DIRITTO D'AUTORE


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11 giugno 2019

28/19. Processo sommario di cognizione e mediazione c.d. obbligatoria: rilievo tempestivo dell’improcedibilità (Osservatorio Mediazione Civile n. 28/2019)

=> Cassazione civile, 13 novembre 2018, n. 29017

In caso di mediazione c.d. obbligatoria (art. 5, comma 1-bis, d.lgs. 28/2010), qualora il giudizio di primo grado venga celebrato nelle forme del processo sommario di cognizione (art. 702-bis c.p.c., nel caso in cui lo stesso si sostanzi in un unica udienza, il rilievo della improcedibilità, “ope exceptionis” ovvero “ex officio”, della domanda proposta deve avvenire in occasione della sua celebrazione, pena la sua preclusione.


Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 28/2019

Corte Suprema di Cassazione
Sezione terza civile
Sentenza
13 novembre 2018 n. 29017

Omissis

Fatti di causa

La società X S.r.l. ricorre, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 1953/16 del 23 marzo 2016, emessa dalla Corte di Appello di Roma, che - rigettando il gravame esperito dall'odierna ricorrente contro l'ordinanza del 17 giugno 2015, resa dal Tribunale di Roma all'esito di giudizio ex art. 702 bis c.p.c. - ne ha confermato, previa declaratoria di risoluzione di diritto del contratto di leasing intercorso con la Y Leasing S.p.a., la condanna al rilascio di un capannone industriale già oggetto del contratto.
Riferisce, in punto di fatto, la ricorrente di essere stata convenuta in giudizio - con ricorso depositato il 16 dicembre 2014 dalla predetta Y Leasing S.p.a. (già Omissis S.p.a.) affinchè fosse accertato il suo inadempimento all'obbligo di pagamento dei canoni relativi alla locazione finanziaria dell'immobile suddetto, con conseguente risoluzione del contratto ex art. 1456 c,c, (ovvero, alternativamente, ex art. 1453 c.c.) e condanna al rilascio del bene. Costituitasi in giudizio, X eccepiva l'inesistenza del credito indicato quale presupposto dell'azione di risoluzione, atteso che - a fronte di un corrispettivo globale di Euro 1.697.471,05 - i canoni sarebbero stati "per anni" regolarmente versati, presentandosi l'inadempimento invocato dall'attrice come di "scarsa importanza", avendo la stessa comunicato la risoluzione in forza dell'omesso versamento di di Euro 88.044,01 a titolo di canoni scaduti, oltre che interessi. Siffatta quantificazione, tuttavia, sarebbe stata - a dire dell'odierna ricorrente - frutto di un "macroscopico errore", essendo stata "effettuata in violazione della normativa di cui alla L. n. 108 del 1996, nonchè degli artt. 1283 e 1284 c.c.", giacchè gli interessi applicati, soprattutto quelli moratori, "superavano di gran lunga il tasso soglia", presentando quindi natura usuraria.
All'esito del giudizio di primo grado, il Tribunale capitolino, accertava l'avvenuta risoluzione di diritto del contratto, condannando X alla restituzione immediata del bene e ponendo a suo carico le spese di lite.
Proposto appello dall'odierna ricorrente, sul duplice presupposto che la domanda attorea fosse improcedibile, per mancato esperimento del tentativo di conciliazione obbligatoria D.Lgs. n. 28 del 2010, ex art. 5, ed inoltre che la clausola risolutiva espressa apposta al contratto fosse da ritenersi illegittima, la Corte di Appello rigettava il gravame, compensando le spese del grado.
Avverso la sentenza della Corte capitolina ha proposto ricorso per cassazione la X, svolgendo quattro motivi.
Con il primo motivo - proposto ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), - si ipotizza violazione e falsa applicazione di legge, in relazione al D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 1.
 Si censura la sentenza impugnata per non aver dichiarato improcedibile la domanda attorea, in difetto di esperimento della procedura di mediazione obbligatoria, decisione motivata sul rilievo che la relativa eccezione avrebbe dovuto essere sollevata in primo grado, alla prima udienza. Si tratta - a dire della ricorrente - di affermazione che "viola apertamente" la lettera della norma sopra richiamata, che impone il rilievo officioso dell'improcedibilità della domanda, confermandone così il carattere obbligatorio e non discrezionale.
Il secondo motivo - proposto sempre ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), - deduce "violazione e falsa applicazione in relazione all'art. 1455 c.c.". Assume la ricorrente che - diversamente da quanto ritenuto dal giudice di appello, che avrebbe richiamato, sul punto, "pronunce particolarmente risalenti nel tempo" - anche in caso di risoluzione ex art. 1456 c.c., "l'inadempimento deve connotarsi del carattere della gravità", non potendo la stessa "essere considerata in re ipsa". Nella specie, poi, l'inadempimento di essa X non presenterebbe il carattere della gravità, tale non potendo ritenersi "il mancato pagamento da parte della stessa di un numero, a dir poco esiguo, di canoni di locazione, a fronte dell'esborso di oltre due milioni di Euro".
Il terzo motivo - proposto nuovamente ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), - deduce "violazione e falsa applicazione in relazione agli artt. 1525 e 1526 c.c.". Sul presupposto che nel nostro ordinamento manchi una "regolamentazione organica del contratto di leasing", la ricorrente assume che "nei più recenti arresti giurisprudenziali si è ritenuto applicabile al leasing finanziario il disposto di cui all'art. 1526 c.c., con conseguente illegittimità delle clausole risolutive espresse per contrasto con la predetta disposizione normativa avente natura inderogabile". Quanto, invece, al cd. leasing "traslativo" (qual è quello ravvisabile, secondo il ricorrente, nell'ipotesi che qui occupa), si è ritenuto, sempre ai sensi del già citato art. 1526 c.c., che "nel caso in cui la risoluzione avvenga per inadempimento del compratore (nel leasing, utilizzatore), il venditore (nel leasing, concedente) sia tenuto a restituire le rate riscosse, ma abbia diritto a vedersi riconoscere un equo compenso per l'uso della cosa, oltre al risarcimento del danno"; lo scopo, in altri termini, è di scongiurare "un ingiustificato arricchimento del concedente", ciò che si verificherebbe se l'utilizzatore fosse "tenuto a pagare tutte le somme dovute per i canoni scaduti e non soddisfatti, a versare a titolo di penale i canoni non ancora scaduti e l'eventuale prezzo del riscatto, nonchè a restituire il bene". Orbene, nella specie, "l'esborso di oltre due milioni di Euro a fronte di un numero esiguo di canoni non pagati e scaduti non può considerarsi grave inadempimento idoneo a legittimare la risoluzione del contratto".
