DIRITTO D'AUTORE


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26 maggio 2024

23/24. Le spese di mediazione fanno parte delle spese del giudizio e sono regolate sulla base del principio della soccombenza (Osservatorio Mediazione Civile n. 23/2024)


=> Corte di Cassazione, 29 febbraio 2024 n. 5389

 

Dalla lettura dell’art. 13, d.lgs. 4.3.2010, n. 28, che richiama esplicitamente l'art. 92 c.p.c., si evince chiaramente che anche le spese del giudizio di mediazione fanno parte delle spese del giudizio e sono regolate sulla base del principio della soccombenza, soluzione che è, peraltro, in linea con la ratio dell'istituto, avente funzione deflattiva. Con l'ulteriore conseguenza che per il loro riconoscimento è sufficiente la prova dell'esborso, non richiedendosi una specifica domanda (nel caso di specie, il Tribunale ha correttamente confermato la condanna della convenuta, soccombente, alle spese di mediazione in considerazione del suo rifiuto a concludere l'accordo conciliativo) (I).

 

(I) Si veda l’art. 13, d.lgs. n. 28/2010 (come novellato dalla c.d. riforma Cartabia), in Osservatorio Mediazione Civile n. 28/2023.

 

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 23/2024

(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

 

Cote di cassazione

sezione II

ordinanza n. 5389

29 febbraio 2024

 

Omissis

 

Fatti di causa

 

Il giudizio trae origine dalla domanda proposta innanzi al Giudice di Pace di Parma dal Condominio XX nei confronti di ---, con la quale aveva chiesto la rimozione di due fioriere poste nell'area comune in corrispondenza della proprietà esclusiva della convenuta.
Il Giudice di Pace accolse la domanda e il Tribunale di Parma confermò la decisione rigettando l'appello della convenuta.

Il Tribunale accertò, attraverso l'esame dei titoli, che l'area occupata dalle fioriere non era di proprietà esclusiva dell'attrice e che l'occupazione di tale area aveva impedito agli altri condomini di farne pari uso.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso Be.An. sulla base di quattro motivi. Il Condominio non ha svolto attività difensiva.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell'art. 380-bis.1 cod. proc. civ.

In prossimità della camera di consiglio, la ricorrente ha depositato memoria.

 

Ragioni della decisione

 

Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell'artt. 112 c.p.c nonché dei principi in materia di onere della prova della carenza di legittimazione attiva del Condominio. La ricorrente asserisce di essere proprietaria esclusiva dell'area in cui aveva apposto le due fioriere, per averla acquistata per successione mortis causa dal padre, lamentando che i giudici di merito non avessero esaminato compiutamente i titoli di proprietà.
Il motivo è inammissibile per difetto di specificità in quanto la ricorrente si limita, in modo apodittico, ad affermare di essere esclusiva proprietaria della porzione dell'area in questione, senza allegare gli atti ed i documenti su cui il ricorso si fonda e senza chiarire neppure quale fosse il rapporto del padre con i beni di cui discute.

Il Tribunale ha accertato la natura condominiale dell'area, attraverso l'esame dei titoli, da cui risultava che --- era divenuta proprietaria di un'unità del compendio immobiliare del Condominio XX ed aveva acquistato un diritto di passaggio pedonale sulle aree circostanti ed un diritto d'uso limitato alla metà della porzione cortilizia antistante.

L'accertamento di fatto sulla natura condominiale dell'area è avvenuto sulla base delle prove acquisite in giudizio, consistite nei titoli prodotti dalle parti, senza che si sia verificata alcuna violazione dell'onere probatorio.

Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell'art.1102 c.p.c., in relazione all'art.360, comma 1, n.3 c.p.c., oltre all'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell'art.360, comma 1, n.5 c.p.c., perché il Giudice di Pace avrebbe accertato la sussistenza di un diritto d'uso sull'area antistante il negozio e su tale accertamento si sarebbe formato il giudicato, per assenza di contestazione da parte del Condominio; la decisione del Tribunale sulla natura condominiale dell'area sarebbe in contrasto con l'uso esclusivo della medesima accertato dal Giudice di Pace.

Il motivo è inammissibile sotto diversi profili.

Va preliminarmente evidenziato che il vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio è precluso dall'esistenza di una "doppia conforme", ai sensi dell'art.348 ter comma V c.p.c. in quanto il giudizio d'appello è stato introdotto in data successiva all'11.9.2012.
In secondo luogo, risulta dalla sentenza impugnata che il Giudice di Pace non ha affatto riconosciuto l'uso esclusivo da parte della ricorrente dell'area cortilizia, avendo, invece, accertato che ---  aveva acquistato un diritto di passaggio pedonale sulle aree circostanti la sua unità immobiliare ed un diritto d'uso limitato alla metà della porzione cortilizia antistante.
In ogni caso, il giudice d'appello può qualificare la domanda in modo diverso rispetto alla qualificazione attribuita dal giudice di primo grado quando i fatti dedotti in giudizio dalle parti siano rimasti pacificamente acclarati e non modificati (ex multis Cassazione civile sez. VI, 01/06/2018, n.14077). La censura quindi non coglie nel segno.

Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione delle norme in tema di prescrizione del diritto del Condominio di promuovere l'azione ex art.1102 c.c., perché il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto che l'azione proposta avesse natura reale e fosse imprescrittibile mentre l'occupazione abusiva dell'area avrebbe natura personale.
Il motivo è infondato.

Come correttamente affermato dal Tribunale, l'azione, con la quale il condominio di un edificio chiede la rimozione di opere che un condomino abbia effettuato sulla cosa comune, oppure nella propria unità immobiliare, con danno alle parti comuni, in violazione degli artt.1102, 1120 e 1122 c.c., ha natura reale, e, pertanto, giacché estrinsecazione di facoltà insita nel diritto di proprietà,
non è suscettibile di prescrizione, in applicazione del principio per cui "in facultativis non datur praescriptio" (Cassazione civile sez. VI, 06/06/2018, n.14622 non massimata; Cassazione civile sez. II, 04/02/2004, n. 2106).

Con il quarto motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. e 92 c.p.c., in relazione all'art.360, comma 1, n.3 c.p.c., per ultrapetizione, per avere il Tribunale condannato la ricorrente anche alle spese sostenute per il procedimento di mediazione in assenza di domanda del Condominio vittorioso.

Il motivo è infondato.

L'art.13 del D.Lgs. 4.3.2010, n.28, ratione temporis applicabile così recita: "1 Quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonchè al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di un'ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto. Resta ferma l'applicabilità degli articoli 92 e 96 c.p.c. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano altresì alle spese per l'indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all'esperto di cui all'art. 8, comma 4.
2. Quando il provvedimento che definisce il giudizio non corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice, se ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, può nondimeno escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice per l'indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all'esperto di cui all'art.8, comma 4. Il giudice deve indicare esplicitamente, nella motivazione, le ragioni del provvedimento sulle spese di cui al periodo precedente".
Dalla lettura della citata norma, che richiama esplicitamente l'art.92 c.p.c., si evince chiaramente che anche le spese del giudizio di mediazione fanno parte delle spese del giudizio e sono regolate sulla base del principio della soccombenza, soluzione che è, peraltro, in linea con la ratio dell'istituto, avente funzione deflattiva. Con l'ulteriore conseguenza che per il loro riconoscimento è sufficiente la prova dell'esborso, non richiedendosi una specifica domanda.
Nel caso di specie, il Tribunale ha correttamente confermato la condanna della convenuta, soccombente, alle spese di mediazione in considerazione del suo rifiuto a concludere l'accordo conciliativo, rilevando che dalla copia del verbale di mediazione del 28.11.2017 emergeva l'accettazione da parte del solo Condominio della proposta di conciliazione formulata dal mediatore, avendola invece la ricorrente rifiutata.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Non deve provvedersi sulle spese non avendo il Condominio svolto attività difensiva.

