DIRITTO D'AUTORE


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12 giugno 2023

25/23. Mancata partecipazione alla mediazione, argomenti di prova ex art. 116 c.p.c., rifiuto giustificato da discrepanza tra pretese e CTU: non provato danno morale e nesso eziologico tra sinistro e patologia (Osservatorio Mediazione Civile n. 25/2023)

=> Corte appello di Roma, 20 aprile 2023 

La previsione dell'art. 8, co. 4, d.lgs. 28/2010 ha certamente una portata punitiva, volta per lo più a dissuadere le parti dal non partecipare al tentativo di mediazione; di fatto, permette al giudice di desumere prove ex 116 c.p.c. in virtù del solo comportamento omissivo della parte che illegittimamente si sottrae alla mediazione. Tale comportamento della parte è associato dall'ordinamento ad intenti dilatori, volti ad ostacolare la giustizia e porre gli interessi in gioco sul più scivoloso piano della disputa davanti ad un organo giudicante, in cui gli oneri probatori possono essere utilizzati come strumento per disinnescare le pretese avversarie, anche quando astrattamente fondate. Tuttavia gli elementi di prova desumibili dalla mancata ingiustificata partecipazione alla mediazione obbligatoria non possono prescindere dalla circostanza che la parte abbia comunque fornito una semiplena probatio sui fatti di causa (così, la parte ha giustificato il rifiuto in ragione della discrepanza tra le pretese risarcitorie attoree e gli esiti delle risultanze peritali, rendendosi al contempo disponibile a concludere un accordo che ricalcasse le risultanze della CTU in punto di quantum debeatur, riproponendo inoltre al Giudice di formulare una proposta ex art. 185 bis c.p.c. basata sulle risultanze del CTU, vedendosi rigettare l'istanza; il Giudice non poteva quindi: i) ricollegare alla detta condotta la presenza del danno morale; ii) ritenere - sol per tali ragioni - provato un nesso eziologico tra il sinistro stradale e patologia oculistica lamentata; iii) ritenere provato il nesso causale tra il sinistro e la detta patologia in via sanzionatoria applicando la disposizione di cui all'art. 8 co. 4, d.lgs. 28/2010, in quanto il riconoscimento del nesso eziologico non può essere considerato una conseguenza logico-giuridica della mancata partecipazione alla mediazione; iv) riconoscere l'aumento da danno morale – tenuto conto della assoluta genericità delle allegazioni e della modestia dei postumi riconosciuti dal ctu – che non può scaturire come esito sanzionatorio dell'applicazione dell'art. 8 co. 4 d.lgs. 28/2010 cit.

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 25/2023

(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

Corte di appello di Roma

Sentenza

20 aprile 2023 

Omissis 

A seguito della discussione orale il Giudice Monocratico ha dato lettura della sentenza a fine udienza, riconoscendo a parte attrice il diritto al risarcimento del danno quantificato come segue:

- a omissis ha riconosciuto l'invalidità permanente nella misura del 4% (ricalcando quanto valutato dal CTU), una invalidità temporanea 100% di giorni 30, una invalidità temporanea 50% di giorni 20 e spese medico sanitarie di 3.000,00 euro; per un totale di complessivi 5.000,00 euro di risarcimento danni alla persona;

- a omissis ha riconosciuto invalidità permanente del 12% (così ritenuto dal giudice in veste di peritus peritorum), invalidità temporanea 100% di 20 giorni e invalidità temporanea 50% di 20 giorni; per un totale di 31.000,00 euro;

- a omissis ha invece confermato l'invalidità permanente nella misura dell'1% come valutato dal CTU, inoltre riconoscendo invalidità temporanea 100% di giorni 20, invalidità temporanea 50% di giorni 20; per un totale di 800,00 euro a titolo di risarcimento danni alla persona.

Queste somme sono state calcolate tenendo conto degli importi tabellari, delle spese affrontate da omissis per le cure mediche, di quanto già versato dall'assicurazione e soprattutto dell'incremento per danno morale e del riconoscimento del nesso eziologico tra il sinistro e la patologia oculare che ha interessato omissis.

Si legge in motivazione che il Tribunale di Roma è pervenuto a tali conclusioni facendo applicazione dell'art. 8 co. 4 del d.lgs. 28/2010 relativo alla “mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione” in base al quale il Giudice può desumere argomenti di prova ex art. 116 c.p.c., a fronte dell'ingiustificata mancata partecipazione alla mediazione obbligatoria di una parte (ritenendo così provato il danno morale , il nesso eziologico tra la patologia oftalmica e il sinistro e le spese affrontate dalla omissis ancorché non riconducibili al sinistro in base alla ctu).

Ancora, il Tribunale di Roma ha condannato X ad una sanzione pecuniaria di 9.000,00 euro, in applicazione dell'art. 96 co. 3 c.p.c., avendo dunque considerato che i convenuti abbiano “agito o resistito in giudizio in mala fede o colpa grave” (e nel caso specifico con dolo, secondo il Giudice Monocratico) e condannato altresì la x al pagamento di una somma pari al contributo unificato in favore dell' erario ex art. 8, comma 4 bis, d.lvo n. 28/2010.

Con atto di citazione in appello X e omissis hanno convenuto presso questa Corte di Appello le danneggiate - risultate pienamente vittoriose di fronte al Tribunale - formulando a tal fine motivi di gravame riferiti essenzialmente alla asserita illogicità della sentenza di primo grado.

Gli appellanti si lamentano di come nella pronuncia del Tribunale sia stato applicato l'art. 8 co. 4 del d.lgs. 28/2010 travisando la ratio dell'istituto e dunque travalicando il perimetro di legittima applicazione della norma.

Il Collegio ritiene che i motivi di appello siano fondati.

Deve infatti sottolinearsi come il Giudice di primo grado abbia frainteso le ragioni per cui l'ordinamento gli riconosce la possibilità di desumere argomenti di prova ex 116 c.p.c. in caso di mancata partecipazione alla procedura di mediazione.

La previsione dell'art. 8 co. 4 del d.lgs. 28/2010 ha certamente una portata punitiva, volta per lo più a dissuadere le parti dal non partecipare al tentativo di mediazione; di fatto, permette al giudice di desumere prove ex 116 c.p.c. in virtù del solo comportamento omissivo della parte che illegittimamente si sottrae alla mediazione chiudendo qualsiasi finestra di dialogo volta al raggiungimento di un accordo bonario.

Tale comportamento della parte che si sottrae alla mediazione, come sottolinea ampiamente anche il Giudice di prime cure in sentenza, è associato dall'ordinamento ad intenti dilatori, volti ad ostacolare la giustizia e porre gli interessi in gioco sul più scivoloso piano della disputa davanti ad un organo giudicante, in cui gli oneri probatori possono essere utilizzati come strumento per disinnescare le pretese avversarie, anche quando astrattamente fondate.

Tuttavia gli elementi di prova desumibili dalla mancata ingiustificata partecipazione alla mediazione obbligatoria non possono prescindere dalla circostanza che la parte abbia comunque fornito una semiplena probatio sui fatti di causa.

