DIRITTO D'AUTORE


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28 settembre 2023

34/23. Vietato il prosieguo del giudizio in pendenza dei termini concessi per l'espletamento della procedura di mediazione (Osservatorio Mediazione Civile n. 34/2023)


=> Corte di Cassazione, 24 luglio 2023, n. 22038

 

L'art. 5 comma 3 del D.Lgs. n. 28/2010, secondo il quale lo svolgimento della mediazione non preclude in ogni caso la concessione dei provvedimenti cautelari e urgenti, vieta al giudice il prosieguo del giudizio in pendenza dei termini concessi per l'espletamento della procedura di mediazione, fino all'udienza di verifica dell'avveramento della condizione di procedibilità (I).

 

(I) si veda l’art.5, comma 3, d.lgs. n. 28/2010 (come novellato dalla c.d. riforma Cartabia), in Osservatorio Mediazione Civile n. 28/2023.

 

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 34/2023

(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

 

Cote di Cassazione

sezione II

ordinanza n. 22038

24 luglio 2023

 

Omissis

 

Fatti di causa

 

1. Nell'anno 2014 C.C. conveniva avanti il Tribunale di Oristano M.G. e M.A., premettendo di condurre in affitto un fondo attraversato da un canale per lo scolo delle acque che tramite un tubo posto sotto una strada di penetrazione agraria (c.d. scavalcafosso) si ricongiunge ad analogo canale realizzato sul terreno di convenuti per consentire il deflusso dell'acqua piovana sino al mare attraverso un sistema di stagni. Asseriva che nell'anno 2013 il fondo da lei condotto in affitto aveva subito un anomalo e abbondante ristagno di acqua causato dall'omessa ripulitura del canale dei M.. Ciò premesso, chiedeva il riconoscimento del suo diritto alla perfetta tenuta e manutenzione del detto canale e la condanna dei convenuti al risarcimento di tutti i danni patiti e patiendi.

2. Costituendosi in giudizio, M.A. e M.G. contestavano le circostanze allegate dall'attrice.

3. Precedentemente all'instaurazione del procedimento di cognizione ordinaria l'attrice aveva promosso un giudizio cautelare ex art. 700 c.p.c., rigettato dal Tribunale di Oristano che nel successivo procedimento a cognizione piena, concesso alle parti il termine per l'espletamento della procedura di mediazione obbligatoria, ha poi respinto anche la domanda di merito con sentenza n. 474/2017 resa ex art. 281 sexies c.p.c.

4. Avverso tale decisione C.C. ha proposto appello, censurando la sentenza - per quanto in questa sede rileva - per avere denegato l'invocata remissione in termini per il deposito delle memorie ex art. 183 comma 6 c.p.c., termine che era stato erroneamente concesso contestualmente a quello per lo spiegamento del procedimento di mediazione, in pendenza del quale ogni attività processuale avrebbe dovuto essere sospesa.

5. Con sentenza n. 861/2019 la Corte di Appello di Cagliari rigettava il motivo di gravame con cui era stato criticato il diniego della rimessione in termini per il deposito delle memorie previste dall'art. 183 comma 6 c.p.c. Sostiene la Corte che lo stesso difensore di parte attrice aveva richiesto la concessione dei termini previsti dalla norma appena citata, implicitamente rinunciando alla eccezione relativa alla mancata sospensione di ogni attività processuale in pendenza della mediazione obbligatoria. Difettava poi nel caso in esame, secondo la Corte cagliaritana, il presupposto dell'art. 153 c.p.c., posto che la difesa dell'attrice non aveva addotto una causa lei non imputabile a giustificazione dell'omesso deposito delle memorie da lei stesse richieste.

6. Avverso tale decisione C.C. ha promosso ricorso per cassazione articolato in un unico motivo.

7. Hanno resistito con controricorso M.A. e M.G., eccependo l'inammissibilità del ricorso per violazione dell'art. 360 comma 1, 348-ter comma 5 e 100 c.p.c. e insistendo per la dichiarazione di inammissibilità e comunque per il suo rigetto.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con l'unico motivo la ricorrente deduce la violazione dell'art. 5 del D.Lgs. n. 28 del 2010 e la violazione e falsa applicazione dell'art. 157 comma 3 c.p.c., contestando la sentenza impugnata là dove la stessa ha rigettato il motivo di appello proposto avverso la sospensione del procedimento per l'espletamento della mediazione obbligatoria.

A detta della ricorrente, una volta che il giudice ha disposto il previo esperimento del procedimento di mediazione, è preclusa allo stesso la possibilità di concedere i termini per deposito di memorie ex art. 183 c.p.c. in quanto la condizione di procedibilità della domanda sospende per sua natura tutti i termini processuali, imponendo di attendere che la stessa si sia avverata prima di istruire la causa.

2. Il motivo è fondato.

Rientrando tra gli istituti deflattivi del contenzioso - ora potenziato dalla "riforma Cartabia" (d. lgs. n. 149/2022) - e introdotta con l'intento di promuovere il ricorso a procedure stragiudiziali per ridurre l'elevato livello delle pendenze del processo civile, la mediazione disciplinata dal d. lgs. n. 28 del 2010, modificato dal D.Lgs. n. 69/2013, costituisce, per espressa volontà legislativa, (come in più occasioni confermato dalla giurisprudenza di legittimità: tra le tante Cass. n. 8473/2019) una condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Questa deve essere assolta prima dell'esercizio dell'azione giudiziale (cfr. art. 5 comma 1). Laddove la domanda giudiziale sia stata proposta in assenza del previo esperimento del procedimento di mediazione, il giudice deve rinviare l'udienza, assegnare alle parti un termine per consentire l'avvio del procedimento e fissare una nuova udienza per verificare l'avverarsi della condizione di procedibilità richiesta.

