DIRITTO D'AUTORE


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31 maggio 2013

44/13. MEDIA Magazine n. 5 del 2013 (Osservatorio Mediazione Civile n. 44/2013)


MEDIA Magazine
Mensile dell’Osservatorio Nazionale sulla Mediazione Civile
ISSN 2281 - 5139
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N. 5/13 - Maggio 2013

L’Osservatorio invia un caloroso “benvenuto” a tutti i nuovi iscritti!
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GIURISPRUDENZA

=> Trib. Rieti, 9 febbraio 2013 n. 19

=> Trib. Roma, Ostia, 26 novembre 2012

=> Trib. Varese, 11 gennaio 2013

=> Consiglio di Stato (Sez. Cons. per gli Atti Normativi), 18 gennaio 2013, n. 161


DATI E DOCUMENTI



SEGNALAZIONI




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Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 44/2013
(http://osservatoriomediazionecivile.blogspot.it)

29 maggio 2013

43/13. Avvocato in mediazione: il compenso va modulato in ragione del contenuto dell’attività svolta al fine di favorire il buon esito del procedimento (Osservatorio Mediazione Civile n. 43/2013)

=> Consiglio di Stato (Sez. Cons. per gli Atti Normativi), 18 gennaio 2013, n. 161

Il compenso dell’avvocato per l’assistenza della parte nel procedimento di mediazione andrebbe modulato (aumentato o diminuito) in ragione dell’esito della mediazione e del contenuto dell’attività svolta al fine di favorire il buon esito del procedimento, e non, invece, (soltanto) aumentato in ragione della mera assistenza nel procedimento di mediazione.

È questo, in estrema sintesi, quanto rilevato dal Consiglio di Stato che, di recente, si è espresso in materia di determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi d’avvocato, con particolare riferimento all’attività di assistenza della parte al procedimento di mediazione di cui al D.lgs. n. 28 del 2010.

Il Consiglio di Stato, Sezione Consultiva per gli Atti Normativi, si è difatti di recente pronunciato (col parere n. 161/13 in parola) sullo schema di decreto ministeriale di modifica del decreto del Ministro della giustizia 20 luglio 2012, n. 140 (concernente la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolamentate vigilate dal Ministero della giustizia, ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012 n. 1 convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27).

Rilevano, ai nostri fini, le considerazioni espresse dal Collegio in tema di attività stragiudiziale degli avvocati, le quali riguardano anche il procedimento di mediazione.

Lo schema di decreto ministeriale, infatti, prevede l'aumento del compenso fino ad un terzo in favore dell'avvocato che assiste una parte nel procedimento di mediazione (1).

Il Collegio rileva preliminarmente al riguardo che tale disposizione mira ad “incentivare in modo significativo il ricorso assistito alla procedura di mediazione” (e, quindi, prosegue il parere in commento, “in un'ottica deflattiva, a ridurre l’instaurazione di procedimenti davanti all'organo giurisdizionale, così ponendosi nel solco della già normata previsione di un aumento del compenso dell’avvocato in caso di conciliazione”).

Tuttavia, il Consiglio di Stato osserva che, alla luce della declaratoria di incostituzionalità dell’obbligatorietà della procedura di mediazione (2), “appare preferibile non far conseguire l’aumento del compenso solo in ragione dell’assistenza nel procedimento di mediazione, ma di farlo derivare dall’esito e dal contenuto dell’attività svolta in tale fase (specie, se si vuole incentivare la finalità deflativa dell’istituto)”.

Pertanto, propone il Collegio, in caso di assistenza stragiudiziale nel procedimento di mediazione di cui al decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28, il possibile aumento del compenso può essere previsto “tenuto conto dell’esito del procedimento e dell’attività svolta dall’avvocato al fine di favorire il buon esito del procedimento.

Ciò in quanto ciò che va premiato (con l’aumento del compenso) non è la mera assistenza al procedimento di mediazione, ma “l’ausilio ad una mediazione coronata da buon esito, o comunque svolta dal professionista con proposte idonee a favorire il buon esito”.

Sulla base di tali considerazioni, il Consiglio di Stato osserva inoltre che potrebbe essere prevista una diminuzione del compenso, “in caso di una assistenza nel procedimento di mediazione non rispondente a tali principi, anche con riguardo alla mancata accettazione di proposte, poi risultate coerenti con l’esito del giudizio”.


(1) Sui dati relativi all’assistenza delle parti in mediazione si rimanda alle analisi curate dall'Osservatorio Nazionale sulla Mediazione Civile di tutte le rilevazioni statistiche ministeriali sulla mediazione, consultabili a questo indirizzo.


Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 43/2013

Consiglio di Stato
Sezione Consultiva per gli Atti Normativi
(Adunanza di Sezione del 20 dicembre 2012)
18 gennaio 2013, n. 161
Parere

OGGETTO: Ministero della giustizia. Schema di decreto ministeriale concernente: “Regolamento recante modificazioni al decreto del Ministro della giustizia 20 luglio 2012, n. 140, concernente la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolamentate vigilate dal Ministero della giustizia, ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012 n. 1 convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27.”.