Nel caso di specie, X ha giustificato il rifiuto a partecipare ad un tentativo di composizione bonaria della lite in ragione della discrepanza tra le pretese risarcitorie attoree e gli esiti delle risultanze peritali , rendendosi al contempo disponibile a concludere un accordo che ricalcasse le risultanze della CTU in punto di quantum debeatur. La compagnia di assicurazioni ha inoltre riproposto al Giudice di formulare una proposta ex art. 185 bis cpc basata sulle risultanze del CTU, vedendosi rigettare l'istanza da parte del omissis. Alla luce di tali comportamenti il Giudice non poteva ricollegare alla condotta tenuta dalla Sa. la presenza del danno morale o ritenere - sol per tali ragioni - provato un nesso eziologico tra sinistro stradale e patologia oculistica del tutto non prova altrimenti avuto riguardo agli esiti dell' istruttoria che deponevano inequivocabilmente per la mancanza del nesso causale tra il sinistro stradale e la patologia oculistica da cui è risultata affetta omissis e del rilevante lasso di tempo trascorso fra l'insorgenza della malattia e il sinistro.

Tantomeno si può pensare di provare tale nesso in via sanzionatoria applicando la disposizione di cui all' dell'art. 8 co. 4 del d.lgs. 28/2010, in quanto il riconoscimento del nesso eziologico non può essere considerato una conseguenza logico-giuridica della mancata partecipazione alla mediazione.

Un discorso non dissimile deve essere esteso alla circostanza del riconoscimento a favore dei danneggiati dell'aumento da danno morale che tenuto conto della assoluta genericità delle allegazioni e della modestia dei postumi riconosciuti dal ctu non può trovare riconoscimento come esito sanzionatorio all'applicazione dell'art. 8 co. 4 del d.lgs. 28/2010.

Né- si osserva- possono ritenersi provate le spese mediche affrontate da omissis e riconosciute dal primo Giudice sulla base di una censurabile deduzione di elementi di prova.

Quindi ad omissis spetterà un risarcimento danni così ridimensionato e riadattato alle valutazioni del CTU: - 5.765,00 euro per I.P. al 4%, I.T. di 50 giorni e spese mediche; a omissis spetterà un risarcimento danni così ridimensionato e riadattato alle valutazioni del CTU: 1.468,00 euro per l'invalidità di un punto percentuale; a omissis spetterà un risarcimento danni così ridimensionato e riadattato alle valutazioni del CTU: 1.483,00 euro per l'invalidità di un punto percentuale; per quanto concerne la doglianza che verte sulla inflizione della sanzione ex art. 96 di 9000 euro, anche riguardo tale circostanza il Collegio ritiene di dover riformare il provvedimento impugnato in quanto il comportamento della compagnia assicurativa è giustificato dal fatto che controparte insisteva nel richiedere somme sulla base della valutazione del proprio CTP, il quale ha basato la propria consulenza su affermazioni e circostanze sprovviste della necessaria prova, così tentando di intavolare una trattativa partendo da presupposti che non avrebbero potuto realisticamente portare ad una composizione bonaria della lite.

In conclusione l' appello deve essere accolto mediante rideterminazione delle somme dovute e condanna dei responsabili civili alla restituzione delle somme corrisposte in eccesso nonché revoca della sanzione pecuniaria ex art. 96, comma 3, c.p.c. e della condanna della X, d'ufficio, al pagamento di una somma pari al contributo unificato ex art. 8 comma 4 bis D.Lvo 4 marzo 2010 n. 28 testo applicabile ratione temporis.

Tenuto conto dell' esito finale della lite che ha visto solo parzialmente vittoriosi gli attori, si compensano in ragione di un terzo le spese di lite del doppio grado di giudizio e si condannano i responsabili civili alla rifusione agli antistatari avv. omissis della residua parte liquidata nella misura indicata nella parte dispositiva. 

PQM 

La Corte  omissis riduce il risarcimento danni alla persona nel seguente modo: omissis ha diritto a 5.765,00 euro di risarcimento danni; omissis ha diritto a 1.468,00 euro di risarcimento danni; omissis ha diritto a 1.483,00 euro di risarcimento danni; compensa in ragione di un terzo le spese di lite del doppio grado nei rapporti appellanti omissis e condanna X Assicurazioni Spa e omissis in solido a rifondere agli antistatari avv. omissis la residua parte che liquida per la quota di spettanza in euro 2.000,00 per il primo grado e euro 2.644,00 per il secondo grado, il tutto oltre 15% rimborso spese generali, iva e cpa come per legge; condanna omissis a restituire alla X le somme ricevute in eccesso rispetto a quelle dovute in forza della presente sentenza; revoca il capo di condanna della X e omissis in solido al pagamento della sanzione pecuniaria ex art. 96 c.p.c..; revoca la condanna della X al pagamento di una somma pari al contributo unificato in favore dell' erario. 

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

17 settembre 2021

32/21. Precedenti tentativi di mediazione non andati a buon fine: giusto motivo di mancata partecipazione? (Osservatorio Mediazione Civile n. 32/2021)

=> Tribunale Roma, 15 gennaio 2021 

Non costituisce giusto motivo di mancata partecipazione lo svolgimento di precedenti tentativi di mediazione non andati a buon fine. In tal caso, dunque, la mancata partecipazione al tentativo obbligatorio di mediazione comporta l’applicazione della sanzione di cui all’art. 8, comma 4 bis, d.lgs. 28/2010 (I). 

(I) Si veda l’art. 8, D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 (Osservatorio Mediazione Civile n. 38/2018).

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 32/2021 (www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

Tribunale Roma
Sentenza
15 gennaio 2021

Omissis

Sulla prima domanda di risarcimento del danno da mancata restituzione in pristino.

Sul punto omissis in liquidazione s.r.l., come visto, lamenta l’erroneità della C.T.U. nonché la circostanza di fatto che i predetti lavori sarebbero stati autorizzati da omissis il 23.02.2005 (cfr. autorizzazione del febbraio 2005 allegato 2 alla memoria di costituzione). Sul punto, poi, la C.T.U. sarebbe carente ed erronea perché il Perito del Tribunale avrebbe ipotizzato che il proprietario non fosse stato reso edotto dei lavori.

Tale eccezione, però, non coglie nel segno visto che l’art. 6 del contratto recita che “La conduttrice dichiara di aver esaminato i locali affittati e di averli trovati adatti al proprio uso, in buono stato di manutenzione ed esenti da difetti che possano influire sulla salute di chi vi svolge attività e si obbliga a riconsegnarli alla scadenza del contratto nello stesso stato”. E ancor più chiaramente all’art. 8 si legge: “La conduttrice è costituita custode della cosa locata e si obbliga a mantenere e riconsegnare i locali con gli 6 impianti e le dotazioni, così come ricevuti, in buono stato di conservazione salvo il deperimento d’uso”. Appare di palmare evidenza, allora, che la Bimbi Allegri in liquidazione s.r.l., nella sottoscrizione del contratto regolarmente allegato (cfr. allegato 1 al ricorso) abbia assunto un’obbligazione ulteriore rispetto a quella di cui all’art. 1590 c.c. e più penetrante impegnandosi a riconsegnare i locali esattamente nello stato ricevuto. Quest’ultimo, contrariamente a quanto falsamente sostenuto dalla Bimbi Allegri in liquidazione s.r.l., era certamente un buono stato locativo. Tale semplice osservazione si basa sulla dichiarazione confessoria resa dalla stessa conduttrice nel contratto di locazione. Come noto la confessione ha valore di prova legale e non ammette prova contraria.