Infine, il quarto motivo - formulato ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), - deduce, innanzitutto, "omesso esame circa un punto decisivo della controversia", ovvero la "natura usuraria degli interessi applicati nel contratto", nonchè "violazione e falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 1283,1284 e 1346 c.c., e art. 117 TUB". Si contesta l'affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui "la questione della natura usuraria degli interessi è stata avanzata in termini del tutto generici, senza un collegamento evidente con l'azione di risoluzione". Si assume che gli interessi di mora avrebbero carattere usurario, atteso che "l'aumento di 9 punti percentuali previsti per il tasso di interesse convenzionale di mora appare "ictu oculi" esorbitante rispetto a quello indicato dal Decreto ministeriale in materia", sicchè il pagamento delle somme versate a titolo di interessi "si configura come indebito". In particolare, sul rilievo che il contratto in questione è stato stipulato il 16 marzo 2004, si osserva che allo stesso - per il trimestre dal 1 gennaio 2004 al 31 marzo 2004 - si applica il D.M. del 18 dicembre 2003, "che individua un Tasso Effettivo Globale Medio per le operazioni di leasing con importo superiore a Euro 50.000.000 pari a 5,77% ed un tasso soglia di usura per le medesime operazioni pari all'8,655%". Orbene, nella specie, "emerge un interesse di mora superiore al tasso soglia di usura", giacchè già il "solo spread moratorio (9%) risulta maggiore al tasso soglia vigente al momento della stipula (8,655%), di talchè, in applicazione, "del granitico orientamento giurisprudenziale che estende agli interessi convenzionali la sanzione di nullità degli interessi moratori eccedenti le soglie usurarie" si dovrebbe concludere, secondo la ricorrente, "per la gratuità del contratto ex art. 1815 c.c., comma 2". Si assume, poi, che un "ulteriore profilo di invalidità della pattuizione. de qua attiene alla violazione del principio di determinatezza e/o determinabilità dei canoni ai sensi degli artt. 1284 e 1346 c.c., e art. 117 TUB", giacchè, in particolare, "il valore Euro della rata (Euro 10.428,95) non corrisponde al tasso percentuale ivi recato (5,440%) in quanto applicando tale percentuale la rata ammonterebbe ad Euro 10.482,30". Senza poi tacere del fatto che mancherebbe "una qualsivoglia indicazione in ordine alle modalità di ammortamento della somma mutuata e, in particolare, alla ripartizione tra quota capitale ed interessi di ciascuna rata per il mutamento del parametro di indicizzazione". Conseguentemente, "applicando le nullità di cui all'art. 644 c.p., e art. 1815 c.c., le somme versate in eccedenza dalla X S.r.l." ammonterebbero "ad Euro 414.003,26", laddove applicando "le sanzioni di cui all'art. 117, comma 7, TUB, risulta un'eccedenza pari ad Euro 285.134,22", mentre, infine, alla stregua "delle sanzioni di cui all'art. 1284 c.c., comma 3, le somme versate in eccedenza dalla X S.r.l, ammontano ad Euro 239.463,04".
Ha resistito con controricorso Y Leasing S.p.a., e per essa la sua mandataria omissis S.p.a., chiedendo la declaratoria di inammissibilità ovvero, subordinatamente, il rigetto dell'avversaria impugnazione. Quanto, in particolare, ai singoli motivi di ricorso, osserva - con specifico riferimento al primo - che l'improcedibilità D.Lgs. n. 28 del 2010, ex art. 5, va eccepita o rilevata d'ufficio "non oltre la prima udienza". In ordine alla supposta violazione dell'art. 1455 c.c. il controricorrente rileva come la funzione della clausola risolutiva espressa sia proprio quella di esonerare la parte dalla prova della gravità dell'inadempimento. In relazione alla terza censura, non senza previamente osservare come l'azione da essa proposta abbia avuto esclusivamente ad oggetto la richiesta di restituzione del bene (donde l'irrilevanza della questione dell'equo compenso spettante all'utilizzatore ex art. 1526 c.c.), la controricorrente evidenzia come, nella specie, neppure possa porsi un problema di indebito arricchimento del concedente, atteso che in base a specifica clausola negoziale, in caso di risoluzione del contratto, l'utilizzatore - a fronte del diritto del concedente alla restituzione del bene e all'acquisizione dei canoni già scaduti (oltre che a richiedere, unitamente al risarcimento di eventuali maggiori danni, il pagamento dell'indennizzo pari alla somma di tutti i canoni non ancora scaduti alla data di risoluzione e del prezzo di eventuale acquisto finale) - ha diritto, una volta soddisfatte le ragioni del concedente, di ottenere il pagamento di una somma pari al corrispettivo imponibile che questi ricaverà dalla vendita del bene. Orbene, si tratta di clausole delle quali questa Corte avrebbe riconosciuto la piena legittimità. Infine, con riferimento al quarto motivo - e non senza previamente ribadire come l'oggetto del presente giudizio sia la richiesta di restituzione dell'immobile - si sottolinea come "il tasso di interesse applicato al rapporto è notevolmente inferiore a quello determinato dal Ministero del tesoro ai fini dell'applicazione della suddetta normativa antiusura". Fermo restando, peraltro, che il D.L. 29 dicembre 2000, n. 294, art. 1, stabilisce che il carattere usurario o meno del tasso applicato va valutato con riferimento al momento in cui gli interessi siano convenuti (e non pagati), norma, questa, che ha superato il vaglio di costituzionalità (è citata C. cost. n. 29 del 2002). In ogni caso, poi, la normativa antiusura si riferirebbe agli interessi corrispettivi e non a quelli moratori, rilevandosi, infine, che comunque, nella specie, l'art. 11 delle condizioni generali di contratto reca una clausola di salvaguardia "che riconduce il tasso di mora nei limiti del tasso soglia".
Ha presentato memoria la controricorrente, ex art. 378 c.p.c., insistendo nelle proprie argomentazioni.