LA SEZIONE

Vista la relazione con data 3 dicembre 2012 (trasmessa con nota n. 9259.U del 4 dicembre 2012), con la quale il Ministero della giustizia (Ufficio legislativo) ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull' affare consultivo in oggetto;

Esaminati gli atti e udito il relatore Consigliere Roberto Chieppa;

Premesso

Riferisce l’Amministrazione che il presente decreto ministeriale introduce modifiche al decreto del Ministro della giustizia 20 luglio 2012, n. 140 concernente la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolamentate vigilate dal Ministero della giustizia, ai sensi dell'art. 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.1 convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27.

L’articolo 9 del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, ha espressamente abrogato le tariffe professionali (comma 1) e ha stabilito, al comma 2, che «ferma restando l’abrogazione di cui al comma 1, nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista è determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del Ministro vigilante».

In attuazione di tale disposizione legislativa, è stato adottato il decreto del Ministro della giustizia 20 luglio 2012, n. 140, previo parere di questa Sezione consultiva per gli atti normativi, espresso nella adunanza del 21 giugno 2012.

L’Amministrazione evidenzia che le modifiche contenute nello schema in esame mirano a superare alcune criticità emerse dal confronto con gli ordini professionali, con particolare riferimento all’ordine forense.

Lo schema di regolamento in esame si compone di tre articoli e due allegati: l’art. 1 contiene le modifiche al d.m. n. 140/2012; l’art. 2 richiama gli allegati che modificano le tabelle A e B del citato d.m., relative agli avvocati, e nell’art. 3 è inserita la clausola di entrata in vigore.

Considerato

1. Lo schema di regolamento in esame contiene alcune modifiche al recente decreto del Ministro della giustizia 20 luglio 2012, n. 140 concernente la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolamentate vigilate dal Ministero della giustizia, ai sensi dell'art. 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.1 convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27.

Le modifiche riguardano i parametri per la liquidazione dei compensi per gli avvocati e sono giustificate, nella relazione dell’Amministrazione, dall’esigenza di superare alcune criticità emerse nel confronto con gli ordini professionali e, in particolare, con l’ordine forense.

I parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolamentate vigilate dal Ministero della giustizia sono stati introdotti di recente con il citato d.m. n. 140/2012, pubblicato nella G.U. 22 agosto 2012 n. 195.

Le ragioni di un nuovo intervento normativo a così breve distanza dall’entrata in vigore del d.m. non risultano del tutto chiare, anche perché nulla viene precisato con riferimento alle modalità con cui è avvenuto (o sta avvenendo) il confronto con gli ordini professionali, e in base a quali dati o elementi sono emerse le richiamate criticità.

Va ricordato che, superato ormai da tempo il regime tariffario, la determinazione di parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi dei professionisti costituisce solo un elemento di ausilio al giudice nella liquidazione, in alcun modo vincolante per la liquidazione stessa, come prevede espressamente l’art. 2, comma 7, del d.m. n. 140/2012.

Nel precedente parere n. 3126/2012, reso nella adunanza del 21 giugno 2012, questa Sezione aveva segnalato il pericolo che tali nuovi parametri si prestino a fungere da “tariffa mascherata”, formulando alcune osservazioni in relazione alla previsione di un compenso unitario, comprensivo delle spese; alla eliminazione di qualsiasi riferimento a diminuzioni minime del compenso e alla esigenza di contenere il quantum del valore medio di liquidazione.

Nell’adottare il d.m. 20 luglio 2012 n. 140 l’Amministrazione non ha recepito diverse osservazioni del Consiglio di Stato, senza che nelle premesse del decreto siano state indicate le ragioni del mancato recepimento.

Al riguardo, la Sezione, nel richiamare il proprio precedente parere, non può che limitarsi in questa sede ad esprimere il proprio avviso sulle sole modifiche proposte.

2. La prima modifica concerne il comma 2 dell'art. 1 del d.m. n. 140/2012 in materia di spese, attraverso la previsione che al compenso sia aggiunto un importo per “spese forfettarie”, intendendosi quelle spese, cioè, che il professionista inevitabilmente sopporta ma che, per la natura delle stesse, non può documentare o comunque provare precisamente (secondo la relazione, si tratta, tipicamente, delle spese relative alla gestione complessiva dello studio professionale).

Per tale voce è previsto un incremento del compenso liquidato in misura compresa tra il 10 e il 20 per cento e la modifica riguarda tutte le professioni, come risulta anche dalla sua collocazione sistematica.

Al riguardo, si deve ribadire quanto affermato nel precedente parere, in cui era stato segnalato che l’art. 9, comma 4, del d.l. n. 1/2012 fa riferimento, al penultimo periodo, alla misura del compenso che «va pattuita indicando per le singole prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi».