Nel caso in esame il giudice di prime cure ha dato inizio al processo, come si legge a pag. 10 del ricorso, assegnando alla udienza del 10.06.2015 contestualmente alle parti i termini per il deposito delle memorie ai sensi dell'art. 183 c.p.c. e il termine di 15 gg. dalla data dell'udienza per l'esperimento del tentativo di conciliazione.

Il deposito delle memorie istruttorie è stato autorizzato, pertanto, prima del verificarsi della condizione di procedibilità accertata come omessa dallo stesso Giudice, su eccezione tempestivamente proposta della parte.

La disciplina della condizione di procedibilità in esame si intreccia con il processo civile sia in ordine al compimento o meno delle attività successive all'assegnazione del termine (per l'individuazione del termine utile dell'esperimento della procedura di mediazione cfr., ad es., Cass. n. 40035/2021), sia in ordine alle attività che, dopo tale assegnazione, possono essere compiute in sede giudiziaria.

Soccorre a quest'ultimo riguardo l'art. 5 comma 3 del D.Lgs. n. 238/2010, che specifica quali sono le uniche attività che il giudice può compiere nelle more dello svolgimento della mediazione, ossia la concessione dei provvedimenti urgenti e cautelari (a ciò si aggiunge per la parte la possibilità di trascrivere comunque, nei giudizi che lo prevedano, la domanda giudiziale). Restano pertanto esclusi tutti i provvedimenti che sono privi di tale carattere e che, per loro natura, attengono alla prosecuzione del procedimento giudiziale. La norma in questione non può che essere di stretta interpretazione, posto che essa introduce una parziale attenuazione del regime di improcedibilità, giustificata da esigenze di celerità processuale.

Come affermato anche in altro precedente di questo Giudice, il procedimento di mediazione obbligatoria "si pone per dir così ‘a monte' dell'inizio del processo, tanto che, ove la stessa non sia esperita nei casi previsti obbligatoriamente dalla legge, il processo neppure può avere inizio e la domanda giudiziale non è procedibile" (Cass. n. 34814/2022, pag. 4 in motivazione).

La richiesta di concessione dei termini ex art. 183 c.p.c. nel caso oggetto di giudizio rientrava nell'attività difensiva della parte ma non poteva certo vanificare la condizione di procedibilità imposta dalla legge.

La Corte di Appello di Cagliari ha dunque errato nell'applicare al caso in esame il principio della sanatoria della nullità (art. 157 comma 3 c.p.c., prospettando una implicita rinuncia del ricorrente all'eccezione proposta) e della rimessione in termini, esclusa perché la parte non avrebbe dimostrato di essere stata impossibilitata al deposito delle memorie istruttorie per causa a lei non imputabile. Era infatti assolutamente preclusa al giudice la possibilità di concedere, contestualmente al termine per l'avvio della procedura di mediazione obbligatoria, anche i termini per il deposito delle memorie istruttorie e dunque di proseguire oltre nella trattazione della causa in assenza del previo accertamento della verifica della condizione di procedibilità dell'azione.

Ne' può parlarsi di rinuncia implicita ad una eccezione (quella del mancato espletamento della mediazione obbligatoria) che, una volta proposta e accolta dal giudice, vincola questi al rispetto delle prescrizioni poste dal d. lgs. n. 28/2010 ed appare quindi sottratta alla disponibilità sostanziale e processuale della parte.

3. In conclusione, in accoglimento del ricorso, la decisione impugnata va cassata, con rinvio allo stesso giudice in diversa composizione, che dovrà attenersi al seguente principio di diritto: "L'art. 5 comma 3 del D.Lgs. n. 238/2010, secondo il quale lo svolgimento della mediazione non preclude in ogni caso la concessione dei provvedimenti cautelari e urgenti, vieta al giudice il prosieguo del giudizio in pendenza dei termini concessi per l'espletamento della procedura di mediazione, fino all'udienza di verifica dell'avveramento della condizione di procedibilità ".

4. Al giudice del rinvio è demandata anche la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

 

PQM

 

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di Appello di Cagliari, in diversa composizione, che deciderà anche in ordine alle spese del presente giudizio.

 

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

14 giugno 2023

26/23. Deposito della domanda di mediazione: il termine entro cui fissare il primo incontro ha natura ordinatoria (Osservatorio Mediazione Civile n. 26/2023)

=> Tribunale di Roma, 8 maggio 2023 

Il termine di 30 giorni stabilito dall'invocato art. 8, I co, d.lgs., primo periodo, nel testo precedente la c.d. riforma Cartabia (oggi 20 giorni), decorrente dal giorno del deposito della domanda di mediazione, entro il quale l'organismo di mediazione deve fissare il primo incontro, non ha, per assenza di espresse disposizioni in tal senso, natura di termine perentorio (v. art. 152, II co, c.p.c.: “I termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori”), talché il suo eventuale mancato rispetto non implica, comunque, alcuna nullità.

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 26/2023

(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com) 

Tribunale di Roma

Sentenza

8 maggio 2023 

Omissis 

Dell'eccezione di irregolarità della procedura di mediazione obbligatoria esperita dalla convenuta-attrice in riconvenzionale omissis, quale formulata dai terzi chiamati in causa omissis.