Ai sensi dell'art.13, comma 1 quater, del DPR 115/2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art.13, se dovuto.

 

PQM

Rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

 

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

30 ottobre 2023

39/23. No al risarcimento del danno a carico delle parti che hanno partecipato alla mediazione in caso di mancata conclusione dell'accordo (Osservatorio Mediazione Civile n. 39/2023)


=> Corte di Cassazione, 9 maggio 2023, n. 12304

 

È fondato il motivo con cui ci si lamenta della condanna al risarcimento del maggior danno per non avere contribuito alla risoluzione della controversia in sede di mediazione qualora il procedimento di mediazione della lite non poteva che coinvolgere altra parte convenuta ritenuta responsabile dei danni lamentati (con l'effetto che la mancata risoluzione della controversia, anche con riguardo alle spese del relativo procedimento, risulta ascrivibile esclusivamente a detta parte). Si osserva inoltre che il D.Lgs. n. 28 del 2010, artt. 8, comma 4 bis, e 13, nel disciplinare le conseguenze della mancata partecipazione o del rifiuto della proposta di mediazione, non prevedono sanzioni di tipo risarcitorio a carico delle parti che vi abbiano partecipato in caso di mancata conclusione dell'accordo (I).

 

(I) Si vedano gli artt. 8, comma 4bis, e 13 d.lgs. n. 28/2010 (come novellato dalla c.d. riforma Cartabia), in Osservatorio Mediazione Civile n. 28/2023.

 

(II) In argomento si veda Cass. n. 12896 del 2021.

 

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 39/2023

(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

 

Cote di Cassazione

sezione II

ordinanza n. 12304

9 maggio 2023

 

Omissis

 

Con sentenza n. 180 del 4. 2. 2022 la Corte di appello di Bari rigettò l'appello proposto da L.R. avverso la decisione del Tribunale che aveva ordinato al condominio di via omissis in omissis di eseguire i lavori di riparazione specificati nella consulenza tecnica d'ufficio e lo aveva condannato, unitamente al condominio, al pagamento della somma di Euro 800,00 a titolo di risarcimento dei danni subiti dall'unità immobiliare di proprietà degli attori A.C. e L.R., a causa di infiltrazioni d'acqua provenienti dall'androne condominiale. La Corte barese confermò la decisione di primo grado rilevando che il danno e la sua ascrivibilità alle infiltrazioni provenienti dalle parti comuni dell'edificio, causa la particolare conformazione architettonica del fabbricato, risultavano accertati dalla relazione del consulente tecnico d'ufficio e che la responsabilità del condominio e del L., che quale condomino era intervenuto volontariamente nel giudizio di primo grado, doveva essere affermata ai sensi dell'art. 2051 c.c..

L.R., con atto notificato il 3. 5. 2022, ha proposto ricorso per la cassazione di questa sentenza, notificata il 4. 3. 2022, affidandosi a tre motivi.

A.C. e L.R. non hanno svolto attività difensiva.

La causa è stata avviata in decisione in adunanza camerale non partecipata.

Parte ricorrente ha depositato memoria.

Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 132 n. 4, 345 e 346 c.p.c. e vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata per avere acriticamente aderito alle conclusione del consulente tecnico d'ufficio in ordine alla riconducibilità dei danni lamentati dagli attori all'immobile condominiale, trascurando di considerare le puntuali osservazioni critiche formulate dall'odierno ricorrente in primo grado e riprodotte nell'atto di appello.

Il motivo è inammissibile.

La Corte di appello ha ravvisato la responsabilità del condominio in ordine ai danni subiti dall'appartamento degli attori A. e L., ai sensi dell'art. 2051 c.c., rilevando che il consulente tecnico d'ufficio aveva accertato che le infiltrazioni dipendevano dalla conformazione architettonica del fabbricato, il cui vano scala era stato realizzato nella corte scoperta, con l'effetto che, in caso di pioggia, l'acqua ristagnava sui gradini, che non rispettavano le pendenze, e penetrava sulla parete di confine tra l'androne condominiale e la proprietà degli attori, precisando altresì, nel rispondere alle critiche rivolte dall'appellante L., che dalle fotografie in atti risultava che il muro dell'androne ed il vano scala presentavano segni evidenti di esposizione alle intemperie.

La motivazione, che appare fondata non solo sulle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio ma anche sull'esame diretto delle fotografie dello stato dei luoghi, è del tutto congrua ed idonea a sorreggere il convincimento del giudicante e si risolve in un accertamento dei fatti di causa che, come tale, non è sindacabile in sede di giudizio di legittimità. Le censure riprodotte nel ricorso avverso le conclusioni della consulenza tecnica appaiono inoltre generiche e non decisive, tali da far ritenere che esse trovino implicita confutazione nella ricostruzione dei fatti a cui la Corte di appello ha aderito.

Si rileva, inoltre, che la deduzione relativa all'omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, su cui il motivo in gran parte si articola, è inammissibile ai sensi dell'art. 348 ter c.p.c., applicabile ratione temporis essendo il giudizio di appello iniziato nel 2019, che dichiara non proponibile il motivo di cui all'art. 360, comma 1 n. 5, c.p.c. nel caso in cui la sentenza di appello sia fondata sui medesimi fatti della sentenza di primo grado (c.d. doppia conforme).

Il secondo motivo di ricorso, che denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112,132 n. 4, 345 e 346 c.p.c., degli artt. 1134, 2051 e 2697 c.c. e vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, lamenta che la Corte di appello abbia accolto la domanda degli attori in mancanza di prova della entità del danno e del nesso causale, fondando il proprio convincimento sui risultati di una consulenza meramente esplorativa e liquidando il danno oltre i limiti della domanda proposta.

Il motivo è inammissibile ed in parte infondato.

In particolare sono inammissibili le censure che investono la ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito, per le quali valgono le considerazioni svolte in sede di esame del motivo precedente, anche per quanto riguarda il giudizio di causalità tra i danni riscontrati e il fatto che li ha determinati. Identica conclusione merita l'eccezione di mancata prova dell'entità del danno, che appare censura nuova, risultando dalla decisione impugnata che l'appellante aveva contestato, con il secondo motivo, la violazione dell'onere della prova limitatamente al nesso causale e non all'ammontare del danno.

Infondata appare invece la censura di violazione di ultrapetizione, atteso che dalla sentenza e dallo stesso ricorso emerge che gli attori aveva chiesto la condanna del condominio alla somma di Euro 1.681,48, cioè ad un importo superiore a quello loro liquidato.

Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione del D.Lgs. n. 28 del 2010, artt. 8 e 13, degli artt. 91 e 96 c.p.c. e vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata per avere confermato il capo della decisione di primo grado che lo aveva condannato, in solido con il condominio, al risarcimento del maggior danno per non avere contribuito alla risoluzione della controversia in sede di mediazione, sanzionando in tal modo una condotta priva di colpa e comunque non ascrivibile all'odierno ricorrente.

Il motivo è fondato.

La Corte di appello ha confermato la decisione di primo grado nella parte in cui aveva condannato in solido il condominio e il L. al pagamento dell'importo di Euro 600,00 per non avere aderito alla mediazione, "a titolo di maggior danno non avendo i convenuti e l'interventore contribuito a risolvere la controversia nel modo più comodo ed economico e per averne dato causa e per non avere aderito alla proposta di mediazione".