La fonte primaria fa, quindi, riferimento ad un concetto di compenso omnicomprensivo e, per tale ragione, era stato ritenuto preferibile modificare il comma 2 dell’art. 1 nel senso che il compenso è unitario e omnicomprensivo e comprende anche le spese, ferma restando la possibilità di indicarle in modo distinto come componente del compenso stesso.

Prendendo atto della decisione (non motivata) dell’Amministrazione di non recepire tale osservazione, si osserva che la criticità già segnalata si aggraverebbe con la proposta modifica, introducendo un livello di spese forfettarie in misura peraltro rilevante (di regola, tra il 10 e il 20 % del corrispettivo).

Tenuto conto del principio di omnicomprensività del compenso, stabilito dalla legge, non appare coerente con la richiamata norma primaria introdurre il rimborso delle spese forfettarie, che si aggiungono a quelle documentate, considerato anche che le spese relative alla gestione complessiva dello studio professionale, richiamate dall’Amministrazione nella relazione, devono ritenersi già incluse nel compenso e prese in considerazione ai fini della liquidazione dello stesso.

3. Due ulteriori modifiche riguardano l'attività stragiudiziale degli avvocati, per la quale viene previsto un compenso forfettizzato che, tenuto conto anche del tempo impiegato dal professionista per lo svolgimento della sua attività, viene quantificato, orientativamente, in una percentuale calcolata tra il 5 e il 20 per cento del valore dell'affare L’Amministrazione riferisce di aver voluto evitare di ricorrere al criterio del compenso orario, che non sarebbe risultato ancorabile a un parametro di riferimento sufficientemente certo in sede di vaglio giudiziale.

Pur condividendo la ratio della modifica, si segnala l’esigenza di non prevedere un minimo per il compenso, ma solo una misura massima, che peraltro appare elevata.

Viene, inoltre, aggiunta una disposizione, che prevede l'aumento del compenso fino ad un terzo in favore dell'avvocato che assiste una parte nel procedimento di mediazione di cui al decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28.

Secondo l’Amministrazione, la disposizione mira ad incentivare in modo significativo il ricorso assistito alla procedura di mediazione e, quindi, in un'ottica deflattiva, a ridurre l'instaurazione di procedimenti davanti all'organo giurisdizionale, così ponendosi nel solco della già normata previsione di un aumento del compenso dell'avvocato in caso di conciliazione.

Tenuto conto della declaratoria di incostituzionalità dell’obbligatorietà della procedura di mediazione (Corte Cost., 6 dicembre 2012 n. 272), appare preferibile non far conseguire l’aumento del compenso solo in ragione dell’assistenza nel procedimento di mediazione, ma di farlo derivare dall’esito e dal contenuto dell’attività svolta in tale fase (specie, se si vuole incentivare la finalità deflativa dell’istituto).

Pertanto, in caso di assistenza stragiudiziale nel procedimento di mediazione di cui al decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28, il possibile aumento del compenso può essere previsto “tenuto conto dell’esito del procedimento e dell’attività svolta dall’avvocato al fine di favorire il buon esito del procedimento”.

In tal modo, si premia non l’assistenza ad una qualsiasi attività di mediazione, ma l’ausilio ad una mediazione coronata da buon esito, o comunque svolta dal professionista con proposte idonee a favorire il buon esito.

In tale ottica, potrebbe essere prevista pure una diminuzione del compenso, in caso di una assistenza nel procedimento di mediazione non rispondente a tali principi, anche con riguardo alla mancata accettazione di proposte, poi risultate coerenti con l’esito del giudizio (a tal fine è sufficiente inserire le parole “o diminuito” dopo “aumentato”).

4. La previsione di un aumento fino al doppio del compenso spettante all'avvocato che difende più persone con la medesima posizione processuale, è sostituita dalla introduzione di un incremento fino al triplo di tale compenso.

La Sezione ritiene di condividere le ragioni della modifica indicate dall’Amministrazione e consistenti nella finalità di evitare l'incentivazione dell’instaurazione di più giudizi aventi identici petita e causae petendi al solo fine di conseguire un maggior compenso sommando la liquidazione prevista per ciascun procedimento.

5. Parimenti condivisibile è la modifica dell'articolo 9 del d.m. n. 140/2012 (Cause per l'indennizzo da irragionevole durata del processo e patrocinio a spese dello Stato) con la soppressione della possibile riduzione a metà del compenso spettante all'avvocato che presta la sua assistenza a soggetti ammessi al patrocinio a spese dello Stato nonché a soggetti a questi equiparati dal DPR n. 115/2002 nel procedimento penale.