D’altra parte la stessa giurisprudenza, anche di merito, chiarisce che “In tema di locazioni, se nel contratto è inserita la clausola con cui il conduttore dichiara di avere visitato i locali e di averli trovati esenti da vizi e in buono stato manutentivo, non è più possibile, per il conduttore stesso, ritrattare tale dichiarazione e contestare, eventualmente anche in causa, il fatto che l'immobile, al momento della consegna, presentava invece dei vizi. La clausola in questione, infatti, non è una semplice formula "di stile", inserita più per consuetudine: al contrario, essa ha un preciso significato sostanziale, integrando, a tutti gli effetti, una confessione stragiudiziale resa dal conduttore circa lo stato manutentivo del bene consegnatogli. Pertanto, proprio perché si tratta di "confessione", tale dichiarazione costituisce una "prova legale": ossia, in base alle regole del processo civile, una prova che non può essere più messa in discussione, né superata da altre prove” (Tribunale di Pisa, sentenza del 22.03.2016). Dunque tutte le osservazioni contenute nella memoria di costituzione: quelle secondo le quali la mancata liberazione dell’immobile non può definirsi cattiva manutenzione e che la diversa distribuzione dei locali sarebbe compatibile con il rispristino all’uso abitativo sono superate dalle espresse pattuizioni contrattuali.

Parimenti il regime giuridico delle migliorie non può essere ricondotto a quanto previsto dall’art. 1592 c.c. stante la pattuizione delle parti secondo la quale l’immobile doveva essere restituito nell’esatto stato dell’originaria consegna.

D’altra parte che le opere realizzate dalla omissis in liquidazione s.r.l. costituiscano reali migliorie è affermazione apodittica e del tutto priva di riscontro probatorio. Invero la Suprema Corte chiarisce che “Nella nozione di 7 "miglioramenti" ai sensi dell'art. 1592 cod. civ. rientrano quelle opere che con trasformazioni o sistemazioni diverse apportano all'immobile un aumento di valore, accrescendone in modo durevole il godimento, la produttività e la redditività, senza presentare una propria individualità rispetto al bene in cui vanno ad incorporarsi” (Corte di Cassazione, Sez. III, sen. n. 13070/2004). Nel caso di specie, invece, nessun miglioramento è stato apportato all’immobile tanto che lo stesso proprietario chiede la restituzione in pristino dell’immobile come, peraltro, espressamente pattuito nel contratto. D’altra parte appaiono del tutto sfornite di prova le eccezioni di compensazione della omissis in liquidazione s.r.l. Ci si riferisce a presunte migliorie e opere di manutenzione per le quali non è stato fornito alcun riscontro probatorio: non una fattura, un progetto o un contratto di appalto. D’altra parte la omissis in liquidazione s.r.l. avrebbe potuto avanzare ricorso per A.T.P., come fatto dallo stesso omissis, per fare accertare le presunte opere di miglioria.

Infine deve constatarsi come la relazione peritale di cui all’A.T.P. avente appare completa, dettagliata e priva di vizi logici così che il relativo contenuto è fatto proprio dall’organo giudicante. Appare conforme e adeguata la quantificazione dei costi di restituzione in pristino di € 53.295,11 oltre Iva.

In conclusione la domanda di omissis deve essere accolta e la omissis in liquidazione s.r.l. deve essere condannata al pagamento di € 53.295,11 oltre Iva e interessi nella misura legale dalla data di riconsegna del 08.09.2017 fino a quella di effettivo pagamento.

Deve, però, essere rigettata la richiesta di condanna al risarcimento delle spese di A.T.P. omissis.

Sulle spese Le spese di lite devono essere compensate in ragione del mancato accoglimento della gran parte delle domande di parte ricorrente. Sul punto la Suprema Corte chiarisce che “La nozione di soccombenza reciproca, che consente la compensazione parziale o totale tra le parti delle spese processuali (art. 92, comma 2, c.p.c.), si verifica - anche in relazione al principio di causalità - nelle ipotesi in cui vi è una pluralità di domande contrapposte, accolte o rigettate e che siano state cumulate nel medesimo processo fra le stesse parti, ovvero venga accolta parzialmente l'unica domanda proposta, sia essa articolata in un unico capo o in più capi, dei quali siano stati accolti uno o alcuni e rigettati gli altri” (Corte di Cassazione, Sez. III, ord. n. 20888/2018).

La mancata partecipazione della omissis in liquidazione s.r.l. al tentativo obbligatorio di mediazione comporta l’applicazione della sanzione di cui all’art. 8, comma 4 bis, del D. Lgs. 28/2010. Infatti non costituisce giusto motivo di mancata partecipazione lo svolgimento di precedenti tentativi di mediazione non andati a buon fine.

Pertanto omissis in liquidazione s.r.l. deve essere condannata al pagamento, in favore dello Stato Italiano, di una somma pari al contributo unificato dovuto per il presente giudizio. 

PQM 

Il Giudice definitivamente pronunciando sulla causa specificata in epigrafe, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, così provvede: dichiara inammissibile la domanda nuova presentata da omissis di pagamento dell’indennità di occupazione per il periodo necessario alla realizzazione dei lavori di restituzione in pristino; dichiara inammissibili i documenti allegati da omissis alla memoria conclusionale; condanna la omissis in liquidazione s.r.l. al pagamento, in favore di omissis, della somma di € 53.295,11 oltre Iva e interessi nella misura legale dalla data di riconsegna del 08.09.2017 fino a quella di effettivo pagamento; rigetta la domanda di omissis al risarcimento del danno da lucro cessante; rigetta la domanda di omissis al pagamento dell’integrazione dell’indennità di occupazione per i mesi di giugno e luglio 2017; condanna omissis in liquidazione s.r.l. al pagamento, in favore di omissis, della somma di € 5.301,54 oltre interessi legali dal 08.09.2017 fino alla data di effettivo pagamento per l’occupazione relativa ai mesi di agosto e settembre 2017; rigetta la richiesta di condanna al pagamento della somma di € 3.860,50 a titolo di spese per A.T.P.; rigetta la richiesta di condanna ex art. 96 c.p.c.; compensa le spese di lite; condanna omissis in liquidazione s.r.l. al pagamento, in favore dello Stato Italiano, di una somma pari al contributo unificato dovuto per il presente giudizio. 