Ragioni della decisione

Il ricorso non è fondato.
In particolare, il primo motivo è inammissibile.
Al riguardo, va premesso che - diversamente da quanto ipotizza la ricorrente - la norma astrattamente applicabile al caso di specie non sarebbe certo quella di cui al D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, art. 5, comma 1, dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte costituzionale con sent. n. 272 del 2012, bensì quella di cui al comma 1 bis, dello stesso articolo, introdotto dal D.L. 21 giugno 2013, n. 69, art. 84, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 98, e poi modificato dal D.Lgs. 6 agosto 2015, n. 130, art. 1 bis, comma 2.
Ad ogni buon conto, a mente dell'una come dell'altra disposizione (come non lascia adito a dubbi il loro tenore letterale), l'improcedibilità della domanda per mancato preventivo esperimento della procedura di media-conciliazione "deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza". In questo senso, del resto, si è pronunciata - di recente - questa Corte, secondo cui la norma suddetta prevede la "rilevabilità del difetto della condizione di procedibilità, solo su eccezione di parte o su rilievo di ufficio del giudice non oltre la prima udienza, a pena di decadenza" (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 13 aprile 2017, n. 9557, non massimata).

Orbene, nella specie, essendo stato il giudizio di primo grado celebrato nelle forme del "processo sommario di cognizione", ex art. 702 bis c.p.c., ed essendosi lo stesso sostanziato - come attesta la sentenza impugnata - in un "unica udienza", il rilievo della improcedibilità, "ope exceptionis" ovvero "ex officio", della domanda proposta sarebbe dovuto avvenire in occasione della sua celebrazione, donde la sua intervenuta preclusione.
Per parte propria, i motivi secondo e terzo - che si prestano ad essere trattati congiuntamente - non sono fondati.
Quanto al primo di essi, deve osservarsi come la censura formulata da parte ricorrente non trovi riscontro nella giurisprudenza di questa Corte, univoca nel ritenere che la "clausola risolutiva espressa attribuisce al contraente il diritto potestativo di ottenere la risoluzione del contratto per un determinato inadempimento della controparte, dispensandola dall'onere di provarne l'importanza" (Cass. Sez. 1, sent. 11 novembre 2006, n. 13065, Rv. 642408-01), sicchè in questo caso "la risoluzione opera di diritto ove il contraente non inadempiente dichiari di volersene avvalere, senza necessità di provare la gravità dell'inadempimento della controparte" (Cass. Sez. 2, sent. 2 ottobre 2014, n. 20854, Rv. 632838-01).
In ordine, invece, all'altra censura, occorre osservare - sulla scorta di quanto rilevato dalla stessa sentenza impugnata - che nel giudizio di merito si è discusso "solo sulla risoluzione di diritto del contratto, con conseguente condanna al rilascio" dell'immobile, e non sugli effetti restitutori nascenti dallo scioglimento del vincolo contrattuale (e sulla loro misura), assoggettati alla "disciplina di carattere inderogabile di cui all'art. 1526 c.c., in tema di vendita con riserva della proprietà, la quale comporta, in caso di risoluzione per inadempimento dell'utilizzatore, la restituzione dei canoni già corrisposti e il riconoscimento di un equo compenso" al concedente (cfr., ex multis, Cass. Sez. 3, sent. 27 settembre 2011, n. 19732, Rv. 619401-01).
Ne deriva, pertanto, l'infondatezza "ictu aculi" del motivo che prospetta la violazione, appunto, dell'art. 1526 c.c..
Il quarto motivo di ricorso è, infine, inammissibile.
Sul punto vale, innanzitutto, il rilievo - prospettabile, in particolare, per la censura proposta ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) - che nessun "omesso esame" del (supposto) carattere usurario degli interessi pattuiti risulta addebitabile alla Corte capitolina. Essa, invero, ha affermato che siffatta questione, già oggetto di appello, "è stata avanzata in termini del tutto generici, senza un collegamento evidente con l'azione di risoluzione e senza l'indagine della portata della clausola di salvaguardia prevista" dalle condizioni generali di contratto. Tale constatazione, dunque, non solo esclude la ricorrenza del vizio di "omesso esame" denunciato dalla ricorrente, ma evidenzia, altresì, un primo profilo di inammissibilità dell'intero motivo (dunque anche nella parte in cui ipotizza la violazione degli artt. 1284 e 1346 c.c., nonchè dell'art. 117 TUB), non facendosi carico lo stesso di censurare nè l'affermazione della Corte capitolina che prospetta un difetto di specificità, a norma dell'art. 342 c.p.c., del motivo di gravame allora proposto, nè l'ulteriore "ratio decidendi" che ipotizza una "neutralizzazione" della (ipotetica) violazione della normativa antiusura mercè apposita clausola prevista nelle condizioni generali di contratto. Il tutto, infine, non senza tacere - nuovamente nel senso dell'inammissibilità dell'intero motivo, ma questa volta a norma dell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) - che la (pretesa) usurarietà degli interessi è argomentata attraverso un non meglio precisato richiamo alla "analisi delle condizioni previste dal contratto di locazione finanziaria", senza che il loro testo sia neppure riprodotto nel presente ricorso, come, del resto, quello del decreto ministeriale con il quale esse si porrebbero in contrasto (decreto, per vero, del quale non si indica neppure la sede processuale di avvenuta produzione, onde consentirne il reperimento nella documentazione in atti). Omissione, anche quest'ultima, rilevante ai sensi, oltre che della norma processuale testè richiamata, pure dell'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), posto che la "natura di atto amministrativo dei decreti ministeriali osta all'applicabilità del principio "iura novit curia"", con la conseguenza "che spetta alla parte interessata l'onere della relativa produzione, la quale non è suscettibile di equipollenti" (da ultimo, Cass. Sez. Lav., sent. 2 luglio 2014, n. 15065, Rv. 631597-01; nello stesso senso già Cass. Sez. Un. 29 aprile 2009, n. 9941, Rv. 607738-01).
Le spese del presente giudizio vanno poste a carico della parte ricorrente e sono liquidate come da dispositivo.
A carico della ricorrente rimasta soccombente sussiste l'obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibili il primo e il quarto motivo di ricorso, rigettando il secondo e il terzo, per l'effetto condannando la società X S.r.l. a rifondere alla società Y Leasing S.p.a., e per essa alla sua mandataria omissis S.p.a., le spese del presente giudizio, che liquida omissis; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità. 