Infatti, come evidenziato dal Ministero, l’esclusione della riduzione alla metà del compenso ripristina la differenza tra la difesa in ambito civile e quella ambito penale già introdotta dal DPR n. 115/2002 con norma primaria (dove i compensi per la difesa nel procedimento civile dei soggetti sopra citati sono ridotti alla metà) in un'ottica di recupero della funzione sociale dello Stato, che si fa carico per intero di delicate difese di soggetti con insufficienti mezzi economici.

6. Il nuovo comma 6 bis dell’art. 4 del d.m. disciplina la così detta “soccombenza qualificata”: la norma, che prevede un significativo aumento del compenso liquidato a carico della parte soccombente quando le difese della parte vittoriosa siano risultate manifestamente fondate, mira - secondo il Ministero - non solo, a scoraggiare pretestuose resistenze processuali, ma, soprattutto, a valorizzare, premiandola, l'abilità tecnica dell'avvocato che, attraverso le proprie difese, sia riuscito a far emergere che la prestazione del suo assistito era chiaramente e pienamente fondata nonostante le difese avversarie.

Secondo l’amministrazione si tratta, pertanto, di norma che non potrà trovare applicazione in un giudizio contumaciale, non risultando, anche costituzionalmente, corretto aggravare le conseguenze della “mera soccombenza”.

La Sezione condivide la ratio della modifica, ma non anche tale ultima affermazione in quanto le ragioni di una “soccombenza qualificata” possono sussistere anche se la parte soccombente non si è costituita; appare, quindi, preferibile eliminare la parola “costituito”.


7. Una ulteriore modifica concerne la soppressione del comma 9, dell’art. 1, del d.m. n. 140/2012, che richiamava l'applicazione dei criteri generali di cui all'art. 4, commi da 2 a 5, per la determinazione del compenso nelle controversie il cui valore supera euro 1.500.000.

A tale soppressione fa seguito la introduzione di due ulteriori scaglioni: uno da euro 1.500.001 a euro 5.000.000, l'altro oltre euro 5.000.000; è, inoltre, disposto un incremento – in misura oscillante tra il 30% e il 50%, in modo logicamente regressivo – dei valori parametrici previsti per il procedimento di ingiunzione e per il precetto. Tali modifiche sono esposte nelle nuove tabelle A e B che, a norma dell'art. 2 del presente decreto, integrano e modificano le tabelle Avvocati A e B del d.m. n. 140/2012.

Pur prendendo atto della circostanza che la modifica rende più obiettivi i parametri di liquidazione dei compensi nelle controversie il cui valore supera euro 1.500.000, si segnala l’esigenza di contenere nel quantum i parametri per i due nuovi scaglioni, anche in ragione delle esigenze di contenere la misura dei parametri di liquidazione, già segnalate nel precedente parere, e poste in relazione alla crisi finanziaria in atto nel Paese.

Non si ravvisano, infine, ragioni per aumentare i parametri numerici dei compensi per l’ingiunzione monitoria e per il precetto, giustificati dall’Amministrazione con l’esigenza di riferire anche a tali attività la componente di “studio” (sulla voce “studio” si rinvia a quanto illustrato di seguito in coerenza con la presente osservazione).

8. Per la attività giudiziale penale lo schema introduce una nuova fase che si aggiunge alle altre: quella della investigazione.

Altra modifica relativa alle fasi dell’attività forense è costituita dall’introduzione, nel settore civile, della voce “studio” per la fase esecutiva sia mobiliare sia immobiliare: la voce, inserita con riferimento ad ogni scaglione, contiene valori corrispondenti al 35-50 per cento degli importi previsti per la voce “procedimento”.

Con riferimento a tali due innovazioni si osserva che, nella relazione dell’amministrazione all’originario schema di regolamento, su cui si era espressa questa Sezione con il precedente parere, era stata valorizzata in modo particolare la semplificazione dei parametri di liquidazione rispetto alle abolite tariffe attraverso l’accorpamento delle voci di onorari, diritti, indennità, fondendole in funzione di una suddivisione in fasi dei procedimenti giudiziali, che traeva spunto dalla riforma tedesca del 2004 (Rechtsanwaltsvergütungsgesetz, RVG), che ha sostituito la legge federale sulla retribuzione degli avvocati del 1957.

Sono state così previste cinque fasi: di studio, introduttiva del procedimento o del processo, istruttoria, decisoria, esecutiva, in modo da “ricomprendere anche quest’ultima quale completamento per la realizzazione del bene della vita perseguito nel settore civile, amministrativo, comprensivo del contenzioso contabile, e tributario, e quale segmento terminale nel penale”.

La semplificazione dei parametri attraverso la suddivisione dell’attività in fasi, già condivisa dalla Sezione, comporta che l’attività dell’avvocato venga valutata nel suo svolgimento lineare, in funzione dei risultati raggiunti e con particolare attenzione al contenimento dei tempi dei giudizi.

In tale ottica, l’introduzione di una specifica “fase investigativa” per l’attività giudiziale penale si giustifica con l’esigenza di valorizzare un’attività particolarmente impegnativa e delicata, come quella investigativa appunto, che è stata introdotta al fine di porre su un piano paritario accusa e difesa nel giudizio penale.