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

14 maggio 2021

22/21. Complessità procedimentale: giustificata la mancata partecipazione alla mediazione del condominio (Osservatorio Mediazione Civile n. 22/2021)

=> Corte di appello di Milano, 16 dicembre 2020 

In tema di mancata partecipazione del condominio al procedimento di mediazione, qualora il condominio deduca una grande complessità procedimentale e l’incertezza dell’esito del procedimento di mediazione, ciò consente di ritenere giustificata la mancata partecipazione del medesimo al procedimento di mediazione, dovendosi escludere la condanna del Condominio al versamento dell’importo di cui alla sanzione prevista dall’art. 8, comma 4bis, d.lgs. 28/2010 (nella specie il condominio deduceva che doveva tenersi in conto il complesso iter procedimentale che l’amministratore avrebbe dovuto seguire per poter giungere alla sottoscrizione di una transazione in sede stragiudiziale con le controparti, dovendo tale atto essere preceduto dalla convocazione di un’assemblea al fine del rilascio di autorizzazione a partecipare al primo incontro di mediazione e che, in seguito, l’amministratore avrebbe dovuto riferire all’assemblea ed essere autorizzato a richiedere, in sede di mediazione, la nomina di consulente tecnico per procedere alla redazione della nuove tabelle; tabelle a dire del condominio, peraltro, da sottoporre all’assemblea condominiale per l’approvazione all’unanimità delle stesse, trattandosi di tabelle allegate a un regolamento condominiale di natura contrattuale (I).  

(I) Si veda l’art. 8, comma 4bis, D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 (Osservatorio Mediazione Civile n. 38/2018).

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 22/2021
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

Corte di appello di Milano
Sentenza
16 dicembre 2020

Omissis

Stante l’accoglimento delle domande formulate dai condòmini attori, il Tribunale ha ritenuto di dover porre le spese e competenze processuali e della procedura di mediazione antecedente la causa a carico del condominio in favore dei condomini in solido.

Analogamente sono state poste a carico del Condominio le spese di consulenza tecnica con condanna del medesimo al versamento in favore dello Stato di un importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio in quanto il condominio non avrebbe partecipato alla mediazione obbligatoria promossa dalla controparte senza giustificato motivo alcuno.

Il Condominio censura l’impugnata sentenza limitatamente ai due seguenti profili: per non avere il Tribunale considerato ragionevole e giustificata la mancata partecipazione del Condominio al procedimento di mediazione, ingiustamente condannando il convenuto al pagamento in favore dell’Erario di un importo pari al contributo unificato nonché al rimborso delle spese di mediazione, peraltro non quantificate; per aver condannato il solo condominio al pagamento dei compensi professionali del consulente tecnico d’ufficio.

Con riguardo al primo motivo, l’appellante deduce che il Tribunale ha ritenuto ingiustificata la mancata partecipazione del Condominio al procedimento di mediazione in base all’erronea affermazione secondo cui, ove il Condominio avesse aderito all’invito dei condòmini, le parti avrebbero potuto raggiungere un accordo in sede di mediazione, definendo la controversia in sede stragiudiziale.

Deduce il Condominio che tale affermazione non tiene nel dovuto conto il complesso iter procedimentale che l’amministratore avrebbe dovuto seguire per poter giungere alla sottoscrizione di una transazione in sede stragiudiziale con le controparti, dovendo tale atto essere preceduto dalla convocazione di un’assemblea al fine del rilascio di autorizzazione a partecipare al primo incontro di mediazione.

In seguito l’amministratore avrebbe dovuto riferire all’assemblea ed essere autorizzato a richiedere, in sede di mediazione, la nomina di consulente tecnico per procedere alla redazione della nuove tabelle, tabelle da sottoporre all’assemblea condominiale per l’approvazione all’unanimità delle stesse, trattandosi di tabelle allegate a un regolamento condominiale di natura contrattuale.

L’esito di tale procedimento, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, doveva considerarsi altamente incerto e, per tale motivo, l’amministratore ritenne preferibile l’instaurarsi di un giudizio ordinario al fine di “ottimizzare i tempi ed i costi di sostituzione delle tabelle”, anche tenuto conto che la compagine condominiale è composta da ben 46 condòmini, un terzo dei quali morosi all’epoca dei fatti.

Gli appellati contestano tale prospettazione, rilevando che, per l’approvazione delle nuove tabelle, non sarebbe stata necessaria l’unanimità dei consensi bensì la maggioranza di cui all’art. 1136, comma II, cod. civ. e che, pertanto, la partecipazione del Condominio alla mediazione avrebbe potuto evitare, con buone probabilità, il ricorso all’Autorità giudiziaria.

Deve rilevarsi che, come è noto, l’art. 8 del D. Lgs. 28/2010 stabilisce che "Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall'articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio".

Ritiene la Corte che le circostanze riferite dal Condominio, in ordine alla complessità procedimentale e all’incertezza dell’esito del procedimento di mediazione, consentano di escludere una colpa dell’originario convenuto nella mancata partecipazione del medesimo al procedimento di mediazione.

La giustificazione addotta, d’altro canto, trova coerente riscontro nella condotta processuale del Condominio che, costituitosi in giudizio, ha aderito alla domanda formulata dagli attori.

Ne consegue l’accoglimento del motivo di appello in ordine alla condanna del Condominio al versamento di un importo pari al contributo unificato a carico dell’Erario.

Quanto alla censura relativa alla condanna al rimborso delle spese del giudizio di mediazione, osserva l’appellante che il Tribunale non ha provveduto a quantificare separatamente il compenso e le spese dovute per il giudizio di mediazione, in assenza di documentazione della controparte circa gli esborsi eseguiti ovvero di disposizione normativa che consentisse tale condanna.

In proposito gli appellati deducono che il giudice di primo grado avrebbe determinato l’importo complessivamente dovuto sulla base della nota spese depositata dagli attori in primo grado e che, in ogni caso, la domanda di rimborso delle spese di mediazione era stata formulata anche a titolo di risarcimento del danno.

Sul punto è utile richiamare il principio affermato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte (16990/17) secondo cui le spese sostenute dalla parte vittoriosa per attività stragiudiziale - seguita da attività giudiziale - devono formare oggetto di una domanda di risarcimento del danno emergente nei confronti dell’altra parte, con le dirette conseguenze in ordine alla prova della sussistenza del danno.

La Corte di legittimità ha chiarito che l'attività stragiudiziale, anche se svolta da un avvocato, è comunque qualcosa “d'intrinsecamente diverso rispetto alle spese processuali pag. 5 vere e proprie”, con la conseguenza che relativa liquidazione resta soggetta ai normali oneri di domanda, allegazione e prova, al pari delle altre voci di danno emergente.

Non risulta dagli atti che gli odierni appellati abbiano dedotto e dato prova di aver sostenuto costi ed esborsi per la fase di mediazione, con la conseguente impossibilità di procedere alla liquidazione del relativo danno.

Deve conseguentemente procedersi, in questa sede, a scorporare, dall’importo dei compensi liquidati a titolo di spese processuali dal Tribunale, l’importo equitativamente ritenuto riferibile alla fase di mediazione (negativa), che si ritiene di poter quantificare in € 500,00, con conseguente rideterminazione dell’importo relativo ai compensi liquidati in € 7.500,00, oltre accessori.

Passando all’esame del secondo motivo, l’appellante deduce che il Tribunale avrebbe erroneamente posto interamente a carico del Condominio le spese di consulenza tecnica, sul presupposto che non sarebbe stata fornita prova “che siano stati gli attori a dare luogo ai frazionamenti ed alla realizzazione degli immobili da essi derivati che hanno determinato la necessità di tali tabelle”.