Preliminarmente deve essere disattesa l'eccezione processuale, con la quale, i terzi chiamati in causa omissis, intendono far valere l'irregolarità della procedura di mediazione obbligatoria, quale, con riferimento alle domande di merito in questa sede proposte, dalla convenuta-attrice in riconvenzionale omissis introdotta con istanza in data 26.7.2018, per essere stato il primo incontro, dall'organismo di mediazione, fissato al successivo 18.10.2018, oltre il termine, loro dire, perentorio di 30 giorni stabilito dall'art. 8, I co, l. n. 28/2010, con conseguente pretesa necessità di assegnazione, alla stessa convenuta- attrice in via riconvenzionale, del termine di legge per l'esperimento della mediazione stessa. E ciò perché - al di là di ogni altra possibile considerazione in ordine alla sussistenza dell'obbligo, per il convenuto che agisca in via riconvenzionale, di esperire la procedura di mediazione obbligatoria - contrariamente a quanto sostenuto da essi terzi chiamati, il termine di 30 giorni stabilito dall'invocato art. 8, I co, d.lgs., primo periodo, nel testo previgente applicabile ratione temporis (“All'atto della presentazione della domanda di mediazione, il responsabile dell'organismo designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti non oltre trenta giorni dal deposito della domanda.), decorrente dal giorno del deposito della domanda di mediazione, entro il quale l'organismo di mediazione deve fissare il primo incontro, non ha, per assenza di espresse disposizioni in tal senso, natura di termine perentorio (v. art. 152, II co, c.p.c.: “I termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori”), talché il suo eventuale mancato rispetto non implica, comunque, alcuna nullità.

Delle domande riconvenzionali di accertamento della simulazione relativa dei contratti di compravendita stipulati omissis.

Preliminarmente deve essere disattesa l'eccezione con la quale l'attrice omissis ed i convenuti omissis, alla prima udienza di comparizione del 28.3.2019, hanno tempestivamente eccepito la prescrizione della domanda di simulazione, quale in via riconvenzionale proposta dalla convenuta omissis; poiché, per consolidata giurisprudenza di legittimità, “Quando l'azione di simulazione relativa è diretta a far emergere l'effettivo reale mutamento della realtà voluto dalle parti con la stipulazione del negozio simulato, tale azione si prescrive nell'ordinario termine decennale; quando invece essa è finalizzata ad accertare la nullità tanto del negozio simulato, quanto di quello dissimulato (per la mancanza dei requisiti di sostanza o, come nel caso di specie, di forma), rilevando l'inesistenza di qualsiasi effetto tra le parti, tale azione non è soggetta a prescrizione (così, Cass. Civ. n. 14562/04; conf., Cass. Civ. n. 7682/97, n. 3067/74, n. 231/70).

Del merito delle descritte domande di accertamento della simulazione e della nullità dei dissimulati contratti di donazione Le domande in esame non possono essere accolte poiché, sebbene sia generalmente riconosciuto che l'erede legittimario il quale agisca per l'accertamento della simulazione di una vendita compiuta dal de cuius, siccome dissimulante una donazione, assuma, rispetto ai contraenti, la qualità di terzo, per cui egli non è come tale soggetto ai vincoli probatori stabiliti, per le parti, dall'art. 1417 c.c., con conseguente ammissibilità della prova testimoniale o presuntiva senza limiti o restrizioni (v., tra le tante, Cass.Civ. n. 19912/14; n. 6632/06; n. 20868/04; n. 6632/03), la convenuta-attrice in riconvenzionale omissis, che tali domande ha, nella specie, proposto, e che è quindi, secondo il principio generale stabilito dall'art. 2697, I co, c.c., gravata del relativo onere, non ha, per le ragioni di seguito esposte, in alcun modo provato, neppure secondo siffatte modalità, l'accordo simulatorio sotteso alla pretesa simulazione.

L'invocato rapporto di parentela, quale corrente tra omissis non è certo, di per sé, sufficiente, a norma dell'art. 2729, I co, c.c. (“Le presunzioni semplici sono lasciate al prudente apprezzamento del giudice, il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti”), per consentire di desumere, con ragionevole certezza, che gli atti di compravendita dei descritti immobili simulassero atti di liberalità; ché, in assenza di altri elementi significativi in tal senso, il rapporto di filiazione tra il venditore e l'acquirente non costituisce circostanza che, secondo criteri di normalità esperienziale ovvero in termini di razionalità delle azioni umane, si accompagni, con elevata probabilità, alla liberalità dell'atto; amplissimo risultando, come noto, il perimetro delle situazioni pratiche che, nell'ambito delle rispettive esigenze economiche e di vita, determinano genitori e figli a concludere, tra loro, contratti di acquisto a titolo oneroso.

La stessa attrice in riconvenzionale omissis, non ha, poi, dimostrato la sussistenza altre circostanze di riconosciuta elevata sintomaticità, che, complessivamente valutate nel quadro dei descritti rapporti familiari, avrebbero potuto assumere, nel prospettato senso della liberalità, valenza decisiva, ragionevolmente escludendo ogni ipotesi alternativa, quali, ad esempio, i)- l'eventuale impossidenza dei figli acquirenti, che all'epoca dei fatti erano entrambi ultrasessantenni (come risulta dagli atti omissis), e, come tali, quindi da ritenersi a priori suscettibili di autonoma capacità economica e reddituale, ovvero ii)- la mancata corresponsione del prezzo delle impugnate compravendite, che, oggetto di mera allegazione, a fronte delle dichiarazioni di relativo integrale pagamento, quali dalle parti rese al Notaio rogante (v. contratti di compravendita, in fascicolo di parte convenuta-attrice in riconvenzionale, all.ti n. 1 e n. 4), avrebbe potuto essere agevolmente accertata a mezzo dei movimenti risultanti dagli estratti conto dei conti correnti eventualmente intrattenuti dal venditore defunto padre omissis, in piena disponibilità della stessa attrice in riconvenzionale quale erede di quest'ultimo, la quale si è, invece, limitata a produrre una semplice, quanto irrilevante, Richiesta movimentazione rapporto, inoltrata presso il Banco Posta, con riferimento ad un libretto di risparmio intrattenuto dal padre medesimo (v. memoria ex art. 183, VI, co, n. 2, c.p.c., di parte convenuta-attrice in riconvenzionale, all. n. 17).