22 maggio 2015

25/15. Rito sommario di cognizione: sì alla mediazione obbligatoria (Osservatorio Mediazione Civile n. 25/2015)

=> Tribunale di Torino, 23 marzo 2015

Il ricorso dell’amministratore di condominio per instaurare un procedimento sommario di cognizione ex artt. 702 bis e seguenti c.p.c. chiedendo di accertare la mancata demolizione e rimozione delle opere realizzate dai convenuti all’interno del locale sottotetto del fabbricato e di condannarli alla rimozione del manufatto ripristinando lo status quo ante ha ad oggetto una controversia in materia di condominio e, conseguentemente, trova applicazione l’art. 5, comma 1-bis, d.lgs. n. 28/2010 in tema di mediazione c.d. obbligatoria. Al riguardo va confermata la giurisprudenza, che appare prevalente, secondo cui anche nel processo sommario di cognizione di cui all’art. 702 bis c.p.c. trova applicazione la mediazione obbligatoria, non essendo il rito a determinare l’obbligatorietà del procedimento di mediazione, bensì la natura della controversa.

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 25/2015

Tribunale di Torino
Sezione terza
ordinanza
23 marzo 2015

Omissis

- Rilevato che, con ricorso datato 19.03.2014 depositato presso la Cancelleria del Tribunale di Torino in data 23.03.2014, il Condominio (…), in persona dell’Amministratore pro tempore sig. C. A. ha instaurato procedimento sommario di cognizione ex artt. 702 bis e seguenti c.p.c. nei confronti dei signori C. F. e B. D., chiedendo di accertare la mancata demolizione e rimozione delle opere realizzate da questi ultimi all’interno del locale sottotetto del fabbricato sito in Via (…) entro il 28.02.2010 e di condannarli alla rimozione del manufatto ripristinando lo status quo ante;
- rilevato che, con decreto datato 20.10.2014, il Giudice Designato ha fissato udienza di comparizione al 23.03.2015, assegnando alla parte convenuta termine per la sua costituzione in giudizio fino a dieci giorni prima dell’udienza e mandando alla parte ricorrente di notificare ricorso e decreto alla parte convenuta almeno trenta giorni prima della data fissata per la sua costituzione;
- rilevato che la parte convenuta si è costituita eccependo l’improcedibilità della domanda giudiziale, non essendo stato esperito il procedimento di mediazione previsto dal d.lgs. n. 28/2010;
- rilevato che, secondo la giurisprudenza che appare prevalente, anche nel processo sommario di cognizione di cui all’art. 702 bis c.p.c. trova applicazione la mediazione obbligatoria, non essendo il rito a determinare l’obbligatorietà del procedimento di mediazione, bensì la natura della controversa (cfr. in tal senso: Tribunale Varese, sez. I, 20 gennaio 2012 in Giur. merito 2012, 5, 1077; Tribunale Genova, 18 novembre 2011 in Giur. merito 2012, 5, 1080);
- rilevato che la presente causa ha ad oggetto una controversia in materia di condominio;
- rilevato che, conseguentemente, trova applicazione l’art. 5, comma 1-bis, d.lgs. n. 28/2010 (inserito dall’art. 84, comma 1, lett. b, d.l. 21 giugno 2013 n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013 n. 98), ai sensi del quale: “1-bis. Chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto, assistito dall’avvocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, ovvero il procedimento istituito in attuazione dell’articolo 128 - bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, per le materie ivi regolate. L ’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. La presente disposizione ha efficacia per i quattro anni successivi alla data della sua entrata in vigore. Al termine di due anni dalla medesima data di entrata in vigore è attivato su iniziativa del Ministero della giustizia il monitoraggio degli esiti di tale sperimentazione. L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6 . Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Il presente comma non si applica alle azioni previste dagli articoli 37, 140 e 140-bis del codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni.”;
- rilevato che, pertanto, deve assegnarsi alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione e fissarsi la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’art. 6 d.lgs. n. 28/2010 (come sostituito dall’art. 84, comma 1, lettere f ed f - bis, d.l. 21 giugno 2013 n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013 n. 98), ai sensi del quale: “1. Il procedimento di mediazione ha una durata non superiore a tre mesi. 2. Il termine di cui al comma 1 decorre dalla data di deposito della domanda di mediazione, ovvero dalla scadenza di quello fissato dal giudice per il deposito della stessa e, anche nei casi in cui il giudice dispone il rinvio della causa ai sensi del sesto o del settimo periodo del comma 1-bis dell’articolo 5 ovvero ai sensi del comma 2 dell’articolo 5, non è soggetto a sospensione feriale.”;

P.Q.M.

Assegna alle parti termine di quindici giorni decorrente dalla comunicazione della presente Ordinanza per la presentazione della domanda di mediazione, ai sensi dell’art. 5, comma 1-bis, d.lgs. n. 28/2010.
Fissa la successiva udienza a omissis, autorizza il ritiro dei rispettivi fascicoli.
Manda alla Cancelleria di comunicare la presente Ordinanza alle parti.


AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

11 luglio 2012

101/12. Rito sommario di cognizione, mutamento in rito ordinario, mediazione obbligatoria, applicabilità (Osservatorio Mediazione Civile n. 101/2012)

=> Trib. Firenze, 22 maggio 2012

Onde pervenire all'armonizzazione del processo sommario di cognizione con le previsioni di cui al D.Lgs 2812010, si ritiene che l'art. 5, comma 4 del decreto sulla mediazione (I) ben possa essere analogicamente applicato al caso del processo sommario di cognizione per l'ipotesi in cui, non potendosi procedere nelle forme previste dagli artt. 702 bis e ss. c.p.c. (II) per la complessità istruttoria contenutistica della controversia, sia necessario convertire il processo nel rito ordinario di cognizione, nel qual caso, evidentemente dovrà procedersi secondo quanto previsto dal primo comma dell'art. 5 D.Lgs 28/2010.

(I) L’art. 5, c. 4, d.lgs. n. 28 del 2010 dispone che “i commi 1 e 2 non si applicano: a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione”. Si veda Decreto legislativo n. 28 del 2010 aggiornato alla c.d. manovra bis 2011, in Osservatorio Mediazione Civile n. 2/2011 (www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com).

(II) Si vedano gli artt. 702-bis e ss. c.p.c. in Codice di procedura civile (fonte: IlProcessoCivile.com). 

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 101/2012

Tribunale di Firenze
Terza sezione civile
22 maggio 2012
Ordinanza

…omissis…

Ritenuto che il procedimento sommario di cognizione previsto dall'art 702 bis e 702 ter c.p.c., pur non delineando un procedimento d'urgenza o cautelare nondimeno prevede un procedimento dove viene massimizzata la velocità della trattazione e della decisione della controversia, con evidente premialità per il ricorrente che riesca a manifestare con forte evidenza le ragioni che militano a favore del proprio diritto. Ciò è reso del tutto evidente dalla stessa previsione di cui al 5° comma dell'art 702 ter c.p.c a mente del quale “... alla prima udienza il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione all'oggetto del provvedimento richiesto e provvede con ordinanza all'accoglimento o al rigetto delle domande”. Una tale disposizione, che consente evidentemente il rinvio della prima udienza per lo sviluppo degli incombenti necessari, esclude all’evidenza una trattazione frammentata o eccessivamente protratta ed invita le parti ed il giudice ad un confronto processuale concentrato e risolutivo in un medesimo contesto spazio temporale, virtualmente incompatibile con la previsione della concessione di termini per l'esperimento di attività ulteriori e diverse da quelle strettamente tenute in considerazione dalla norma citata e dallo stesso scopo della sua introduzione: svolgere processi semplici, dove le ragioni siano chiare e intellegibili fin dai primi momenti con battute processuali, in brevissimo tempo.

D'altra parte, onde evitare un'interpretazione sostanzialmente abrogans della disposizioni in discorso e invece pervenire all'armonizzazione del processo sommario di cognizione con le previsioni di cui al D.Lgs 2812010, occorre rilevare che l'art. 5, comma 4 del decreto sulla mediazione prevede: "i commi 1 e 2 non si applicano: a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione”. Il Tribunale al riguardo, ritiene che tale disposizione ben possa essere analogicamente applicato al caso del processo sommario di cognizione per l'ipotesi in cui, non potendosi procedere nelle forme previste dagli artt. 702 bis e ss. c.p.c. per la complessità istruttoria  contenutistica della controversia, sia necessario convertire il processo nel rito ordinario di cognizione, nel qual caso, evidentemente dovrà procedersi secondo quanto previsto dal primo comma dell'art. 5 D.Lgs 28/2010.

Nel merito, foro competente è senza dubbio il tribunale di Firenze non potendo il resistente considerarsi consumatore.

Parte ricorrente ha dato prova del rapporto negoziale e del proprio adempimento mentre il resistente non ha dato prova e nemmeno eccepito, la sussistenza di fatti modificativi impeditivi o estintivi.

Sussiste l’adempimento del resistente e la domanda deve essere accolta.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Visti gli artt.. 7.02 bis e 55. Cp.c.

Dichiara accertata la risoluzione del contratto di leasing immobiliare inter parties

Condanna --- all’immediata restituzione a --- dell'immobile di cui in domanda, libero da persone e da cose.

Condanna --- al pagamento, delle spese processuali che liquida in ---.

Il Giudice
Dott. Roberto Monteverde

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

15 marzo 2012

57/12. All’azione (reale) di rivendicazione si applica la mediazione obbligatoria; all’azione (personale) di restituzione no (Osservatorio Mediazione Civile n. 57/2012)

=> Trib. Varese, 20 gennaio 2012

In tema di difesa della proprietà, l'azione di rivendicazione  e quella di restituzione, pur tendendo al medesimo risultato pratico del recupero della materiale disponibilità del bene, hanno natura e presupposti diversi: se si propone l’azione (reale) di rivendicazione (1), la domanda deve essere proceduta dalla mediazione, trattandosi di controversia in materia di diritti reali; se, invece, si propone una domanda (personale) di restituzione (2), la domanda può essere introitata direttamente davanti al Tribunale, non involgendo la lite diritti reali.

Si è in presenza di un’azione di restituzione qualora si richieda esclusivamente la riconsegna del bene e non venga espressamente formulata domanda di accertamento della proprietà. In oltre, i fatti costitutivi della pretesa sono, da un lato l’assenza di titolo sul bene da parte del convenuto e, dall’altro, l’originario possesso del veicolo da parte della ricorrente. Ne discende la natura personale dell’azione e la sua collocabilità nell’alveo delle azioni restitutorie, con la conseguenza che la domanda risulta procedibile pur in assenza del previo esperimento del procedimento di mediazione.