Tale importante finalità depone a favore del considerare quella investigativa una fase autonoma.

Una analoga giustificazione non sussiste, invece, per la introduzione, nel settore civile, della voce “studio” per la fase esecutiva sia mobiliare sia immobiliare.

Se la fase esecutiva va intesa in modo da essere ricompresa quale completamento per la realizzazione del bene, come sostenuto dall’Amministrazione nella originaria relazione, non vi è alcuna ragione per inserire all’interno di tale fase una voce “studio”, che finirebbe per costituire una duplicazione della fase di studio, già prevista con dignità autonoma.

Si ritiene, pertanto, che debba essere espunta dal testo dello schema e delle allegate tabelle tale ultima modifica, e si ribadisce quanto osservato in precedenza circa la non necessità di alcun aumento dei parametri numerici dei compensi per l’ingiunzione monitoria e per il precetto.

9. Va, infine, valutata positivamente la soppressione della possibilità della riduzione alla metà del compenso dell'avvocato che assiste d'ufficio un minorenne.

La modifica consente di evitare che la difesa di soggetti deboli sia considerata di minore dignità, e non le sia attribuito quel riconoscimento che è dovuto per la delicatezza dell’incarico (laddove, invece, la previsione di una ridotta retribuzione potrebbe essere erroneamente ritenuta connessa a un minor impegno, con conseguente svilimento della attività difensiva).

P.Q.M.

Nelle considerazioni che precedono è il parere della Sezione.

L'estensore
Roberto Chieppa

Il presidente
Luigi Cossu

Il segretario
Massimo Meli

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.


24 maggio 2013

42/13. Richiesta di rinvio per trattative: invito del giudice alla mediazione (Osservatorio Mediazione Civile n. 42/2013)


=> Trib. Varese, 11 gennaio 2013

Qualora le parti richiedano congiuntamente un rinvio per trattative il giudice, invece di fissare una nuova udienza, può – a norma dell’art. 5, comma 2 D.lgs. n. 28 del 2010invitare le parti a procedere alla mediazione (1) (2).

(1) Si veda art. 5, comma 2, d. lgs. n. 28/2010 aggiornato alla pronuncia di incostituzionalità della c.d. mediazione obbligatoria, in Osservatorio Mediazione Civile n. 10/2013 (www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com).

(2) Si veda la pronuncia massimata in Diritto & Giustizia 2013, 9 febbraio e in IL CASO.it, I, 8323 (14/01/2013); Est. Dott. Buffone.

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 42/2013
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)



21 maggio 2013

41/13. La mediazione delle controversie ambientali (Osservatorio Mediazione Civile n. 41/2013)


La mediazione delle controversie ambientali
Giulio Spina
Estratto da Ambiente & Sviluppo n. 5/2013

[…]
L’opportunità di intraprendere un siffatto percorso appare notevolmente evidente proprio con riferimento alle controversie in materia ambientale, specie in quelle relative al danno ambientale ove, come noto, anche in linea con i principi informanti la materia del risarcimento del diritto ambientale di matrice europea[1], la priorità è quella del ripristino dello stato dei luoghi piuttosto che il mero risarcimento per equivalente monetario[2] (forma risarcitoria ripristinatoria che anche la più recente giurisprudenza di legittimità descrive come “ontologicamente più idonea di quella per equivalente a garantire l’effettività dei risultati della reazione del soggetto leso dal lamentato danno ambientale e della risposta giudiziaria che ne riconosca il fondamento”[3]).
Proprio in questa peculiare caratteristica della disciplina del risarcimento del danno ambientale emerge come anche il legislatore si sia preoccupato di dare priorità all’interesse reale sotteso alla lite piuttosto che alla posizione di diritto da tutelare (ovvero alla tutela del bene ambiente, nella concretezza della fattispecie di volta in volta in analisi)[4]; ciò posto, si consideri come il ripristino dello stato dei luoghi possa in realità avvenire con innumerevoli modalità con riferimento alle quali un consapevole dialogo tra le parti potrebbe portare alla definizione di modalità pratiche ripristinatorie non solo che soddisfino le stesse maggiormente, ma che ne garantisca poi anche una più agevole realizzazione concreta[5]; vi sono inoltre minori probabilità che nascano specifici contenzioni tra le parti in merito all’esecuzione di un accordo volontariamente raggiunto tra le stesse, piuttosto che con riferimento all’adempimento di un obbligo imposto da altri[6].
L’ampiezza degli aspetti che possono entrare in una mediazione, che dunque non riguarda solo la definizione del singolo elemento in controversia, ma che può ampliarsi sino a comprendere in senso più ampio l’interezza dei rapporti tra le parti in lite, anche (e soprattutto) in una prospettiva futura, risulta al riguardo elemento peculiare di tale procedimento, che ne suggerisce una potenziale ed ampia applicazione proprio con riferimento a numerose tipologie di controversie ambientali[7].
In questi termini appare evidente come la mediazione […].