L'interrogatorio formale e la prova testimoniale richiesta dall'attrice in riconvenzionale, quali, con riferimento al tema che qui interessa, incentrate sulla circostanza che il defunto omissis avesse semplicemente “donato” gli immobili oggetto delle impugnate compravendite (v. memoria ex art. 183, Vi., n. 2, c.p.c., di parte convenuta-attrice in riconvenzionale), e non già orientate sul diverso affermato fatto che le parti avessero inteso, solo in apparenza realizzare le compravendite stesse, in concreto non volute, intendendo, in realtà, esse, diversamente, concludere dei contratti di donazione, sono state correttamente disattese, siccome inconferenti rispetto alla materia del contendere (v. ordinanza in data 29.3.2020).

Contrariamente a quanto sostenuto dall'attrice in riconvenzionale (v. memoria ex art. 183, VI co, n. 2, c.p.c. di detta parte), l'affermazione dei terzi chiamati omissis, per cui la compravendita dal defunto omissis stipulata con omissis che aveva poi, a sua volta, venduto l'immobile così acquistato alla stessa attrice in riconvenzionale, fosse da accomunarsi alle compravendite dai primi contestate, siccome anch'essa simulata e dissimulante donazione nulla per difetto di forma (cfr. comparsa di costituzione dei terzi chiamati, pp. 5, penultimo cpv., e 6, secondo cpv.), non costituisce, a fronte delle ripetute e circostanziate contestazioni dei chiamati stessi, quali contenute nella loro comparsa di costituzione (v., spec., p. 4), confessione alcuna dei fatti posti a fondamento dell'avversa domanda di simulazione, ma è da considerarsi quale mero espediente retorico, con il quale vuolsi far intendere che la compravendita da essi impugnata presenta le stesse caratteristiche che la controparte vorrebbe connotassero quelle da lei, a sua volta, denunciate di simulazione.

Della riconvenzionale domanda di riduzione per lesione di legittima delle pretese donazioni dissimulate, quale proposta dalla convenuta omissis.

Non v'è luogo a provvedere in ordine alla domanda in esame, essendo stata essa proposta, in via subordinata, per l'eventualità, non realizzatasi, che le compravendite impugnate dalla stessa omissis, quali concluse dal defunto omissis con il figlio omissis (poi deceduto il 26.4.2014) e con la di lui moglie omissis e dallo stesso defunto con la figlia omissis, venissero qualificate quali valide donazioni dissimulate.

Delle domande i)- di accertamento della simulazione dell'atto di compravendita stipulato omissis, e ii)- di riduzione per lesione di legittima della stessa pretesa donazione dissimulata, quali proposte dai terzi chiamati in causa omissis.

Non v'è parimenti luogo a provvedere in ordine alle domande in esame, essendo state le stesse proposte, in via subordinata, per l'eventualità, non realizzatasi, che le domande di accertamento della simulazione proposte dalla convenuta-attrice in riconvenzionale omissis venissero accolte.

Della domanda di divisione Tanto sin qui stabilito, la causa deve essere rimessa sul ruolo per l'istruzione e la definizione della domanda di divisione.

Del regolamento delle spese.

Stante la natura non definitiva della presente pronuncia, la liquidazione delle spese processuali è rimessa alla decisione definitiva. 

PQM 

Il Tribunale, non definitivamente pronunciando sulle domande in epigrafe, ogni diversa domanda ed eccezione disattesa, così provvede: respinge le di domande riconvenzionali di accertamento della simulazione relativa dei contratti di compravendita omissis; dichiara non luogo a provvedere in ordine alla domanda riconvenzionale di riduzione per lesione di legittima delle dette pretese donazioni dissimulate, quale proposta dalla stessa convenuta omissis; dichiara non luogo a provvedere in ordine alle domande i)- di accertamento della simulazione omissis e ii)- di riduzione per lesione di legittima di detta pretesa donazione, quali proposte dai terzi chiamati in causa omissis; rimette la causa sul ruolo istruttorio, come da separata ordinanza, per l'istruzione e la definizione della domanda di divisione. Spese alla sentenza definitiva. 

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

28 aprile 2023

17/23. Mediazione obbligatoria, il termine di 15 giorni non ha natura perentoria: rileva l’utile esperimento della procedura entro l'udienza fissata dal giudice (Osservatorio Mediazione Civile n. 17/2023)

=> Corte di Cassazione, 31 marzo 2023 

Un recente arresto di legittimità (Cass. 40035/2021) ha escluso la natura perentoria del termine assegnato dal giudice per l'esperimento della mediazione, affermando che, ai fini della sussistenza della condizione di procedibilità, ciò che rileva nei casi di mediazione obbligatoria ope iudicis è l'utile esperimento, entro l'udienza di rinvio fissata dal giudice, della procedura di mediazione, da intendersi quale primo incontro delle parti innanzi al mediatore e conclusosi senza l'accordo, e non già l'avvio di essa nel termine di quindici giorni indicato dal medesimo giudice delegante con l'ordinanza che dispone la mediazione. Detto principio si riferisce alla mediazione delegata, ma non vi sono ragioni ostative alla sua applicazione anche alla mediazione obbligatoria ex lege (I).