L’introduzione del giudizio con il ricorso sommario di cognizione, ex art. 702-bis c.p.c., non incide affatto sulla questione di  verificare se sussista l’obbligo della preliminare mediazione ex art. 5 comma I d.lgs. 28/2010, posto che non è il rito procedimentale a determinare l’obbligatorietà del procedimento mediativo ma la natura della controversia (3) (4).

(1) Sulla natura reale dell’azione con cui l’attore assume di essere proprietario del bene e, non essendone in possesso, agisce contro chiunque di fatto ne disponga onde conseguirne nuovamente il possesso, previo riconoscimento del suo diritto di proprietà si veda Cass. civ. 26 febbraio 2007 n. 4416.

(2) Sulla natura personale dell’azione con cui l'attore mira non ad ottenere il riconoscimento del diritto di proprietà, ma solo la riconsegna del bene  si veda Cass. civ. 10 dicembre 2004 n. 23086.


(4) Si veda art. 702-bis c.p.c. in Codice di procedura civile (fonte: IlProcessoCivile.com). 

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 57/2012

Tribunale di Varese
Sezione I Civile
20 gennaio 2012
Ordinanza

Il Giudice Giuseppe Buffone

Osserva

La parte ricorrente – moglie del resistente – propone la domanda giudiziale introduttiva del giudizio al fine di ottenere la restituzione della propria autovettura (dichiarata tale). Vi è necessità di verificare se, al cospetto di una azione del genere, sussista l’obbligo della preliminare mediazione ex art. 5 comma I d.lgs. 28/2010. Va premesso che l’introduzione del giudizio con il ricorso sommario di cognizione, ex art. 702-bis c.p.c., non incide affatto sulla quaestio posto che non è il rito procedimentale a determinare l’obbligatorietà del procedimento mediativo ma la natura della controversia.

In tema di difesa della proprietà, l'azione di rivendicazione (1) e quella di restituzione (2), pur tendendo al medesimo risultato pratico del recupero della materiale disponibilità del bene, hanno natura e presupposti diversi: con la prima, di carattere reale, l'attore assume di essere proprietario del bene e, non essendone in possesso, agisce contro chiunque di fatto ne disponga onde conseguirne nuovamente il possesso, previo riconoscimento del suo diritto di proprietà (v. Cass. civ., sez. II, sentenza 26 febbraio 2007 n. 4416, Rv. 596948); con la seconda, di natura personale, l'attore non mira ad ottenere il riconoscimento di tale diritto, del quale non deve, pertanto, fornire la prova, ma solo ad ottenere la riconsegna del bene stesso, e, quindi, può limitarsi alla dimostrazione dell'avvenuta consegna in base ad un titolo e del successivo venir meno di questo per qualsiasi causa, o ad allegare l'insussistenza "ab origine" di qualsiasi titolo (Cass. civ., sez. III, sentenza 10 dicembre 2004 n. 23086, Rv. 578708).

Orbene: se l’attrice ha proposto l’azione (reale) di rivendicazione, la domanda doveva essere proceduta dalla mediazione, trattandosi di controversia in materia di diritti reali; se, invece, ha proposto una domanda (personale) di restituzione, la domanda correttamente poteva essere introitata direttamente davanti al Tribunale, non involgendo la lite diritti reali.

Reputa questo Tribunale che l’azione sia di restituzione. In primis, nelle conclusioni, si richiede esclusivamente la riconsegna del bene e non viene espressamente formulata domanda di accertamento della proprietà. In oltre, guardando alla causa petendi, i fatti costitutivi della pretesa sono, da un lato l’assenza di titolo sul bene da parte del convenuto e, dall’altro, l’originario possesso del veicolo da parte della ricorrente. Ne discende la natura personale dell’azione e la sua collocabilità nell’alveo delle azioni restitutorie. La domanda è, allora, procedibile. Peraltro, in data odierna, gli Avvocati, prudenzialmente, hanno depositato il verbale redatto dai mediatori, dove sono comparsi, che ha dato esito negativo.

Non vi è necessità di evocare in giudizio la società che ha venduto l’automobile. Secondo la difesa del resistente, la moglie avrebbe davvero ed effettivamente acquistato formalmente l’auto, ma con il patto di farla usare al marito, nella comune intenzione di beneficiare di agevolazioni fiscali. Ebbene, in una ipotesi del genere si sconfina dal terreno della simulazione (perché le parti vogliono quel negozio e lo vogliono efficace) e dal terreno della interposizione fittizia o reale (perché l’acquisto è effettivo e non c’è impegno al ritrasferimento) e si versa nell’ambito del pactum fiduciae, dove, al di là del reale rapporto con il terzo contraente, i due partners del negozio fiduciario di impegnano ad un determinato contegno nell’ambito della loro relazione contrattuale. Non sussiste, dunque, alcun litisconsorzio necessario con il venditore terzo atteso che la pronuncia riguarda i due soli attori del legame fiduciario.

Quanto alla decisione, essa può essere resa nelle forme del sommario, posto che, a parere di questo Tribunale, la definizione può essere resa senza istruttoria e ciò che conta per il sommario non è l’istruttoria in astratto (richiesta dalle parti) ma l’istruttoria in concreto (ritenuta necessaria dal giudice).