Estratto da

Ambiente & Sviluppo

Consulenza epratica per l'impresa e gli enti locali

Ipsoa

n. 5 del 2013



[1] Al riguardo basta rimare ai principi espressi dalla nota Direttiva n. 2004/35/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, nonché alla connessa procedura di infrazione n. 2007/4679 attivata proprio nei confronti dell’Italia in tema di risarcimento del danno ambientale in forma pecuniaria.
[2] Tale forma risarcitoria (tutela reale) è considerata quale disciplina speciale rispetto alle norme generali dettate dal codice civile in materia di risarcimento del danno. Come noto, infatti, il c.d. Codice dell’ambiente (D.lgs. n. 152 del 2006, nel testo oggi vigente) stabilisce: all’art. 311, comma 1 che il Ministero dell’ambiente agisce per il risarcimento del danno in forma specifica e, se è necessario, per equivalente patrimoniale; all’art. 311, comma 2 che chiunque, realizzando un fatto illecito, o omettendo attività o comportamenti doverosi, con violazione di legge, di regolamento, o di provvedimento amministrativo, con negligenza, imperizia, imprudenza o in spregio a norme tecniche, arrechi danno all’ambiente è obbligato al ripristino della precedente situazione e, in mancanza, al risarcimento per equivalente patrimoniale nei confronti dello Stato; all’art. 303, comma 1, lett. f), che i richiamati criteri di determinazione dell’obbligazione risarcitoria in tema di danno ambientale si applicano anche alle domande di risarcimento proposte o da proporre ai sensi della legge 18 luglio 1986, n. 349, art. 18, in luogo, in particolare, delle previsioni di cui al Titolo 9 del Libro 4 del codice civile.
[3] Si veda al riguardo Cass. civ. n. 22382 del 2012, la quale – in applicazione di tali principi – ha affermato la tesi della potenziale officiosità dell’ordine di ripristino (e cioè del risarcimento in forma specifica anche laddove l’attore abbia richiesto esclusivamente una tutela per equivalente, essendo ammissibile il passaggio dalla richiesta di tutela per equivalente a quella reale, in chiave sollecitativa di una facoltà riconosciuta al giudice).
[4] In questo senso, in dottrina, evidenziando come la mediazione ambientale rivesta occupi in Italia ancora uno spazio di nicchia, è stata sottolineata le potenzialità della valenza applicativa della mediazione proprio con riferimento alla materia del risarcimento del danno ambientale (da intendersi, richiamando il dettato normativo di cui all’art. 300 D.lgs. n. 300 del 2006, quale “deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata da quest’ultima”) nonché delle connesse questioni relative alla risarcibilità del danno non patrimoniale, magari di modesta entità, che derivi da menomazione del rilievo istituzionale dell’ente costituitosi parte civile. M. G. Imbesi, Il valore sociale della mediazione ambientale, in Giureta - Rivista di Diritto dell’Economia, dei Trasporti e dell’Ambiente, n. X del 2012, p. 517.
[5] In questo senso è stato infatti osservato come “nell’eventualità di un’effettiva compromissione delle matrici ambientali potrebbe, talvolta, risultare fruttuoso lo svolgimento di un procedimento di mediazione – ad istanza di parte o su sollecitazione del Giudice – in cui negoziare (meramente) le modalità del ripristino dello stato dei luoghi, il risarcimento per le c.d. perdite provvisorie (e, eventualmente, il danno non patrimoniale da menomazione del rilievo istituzionale dell’ente). L. Giampietro, I procedimenti di mediazione in materia ambientale: spunti di riflessione, Ambiente & Sviluppo, Ipsoa, n. 3 del 2011, p. 251.
[6] Proprio con riferimento al ripristino è stato infatti osservato che “scegliere la procedura conciliativa potrebbe, in linea teorica, rivelarsi utile per limitare le contestazioni (e conseguenti contenziosi), incentrati sulla reale efficacia degli interventi messi in atto”. L. Giampietro, I procedimenti di mediazione in materia ambientale: spunti di riflessione, in Ambiente & Sviluppo, Ipsoa, n. 3 del 2011, p. 251.
Si ritiene tuttavia che l’utilizzo della mediazione non possa essere circoscritto ai soli “casi di modesta compromissione ambientale” (come quelli nei quali il ripristino comporti la semplice rimozione di materiali non pericolosi), potendo l’istituto in esame – sempre sulla base delle premesse sopra ricordate con riferimento all’ambito applicativo del D.lgs. n. 28 del 2010 – trovare fruttuose applicazione anche (o forse soprattutto) in situazioni più complesse.
Quanto agli accordi conciliativi in materia raggiungibili in sede di mediazione va inoltre ricordata l’importanza di definire, con sufficiente specificità, le modalità dell’eventuale monitoraggio.
[7] Si veda al riguardo la formulazione dell’art. 4, comma 2, D.lgs. n. 28 del 2010 in ordine agli elementi dell’istanza di mediazione, con riferimento alla quale lo stesso legislatore delegato precisa che essa è volta a delineare “una cornice più snella rispetto a quella della domanda giudiziale, in quanto riferibile a una contesa che investa un rapporto fonte di possibili plurime cause”. Relazione illustrativa al decreto 4 marzo 2010, n. 28, in riferimento all’art. 4, comma 2.