(I) Per il principio richiamato in massima si veda Mediazione demandata, termine di 15 giorni, natura non perentoria: ai fini della condizione di procedibilità rileva l’utile esperimento della procedura entro l'udienza fissata dal giudice (Osservatorio Mediazione Civile n. 39/2022)

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 17/2023
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

Cote di cassazione
sezione I
ordinanza n. 9102
31 marzo 2023


Omissis


omissis proposero opposizione a decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Modena in favore di omissis società Cooperativa (successivamente divenuta omissis Banca spa) contestando le pretese creditorie della banca in quanto illegittime ed infondate.

Il Tribunale di Modena dichiarò improcedibile l'opposizione in quanto la domanda di mediazione era stata presentata oltre il termine assegnato; sull'impugnazione di omissis, la Corte d'Appello di Bologna ha rigettato l'appello aderendo all'impostazione del Tribunale circa la natura perentoria del termine di presentazione della domanda di mediazione desumibili in via interpretativa dallo scopo della ragionevole durata del processo perseguito dalla norma.

Hanno proposto ricorso per Cassazione sulla base di due motivi omissis; omissis Banca spa ha svolto difese mediante controricorso.

 

1. Con il primo motivo di impugnazione i ricorrenti denunciano "violazione ed errata applicazione di norme di diritto con riferimento all'art. 360 comma 1 nr 3 c.p.c., in riferimento alla L. 22 del 2010 art. 5, comma II in tema di mediazione delegata ed all'art. 152 e 154 c.p.c. relativamente alla declaratoria illegittima della perentorietà del termine di gg 15 per l'avvio della mediazione delegata". Si contesta l'attribuzione della natura perentoria al termine per la presentazione della domanda di mediazione, evidenziandosi in ogni caso che nella fattispecie in esame la domanda di mediazione fu proposta con un ritardo di alcuni giorni rispetto al termine fissato dal giudice e che il procedimento si esaurì nel mese di ottobre 2016, ben prima celebrazione dell'udienza, fissata nel febbraio 2017, sicché, in concreto, nessun aggravamento dei tempi del processo si era prodotto.

1.1 Con il secondo motivo viene dedotta "violazione e falsa applicazione della L. 22 del 2010, art. 5, comma II, con riferimento all'art. 360 c.p.c. nr 3 - vizio della motivazione - Mancanza illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione all'art. 360 1 comma nr 5, in ordine ad un punto decisivo della controversia. Omesso ed errato esame circa un fatto storico decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti", si argomenta che i giudici di seconde cure pur avendo, in sostanza, ritenuto che non vi è stata alcuna dilatazione dei tempi processuali, ne hanno tratto opposte conseguenze incorrendo quindi in una motivazione illogica e contraddittoria.

2. Va rigettata la pregiudiziale eccezione, sollevata nel controricorso, di inammissibilità del ricorso per essere stato proposto tardivamente.

2.1. Secondo il principio ormai consolidato, la notifica della sentenza effettuata alla controparte a mezzo PEC (L. n. 53 del 1994, ex art. 3 bis nel testo, applicabile ratione temporis, modificato dal D.L. n. 179 del 2012, art. 16 quater, comma 1, lett. d), conv., con modif., dalla L. n. 228 del 2012) è idonea a far decorrere il termine breve d'impugnazione nei confronti del destinatario, ove il notificante provi di aver allegato e prodotto la copia cartacea del messaggio di trasmissione a mezzo posta elettronica certificata, le ricevute di avvenuta consegna e accettazione e la relata di notificazione, sottoscritta digitalmente dal difensore, nonché la copia conforme della sentenza che, trattandosi di atto da notificare non consistente in documento informatico, sia stata effettuata mediante estrazione di copia informatica dell'atto formato su supporto analogico e attestazione di conformità citato D.L. n. 179 del 2012, ex art. 16 undecies (cfr. Cass. n. 21597/2017, 20747/2018 24568 /2018 e 2225/2022).

2.2 Nel caso in esame è stata fornita dalla controricorrente documentazione, trascritta nel controricorso, delle relate di notifica a mezzo pec e delle stampe delle mail di ricevuta di avvenuta consegna e accettazione contenenti: "relata di notifica Pec.pdf.p7m" e "sentenza.duplicato informatico.pdf" ma non è stata allegata copia conforme su supporto analogico della sentenza i cui estremi non sono stati neanche indicati nel messaggio di consegna.

2.3 La documentazione prodotta e', quindi, incompleta e non idonea a fornire la prova certa del perfezionamento della notificazione della sentenza, con la conseguente mancata applicazione del termine breve di sessanta giorni per impugnare il provvedimento con ricorso per cassazione, a decorrere dalla notifica stessa.

3. Passando al merito, i due motivi, da esaminarsi congiuntamente, stante la loro intima connessione, sono fondati.

3.1 Come accertato dalla Corte di Appello non è in discussione il fatto che i ricorrenti hanno promosso la mediazione in data 13/9/2016, oltre il termine di giorni 15, assegnato dal giudice istruttore con ordinanza comunicata in data 5/8/2016, così come è pacifico che lo svolgimento della mediazione ha avuto luogo e si è esaurito nell'ottobre del 2016, ben prima della celebrazione dell'udienza di rinvio fissata per il 17/2/2017.