Nel merito – giudicando nei limiti della domanda così qualificata (112 c.p.c.) – la domanda è fondata. I coniugi hanno contratto matrimonio concordatario in data 18 settembre 2004 scegliendo il regime della separazione dei beni. Non si applica, pertanto, agli acquisti in costanza di matrimonio, il regime della comunione familiare, di cui all’art. 177, comma I, lett. a, c.c. (su cui v. Cass. civ., Sez. Un., 28 ottobre 2009 n. 22755). Orbene, risulta dal Pubblico Registro Automobilistico, che l’auto per cui è lite è intestata, in via esclusiva, a SS, nata il **/**/****, ovvero, la parte ricorrente. E’, dunque, provato documentalmente che la ricorrente è l’unica, in via esclusiva, a vantare diritti sull’automobile. Ciò, certo, non esclude diritti “altri” che possono essere riconosciuti in capo al marito e che, se come tali accertati, escluderebbero la restituzione del bene. Secondo la prospettazione del convenuto, un tale diritto sarebbe quello di “uso” sul mezzo per accordo degli stessi coniugi. La prova del patto fiduciario non è, però, stata offerta dal convenuto. Né l’assunzione dei capitoli articolati le avrebbe dato ingresso: i capitoli 1, 2, 3, 4, 5, 6 – relativi alla questione dei rapporti interni tra marito e moglie – lambiscono il presunto patto fiduciario ma non lo lasciano mai emergere così restando irrilevanti. In altri termini: non importa chi abbia pagato il mezzo (nella famiglia è anche notorio che l’affectio coniugalis spinge l’un l’altro ad aiutarsi e quindi non è rilevante il fatto che il marito abbia potuto versare un acconto); non importa nemmeno che l’auto fu intestata per finalità fiscali alla moglie, poiché ciò, in primis, non esclude comunque anche la finalità effettiva della proprietà e, comunque, non prova, al contempo, che vi fosse anche la volontà di destinare l’uso del bene al marito; non importa, ancora, il coinvolgimento del marito nella scelta del coloro o delle fattezze del mezzo: è abbastanza ovvio che una moglie possa coinvolgere il marito in affari della sua vita.

La parte resistente va, quindi, condannata alla restituzione dell’autoveicolo in favore della parte ricorrente, essendo fondata l’azione di restituzione in quanto è emerso il titolo dell’attrice e non è emerso un titolo giustificativo del possesso/detenzione del convenuto.

La domanda riconvenzionale è infondata. L’obbligo alla restituzione del denaro versato dal marito per l’auto presuppone la dimostrazione di un accordo che ciò legittimasse: ad esempio, un mutuo. In assenza di una prova circa un patto sotteso alla elargizione delle somme, tenuto conto del loro non rilevante valore, si tratta di scambi patrimoniali tra marito e moglie che trovano giustificazione naturale nel vincolo d’affezione e che costituiscono il fisiologico svilupparsi del rapporto della famiglia, la quale vive di affetti ma anche di economia familiare. Orbene, nel caso di specie, non è emerso, a livello probatorio, che i coniugi avessero pattuito la restituzione del denaro versato dal marito. Peraltro, è singolare che il marito richieda il denaro solo in occasione del processo e in reazione alla richiesta restitutoria della moglie, posto che si tratta di un veicolo immatricolato in data 28 giugno 2010.

All’accoglimento della domanda segue la condanna alle spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale di Varese, Sezione Prima Civile, in composizione monocratica, in persona del giudice dott. Giuseppe Buffone, definitivamente pronunciando nel giudizio sommario iscritto al n. … dell’anno 2010, disattesa ogni ulteriore istanza, eccezione e difesa, così provvede:

letto ed applicato l’art. 702-ter, comma V, c.p.c.

accoglie la domanda della parte ricorrente, e per l’effetto

condanna la parte resistente alla restituzione, in favore della ricorrente, dell’auto *** tg. *** immatricolata in data *** con il numero di telaio ***, unitamente alle chiavi del mezzo, il libretto di circolazione, il certificato di proprietà ed ogni pertinenza.

Condanna la parte convenuta al rimborso delle spese di lite in favore della parte attrice che liquida in Euro 530,00 per onorari e Euro 320,00 per diritti. Vanno aggiunte le spese forfetarie, giusta l’art. 14 DM 8.4.2004 n. 127, nonché il rimborso dell’Iva e del Cpa giusta l’art. 11 legge 20 settembre 1980, n. 576.

Manda alla cancelleria per quanto di competenza.

L’ordinanza è provvisoriamente esecutiva e costituisce titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale e per la trascrizione.

Note
(1) L’azione di rivendicazione ha carattere reale ed è fondata sul diritto di proprietà di un bene, di cui l'attore assume di esser titolare, ma di non averne la materiale disponibilità; è esperibile contro chiunque, di fatto, possiede o detiene il bene (art. 948 cod. civ.), ed è volta ad ottenere il riconoscimento del diritto di proprietà di esso e a riaverne il possesso.
(2) L’azione di restituzione è fondata sull'inesistenza, ovvero sul sopravvenuto venir meno, di un titolo alla detenzione del bene da parte di chi attualmente ne disponga per averlo ricevuto da colui che glielo richiede o dal suo dante causa - e per questo ha natura personale - ed è volta, previo accertamento di tale mancanza, ad attuare il diritto - personale - alla consegna del bene.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

23 febbraio 2012

44/12. Mediazione obbligatoria: ambito di applicazione, criterio oggettivo; procedimento sommario di cognizione, applicabilità; onerosità, questione di legittimità costituzionale (Osservatorio Mediazione Civile n. 44/2012)

è Trib. Genova 18 novembre 2011 n. 4574

La controversia nella quale è stato chiesto l’accertamento di una servitù a favore del fondo di parte attrice a carico di un fondo del condomino convenuto rientra nell’ambito dei diritti reali e non delle cause condominiali (circoscritte a quelle relative agli artt. 1117 e ss. c.c.). Tale interpretazione, in luogo di quella “soggettiva” (ovvero che qualifica come condominiali tutte le cause ove una delle parti sia un condomino) appare maggiormente conforme all’art. 5, primo comma d.lgs. n. 28 del 2010 che ha distinto le materie richiamando la distinzione codicistica, fondata sul dato oggettivo della materia trattata e non sulla qualità delle parti (1) (2).

La causa è stata instaurata con il deposito di ricorso ex art. 702 bis c.p.c.; il procedimento sommario di cognizione non rientra tra quelli per i quali è esclusa la c.d. mediazione obbligatoria (artt. 5 c. 1 e 4 d.lgs. 28/2010): esso non ha finalità deflative ma acceleratorie e tale funzione non risulta compromessa dalla previsione, anche per questo tipo di procedimenti, della c.d. mediazione obbligatoria (3).