La censura è fondata per la ragione, assorbente sulle altre, che il procedimento di mediazione della lite non poteva che coinvolgere il condominio, quale parte convenuta ritenuta responsabile dei danni lamentati, con l'effetto che la mancata risoluzione della controversia, anche con riguardo alle spese del relativo procedimento, era ascrivibile esclusivamente a detta parte, la cui volontà di aderire all'accordo di mediazione, espressa nelle forme richieste dalla legge, non avrebbe potuto non prevalere su quella del condomino intervenuto.

Si osserva inoltre che il D.Lgs. n. 28 del 2010, artt. 8, comma 4 bis, e 13, nel disciplinare le conseguenze della mancata partecipazione o del rifiuto della proposta di mediazione, non prevedono sanzioni di tipo risarcitorio a carico delle parti che vi abbiano partecipato in caso di mancata conclusione dell'accordo.

Il ricorso va pertanto accolto in relazione al terzo motivo, mentre gli altri sono respinti.

La sentenza va cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

 

PQM

 

Accoglie il terzo motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio.

 

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

24 giugno 2022

23/22. SPINA, Avvocato non chiama in mediazione il litisconsorte necessario? Condannato! (Osservatorio Mediazione Civile n. 23/2022)

Avvocato non chiama in mediazione il litisconsorte necessario? Condannato!

(nota a Corte d'appello di Milano, sentenza 21.3.2022, n. 936)

di Giulio Spina

in Mister Lex del 23.6.2022.

Cosa succede se l'avvocato non chiama in mediazione un litisconsorte necessario e la domanda viene dichiarata improcedibile proprio a causa di questa omissione? E magari la parte subisce una pesante condanna in tema di spese di lite?

Purtroppo sono guai per l'avvocato.

Per affrontare l'intricato caso trattato dalla Corte d'appello di Milano, Mister Lex ha interpellato Giulio Spina.

Il contributo è consultabile gratuitamente al seguente URL: https://www.misterlex.it/doc/mediazione-responsabilita-avvocato/

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 23/2022
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

6 febbraio 2022

1/22. Mediazione obbligatoria conclusa con successo e patrocinio a spese dello Stato (Osservatorio Mediazione Civile n. 1/2022)

=> Corte Costituzionale, 20 gennaio 2022, n. 10

Il patrocinio a spese dello Stato deve essere garantito ai non abbienti anche nel procedimento di mediazione obbligatoria conclusa con successo. Va pertanto dichiarata l’illegittimità costituzionale degli articoli 74, secondo comma, 75, primo comma, e 83, secondo comma, del Dpr n. 115 del 2002 là dove non si prevede che il detto beneficio possa essere riconosciuto ai non abbienti anche per l’attività difensiva svolta in loro favore nel procedimento di mediazione obbligatoria concluso con esito positivo (I).  

(I) Si veda l’art. 5, comma 1-bis, D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 (Osservatorio Mediazione Civile n. 38/2018).

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 1/2022
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

Corte Costituzionale
Sentenza n. 10
20 gennaio 2022

Omissis

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Giancarlo CORAGGIO; Giudici : Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 74, comma 2, 75, comma 1, e 83, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)», promossi dal Tribunale ordinario di Oristano con ordinanza dell’8 luglio 2020 e dal Tribunale ordinario di Palermo con ordinanza del 17 marzo 2021, iscritte, rispettivamente, al n. 188 del registro ordinanze 2020 e al n. 115 del registro ordinanze 2021 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 1 e 34, prima serie speciale, dell’anno 2021.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 24 novembre 2021 il Giudice relatore Luca Antonini;

deliberato nella camera di consiglio del 25 novembre 2021. 

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza dell’8 luglio 2020 (reg. ord. n. 188 del 2020), il Tribunale ordinario di Oristano ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 24, terzo comma, della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale degli artt. 74, comma 2, e 83, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)».

L’art. 74, comma 2, t.u. spese di giustizia prevede che sia «assicurato il patrocinio nel processo civile, amministrativo, contabile, tributario e negli affari di volontaria giurisdizione, per la difesa del cittadino non abbiente quando le sue ragioni risultino non manifestamente infondate».

Il successivo art. 83, comma 2, dispone, per quanto qui interessa, che la liquidazione del compenso spettante al difensore «è effettuata al termine di ciascuna fase o grado del processo e, comunque, all’atto della cessazione dell’incarico, dall’autorità giudiziaria che ha proceduto».

La prima norma è censurata nella parte in cui non prevede che il patrocinio a spese dello Stato in favore dei non abbienti sia assicurato anche in relazione all’attività difensiva svolta nell’ambito della mediazione obbligatoria di cui all’art. 5, comma 1-bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali), quando il successivo giudizio non viene instaurato per l’intervenuta conciliazione delle parti. La seconda è denunciata nella parte in cui non prevede che, in tali fattispecie, alla liquidazione del compenso spettante al difensore provveda il giudice che sarebbe stato competente a conoscere della causa.

1.1.– In punto di rilevanza, il rimettente espone di essere chiamato a decidere sull’istanza di liquidazione presentata dal difensore nominato dall’amministratore di sostegno di P.O., ammessa al patrocinio a spese dello Stato dal Consiglio dell’ordine degli avvocati, per l’attività svolta nel corso di un procedimento di mediazione obbligatoria durante il quale le parti hanno raggiunto un accordo per la composizione bonaria della lite, sicché il processo non è stato poi introdotto.

L’accoglimento dell’istanza sarebbe, pertanto, precluso dalle norme denunciate, dal momento che queste non prevedono la possibilità di liquidare il compenso a carico dello Stato qualora l’attività difensiva sia stata espletata esclusivamente in sede di mediazione, senza dunque che sia stato instaurato il giudizio. D’altra parte, precisa il giudice a quo, nella specie sussisterebbero i requisiti stabiliti dalla legge per il conseguimento del diritto al patrocinio a spese dello Stato, con la conseguenza che, se le norme sospettate fossero dichiarate costituzionalmente illegittime, l’istanza di cui è investito potrebbe essere accolta.

1.2.– In merito alla non manifesta infondatezza, il Tribunale di Oristano preliminarmente esclude la possibilità di un’interpretazione secundum Constitutionem delle disposizioni censurate, ponendo in rilievo che queste, nel riconoscere il patrocinio a spese dello Stato e nel disciplinare la competenza ad adottare il decreto di liquidazione del compenso, fanno espresso riferimento al «processo» e all’autorità giudiziaria «che ha proceduto». La «necessità del processo» troverebbe poi conferma sul piano sistematico, avuto riguardo, tra l’altro, al disposto dell’art. 75, comma 1, t.u. spese di giustizia, a mente del quale «[l]’ammissione al patrocinio è valida per ogni grado e per ogni fase del processo e per tutte le eventuali procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse» al processo stesso.

In sostanza – conclude il rimettente anche sulla scorta della giurisprudenza di legittimità e di merito – affinché le attività difensive svolte al di fuori del processo possano essere considerate giudiziali, sarebbe pur sempre necessaria l’instaurazione del giudizio.

La liquidazione del compenso a carico dello Stato, pertanto, potrebbe avere ad oggetto l’attività espletata nel corso del procedimento di mediazione obbligatoria soltanto se questo abbia avuto esito negativo, mentre al medesimo risultato non si potrebbe giungere nell’ipotesi opposta, ostandovi la lettera delle disposizioni sospettate.