3.2 La questione controversa e', quindi, costituita dalla natura perentoria o meno del termine del termine di 15 giorni concesso per l'esperimento del tentativo di mediazione previsto dal D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5.

3.3 Al riguardo è intervenuto un recente arresto di questa Corte (cfr. Cass. nr 40035/2021) che ha escluso la natura perentoria del termine assegnato dal giudice per l'esperimento della mediazione, fissando il seguente principio: "ai fini della sussistenza della condizione di procedibilità di cui al D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, commi 2 e 2 bis, ciò che rileva nei casi di mediazione obbligatoria ope iudicis è l'utile esperimento, entro l'udienza di rinvio fissata dal giudice, della procedura di mediazione, da intendersi quale primo incontro delle parti innanzi al mediatore e conclusosi senza l'accordo, e non già l'avvio di essa nel termine di quindici giorni indicato dal medesimo giudice delegante con l'ordinanza che dispone la mediazione".

3.4 Secondo quanto affermato dalla Corte le ragioni circa la non perentorietà del termine di gg 15 per la presentazione della domanda di mediazione risiedono: a) nell'assenza di espressa sanzione di improcedibilità a seguito del mancato esperimento del procedimento di mediazione delegata entro il termine di quindici giorni; b) nel fatto che l'attivazione della mediazione delegata non costituisce attività giurisdizionale e, quindi, appare impropria l'applicazione di termini perentori in mancanza di espresse previsioni in tal senso; c) nella previsione che il giudice deve fissare una successiva udienza tenendo conto della scadenza del termine massimo della durata della mediazione; e) nella stessa ratio legis sottesa alla mediazione obbligatoria ope iudicis e cioè la ricerca della soluzione migliore possibile per le parti, dato un certo stato di avanzamento della lite e certe sue caratteristiche, che mal si concilia con la tesi della natura perentoria del termine, che finirebbe per giustificare il paradosso di non poter considerare utilmente esperite le mediazioni conclusesi senza pregiudizio per il prosieguo del processo solo perché tardivamente attivate, e così escludendo in un procedimento deformalizzato qual è quello di mediazione l'operatività del generale principio del raggiungimento dello scopo.

3.5 Il principio enunciato nella citata pronuncia si riferisce alla mediazione delegata, ai sensi del D.Lgs. n. 28 del 2010, comma 2 dell'art. 5, ma non vi sono ragioni ostative alla sua applicazione anche alla mediazione obbligatoria ex lege, ai sensi del comma 1-bis della medesima disposizione.

3.6 Nel caso di specie, l'intero procedimento di mediazione si è svolto nella parentesi endoprocessuale che va dall'emissione dell'ordinanza di remissione all'udienza di verifica e si è concluso (senza il raggiungimento di alcun accordo tra le parti) ben quattro mesi prima della fissazione dell'udienza di rinvio.

3.7 Ha, quindi, errato la Corte nel confermare la decisione di primo grado che ha dichiarato improcedibile l'opposizione a decreto ingiuntivo.

3.8 In accoglimento del ricorso, la sentenza va cassata, con rinvio della causa alla Corte di Appello di Bologna in diversa composizione, per l'esame del merito e per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

 

PQM

 

La Corte accoglie ricorso, cassa l'impugnata sentenza e rinvia la causa alla Corte di Appello di Bologna in diversa composizione, cui demanda anche la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

 

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

30 novembre 2022

39/22. Mediazione demandata, termine di 15 giorni, natura non perentoria: ai fini della condizione di procedibilità rileva l’utile esperimento della procedura entro l'udienza fissata dal giudice (Osservatorio Mediazione Civile n. 39/2022)

=> Corte di Cassazione, 14 dicembre 2021 n. 40035 

Il legislatore ha inteso riconnettere la statuizione giudiziale sulla procedibilità della domanda al solo evento dell'esperimento del procedimento di mediazione e non al mancato rispetto del termine di presentazione della domanda di mediazione. Tale lettura appare coerente con la riconosciuta natura non perentoria del termine di quindici giorni, fissato dal giudice (in coerenza con la sistematica interpretazione delle disposizioni sulla mediazione e con la finalità della mediazione demandata dal giudice in corso di causa). Va quindi elaborato il seguente principio di diritto: ai fini della sussistenza della condizione di procedibilità di cui al D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, commi 2 e 2 bis, ciò che rileva nei casi di mediazione obbligatoria ope iudicis è l'utile esperimento, entro l'udienza di rinvio fissata dal giudice, della procedura di mediazione, da intendersi quale primo incontro delle parti innanzi al mediatore e conclusosi senza l'accordo, e non già l'avvio di essa nel termine di quindici giorni indicato dal medesimo giudice delegante con l'ordinanza che dispone la mediazione (I).

(I) Si veda l’art. 5, commi 2 e 2-bis, D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 (Osservatorio Mediazione Civile n. 38/2018).

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 39/2022
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

Corte di Cassazione
Sezione II
sentenza n. 40035
14 dicembre 2022

Omissis 

Con il primo motivo il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 152 e 154 c.p.c., in relazione del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 2, per avere la sentenza impugnata affermato la perentorietà del termine assegnato per l'instaurazione della mediazione.