Non è possibile trascrivere né la domanda di mediazione (atteso che l’art. 2653 c.c. (4) con elencazione tassativa, ha riguardo unicamente alle domande giudiziali), né direttamente il verbale di mediazione (essendo prevista unicamente la possibilità di trascrivere l’accordo conclusivo di mediazione previa autenticazione delle sottoscrizioni da parte di un pubblico ufficiale a ciò autorizzato). Ne consegue che per i diritti reali la mediazione dovrà sempre essere “doppiata” dal giudizio ordinario atteso che, in caso contrario, l’attore vittorioso non potrebbe comunque trascrivere direttamente né il verbale di avvenuta positiva mediazione (se non previa autenticazione delle sottoscrizioni da parte di un pubblico ufficiale a ciò abilitato), né giovarsi dell’effetto prenotativo della domanda di mediazione (non trascrivibile).

Il soggetto procedente si troverà costretto, come naturale conseguenza della possibilità di trascrivere sia la domanda di mediazione che direttamente il relativo verbale, a sopportare i costi sia della mediazione sia del contributo unificato, in contrasto con gli artt. 24 e 3 Cost. La mediazione può essere o obbligatoria o onerosa (5) (6); se è entrambe le cose è incostituzionale.

Tale questione di legittimità costituzionale dell’at. 5 d.lgs. n, 28 del 2010 e dell’art. 16 d.m. n. 180 del 2010 in relazione agli artt. 3 e 24 Cost. (7) (8) non è manifestamente infondata.

(1) Si veda Decreto legislativo n. 28 del 2010 aggiornato alla c.d. manovra bis 2011, in Osservatorio Mediazione Civile n. 2/2011 (www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com).

(2) Si veda G. Spina, Ambito applicativo della mediazione obbligatoria: interpretazione oggettiva o soggettiva?, in Osservatorio Mediazione Civile n. 42/2012 (www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com).

(3) Si riporta il testo dell’art. 702-bis c.p.c.
Nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica, la domanda può essere proposta con ricorso al tribunale competente. Il ricorso, sottoscritto a norma dell’articolo 125, deve contenere le indicazioni di cui ai numeri 1), 2), 3), 4), 5) e 6) e l’avvertimento di cui al numero 7) del terzo comma dell’articolo 163.
A seguito della presentazione del ricorso il cancelliere forma il fascicolo d’ufficio e lo presenta senza ritardo al presidente del tribunale, il quale designa il magistrato cui è affidata la trattazione del procedimento.
Il giudice designato fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti, assegnando il termine per la costituzione del convenuto, che deve avvenire non oltre dieci giorni prima dell’udienza; il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, deve essere notificato al convenuto almeno trenta giorni prima della data fissata per la sua costituzione.
Il convenuto deve costituirsi mediante deposito in cancelleria della comparsa di risposta, nella quale deve proporre le sue difese e prendere posizione sui fatti posti dal ricorrente a fondamento della domanda, indicare i mezzi di prova di cui intende avvalersi e i documenti che offre in comunicazione, nonché formulare le conclusioni. A pena di decadenza deve proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non sono rilevabili d’ufficio.
Se il convenuto intende chiamare un terzo in garanzia deve, a pena di decadenza, farne dichiarazione nella comparsa di costituzione e chiedere al giudice designato lo spostamento dell’udienza. Il giudice, con decreto comunicato dal cancelliere alle parti costituite, provvede a fissare la data della nuova udienza assegnando un termine perentorio per la citazione del terzo. La costituzione del terzo in giudizio avviene a norma del quarto comma.

(4) Si riporta il testo dell’art. 2653 c.c.
Devono parimenti essere trascritti:
1) le domande dirette a rivendicare la proprietà o altri diritti reali di godimento su beni immobili e le domande dirette all'accertamento dei diritti stessi.
La sentenza pronunciata contro il convenuto indicato nella trascrizione della domanda ha effetto anche contro coloro che hanno acquistato diritti dal medesimo in base a un atto trascritto dopo la trascrizione della domanda;
2) la domanda di devoluzione del fondo enfiteutico.
La pronunzia di devoluzione ha effetto anche nei confronti di coloro che hanno acquistato diritti dall'enfiteuta in base a un atto trascritto posteriormente alla trascrizione della domanda;
3) le domande e le dichiarazioni di riscatto nella vendita di beni immobili .
Se la trascrizione di tali domande o dichiarazioni è eseguita dopo sessanta giorni dalla scadenza del termine per l'esercizio del riscatto, restano salvi i diritti acquistati dai terzi dopo la scadenza del termine medesimo in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda o della dichiarazione;
4) le domande di separazione degli immobili dotali e quelle di scioglimento della comunione tra coniugi avente per oggetto beni immobili.
La sentenza che pronunzia la separazione o lo scioglimento non ha effetto a danno dei terzi che, anteriormente alla trascrizione della domanda, hanno validamente acquistato dal marito diritti relativi a beni dotali o a beni della comunione;
5) gli atti e le domande che interrompono il corso dell'usucapione di beni immobili.
L'interruzione non ha effetto riguardo ai terzi che hanno acquistato diritti dal possessore in base a un atto trascritto o iscritto, se non dalla data della trascrizione dell'atto o della domanda.
Alla domanda giudiziale è equiparato l'atto notificato con il quale la parte, in presenza di compromesso o di clausola compromissoria, dichiara all'altra la propria intenzione di promuovere il procedimento arbitrale, propone la domanda e procede, per quanto le spetta, alla nomina degli arbitri.

(5) Si veda art. 16 d.m. n. 180 del 2010 aggiornato alle modifiche introdotte dal d.m. n. 145 del 2011, in Osservatorio Mediazione Civile n. 4/2011 (www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com).

(6) In argomento si veda Corte Cost. n. 67 del 1960.

(7) Si riporta il testo dell’art. 3 Cost.
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

(8) Si riporta il testo dell’art. 24 Cost.
Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.
La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.
Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione.
La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari.

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 44/2012
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

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