1.2.1.– Tale esito ermeneutico conduce il giudice a quo a dubitare della compatibilità con il dettato costituzionale degli artt. 74, comma 2, e 83, comma 2, t.u. spese di giustizia.

In proposito, dopo avere rammentato che il legislatore, nell’introdurre forme di giurisdizione condizionata è tenuto a non rendere eccessivamente difficoltosa la tutela giurisdizionale, il rimettente innanzitutto sottolinea come le norme denunciate escludano dall’ambito di applicazione del patrocinio a spese dello Stato il procedimento di mediazione con l’assistenza del difensore, benché il suo esperimento sia imposto, in determinate materie, quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

Quindi, aggiunge che sarebbe «incongruo» che a impedire la liquidazione dei compensi a carico dello Stato sia l’intervento della conciliazione, ovvero proprio dell’evento che evita la celebrazione del processo e soddisfa così la finalità deflattiva del contenzioso a cui è preordinata la mediazione obbligatoria.

Peraltro, prosegue il giudice a quo, la disciplina normativa denunciata disincentiverebbe il raggiungimento dell’accordo tra le parti, giacché i non abbienti, nella consapevolezza di dovere in tal caso sostenere le spese difensive, potrebbero preferire agire o resistere in giudizio.

Essa, pertanto, produrrebbe effetti opposti rispetto alla suddetta finalità deflattiva e al contempo comporterebbe maggiori oneri per la finanza pubblica, poiché lo Stato, in conseguenza della instaurazione del giudizio, dovrebbe sopportare le spese sia per la mediazione, sia per il successivo processo.

Rileva poi il rimettente che le norme censurate, non tenendo conto delle condizioni economiche dei non abbienti, ne limiterebbero di fatto l’uguaglianza nell’accesso alla mediazione e comprimerebbero l’effettività del loro diritto di difesa. Sotto quest’ultimo aspetto osserva altresì che i non abbienti, non essendo in grado di sostenere le spese per l’attività difensiva, potrebbero finanche essere indotti a rinunciare del tutto a far valere le proprie ragioni oppure a concludere l’accordo conciliativo a condizioni più onerose di quelle che avrebbero ottenuto ove dette spese fossero state poste a carico dello Stato.

Per le ragioni ora esposte, infine, le disposizioni denunciate determinerebbero anche un’ingiustificata disparità di trattamento tra abbienti e non abbienti.

Alla luce delle considerazioni che precedono, risulterebbero in definitiva lesi, secondo il Tribunale di Oristano, gli artt. 3 e 24, terzo comma, Cost.

1.2.2.– Sotto un diverso profilo, peraltro, le disposizioni censurate sarebbero generatrici di un’irragionevole disparità anche all’interno della stessa categoria dei non abbienti, a seconda che questi siano o meno parti di una controversia transfrontaliera.

Soltanto in relazione a tali controversie, infatti, l’art. 10 del decreto legislativo 27 maggio 2005, n. 116 (Attuazione della direttiva 2003/8/CE intesa a migliorare l’accesso alla giustizia nelle controversie transfrontaliere attraverso la definizione di norme minime comuni relative al patrocinio a spese dello Stato in tali controversie), estende il patrocinio a spese dello Stato anche ai procedimenti stragiudiziali, qualora, per quanto qui interessa, questi siano obbligatori. Siffatta disposizione, tuttavia, risponderebbe all’esigenza, comune alle controversie domestiche, di garantire l’effettività del diritto di difesa, sicché la sola natura transfrontaliera delle liti non costituirebbe un elemento idoneo a differenziare ragionevolmente i non abbienti che non ne siano parte.

2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili.

2.1.– Il giudice a quo, infatti, non avrebbe adeguatamente motivato l’asserita impossibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata.

Interpretazione, questa, che sarebbe invece praticabile alla luce dell’art. 75, comma 1, t.u. spese di giustizia, che contempla il patrocinio a spese dello Stato anche per le procedure «connesse» al processo, quale dovrebbe ritenersi il procedimento di mediazione pure se concluso con successo.

La prospettata soluzione ermeneutica sarebbe del resto conforme ai principi costituzionali perché, tra l’altro: a) risulterebbe coerente con la necessità di individuare un punto di equilibrio tra la garanzia del diritto di difesa e l’esigenza di contenimento della spesa pubblica, comportando minori costi per lo Stato, il quale dovrebbe infatti sostenere soltanto le spese connesse alla mediazione e non anche quelle inerenti al successivo giudizio; b) risponderebbe alla necessità che l’introduzione di forme di giurisdizione condizionata non renda eccessivamente gravoso l’esercizio del diritto di difesa; c) sarebbe in armonia con lo scopo deflattivo della mediazione.

Osserva, infine, l’Avvocatura generale che tale interpretazione troverebbe conforto nell’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’attività difensiva funzionale al successivo esercizio dell’azione giudiziaria dovrebbe considerarsi giudiziale ai fini della liquidazione del compenso a carico dello Stato (è citata, tra le altre, Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 19 aprile 2013, n. 9529).

Né tale conclusione sarebbe smentita dalla sentenza (è citata Corte di cassazione, sezione seconda civile, sentenza 31 agosto 2020, n. 18123) con la quale i giudici di legittimità hanno disatteso il ricorso avverso la statuizione di rigetto della domanda di liquidazione per l’attività difensiva svolta nella fase della mediazione obbligatoria: si tratterebbe, infatti, di una decisione inerente a una fattispecie «non del tutto sovrapponibile a quella in esame».

3.– Con successiva ordinanza del 17 marzo 2021 (reg. ord. n. 115 del 2021), il Tribunale ordinario di Palermo ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, 24, terzo comma, e 36, primo comma, Cost. – questioni di legittimità costituzionale degli artt. 74, comma 2, e 75, comma 1, t.u. spese di giustizia, nella parte in cui non prevedono che il patrocinio a spese dello Stato sia assicurato anche per l’attività difensiva espletata nel corso del procedimento di mediazione obbligatoria di cui all’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010, quando il processo non viene poi introdotto per intervenuta conciliazione fra le parti.

3.1.– Riferisce il rimettente di essere investito dell’istanza di liquidazione del compenso avanzata – in relazione alle prestazioni rese nell’ambito di un procedimento di mediazione obbligatoria concluso con un accordo conciliativo – dal difensore di G. D.B. e V. C., nella qualità di esercenti la potestà genitoriale sul minore A. D.B., ammessi al patrocinio a spese dello Stato dal Consiglio dell’ordine degli avvocati.

3.2.– La suddetta istanza non potrebbe, secondo il giudice a quo, trovare accoglimento alla luce del tenore letterale delle norme denunciate e della menzionata sentenza della Corte di cassazione n. 18123 del 2020, nella quale i giudici di legittimità avrebbero affermato che gli artt. 74 e 75 t.u. spese di giustizia escludono dal novero delle attività difensive suscettibili di liquidazione a carico dello Stato quelle svolte nel corso della mediazione non seguita dalla instaurazione del giudizio, precisando poi che tale limitazione non potrebbe essere superata in via interpretativa.

3.2.1.– Su tale premessa, il giudice palermitano ritiene che i citati artt. 74, comma 2, e 75, comma 1, t.u. spese di giustizia ledano, innanzitutto, gli artt. 3 e 24 Cost.

Considerato il favor legislativo per la soluzione stragiudiziale delle controversie, sarebbe del tutto irragionevole precludere l’accesso al patrocinio a spese dello Stato quando la controversia è stata definita in sede di mediazione obbligatoria e consentirlo invece in caso di esito infruttuoso della mediazione stessa, con la conseguente necessità di instaurare il processo.