Deduce l’appellante che tale affermazione non tiene conto della pacifica circostanza che il frazionamento dei piani settimo e seminterrato non è stato eseguito dal Condominio, con conseguente impossibilità di applicare l’art. 69 disp. att. cod. civ. nei suoi confronti.

La critica è fondata.

L’art. 69 disp. att. cod. civ. detta il principio secondo cui il costo di revisione delle tabelle millesimali, in caso di variazione di consistenza delle unità immobiliari, deve essere sostenuto da chi ha dato luogo alla variazione.

Nel caso in esame, può pacificamente ritenersi escluso che i frazionamenti modificativi delle unità immobiliari siano stati eseguiti su indicazione del Condominio; d’altro canto, l’appellante deduce, genericamente, che il frazionamento dei piani seminterrato e settimo sarebbe stato eseguito “dalla società originaria proprietaria e/o dagli odierni convenuti appellati”.

Sulla base di tali risultanze, ritiene la Corte che le spese di CTU non possano essere poste a carico di una delle parti ma che debbano essere poste a carico di parte attrice e parte convenuta, in parti uguali, trattandosi di attività svolta nell’interesse di entrambe.

Valutato l’esito complessivo della controversia e l’accoglimento solo parziale dell’appello, non vi sono i presupposti per rivedere la regolamentazione delle spese del primo grado di giudizio (avvenuta nel rispetto del principio di causalità) mentre le spese del presente grado possono essere interamente compensate tra le parti. 

PQM 

La Corte d’Appello, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da Condominio omissis

contro la sentenza omissis, in parziale accoglimento dell’appello, riduce ad €7.500,00 (oltre 15% per rimborso spese generali e accessori di legge) i compensi liquidati quali spese legali in favore del Condominio per il giudizio di primo grado; pone le spese della CTU in parti uguali a carico del Condominio e delle parti appellate; conferma nel resto l’impugnata sentenza; dichiara interamente compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

 

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

19 gennaio 2021

3/21. Pendenza di altro giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo: giustificato motivo del rifiuto di procedere alla mediazione (Osservatorio Mediazione Civile n. 3/2021)

 => Tribunale di Frosinone, 10 settembre 2020

La pendenza di un altro giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo tra le stesse parti è circostanza da cui può desumersi che il rifiuto di procedere alla mediazione non è immotivato. Non va quindi accolta l'istanza ex art.8, comma 4 bis, d.lgs. n. 28/2010 (I)

(I) Si veda l’art. 5, D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 (Osservatorio Mediazione Civile n. 38/2018).

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 3/2021
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

Tribunale di Frosinone 
Sentenza 
10 settembre 2020

Omissis

Sull'eccezione pregiudiziale di incompetenza per territorio.

Va, innanzitutto, vagliata l'eccezione di incompetenza territoriale sollevata dalla parte opponente, la quale ha fondato l'eccezione sul disposto dell'art. 12 co. 2 del contratto di conto corrente oggetto di causa, in cui si legge che “per ogni eventuale controversia tra il Cliente e la Banca sarà ritenuto competente, alternativamente, il foro di Ancona, Macerata o Pesaro”.

L'eccezione è infondata.

Com'è noto, la designazione convenzionale di un foro territoriale, anche ove coincidente, come nella specie, con alcuno di quelli previsti dalla legge, assume carattere di esclusività solo in caso di pattuizione espressa, la quale, pur non dovendo rivestire formule sacramentali, deve comunque risultare da una inequivoca e concorde manifestazione di volontà delle parti volta ad escludere la competenza degli altri fori previsti dalla legge, sicché la clausola, con la quale venga stabilita la competenza di un determinato foro "per qualsiasi controversia", non è idonea ad individuare un foro esclusivo (Cass. n. 18707/2014).

Nel merito della controversia.

In estrema sintesi, la parte opposta ha domandato in sede monitoria la condanna della controparte al pagamento del saldo negativo del conto (omissis), assistito da apertura di credito, e l'opposta ha eccepito la mancanza di prova sufficiente del credito e l'addebito, nel corso del rapporto, di interessi in misura superiore a quelli pattuiti e in assenza di comunicazione delle relative variazioni.

Vertendosi in materia di inadempimento contrattuale, deve trovare applicazione, in punto di riparto dell'onere della prova, il principio, enunciato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione nella sentenza n. 13533/2001, per cui “in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento”.

La banca opposta, a dimostrazione del titolo della pretesa avanzata, ha prodotto omissis. Pertanto, si ritiene che la banca abbia dato prova sufficiente dei titoli della pretesa azionata in sede monitoria.

Sui motivi di opposizione.

Sulla eccepita mancanza di prova del credito si è già detto al punto che precede.

L'opponente ha, poi, lamentato che la banca avrebbe variato i tassi di interesse del corso del rapporto, unilateralmente, in senso sfavorevole alla correntista e senza alcuna comunicazione, quindi in violazione del disposto dell'art. 118 T.U.B..

Tale disposizione, nel testo applicabile ratione temporis, prevede, per quanto qui rileva, che: nei contratti a tempo indeterminato può essere convenuta, con clausola approvata specificamente dal cliente, la facoltà di modificare unilateralmente i tassi, i prezzi e le altre condizioni previste dal contratto qualora sussista un giustificato motivo. Negli altri contratti di durata la facoltà di modifica unilaterale può essere convenuta esclusivamente per le clausole non aventi ad oggetto i tassi di interesse, sempre che sussista un giustificato motivo; qualunque modifica unilaterale delle condizioni contrattuali deve essere comunicata espressamente al cliente secondo modalità contenenti in modo evidenziato la formula: "Proposta di modifica unilaterale del contratto", con preavviso minimo di due mesi, in forma scritta o mediante altro supporto durevole preventivamente accettato dal cliente. La modifica si intende approvata ove il cliente non receda, senza spese, dal contratto entro la data prevista per la sua applicazione. In tale caso, in sede di liquidazione del rapporto, il cliente ha diritto all'applicazione delle condizioni precedentemente praticate; le variazioni contrattuali per le quali non siano state osservate le prescrizioni del presente articolo sono inefficaci, se sfavorevoli per il cliente.

Nel caso di specie, all'art. 9 co. 2 del contratto di conto corrente – clausola approvata specificamente dalla correntista – era prevista la facoltà della banca di variazione, anche sfavorevole per il cliente, delle pattuizioni contrattuali al ricorrere di un giustificato motivo, e che le comunicazioni relative, previste dall'art. 118 cit., sarebbero state validamente effettuate mediante lettera semplice, anche inserita nell'estratto conto, o con la modalità di cui all'art. 3 del contratto (e cioè in forma cartacea, scelta dalla correntista nel contratto stesso, e all'indirizzo ivi indicato).

Sennonché, la banca opposta non ha fornito alcuna prova di aver effettivamente inviato all'odierna opponente gli estratti conto – che, ha dedotto, contenevano le comunicazioni di variazione – nel rispetto della tempistica prevista dall'art. 118 cit..

Pertanto, le variazioni contrattuali intervenute nel corso del rapporto, ricostruite dal c.t.u., devono ritenersi inefficaci.

La ricostruzione dei rispettivi rapporti di dare e avere tra le parti alla luce dei criteri precedentemente illustrati.