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 41/2013 (www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

17 maggio 2013

40/13. Ministero della Giustizia: dati statistici sulla mediazione aggiornati al 31 dicembre 2012 (Osservatorio Mediazione Civile n. 40/2013)

Il Ministero della Giustizia ha reso noti i nuovi dati sulla diffusione della mediazione civile e commerciale aggiornati al 31 dicembre 2012 (1).

La rilevazione statistica con proiezione nazionale delle iscrizioni rileva, innanzitutto, un drastico calo dei procedimenti di mediazione nel periodo coincidente con la pronuncia di incostituzionalità della c.d. mediazione obbligatoria (2).

Fonte immagine: MEDIAZIONE OBBLIGATORIA EX D.L. 28/2010. 
STATISTICHE AL 31 DICEMBRE 2012, 
Ministero della Giustizia, Direzione Generale di Statistica

Il dato ormai consolidatosi dal maggio 2012 dalle circa 20.000 iscrizioni mensili scende infatti drasticamente a circa 4.500 nel mese di novembre e poi a circa 2.5000 a dicembre.
L’obbligatorietà prevista dal legislatore delegato del 2010 all’ art. 5, comma 1, D.lgs. n. 28/2010 è stata dunque un fattore trainante della mediazione, ma senza portare – come prevedibile – ad una effettiva della cultura della mediazione tale da permettere all’istituto di mantenere, al venir meno dell’obbligo normativo, i numeri di diffusione raggiunti.
Ripristino o meno dell’obbligatorietà, pertanto, molto si deve ancora fare su tale primario aspetto, in termini – innanzitutto – di comunicazione ed informazione (3).

Peraltro, ancora scarsa appare la diffusione della mediazione facoltativa, di quella demandata (sebbene in leggera crescita) e di quella concordata tramite clausola di mediazione (4).

La rilevazione statistica ministeriale è consultabile sul sitoweb del Ministero della Giustizia.

(1) Le analisi curate dall'Osservatorio Nazionale sulla Mediazione Civile di tutte le precedenti rilevazioni statistiche sono consultabili a questo indirizzo.



(4) In tema di mediazione concordata si rimanda alle recenti relazioni (di cui tra breve verranno pubblicati due estratti):
- al Primo Convengo nazionale “La mediazione civile e tributaria” come  strumento deflattivo del processo, Torino, 29 aprile 2013 (la clausola di mediazione, con particolare riferimento ai contratti di appalto e franchising);
- al Convegno Le imprese creative e la risoluzione delle controversie: l’importanza della mediazione, Milano, 24 maggio 2013 (La conciliazione nell’editoria e nel diritto d’autore).

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 40/2013 (www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

14 maggio 2013

39/13. Mediazione demandata: serietà dell’organismo e competenza dei mediatori (Osservatorio Mediazione Civile n. 39/2013)


=> Trib. Roma, Ostia, 26 novembre 2012

L’invito ad effettuare la mediazione, non essendo questa obbligatoria, ha un senso solo se la stessa sia esperita bene e con lealtà, davanti ad un organismo serio ed efficiente, fornito di buona professionalità e mediatori competenti.

Con tale precisazione il Giudice – considerato che in relazione agli atti e all’istruttoria espletata le parti ben potrebbero pervenire ad un accordo conciliativo, con il vantaggio di pervenire rapidamente ad una conclusione, per tutte le parti vantaggiosa, anche da punto di vista economico e fiscale (cfr. art.17 e 20 del decr.legisl.4.3.2010 n.28), della controversia in atto – procede nell’ambito del secondo comma di cui all’art.5 d.lgs. n. 28 del 2010 (1).

(1) Si veda art. 5, comma 2, d. lgs. n. 28/2010 aggiornato alla pronuncia di incostituzionalità della c.d. mediazione obbligatoria, in Osservatorio Mediazione Civile n. 10/2013 (www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com).

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 39/2013

Tribunale di Roma
Sezione distaccata di Ostia
26 novembre 2012
Ordinanza

…omissis…

Con la sentenza  295/08 del 20.11.2008 l’intestato tribunale ha accertato, nella complessa vicenda in questione, in cui un soggetto privato ha venduto due volte lo stesso bene a diversi soggetti, che la banca  pignorava, sia pure con colpa ritenuta non eccessiva, beni non (più) di proprietà del (suo) debitore ma di terzi (fra i quali l’attuale attrice).