Le norme denunciate, d’altro canto, minerebbero la funzione deflattiva della mediazione, che sarebbe infatti destinata ad essere affrontata dai difensori «come una mera formalità prodromica all’instaurazione» del giudizio, giacché solo in questa sede essi otterrebbero la liquidazione del compenso a spese dello Stato. Ciò che, peraltro, comporterebbe una lievitazione degli oneri a carico dell’erario, i quali, anziché essere limitati alle spese difensive per la mediazione stessa, sarebbero aggravati dai costi connessi allo svolgimento del processo.

A parere del rimettente, sarebbe vulnerato anche il diritto di agire in giudizio e, con esso, il principio di uguaglianza sostanziale. Il rischio di dover sopportare le spese difensive per il procedimento di mediazione obbligatoria, infatti, risulterebbe «disincentivante (e perciò pregiudizievole nella prospettiva della piena realizzazione del diritto di difesa presidiato anche dall’istituto del patrocinio a spese dello Stato)» per i non abbienti e lederebbe, pertanto, il loro diritto di accedere alla tutela giurisdizionale in condizioni di uguaglianza rispetto a quanti dispongono di mezzi economici adeguati.

3.2.2.– Secondo il Tribunale di Palermo, l’art. 3 Cost. sarebbe altresì violato in riferimento al principio di uguaglianza formale, sotto un duplice aspetto.

Le disposizioni censurate darebbero luogo a una ingiustificata disparità di trattamento, sia tra i non abbienti, in relazione alla disciplina riservata dal citato art. 10 del d.lgs. n. 116 del 2005 alla mediazione obbligatoria concernente le controversie transfrontaliere, sia tra i difensori dei non abbienti, i quali, pur avendo effettuato prestazioni identiche in sede di mediazione, riceverebbero, «sul piano del compenso» dovuto loro per tali attività, un trattamento differenziato a seconda del raggiungimento o meno dell’accordo.

3.2.3.– Il rimettente dubita, infine, della compatibilità delle disposizioni denunciate con l’art. 36, primo comma, Cost., che sarebbe leso in quanto, per effetto della preclusione da esse derivante, i difensori presterebbero «attività lavorativa obbligatoria gratuitamente».

4.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di inammissibilità delle questioni sollevate.

Ritiene la difesa dello Stato, sulla scorta di argomentazioni sostanzialmente identiche a quelle addotte in relazione all’ordinanza di rimessione del Tribunale di Oristano, che neanche il Tribunale di Palermo abbia compiutamente motivato in merito all’impossibilità di un’interpretazione costituzionalmente conforme.

4.1.– La dedotta violazione dell’art. 36, primo comma, Cost. sarebbe inoltre insussistente, in quanto l’assunzione della difesa della parte ammessa al patrocinio non sarebbe obbligatoria e, comunque, perché la relativa attività sarebbe svolta dall’avvocato solo occasionalmente. 

Considerato in diritto

1.– Con ordinanza dell’8 luglio 2020 (reg. ord. n. 188 del 2020), il Tribunale ordinario di Oristano dubita della legittimità costituzionale degli artt. 74, comma 2, e 83, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)», i quali, rispettivamente, dispongono che è «assicurato il patrocinio nel processo civile, amministrativo, contabile, tributario e negli affari di volontaria giurisdizione, per la difesa del cittadino non abbiente quando le sue ragioni risultino non manifestamente infondate» e, per quanto qui rileva, che la liquidazione del compenso spettante al difensore della parte non abbiente «è effettuata al termine di ciascuna fase o grado del processo e, comunque, all’atto della cessazione dell’incarico, dall’autorità giudiziaria che ha proceduto».

2.– La prima disposizione è censurata nella parte in cui non prevede che il patrocinio a spese dello Stato in favore dei non abbienti sia assicurato anche in relazione all’attività difensiva svolta nell’ambito della mediazione obbligatoria di cui all’art. 5, comma 1-bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali), quando il successivo giudizio non viene instaurato per l’intervenuta conciliazione delle parti. La seconda è denunciata laddove non prevede che, in tali fattispecie, alla liquidazione del compenso spettante al difensore provveda il giudice che sarebbe stato competente a conoscere della causa.

2.1.– Sul presupposto che le norme sospettate non consentano di liquidare tale compenso indipendentemente dalla instaurazione del giudizio – e quindi nel caso in cui la mediazione obbligatoria si sia conclusa con successo, in virtù del raggiungimento dell’accordo conciliativo – e che non siano suscettibili di una interpretazione costituzionalmente conforme, il rimettente sostiene che tale preclusione violerebbe, sotto plurimi profili, gli artt. 3 e 24, terzo comma, della Costituzione.

Il dedotto contrasto sarebbe apprezzabile, innanzitutto, in considerazione del fatto che il procedimento di mediazione è escluso dalla sfera di applicabilità del patrocinio a spese dello Stato benché sia imposto, in determinate materie, quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

Sarebbe quindi irragionevole che la liquidazione del compenso sia impedita proprio dall’evento che evita la celebrazione del processo e realizza la finalità deflattiva perseguita dal legislatore con l’introduzione della mediazione obbligatoria.

Altro profilo di irragionevolezza risiederebbe nel rilievo che i non abbienti, anziché conciliare, potrebbero essere indotti a privilegiare la scelta di agire o resistere in giudizio, per vedersi riconosciute in questa sede le spese difensive; ciò che finirebbe per frustrare la suddetta finalità e comporterebbe maggiori oneri per lo Stato.

D’altra parte, le norme censurate, non prevedendo il patrocinio nonostante l’obbligatorietà della mediazione al fine di accedere al giudizio e potendo finanche indurre i non abbienti a rinunciare a far valere le proprie ragioni, minerebbero l’effettività del loro diritto di difesa, ledendo altresì il principio di uguaglianza sia in senso sostanziale che in senso formale, tra abbienti e non abbienti.

Il principio di parità sarebbe compromesso anche all’interno della stessa categoria dei non abbienti, poiché l’art. 10 del decreto legislativo 27 maggio 2005, n. 116 (Attuazione della direttiva 2003/8/CE intesa a migliorare l’accesso alla giustizia nelle controversie transfrontaliere attraverso la definizione di norme minime comuni relative al patrocinio a spese dello Stato in tali controversie), ingiustificatamente li ammetterebbe a fruire del patrocinio a spese dello Stato in relazione ai procedimenti stragiudiziali obbligatori solo ove, tuttavia, questi siano inerenti a una controversia transfrontaliera.

3.– Con successiva ordinanza del 17 marzo 2021 (reg. ord. n. 115 del 2021), il Tribunale ordinario di Palermo dubita della legittimità costituzionale del già denunciato art. 74, comma 2, nonché dell’art. 75, comma 1, t.u. spese di giustizia, nella parte in cui non prevedono che il patrocinio a spese dello Stato sia assicurato anche per l’attività difensiva espletata nel corso del procedimento di mediazione obbligatoria di cui all’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010 quando il processo non viene poi introdotto per intervenuta conciliazione fra le parti.

Il suddetto art. 75, comma 1, dispone che l’ammissione al patrocinio «è valida per ogni grado e per ogni fase del processo e per tutte le eventuali procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse».

3.1.– Anche il giudice palermitano esclude la praticabilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme censurate, il cui tenore testuale precluderebbe, nella lettura della giurisprudenza di legittimità, la liquidazione del compenso al difensore allorquando al procedimento di mediazione non abbia fatto seguito l’instaurazione del giudizio.