Il c.t.u., attenendosi ai criteri dettati dal giudice istruttore e sopra ripercorsi e giungendo a conclusioni pienamente condivisibili, in quanto immuni da errori e vizi logici e basate su un attento ed obiettivo esame della documentazione in atti, ha proceduto alla complessiva ricostruzione dei rispettivi rapporti di dare e avere tra le parti alla luce della documentazione contabile prodotta in giudizio, elaborando un'ipotesi di calcolo che ha tenuto conto dei quesiti formulati dal giudice.

In particolare, il c.t.u. ha calcolato che, epurato degli effetti delle variazioni del tasso di interesse intervenute nel corso del rapporto, il conto alla data di chiusura (7.5.2015) presentava un saldo negativo pari ad € 47.022,27.

Pertanto, il decreto ingiuntivo va revocato, e l'opponente va condannata a pagare all'attuale titolare del credito l'importo di € 47.022,27, oltre interessi nella misura e con la decorrenza indicate nel decreto ingiuntivo.

L'accoglimento solo parziale dell'opposizione, e la condanna dell'opponente a pagare la gran parte del credito azionato in sede monitoria, giustifica la compensazione delle spese di lite tra le parti nella misura di 1/6, e che la parte restante, liquidata come in dispositivo, con riferimento ai valori medi di cui al d.m. n. 55/2014, e all'attività effettivamente prestata, sia posta a carico della parte opponente.

Per le stesse ragioni le spese di c.t.u. sono poste definitivamente a carico della parte opponente e di omissis s.p.a., quale mandataria di omissis s.r.l., in solido tra loro.

L'istanza ex art. art. 8 co. 4 bis d.lgs. n. 28/2010, formulata dalla parte opponente nei confronti di omissis s.p.a., all'epoca titolare del credito oggetto di causa, non può essere accolta, perché: nel corso del giudizio quest'ultima ha manifestato più volte la disponibilità a vagliare la possibilità di una soluzione transattiva della controversia, tra l'altro nelle note autorizzate del 20.4.2016, precedenti all'avvio della mediazione; nelle stesse note rappresentava la difficoltà di pervenire ad un accordo stante la pendenza di un altro giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo tra le stesse parti, circostanza, non contestata, da cui può desumersi che il rifiuto di procedere alla mediazione non sia stato immotivato.

PQM

Il giudice, definitivamente pronunciando, rigettata ogni altra domanda o eccezione, così provvede: revoca il decreto ingiuntivo n. 704/2015, emesso dal Tribunale di Frosinone in data 12.6.2015, e condanna omissis s.r.l. a pagare a omissis s.p.a., quale mandataria di omissis s.r.l., la somma di € 47.022,27, oltre interessi nella misura e con la decorrenza indicate nel decreto ingiuntivo; dispone la compensazione delle spese di lite tra le parti nella misura di 1/6; quanto alla parte restante, condanna omissis s.r.l. a rifondere a omissis s.p.a. le spese di lite relative alle fasi di studio e introduttiva, che liquida in € 2.305,84, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a. come per legge, a omissis s.p.a. quale mandataria di omissis s.p.a. le spese di lite relative alla fase di trattazione/istruttoria, che liquida in € 1.433,34, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a. come per legge, a omissis s.p.a., quale mandataria di omissis s.r.l., le spese di lite relative alla fase decisionale, che liquida in € 2.305,84, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a. come per legge; pone le spese della consulenza tecnica d'ufficio, liquidate con separato decreto, definitivamente a carico della parte opponente e di omissis s.p.a., quale mandataria di omissis s.r.l., in solido tra loro. 

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

20 novembre 2020

46/20. Mediazione per trovare l’accordo quando non raggiungibile con i solo mezzi di contendenti ed avvocati. Mancata partecipazione, giustificato motivo: assolutezza e non temporaneità (Osservatorio Mediazione Civile n. 46/2020)

 => Corte di appello di Genova, 13 luglio 2020 n. 652

Ritenere che la parte, che sostenga di avere dalla sua tutte le ragioni del mondo o che non abbia alcuna intenzione di fare concessioni alla controparte, possa astenersi dal partecipare alla mediazione, significherebbe tradire lo spirito della riforma. La funzione della mediazione è proprio quella di comporre la lite, riattivando il dialogo tra le parti e inducendole ad una reciproca comprensione delle rispettive opinioni, proprio quando ciascuna di queste è convinta della bontà delle proprie ragioni. Lo scopo della mediazione obbligatoria è evitare il ricorso al Giudice, innanzi al quale verranno in rilievo le argomentazioni in ordine alla fondatezza delle rispettive pretese. Inoltre, irrilevante è la prognosi di impossibilità di una conciliazione, in quanto l'introduzione di tale istituto è stata determinata dalla necessità di consentire alle parti di trovare un accordo amichevole, proprio laddove questo non sia raggiungibile con i soli mezzi di cui i contendenti ed i loro procuratori dispongono. In sostanza, nello spirito della norma che disciplina lo svolgimento del procedimento di mediazione (art. 8), la partecipazione delle parti, sia al primo incontro che agli incontri successivi, rappresenta una condotta assolutamente doverosa, che le stesse non possono omettere, se non in presenza di un giustificato motivo impeditivo che abbia i caratteri della assolutezza e della non temporaneità (I).

(I) Si veda l’art. 8, D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 (Osservatorio Mediazione Civile n. 38/2018).

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 46/2020
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com

Corte di appello di Genova
Sentenza n. 652
13 luglio 2020

Omissis

Con il settimo motivo di appello, l'appellante ha lamentato che il Giudice aveva sbagliato nel ritenere ingiustificata la sua partecipazione al procedimento di mediazione, con conseguente condanna dello stesso al pagamento della sanzione di cui all'art. 8, co. 5, DLgs 28/10.

Infatti, la mancata partecipazione si giustificava, come anticipato da lettera inviata al mediatore, sia in considerazione del fatto che ogni questione era già stata risolta con la sentenza 208/08, sia per l'inutilità della procedura conciliativa alla luce delle pretese temerarie della sig.ra omissis nei confronti dell'appellante.

I motivi indicati a supporto dell'assenza della parte al procedimento di mediazione sono inconsistenti.

Va premesso che, secondo la Cassazione (si vedano le ord. 2030/18 e 2031/18), tali sanzioni sono impugnabili con l'appello, non essendo applicabile la previsione di cui all'art. 179 c.p.c. Nel merito, il ricorso è infondato.

Infatti, ritenere che la parte, che sostenga di avere dalla sua tutte le ragioni del mondo o che non abbia alcuna intenzione di fare concessioni alla controparte, possa astenersi dal partecipare alla mediazione, significherebbe tradire lo spirito della riforma.

La funzione della mediazione è proprio quella di comporre la lite, riattivando il dialogo tra le parti e inducendole ad una reciproca comprensione delle rispettive opinioni, proprio quando ciascuna di queste è convinta della bontà delle proprie ragioni. Lo scopo della mediazione obbligatoria è evitare il ricorso al Giudice, innanzi al quale verranno in rilievo le argomentazioni in ordine alla fondatezza delle rispettive pretese.