Si contesta cioè che la corte abbia erroneamente ritenuto il termine previsto del D.Lgs. n. 28 del 2020, art. 5, comma 2, quale termine endoprocessuale mentre, in realtà, ad esso non si applicherebbe la disciplina prevista dall'art. 152 c.p.c. e l'effettivo esperimento del procedimento di mediazione vale a sanare la sua eventuale tardività.

Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli art. 152 e 154 c.p.c., per avere la corte territoriale erroneamente disatteso la censura proposta dagli appellanti in ordine al carattere indeterminato del termine di quindici giorni per l'avvio della mediazione, per essere stato, nel caso di specie, il termine agganciato non ad una data certa ma a quella di effettivo deposito della CTU.

Parimenti si ritiene errata la conclusione che comunque la mediazione non risultava avviata neanche a seguito della comunicazione dell'ordinanza con cui si anticipava l'udienza di settembre, comunicazione che implicava l'avvenuto deposito della CTU.

Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 4, lett. a), per avere la pronuncia della corte felsinea ritenuto che la parte onerata dell'avvio della procedura di mediazione delegata era l'opponente.

Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 2 e art. 6, per avere la corte territoriale escluso il valore sostanziale della mediazione tardiva ritenendo l'interpretazione proposta dagli appellanti fondata sulla radicale inutilità del termine legale, a prescindere dalla sua natura perentoria od ordinatoria.

I quattro motivi riguardando, seppure sotto diversi aspetti, la medesima questione dell'operatività della mediazione demandata quale condizione di procedibilità ai sensi del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, commi 2 e 2 bis e art. 6, possono essere trattati congiuntamente.

Le censure sono fondate per quanto di seguito considerato.

Esse richiamano l'attenzione della Corte sull'interpretazione della disciplina riguardante la mediazione obbligatoria ope iudicis o demandata dal giudice come stabilita nell'ambito del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, commi 2 e 2 bis e art. 6.

La normativa introdotta con il D.Lgs. n. 28 del 2010, ed aggiornata con il D.L. n. 69 del 2013, conv. con modificazioni nella L. n. 98 del 2013, prevede all'art. 5, commi 2 e 2 bis che: "2. Fermo quanto previsto dal comma 1-bis e salvo quanto disposto dai commi 3 e 4, il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell'istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l'esperimento del procedimento di mediazione; in tal caso, l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello. Il provvedimento di cui al periodo precedente è adottato prima dell'udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista, prima della discussione della causa. Il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'art. 6 e, quando la mediazione non è già stata avviata, assegna contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione. 2-bis. Quando l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l'accordo".

L'art. 6 prevede che: "1. Il procedimento di mediazione ha una durata non superiore a tre mesi. 2. Il termine di cui al comma 1, decorre dalla data di deposito della domanda di mediazione, ovvero dalla scadenza di quello fissato dal giudice per il deposito della stessa e, anche nei casi in cui il giudice dispone il rinvio della causa ai sensi del sesto o del settimo periodo del comma 1-bis dell'art. 5, ovvero ai sensi dell'art. 5, comma 2, non è soggetto a sospensione feriale".

La novella del 2013 ha attribuito al giudice il potere di invitare le parti ad attivare la mediazione anche nelle materie per le quali del Decreto n. 28 del 2010, art. 5, esclude l'obbligatorietà, indipendentemente dalla loro adesione, originariamente richiesta. Il provvedimento può essere adottato, anche in appello, fino all'udienza di precisazione delle conclusioni o, se non prevista, fino alla discussione della causa anche nei casi in cui l'attore prima dell'introduzione del giudizio abbia già (inutilmente) esperito il tentativo obbligatorio.

La disciplina dispone che ove il giudice, in ragione della natura, lo stato dell'istruttoria ed il comportamento delle parti, ritenga che la causa presenti indici di mediabilità e possa, quindi, essere definita mediante un accordo amichevole attraverso l'elaborazione di una proposta, dispone l'invio delle parti in mediazione senza necessità di raccogliere il consenso delle parti,

cosicché accanto alla mediazione obbligatoria ope legis è prevista una mediazione obbligatoria ope iudicis. Ove il giudice disponga in tal senso, l'esperimento della mediazione diviene condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

Sulla concreta operatività di tale parentesi non giurisdizionale all'interno del processo, il legislatore si è limitato a prevedere che il giudice, indicate le suddette ragioni, fissi l'udienza successiva alla scadenza del termine (inizialmente di quattro ma dopo la riforma del 2013) di tre mesi previsto per la durata della mediazione dal D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 6 e, ove essa non sia stata già avviata, assegna altresì il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda.

La giurisprudenza di merito, chiamata a pronunciarsi su come debba essere inteso il suddetto termine, sulle conseguenze del mancato rispetto dello stesso, ha assunto differenti posizioni interpretative.

In alcuni casi è stato ritenuto che il termine di quindici giorni sia ordinatorio, in altri che sia perentorio, in altri ancora che non si tratti di un termine endoprocessuale con conseguente inapplicabilità dell'art. 152 c.p.c..

Anche la dottrina ha approfondito la questione della natura del termine e le conseguenze del suo mancato rispetto, pervenendo in prevalenza alla soluzione che l'inutile decorso del termine di quindici giorni per l'attivazione del tentativo di mediazione non determini l'improcedibilità della domanda giudiziale ove il procedimento sia stato, comunque, attivato in tempo utile o si sia concluso prima dell'udienza fissata per la prosecuzione del giudizio.