Su questo assunto, egli ritiene che le suddette norme violino, innanzitutto, gli artt. 3 e 24, terzo comma, Cost.

Sarebbe, infatti, contrario al canone della ragionevolezza consentire l’accesso al patrocinio a spese dello Stato in caso di esito infruttuoso della mediazione obbligatoria, con la conseguente introduzione del processo, ed escluderlo invece proprio quando la mediazione stessa ha raggiunto il suo scopo; ciò che, peraltro, comprometterebbe la finalità deflattiva della procedura in parola e causerebbe un aggravio degli oneri a carico dell’erario, in quanto la mediazione sarebbe destinata ad essere affrontata dai difensori dei non abbienti «come una mera formalità prodromica all’instaurazione» del giudizio.

Ritiene, inoltre, il rimettente, sulla scorta di argomentazioni sostanzialmente analoghe a quelle spese dal Tribunale di Oristano, che le norme denunciate rechino un vulnus al diritto di agire in giudizio dei non abbienti e al principio di uguaglianza sostanziale.

L’art. 3 Cost. sarebbe leso anche sul versante della uguaglianza formale, per la ingiustificata disparità che le disposizioni censurate determinerebbero, non soltanto all’interno della stessa categoria dei non abbienti, a seconda che essi siano o meno parte di una controversia transfrontaliera, ma anche tra difensori, i quali, pur avendo effettuato prestazioni identiche nel corso del procedimento di mediazione, avrebbero diritto al compenso a carico dello Stato solo in caso mancato raggiungimento dell’accordo.

A tale ultimo rilievo è, infine, connesso il lamentato contrasto con l’art. 36, primo comma, Cost., che sarebbe violato in quanto i difensori presterebbero «attività lavorativa obbligatoria gratuitamente».

4.– È intervenuto in entrambi i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo l’inammissibilità delle questioni per inadeguato esperimento del tentativo di interpretazione costituzionalmente conforme.

Nel giudizio che trae origine dall’ordinanza di rimessione del Tribunale di Palermo, inoltre, la difesa dello Stato ha dedotto la non fondatezza della censura formulata in riferimento all’art. 36, primo comma, Cost.

5.– Le questioni sollevate con le due ordinanze di rimessione sono basate su argomenti in larga parte sovrapponibili e sono comunque connesse, per la parziale coincidenza delle norme denunciate e dei parametri evocati.

I relativi giudizi vanno, pertanto, riuniti per essere decisi con un’unica pronuncia.

6.– Preliminarmente, va rilevato che il giorno stesso della deliberazione della presente sentenza è stata definitivamente approvata la legge 26 novembre 2021, n. 206 (Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata), con la quale viene conferita al Governo una delega legislativa per quanto qui interessa recante, tra i principi e criteri direttivi, quello dell’estensione del patrocinio a spese dello Stato alle procedure di mediazione e di negoziazione assistita (art. 1, comma 4, lettera a).

Tale previsione non spiega, però, effetti negli odierni incidenti, dal momento che la sua entrata in vigore non vale a escludere l’applicazione delle disposizioni censurate.

7.– Ancora in via preliminare, deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Avvocatura generale sulla scorta dell’asserita carenza di un’adeguata motivazione in ordine all’impossibilità di interpretare le norme denunciate secundum Constitutionem.

I rimettenti, infatti, hanno escluso la praticabilità di un’interpretazione adeguatrice alla luce del dato letterale e per ragioni sistematiche, non mancando di confrontarsi con la posizione della giurisprudenza di legittimità.

Da tanto consegue il rigetto dell’eccezione in esame, giacché attiene al merito, e non all’ammissibilità delle questioni, la condivisione o meno del presupposto interpretativo delle norme censurate (ex plurimis, sentenze n. 150 del 2021 e n. 230 del 2020).

8.– Presupposto esegetico che, venendo appunto al merito, questa Corte ritiene condivisibile.

Esso è, infatti, innanzitutto coerente con il tenore testuale delle disposizioni denunciate.

L’art. 74, comma 2, t.u. spese di giustizia, invero, assicura ai non abbienti il beneficio in discussione facendo esclusivo riferimento al «processo». Nella medesima direzione, l’art. 75, comma 1, del citato testo unico delimita poi l’ambito di validità dell’ammissione al patrocinio a ogni grado e fase «del processo e per tutte le eventuali procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse» al processo stesso, di cui, pertanto, presuppone l’introduzione. Il successivo art. 83, comma 2, infine, nel suo primo periodo attribuisce la competenza a provvedere in ordine alla liquidazione del compenso all’autorità giudiziaria «che ha proceduto», in tal modo ribadendo, senza possibilità di equivoco, l’esigenza dell’instaurazione di un giudizio di cui l’autorità giudiziaria sia stata, per l’appunto, investita.

Il patrocinio a spese dello Stato è stato quindi contemplato dalle norme censurate in chiave eminentemente processuale: ciò che trova ulteriore conferma nella circostanza che lo stesso legislatore, con la legge delega innanzi citata, ha avvertito l’esigenza di introdurre specifiche disposizioni volte espressamente a estenderlo, a prescindere dal loro esito, anche alle procedure di mediazione.

Va peraltro precisato che la sentenza richiamata dall’Avvocatura generale a sostegno della possibilità di un’interpretazione conforme (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 19 aprile 2013, n. 9529), in realtà, non ha riguardato segnatamente le norme oggetto dell’odierno scrutinio e che invece l’assunto dei rimettenti si pone in linea con l’orientamento recentemente espresso dai giudici di legittimità con specifico riferimento al tema che viene qui considerato. Nella sentenza 31 agosto 2020, n. 18123, infatti, la seconda sezione civile della Corte di cassazione ha affermato che l’art. 74 t.u. spese di giustizia «postula l’intervenuto avvio della lite giudiziale», poiché «limita l’operatività del patrocinio a spese dello Stato all’ambito del procedimento […] civile»; ha poi espressamente precisato che siffatto limite non può essere superato in via interpretativa, pena lo sconfinare «nella produzione normativa», e ha quindi concluso che correttamente il giudice di merito aveva «ritenuto non liquidabile compenso al difensore per la fase della mediazione, cui non e` seguita la proposizione della lite».

8.1.– È dunque alla stregua del presupposto ermeneutico da cui muovono i giudici a quibus che le questioni sollevate dai rimettenti devono essere vagliate, innanzitutto considerando, quanto al tessuto normativo sul quale esse si innestano, che la mediazione civile obbligatoria è stata introdotta dall’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010 con un evidente intento deflattivo del contenzioso (sentenza n. 97 del 2019) ed è strutturata quale condizione di procedibilità delle domande giudiziali.

La parte che intende esercitare in giudizio un’azione relativa alle controversie nelle materie ivi specificamente individuate è, infatti, «tenut[a], assistit[a] dall’avvocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione», al fine di tentarne la composizione stragiudiziale.

Si è al cospetto, pertanto, di un procedimento contraddistinto dall’obbligatorietà, che deve essere espletato, pena l’improcedibilità della domanda, prima dell’instaurazione di una lite giudiziaria. Esso, di conseguenza, condiziona, in determinate materie, l’esercizio del diritto di azione.

È, in definitiva, sull’esclusione del patrocinio a carico dello Stato in ordine a tale procedimento, qualora questo si concluda con esito positivo, precludendo quindi l’introduzione del processo, che si sviluppano le questioni di costituzionalità sollevate dai rimettenti sugli artt. 74, comma 2, 75, comma 1, e 83, comma 2, t.u. spese di giustizia.