In sostanza, il fatto che il diritto reale di servitù fosse contestato non impediva la transazione; anzi, ne costituiva l'indefettibile presupposto.

Oltre tutto, nel caso di specie, la valutazione compiuta da omissis di manifesta infondatezza delle ragioni della controparte è stata clamorosamente smentita dall'esito del giudizio.

Analogamente, irrilevante è la prognosi di impossibilità di una conciliazione, in quanto l'introduzione di tale istituto è stata determinata dalla necessità di consentire alle parti di trovare un accordo amichevole, proprio laddove questo non sia raggiungibile con i soli mezzi di cui i contendenti ed i loro procuratori dispongono.

In sostanza, nello spirito della norma che disciplina lo svolgimento del procedimento di mediazione (art. 8), la partecipazione delle parti, sia al primo incontro che agli incontri successivi, rappresenta una condotta assolutamente doverosa, che le stesse non possono omettere, se non in presenza di un giustificato motivo impeditivo che abbia i caratteri della assolutezza e della non temporaneità.

Con l'ultimo motivo, l'appellante ha contestato la sua condanna alle spese di lite.

Infatti, all'udienza del 25 febbraio del 2015, omissis aveva offerto la costituzione della servitù sul suo fondo secondo il percorso indicato poi nella ctu geom. omissis a condizione che omissis si assumesse i costi di realizzazione e le spese legali e tecniche.

Tale proposta non era stata accettata dalla controparte.

Inoltre, mentre a suo carico non era addebitabile alcuna scorrettezza processuale, era evidente l'inconsistenza delle pretese della ricorrente.

Per queste ragioni, era omissis che doveva essere condannata a rifondere le spese di lite a suo favore.

Anche in questo caso, l'appellato ha chiesto di rigettare l'appello, richiamandosi alle motivazioni del provvedimento di primo grado.

Il Giudice ha dato atto, nel motivare la propria decisione sulle spese, che, sin ab origine, omissis aveva contestato la sussistenza del requisito dell'interclusione; tale contestazione, come visto, è continuata, immotivatamente, in appello; la sua condanna alle spese è conseguenziale, quindi, alla sua soccombenza sul punto ai sensi dell'art. 91 c.p.c. Irrilevante, poi, è la circostanza che l'appellata abbia rifiutato una proposta transattiva; l'art. 91 c.p.c. dà rilievo a tale condotta, ai fini della disciplina delle spese, solo quando la domanda sia accolta in sentenza in misura non superiore al contenuto della proposta rifiutata. Nel caso di specie, invece, parte appellata, accettando la proposta dell'appellante, avrebbe dovuto rinunciare alle spese di lite, poste a suo carico nell'accordo transattivo, soluzione, questa, difforme da quella adottata nel provvedimento impugnato.

Ne discende, quindi, che la norma sopra richiamata non è applicabile al caso di specie.

Si devono esaminare gli appelli proposti da omissis.

omissis ha interesse ad impugnare l'ordinanza in esame solo in punto spese e condanna ex art. 8, D.lgs. 28/10.

Quanto alla sanzione ex art. 8, stante l'identità di ragioni richieste per la riforma del relativo capo con i motivi indicati da omissis, si richiama quanto già detto sopra.

Per quanto riguarda, invece, la compensazione delle spese di lite, il Giudice di primo grado ha contestato la condotta preprocessuale di omissis, evidenziandone la scorrettezza per non aver comunicato da subito, sin dalla mediazione cui non aveva partecipato, che il terreno non era più di sua proprietà. Inoltre, nulla era stato comunicato neppure nel periodo antecedente l'instaurazione della causa.

Parte appellata ha evidenziato la legittimità della propria pretesa, ad una valutazione ex ante, dal momento che la ctu del geom. omissis aveva evidenziato che la costituzione di una servitù avrebbe dovuto coinvolgere il terreno che all'epoca sembrava appartenere a omissis.

Inoltre, lo stesso omissis non si era limitato a negare la propria legittimazione, ma aveva speso difese nel merito in relazione alla insussistenza dei requisiti per la costituzione coattiva della servitù.

Il ragionamento seguito dal Tribunale per compensare le spese di lite è condivisibile.

omissis avrebbe potuto agevolmente evitare la sua partecipazione al presente giudizio partecipando alla mediazione e lì rendere edotta la controparte dell'intervenuta cessione.

Non avendo tenuto tale comportamento doveroso con una condotta che ha effetti processuali, come si evince dall'art. 8 del Dlgs 28/10, ha dato causa alle sue spese di lite; a questo, deve aggiungersi che omissis ha proposto una domanda ex art. 96 c.p.c. sulla quale è risultato soccombente ed ha interloquito nel merito dell'esistenza del diritto alla costituzione della servitù, mentre la parte appellata ha da subito rinunciato ad ogni domanda nei suoi confronti (si veda verbale del 10 giugno 2013).

Tali circostanze giustificano la compensazione delle spese di lite.

Non è stato evidenziato in cosa consisterebbe il danno subito ex art. 96 c.p.c., ragion per cui la relativa domanda deve essere respinta.

Anche omissis ha impugnato la sentenza, in relazione alla decisione del Tribunale di compensare le spese di lite.

Parte appellante ha contestato la statuizione sul punto, sia per la temerarietà della pretesa di parte appellata, che avrebbe voluto che la servitù passasse sul fondo di sua proprietà mapp. omissis quando era evidente ictu oculi che questo era inadeguato, sia perché non aveva applicato correttamente il principio della soccombenza.

Il Tribunale ha motivato la compensazione delle spese di lite sulla base della considerazione che la omissis aveva instaurato il presente giudizio sulla base della ctu disposta nel corso del giudizio di divisione, che aveva riconosciuto l'interclusione dei suoi fondi ed identificato il percorso per la costituzione della servitù di passo facendo riferimento anche al terreno di proprietà del omissis.

Secondo il Tribunale, solo nel corso di nuove indagini tecniche disposte nel corso del giudizio, era emersa la possibilità di un diverso e più adeguato passaggio.

L'argomentazione è coerente con la normativa sulle spese di lite.

La possibilità di realizzare il percorso indicato dal geom. omissis è una novità fattuale emersa solo nel corso del giudizio e conoscibile solo per il tramite di nozioni tecniche, non nella disponibilità della parte (tant'è che si è reso necessaria una ctu che è arrivata a conclusioni diverse da quelle fatte da altro esperto del Tribunale).

Tale circostanza giustifica la compensazione delle spese di lite.

La giurisprudenza infatti, afferma che “Ai sensi dell'art. 92, comma 2, c.p.c., come riformulato dalla l. n. 69 del 2009 ("ratione temporis" applicabile), la compensazione delle spese legali può essere dispo sta, in difetto di soccombenza reciproca, per "gravi ed eccezionali ragioni", tra le quali, trattandosi di nozione elastica, rientra la situazione di obiettiva incertezza sul diritto controverso omissis. Considerato, peraltro, che sono state esaminate questioni comuni, la liquidazione dei compensi si è attenuta ai minimi di valore indeterminabile complessità bassa, esclusa la fase istruttoria dell'appello.

Le parti appellanti sono, poi, tenute al versamento del doppio del contributo unificato, ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, dpr 115/02.