Come è noto, una condanna generica al risarcimento dei danni non implica affatto che nel giudizio relativo (che può seguire sia nella stessa causa ovvero, secondo le circostanze ed in questo caso, in separato giudizio) si pervenga ad una condanna; valendo il titolo in sé come affermazione della potenzialità del fatto considerato (e nella specie accertato con sentenza) a costituire la fonte di un danno-evento; che va poi secondo gli ordinari oneri probatori provato sussistere concretamente.

Tale concetto come pure la poco prudente condotta precontrattuale della ----  è stata esplicitata nella stessa sentenza del giudice dove si legge: Quanto ad una eventuale condanna specifica andrà valutata, a parte la sussistenza di un danno, la condotta di omissis che dispensava – poco accortamente comunque – il notaio dall’effettuare le indagini di rito che normalmente accompagnano un atto dell’importanza di una vendita immobiliare.

Nel caso di specie che un qualche danno, e in questa fase lo si dice in modo lato, vi sia stato a carico di ----- è fuor di dubbio, anche a fil di logica comune.

Altro è individuarne la natura, provarlo  e quantificarlo (o quantificarli se plurimi) in termini di diritto.

Quanto al danno non patrimoniale il giudice ha con motivata ed approfondita giurisprudenza leggibile sul sito della sezione espresso molti dubbi sulla condivisibilità della nota e restrittiva sentenza (del 2008) delle sezioni unite.
Tuttavia anche chi come lo scrivente ha un’opinione per così dire più aperta sul punto non ha omesso di specificare come il danno c.d. esistenziale (si usa questa parola tabù perché una circonlocuzione farebbe solo perdere tempo) debba essere oggetto di specifica prova a carico del danneggiato (anche se entro certi limiti è possibile ipotizzare una percentuale di danno non patrimoniale comunemente derivante da un certo tipo di eventi, come accade nel caso dei danni alla persona  secondo l’evoluta giurisprudenza del tribunale di Milano).

Anche sul lamentato danno patrimoniale va considerato che l’attrice ammette che aveva comunque in animo di vendere il bene immobile tanto che si accorgeva del problema in seguito a verifiche propedeutiche all’alienazione, sicché la vendita dalla medesima compiuta alcuni anni dopo rientra in una mai mutata volontà di alienazione, in relazione alla quale l’unico danno che potrebbe avere ingresso è la differenza di valore dell’immobile fra il tempo del primo approccio alla vendita ed il prezzo che l’immobile aveva nel 2009.

In effetti infatti neanche il parametro del valore dichiarato realizzato dalla vendita è del tutto probante, non vedendosi, in mancanza di una prova neppure richiesta di effettiva necessità a vendere con urgenza, perché il danno derivante da una cattiva vendita non debba fare carico (solo) sulla stessa alienante.

Considerato che in relazione agli atti, all’istruttoria fin qui espletata ed in particolare ai provvedimenti assunti dal giudice, le parti ben potrebbero pervenire ad un accordo conciliativo, con il vantaggio di pervenire rapidamente ad una conclusione, per tutte le parti vantaggiosa, anche da punto di vista economico e fiscale (cfr. art.17 e 20 del decr.legisl.4.3.2010 n.28), della controversia in atto;

ritenuto che si intende procedere nell’ambito del secondo comma di cui all’art.5 decr.legisl.28/2010;

considerato in particolare ed in concreto che diversi e molteplici elementi fra i quali quelli di cui al punto numero uno,  ben potrebbero essere valutati dal mediatore al fine di giungere ad un accordo utile per entrambe le parti;

ritenuto che si fissa termine fino al quindicesimo giorno dalla comunicazione della presente ordinanza  per depositare presso un organismo di mediazione, a scelta delle parti congiuntamente o di quella che per prima vi proceda (con l’invito ad effettuare la mediazione, che non essendo obbligatoria ha un senso solo se esperita bene e con lealtà, davanti ad un organismo serio ed efficiente, fornito di buona professionalità e mediatori competenti) la domanda di cui al secondo comma dell’art.5 del decreto;
riserva all’esito ogni ulteriore decisione;

P.Q.M.

a scioglimento della riserva,

invita le parti alla media-conciliazione della controversia;

invita i difensori delle parti ad informare i loro assistiti della presente ordinanza nei termini di cui all’art.4 3° co.decr.lgsl.28/2010;

fissa termine fino al quindicesimo giorno dalla comunicazione della presente ordinanza  per depositare presso un organismo di mediazione, a scelta delle parti congiuntamente o di quella che per prima vi proceda, la domanda di cui al secondo comma dell’art.5 del decreto;

riserva all’esito ogni ulteriore decisione;

rinvia all’udienza del 16 maggio 2013 h.10  per quanto di ragione.

Fare avvisi mail o fax.
Ostia lì 26.11.2012             

Il Giudice
dott. cons. Massimo Moriconi

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

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