9.– Esse sono fondate in riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, in relazione, rispettivamente, al principio di ragionevolezza e a quello di eguaglianza sostanziale, e 24, terzo comma, Cost.

9.1.– Quanto al canone della ragionevolezza, va evidenziato che il nesso di strumentalità necessaria con il processo e la riconducibilità della mediazione alle forme di giurisdizione condizionata aventi finalità deflattive costituiscono elementi che rendono del tutto distonica e priva di alcuna ragionevole giustificazione l’esclusione del patrocinio a spese dello Stato quando la medesima mediazione si sia conclusa con successo e non sia stata in concreto seguita dalla proposizione giudiziale della domanda.

In tal modo, infatti, il suddetto patrocinio risulta contraddittoriamente escluso proprio nei casi in cui il procedimento de quo ha raggiunto – in ipotesi anche grazie all’impegno dei difensori – lo scopo deflattivo prefissato dal legislatore.

Pertanto, la circostanza che, in virtù del suo esito positivo, alla mediazione obbligatoria non abbia fatto seguito l’instaurazione del giudizio, lungi dal costituire un coerente fondamento della denunciata preclusione, al contrario concorre a disvelarne la palese irrazionalità, peraltro traducendosi anche in una sorta di disincentivo verso quella cultura della mediazione che il legislatore stesso si è fatto carico di promuovere.

Nel descritto contesto, infatti, non implausibilmente i rimettenti rilevano che proprio per effetto dell’esclusione censurata i non abbienti e i loro difensori potrebbero essere indotti a non raggiungere l’accordo e ad adire quindi comunque il giudice, all’unico scopo di ottenere, una volta introdotto il processo, le relative spese difensive.

Tale evenienza porterebbe nocumento non solo alla funzione della mediazione, vanificandone le finalità deflattive, ma anche a quella della giurisdizione che, a dispetto della sua natura sussidiaria rispetto alla mediazione stessa, finirebbe per essere strumentalizzata per obiettivi diversi dallo ius dicere, ciò che determinerebbe ulteriori irragionevoli ricadute di sistema per il sicuro aumento degli oneri a carico dello Stato, chiamato a sostenere anche i costi dello svolgimento del giudizio.

Gli argomenti che precedono rivelano quindi la manifesta irragionevolezza delle disposizioni censurate, peraltro ben precedenti l’introduzione, nell’ordinamento, della disciplina della mediazione obbligatoria e mai coordinate con essa.

9.2.– Parimenti fondate sono le questioni sollevate in riferimento agli artt. 3, secondo comma, e 24, terzo comma, Cost.

Quest’ultima disposizione, infatti, prevedendo che «[s]ono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione», mira a garantire a coloro che non sono in grado di sopportare il costo di un processo «l’effettività del diritto ad agire e a difendersi in giudizio, che il secondo comma del medesimo art. 24 Cost. espressamente qualifica come diritto inviolabile (sentenze n. 80 del 2020, n. 178 del 2017, n. 101 del 2012 e n. 139 del 2010; ordinanza n. 458 del 2002)» (da ultimo, sentenza n. 157 del 2021).

In questi termini, tali diritti, che rientrano tra i diritti civili, inviolabili e caratterizzanti lo Stato di diritto, richiamano il compito assegnato alla Repubblica dall’art. 3, secondo comma, Cost. affinché siano predisposti i mezzi necessari per garantire ai non abbienti le giuste chances di successo nelle liti, rimediando a un problema di asimmetrie – derivante dagli ostacoli di ordine economico che impediscono «di fatto» di compensare il difensore – che non può trovare soluzione nell’ambito dell’eguaglianza solo formale.

In questa prospettiva va precisato che la questione, sottolineata da questa Corte, della individuazione di un «punto di equilibrio tra garanzia del diritto di difesa per i non abbienti e necessità di contenimento della spesa pubblica in materia di giustizia» (sentenza n. 16 del 2018) rileva quando si tratti di giustificare modulazioni che si concretizzano, ad esempio, in filtri o controlli, come quelli previsti per i processi diversi da quello penale, nei quali il riconoscimento del beneficio in discorso presuppone che le ragioni di chi agisce o resiste in giudizio risultino non manifestamente infondate (sentenza n. 47 del 2020).

Ben diversi si presentano, invece, i termini della questione quando una determinata scelta legislativa giunge sino a impedire a chi versa in una condizione di non abbienza «l’effettività dell’accesso alla giustizia, con conseguente sacrificio del nucleo intangibile del diritto alla tutela giurisdizionale» (sentenza n. 157 del 2021).

In tal caso, infatti, sono nitidamente in gioco il «pieno sviluppo della persona umana» (art. 3, secondo comma, Cost.) e l’intero impianto dell’inviolabile diritto al processo di cui ai primi due commi dell’art. 24 Cost.: è quindi «naturalmente ridotto» il margine di discrezionalità del legislatore – pur, di per sé, particolarmente ampio nella conformazione degli istituti processuali (ex plurimis, sentenza n. 102 del 2021) – poiché si tratta comunque «di spese costituzionalmente necessarie», anch’esse inerenti, in senso lato, «all’erogazione di prestazioni sociali incomprimibili (ex plurimis, sentenze n. 62 del 2020, n. 275 e n. 10 del 2016)» (sentenza n. 152 del 2020).

In siffatte ipotesi l’argomento dell’equilibrio di bilancio recede di fronte alla possibilità, per il legislatore, di intervenire, se del caso, a ridurre quelle spese che non rivestono il medesimo carattere di priorità: è anche in tal senso che questa Corte ha affermato che «è la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione» (sentenza n. 169 del 2017; in precedenza, sentenza n. 275 del 2016).

9.2.1.– I principi appena enunciati rilevano nelle odierne questioni, poiché, data l’espressa previsione dell’assistenza dell’avvocato in sede di mediazione obbligatoria (art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010), è evidente che privare i non abbienti del patrocinio a spese dello Stato significa destinarli di fatto, precludendo loro la possibilità della difesa tecnica, a subire l’asimmetria rispetto alla controparte abbiente in relazione a un procedimento che, come si è chiarito, in determinate materie è direttamente imposto dalla legge e rientra nell’esercizio della funzione giudiziaria giacché condiziona l’esercizio del diritto di azione.

Il non abbiente è, peraltro, addirittura esposto al grave rischio di improcedibilità della sua domanda, qualora l’assistenza tecnica sia ritenuta non solo possibile ma anche obbligatoria dal giudice, in conformità a quanto affermato, con riferimento alla mediazione di cui si discute, dalla Corte di cassazione (Corte di cassazione, sezione terza civile, sentenza 27 marzo 2019, n. 8473) – sia pure nell’esaminare funditus solo lo specifico tema della necessaria presenza personale della parte dinanzi al mediatore – e nella circolare del Ministero della giustizia 27 novembre 2013 (Entrata in vigore dell’art. 84 del d.l. 69/2013 come convertito dalla l. 98/2013 recante disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia, che modifica il d.lgs. 28/2010. Primi chiarimenti).

Non è poi marginale aggiungere che la mediazione presuppone, in ogni caso, sin dalla sua attivazione il possesso di specifiche cognizioni tecniche di cui la parte non abbiente potrebbe essere priva: la relativa istanza richiede, infatti, l’individuazione sia del giudice territorialmente competente a conoscere della controversia, dovendo essere depositata presso un organismo che ha appunto sede nel luogo di tale giudice, sia delle parti, nonché dell’oggetto e delle ragioni della pretesa (art. 4, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 28 del 2010).

