretate in senso estensivo (Cass. 16092/12, 967/04), non
può prescindersi dalla rigorosa interpretazione del dato testuale, che prevede
che l’improcedibilità sia sollevata dal convenuto, qualificazione che il codice
di rito annette non al destinatario di una qualunque domanda giudiziale, bensì
a colui che riceve la vocatio in jus da parte dell’attore;
considerato,
peraltro, che l’evenienza di dove esperire, in tempi diversi e nell’ambito
dello stesso processo, una pluralità di procedimenti di mediazione, comportando
un inevitabile, sensibile allungamento dei tempi di definizione del processo, è
all’evidenza difficilmente compatibile con il principio costituzionale della
ragionevole durata del giudizio e con l’esigenza di evitare ogni possibile
forma di abuso strumentale del processo medesimo, ciò che impone di preferire
un’interpretazione costituzionalmente orientata del precetto normativo;
ritenuto altresì
che sostenere (in maniera del tutto logica e coerente con la ratio
dell’istituto) che, una volta ammessa la
mediazione obbligatoria anche per le domande proposte da e nei confronti dei
terzi, eventualmente distinguendo la chiamata in garanzia propria da quella
impropria (escludendo soltanto nella prima la necessità del preventivo
esperimento del tentativo di mediazione che si sia già svolto rispetto alla
domanda principale), occorre che alla mediazione sia demandata l’intera
controversia, perché solo in tal modo essa potrà essere definita in via
conciliativa, equivale a gravare oltremodo la posizione dell’attore obbligato a
farsi nuovamente carico del costo dell’organismo di mediazione pur avendo già
invano sostenuto quelli della mediazione sulla domanda principale;
ritenuto che, come
correttamente osservato da altri giudici anche di questo Tribunale e come
sostenuto deciso da questo Giudice in altre analoghe fattispecie,
un’interpretazione conforme alla normativa europea è anch’essa nel senso di
escludere la mediazione obbligatoria rispetto alle domande proposte da e nei
confronti dei terzi oltre che rispetto alle c.d. domande riconvenzionali
inedite;
rilevato, infatti,
che la direttiva 2008/52/CE – costituente criterio guida della legge 69/09,
richiamata persino nel preambolo del D. Lgs. 28/10 si prefigge di garantire un
miglior accesso alla giustizia promuovendo metodi alternativi di risoluzione
delle controversie in materia civile e commerciale garantendo un’equilibrata
relazione tra mediazione e procedimento giudiziario (art. 1); essa inoltre
cerca di promuovere i diritti fondamentali e tiene conto dei principi
riconosciuti in particolare dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
Europea;
ritenuto che
l’allungamento dei tempi di durata del processo – già seriamente appesantiti
nelle controversie per responsabilità professionale sanitaria dai plurimi differimenti dovuti alle chiamate
in causa dei sanitari e dei rispettivi assicuratori – connesso al nuovo
tentativo di mediazione contrasterebbe, di fatto, oltre che con l’intento
deflativo, anche con il diritto alla ragionevole durata del processo sancito
dall’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo e dall’art. 47
della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea;
ritenuto che ne
risulterebbe dunque sacrificata quell’equilibrata relazione tra mediazione e
procedimento giudiziario che la direttiva del 21.5.08 in materia di mediazione
civile e commerciale si propone invece di assicurare;
ritenuto che, per
tutte le illustrate ragioni, la ratio legis sottesa all’art. 5 D. Lgs. 28/2010
deve intendersi ragionevolmente limitata all’iniziativa processuale che dà vita
ad un processo e non si estende anche ai fenomeni di ampliamento dell’ambito
oggettivo del giudizio già avviato;
ritenuto, pertanto,
preferibile intendere l’espressione “chi intende esercitare in giudizio
un’azione” come “chi intende instaurare un giudizio”, optando per
un’interpretazione costituzionalmente orientata e maggiormente conforme allo
spirito delle richiamate norme europee;
ritenuto che non
v’è pertanto, allo stato, ragione per un ulteriore arresto del procedimento,
che deve invece proseguire verso l’appendice di trattazione scritta
preannunciata dalle parti;
ritenuto che,
avendone fatto richiesta, va a queste ultime ac-cordato il rinvio ai sensi
dell’art. 183 co. 6 c.p.c.
PQM
Rigetta l’eccezione
di improcedibilità sollevata dalla difesa del dott. omissis; rinvia al merito l’esame dell’eccezione pregiudiziale di
in-competenza territoriale; assegna alle parti i termini di cui all’art. 183
co. 6 nn. 1,2,3, cp.c. decorrenti omissis
e rinvia la causa, per l’adozione dei successivi provvedimenti, all’udienza omissis.