PQM

Respinge gli appelli proposti e per l'effetto conferma la ordinanza ex art. 702 bis c.p.c del Tribunale di Massa omissis; condanna omissis a rifondere a omissis le spese di lite, spese di lite che liquida, per ciascun soccombente, in euro 3.308,00 oltre accessori di legge e spese generali al 15%. Si dà atto che sussistono i presupposti per il pagamento da parte degli appellanti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione, ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, dpr 115/02. 

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

9 novembre 2020

44/20. Mancata partecipazione alla mediazione senza dare alcuna giustificazione: condanna ai sensi dell'art. 96, terzo comma c.p.c. (Osservatorio Mediazione Civile n. 44/2020)

=> Tribunale di Roma, 7 luglio 2020

In merito all'esperimento della mediazione va rilevato che parte convenuta non ha partecipato agli incontri relativi alla fase di mediazione obbligatoria, e non ha dato alcuna giustificazione in merito (nonostante l'invito ai sensi di legge disposto dal Giudice). Tale comportamento omissivo rileva ai sensi dell'art. 96 terzo comma c.p.c. (nella specie il giudice, pertanto, condanna ai sensi dell'art. 96, terzo comma c.p.c. il convenuto a corrispondere a titolo di risarcimento per responsabilità aggravata la somma di euro 2.500,00 a favore degli attori tutti).

(I) Si veda l’art. 5 D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 (Osservatorio Mediazione Civile n. 38/2018).

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 44/2020
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

Tribunale di Roma 
Sentenza 
7 luglio 2020 

Omissis

Per quanto riguarda la mediazione, va rilevato che il Supercondominio omissis non si è presentato sia all'incontro fissato in data 07.01.2016, in sede di prima mediazione, sia al successivo incontro del 22 luglio 2016 su disposizione dell'assegnatario del giudizio all'udienza del 12 luglio 2016.

Successivamente, il giudicante, con ordinanza del 22 giugno 2017, disponeva la riunione dei due procedimenti omissis.

Indi, all'udienza del 21.02.2019, assegnata definitivamente la causa all'attuale Giudice, precisate le conclusioni, il medesimo tratteneva la causa in decisione con i termini previsti dall'art. 190 c.p.c. per il deposito delle note conclusionali e repliche.

La domanda è fondata e merita accoglimento limitatamente a quanto di ragione.

L'istruttoria non ha avuto diversa istruzione e ben può essere decisa allo stato della documentazione versata e dalla svolta consulenza omissis.

In merito all'esperimento della mediazione va rilevato che parte convenuta non ha partecipato agli incontri relativi alla fase di mediazione obbligatoria, e non ha dato alcuna giustificazione in merito, nonostante l'invito ai sensi di legge disposto dal Giudice all'udienza del 12 luglio 2016.

Tale comportamento omissivo rileva ai sensi dell'art. 96 terzo comma c.p.c.

Quanto alla domanda relativa al distacco dall'impianto centralizzato, deve premettersi che la rinuncia unilaterale del singolo condomino al riscaldamento condominiale mediante il distacco del proprio impianto dalle diramazioni dell'impianto centralizzato è legittima e rientra nelle ordinarie prerogative del partecipante alla comunione condominiale, ex art. 1102 c.c., laddove essa non comporti né aggravio di spese per coloro che continuano a fruire del servizio centralizzato, né squilibri termici per l'erogazione del servizio e sempre che un regolamento di natura contrattuale non inibisca l'esercizio di detta facoltà dominicale; eventuale deliberazione assembleare che, non sussistendo le indicate condizioni ostative, manifesti diniego al suo esercizio deve ritenersi nulla (v. Cass. 30.03.2006 n. 7518; Cass. 21.05.2001 n.6923).

In tal caso graverà sul condomino distaccatosi l'onere partecipativo alle sole spese per la conservazione dell'impianto, ai sensi dell'art. 1118 c.c., e con esclusione di dovere contributivo alcuno per gli esborsi afferenti l'utilizzo del servizio comune (v. Cass. 25.02.2004 n. 5974), fatta eccezione per i così detti consumi involontari.

Tali principi possono integralmente applicarsi, mutatis mutandis, alla fattispecie del supercondominio che vede ciascun condominio, che ne integra la struttura, nella posizione di condomino.

Ciò premesso, deve rilevarsi che l'espletata c.t.u., condotta in modo puntuale e dettagliato, immune da vizi logici, e tecnici, ha accertato che il distacco che i condomini attori della palazzina degli attori facente parte del supercondominio convenuto hanno operato, dall'impianto centralizzato di riscaldamento annesso alla struttura supercondominiale non cagionava, agli altri plessi condominiali che continuavano ad usufruirne, nocumento alcuno in termini di squilibrio termico.

Ma ha voluto considerare il consumo di combustibile sia pure defalcando la percentuale prevista dal 14 al 10%, in relazione ai consumi involontari del sistema energetico, rappresentato dall'impianto centralizzato costituito dalla caldaia CT 19, ove evitare aggravi di spesa ai condomini rimasti allacciati al centralizzato stesso.

Pertanto, soddisfatte, in tali termini, le condizioni che devono sussistere per rendere legittimo e consentito il distacco, deve conseguentemente escludersi alcun ulteriore obbligo contributivo degli attori a sopportare esborsi per la fruizione di un servizio al quale sono totalmente estranei fatta eccezione per quelli relativi al consumo di energia elettrica e ferma rimanendo la soggezione ai costi relativi ai consumi involontari.

Con tali precisazioni le impugnate statuizioni deliberative devono, pertanto, essere dichiarate illegittime poiché assunte in violazione del canone dettato dall'art. 1123, commi I e II, c.c..

Ne deriva che, in particolare, le delibere impugnate del 20.01.2015 e del 1.12.2015 sono da annullare, ex art. 1137 c.c., considerato che il Supercondominio convenuto ha addebitato agli attori una percentuale maggiore a quella che è stata accertata.

Quanto al regolamento delle spese di lite, le stesse seguono la soccombenza del Supercondominio convenuto, anche in ordine agli esborsi per la CTU.

PQM

Definitivamente pronunciando, nelle cause riunite, ogni differente istanza ed eccezione disattesa, così provvede: annulla la delibera omissis; accerta che il distacco dall'impianto di riscaldamento centralizzato del Supercondominio omissis è legittimo, per quanto sopra esposto nella parte motiva; annulla altresì la delibera adottata dall'assemblea del Supercondominio omissis; pone definitivamente a carico del Supercondominio convenuto, impersonato dall'amministratore p.t, le spese per la svolta CTU; condanna ai sensi dell'art. 96, terzo comma c.p.c. il Supecondominio convenuto, in persona dell'amministratore p.t. a corrispondere a titolo di risarcimento per responsabilità aggravata per non aver partecipato senza giustificazione alcuna, alla mediazione obbligatoria, nonostante l'invito del giudicante, che si liquida in euro 2.500,00 a favore degli attori tutti; condanna il Supercondominio convenuto alla refusione delle spese di giudizio, che liquida in €. 4.800,00 a favore degli attori tutti, oltre spese generali al 15%, IVA e CPA come per legge.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

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