L’assenza di difesa tecnica nel procedimento di mediazione può, infine, riflettersi anche sotto ulteriori punti di vista sull’esito del successivo processo, ove si consideri che in caso di rifiuto della proposta conciliativa, se la successiva decisione giudiziale dovesse corrispondere al contenuto della proposta medesima, il giudice potrà escludere la ripetizione delle spese della parte vincitrice che ha opposto il rifiuto e condannarla al pagamento delle spese processuali della controparte, oltre che al versamento di una somma corrispondente all’importo del contributo unificato (art. 13, comma 1, del d.lgs. n. 28 del 2010).

È in definitiva evidente il radicale vulnus arrecato dalle norme censurate al diritto di difendersi dei non abbienti in un procedimento che, per un verso, è imposto ex lege in specifiche materie e che, per l’altro, è strumentale al giudizio al punto da condizionare l’esercizio del diritto di azione e il relativo esito.

10.– Va, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale degli artt. 74, comma 2, e 75, comma 1, t.u. spese di giustizia, nella parte in cui non prevedono che il patrocinio a spese dello Stato sia applicabile anche all’attività difensiva svolta nell’ambito dei procedimenti di mediazione di cui all’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010, quando nel corso degli stessi è stato raggiunto un accordo, nonché del successivo art. 83, comma 2, del medesimo testo unico sulle spese di giustizia, nella parte in cui non prevede che, in tali ipotesi, alla liquidazione in favore del difensore provveda l’autorità giudiziaria che sarebbe stata competente a decidere la controversia.

11.– Rimane ferma, ovviamente, la facoltà del legislatore di valutare, nella sua discrezionalità, eventualmente anche in sede di attuazione della legge delega prima richiamata, l’opportunità di introdurre, nel rispetto dei suddetti principi costituzionali, una più compiuta e specifica disciplina della fattispecie oggetto dell’odierno scrutinio.

12.– Restano assorbite le ulteriori censure prospettate dai rimettenti. 

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 74, comma 2, e 75, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)», nella parte in cui non prevedono che il patrocinio a spese dello Stato sia applicabile anche all’attività difensiva svolta nell’ambito dei procedimenti di mediazione di cui all’art. 5, comma 1-bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali), quando nel corso degli stessi è stato raggiunto un accordo, nonché dell’art. 83, comma 2, del medesimo d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui non prevede che, in tali fattispecie, alla liquidazione in favore del difensore provveda l’autorità giudiziaria che sarebbe stata competente a decidere la controversia.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 novembre 2021.

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Luca ANTONINI, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 20 gennaio 2022.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA

 

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità. 

30 maggio 2021

25/21. Mancata partecipazione alla mediazione e responsabilità aggravata ex art. 96, comma 3 c.p.c. (Osservatorio Mediazione Civile n. 25/2021)

=> Tribunale di Catania, 12 ottobre 2020 

Anche l'ingiustificata mancata partecipazione di una parte al procedimento di mediazione è valutabile ai fini della decisione della causa nel merito (art. 116 c.p.c.) in relazione all'art. 8 d.lgs. 28/2010 ed integra colpa grave in quanto può fondare la condanna per responsabilità aggravata ai sensi dell'art. 96, comma 3 c.p.c. (I).

(I) Si veda l’art. 8, D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 (Osservatorio Mediazione Civile n. 38/2018).

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 25/2021
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

Tribunale di Catania
Sentenza
12 ottobre 2020

Omissis

Innanzi tutto va rilevato che l'amministratore del condominio convenuto non ha depositato nel termine concesso dal Tribunale la ratifica assembleare del suo operato e della sua costituzione in giudizio. Ne deriva che va dichiarato il difetto di rappresentanza e di legittimazione dell'amministratore a stare in giudizio.

Nel merito, la domanda è fondata.

In relazione al primo motivo di doglianza va infatti detto che per effetto della riforma adottata con legge n. 220 del 2012,il conferimento di deleghe di voto all'amministratore è stato vietato dall'articolo 67, comma 4, delle disposizioni attuative del codice civile, che così dispone: «all'amministratore non possono essere conferite deleghe per la partecipazione a qualunque assemblea».

Nessun dubbio quindi che la delibera sia affetta da nullità, dato che è stata assunta in palese violazione di legge.

Tale rilievo sarebbe già assorbente degli altri motivi di impugnazione(e sarebbe peraltro rilevabile ex officio, trattandosi di nullità).

Ciò nondimeno va rimarcato che la effettuata CTU ha messo in evidenza anche la fondatezza del secondo motivo di impugnazione.

E, infatti, a pag. 5 della relazione il perito in base agli accertamenti eseguiti ha riscontrato che “il bilancio sottoposto all'assemblea dei condomini deve considerarsi non corretto sia da un punto di vista documentale che da un punto di vista sostanziale”. Il CTU prosegue poi dicendo che “Preliminarmente si deve rilevare che l'amministratore di condominio non ha regolarmente adempiuto ai doveri imposti dalla legge con riferimento alla tenuta della contabilità ed alla regolare corrispondenza della documentazione contabile posta a supporto della stessa” Ed in effetti, continua il CTU, è stata riscontrata carenza documentale con riferimento a diverse spese poi indicate in bilancio.

Tale carenza documentale si è verificata sia per le spese che per gli incassi di quote condominiali, con totale nullità quindi del bilancio per violazione delle norme contabili.

È infine fondato anche il terzo motivo di impugnazione.

Anche in tal caso la violazione di legge è palese. Il CTU, infatti, ha potuto accertare che “l'amministratore non ha tenuto la contabilità secondo le nuove disposizioni in materia condominiale.” In particolare è stato accertato che non è stato rispettato l'obbligo di far transitare ogni singola operazione dall'estratto conto intestato al condominio, in modo da consentire ad ogni singolo condomino la possibilità di verifica analitica delle entrate e delle uscite.

Al contrario l'amministratore ha inopinatamente effettuato prelevamenti dal conto corrente bancario per complessivi € 2.100,00 nel corso dell'anno 2015, utilizzando poi le somme per pagare in contanti i fornitori.

Ne deriva che l'impugnata delibera è certamente nulla sotto tutti e tre i profili menzionati.

Fondata è anche la domanda attorea di condanna del condominio ex art 96 c.p.c. dato il divieto normativo di delega all'amministratore, palesemente violato, e dato anche che il condominio convenuto, nonostante ritualmente convocato, non ha partecipato al procedimento di mediazione, tanto che in data 05.07.2016 veniva redatto dal Mediatore verbale negativo (doc.3).

Anche l'ingiustificata mancata partecipazione di una parte al procedimento di mediazione è valutabile ai fini della decisione della causa nel merito (art. 116 c.p.c.) in relazione all'art. 8 d.lgs. 28/2010 ed integra colpa grave in quanto può fondare la condanna per responsabilità aggravata ai sensi dell'art. 96, comma 3 c.p.c. Ne deriva che il condominio è tenuto al pagamento della somma di E. 1000,00 in favore della controparte ex art 96 c.p.c. c. 3 oltre alle spese di lite che si liquidano da dispositivo.

PQM

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, dichiara il difetto di rappresentanza e di legittimazione dell'amministratore a stare in giudizio; annulla la delibera impugnata e per l'effetto condanna il condominio alle spese di lite che liquida omissis. Condanna altresì il Condominio al pagamento della somma di € 1000,00 in favore della controparte ex art 96 c.p.c.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

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