La soluzione che si adotta ha, inevitabilmente, differenti ricadute sul riconoscimento della prevista condizione di procedibilità e sulla relativa declaratoria di improcedibilità della domanda giudiziale, ricollegandola cioè alla mancata presentazione della domanda nel suddetto termine, ove ritenuto perentorio, passando in secondo piano la circostanza dell'effettivo svolgimento della mediazione.

La Corte ha già fornito, in tema di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda, alcune soluzioni interpretative.

In particolare, con la sentenza n. 8473/2019, la Corte ha affermato che la condizione di procedibilità può ritenersi realizzata al termine del primo incontro davanti al mediatore, qualora una o entrambe le parti, richieste dal mediatore dopo essere state adeguatamente informate sulla mediazione, comunichino la propria indisponibilità di procedere oltre.

Le Sezioni Unite civili hanno poi, con la sentenza n. 19596/2020, chiarito che la parte onerata della presentazione della domanda di mediazione obbligatoria ai sensi del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 1 bis, nei casi di opposizione a decreto ingiuntivo, sia il creditore opposto per la assorbente considerazione che essa è "condizione di procedibilità della domanda giudiziale" che è quella sostanziale del ricorrente in monitorio (cfr. Cass. 159/2021), cui possono aggiungersi, nei limiti consentiti, altre domande proposte in via riconvenzionale dall'opponente.

In questo contesto giurisprudenziale viene ora all'attenzione della Corte la fattispecie della mediazione delegata, in cui cioè non si verte nelle materie indicate nel D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 1 bis, ma sempre nell'ambito di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, nel corso del quale, decisa la sospensione della provvisoria esecutorietà, assegnati i termini ex art. 183 c.p.c., comma 6, all'esito della decisione sulla provvisoria esecutorietà e dello svolgimento della CTU, il giudice ha discrezionalmente disposto l'avvio delle parti in mediazione (cfr. Cass. 2775/2020), fissando l'udienza successiva ed assegnando il termine di 15 giorni dal deposito della CTU per la presentazione della domanda di avvio del procedimento di mediazione.

Ebbene, ritiene la Corte che in tale evenienza, al fine di stabilire se si sia verificata o meno la condizione di procedibilità della domanda giudiziale, debba aversi riguardo alla specifica prescrizione di legge secondo la quale "l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda" (D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 2, seconda parte del primo periodo,) e ancora "quando l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l'accordo" (D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 2 bis).

Si tratta di univoche indicazioni con le quali il legislatore ha inteso riconnettere la statuizione giudiziale sulla procedibilità della domanda al solo evento dell'esperimento del procedimento di mediazione e non al mancato rispetto del termine di presentazione della domanda di mediazione.

Esse appaiono la chiave di volta per la ricostruzione interpretativa della normativa sulla mediazione demandata perché indicano il necessario parametro di riferimento cui agganciare la declaratoria giudiziale di improcedibilità della domanda giudiziale.

Tale lettura appare coerente con la riconosciuta natura non perentoria del termine di quindici giorni, fissato dal giudice ai sensi del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 2, e tale rimasto anche nella disciplina risultata a seguito della riforma legislativa del 2013, che non è intervenuta sul punto.

La diversa conclusione non ha il conforto dell'art. 152 c.p.c., comma 2, non essendovi indicazione legislativa in tal senso.

Il D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 2, non prevede poi espressamente l'adozione di pronuncia di improcedibilità a seguito del mancato esperimento del procedimento di mediazione delegata entro il termine di quindici giorni.

L'attivazione della mediazione delegata non costituisce peraltro attività giurisdizionale e, quindi, appare effettivamente impropria l'applicazione di termini perentori in mancanza di espresse previsioni in tal senso.

Inoltre, l'adozione della sanzione della decadenza richiede una manifestazione di volontà espressa dal legislatore non desumibile dalla disciplina sulla mediazione.

Ancora, la natura non perentoria trova conforto nella previsione che il giudice deve fissare una successiva udienza tenendo conto della scadenza del termine massimo della durata della mediazione.

Anche la ratio legis sottesa alla mediazione obbligatoria ope iudicis e cioè la ricerca della soluzione migliore possibile per le parti, dato un certo stato di avanzamento della lite e certe sue caratteristiche, mal si concilia con la tesi della natura perentoria del termine, che finirebbe per giustificare il paradosso di non poter considerare utilmente esperite le mediazioni conclusesi senza pregiudizio per il prosieguo del processo solo perché tardivamente attivate, e così escludendo in un procedimento deformalizzato qual è quello di mediazione l'operatività del generale principio del raggiungimento dello scopo.

Appare, pertanto, più coerente con la sistematica interpretazione delle disposizioni sulla mediazione e con la finalità della mediazione demandata dal giudice in corso di causa privilegiare la verifica dell'effettivo esperimento della mediazione.

Tale verifica deve svolgersi all'udienza fissata dal giudice con il provvedimento con cui aveva disposto l'invio delle parti in mediazione.

Se in quella udienza risulta che vi sia stato il primo incontro dinanzi al mediatore conclusosi senza l'accordo (D.Lgs. n. 28 del 2010, ex art. 5, comma 2 bis), il giudice non potrà che accertare l'avveramento della condizione di procedibilità e proseguire il giudizio.

Così intesa, la norma raggiunge lo scopo cui è rivolta e cioè favorire, ove possibile ed in termini effettivi, forme alternative ma altrettanto satisfattive di tutela mediante la composizione amichevole delle liti ed al contempo conferma il carattere di extrema ratio che il legislatore della mediazione riconosce, in prospettiva deflattiva, alla tutela giurisdizionale.

Tale interpretazione risulta altresì conforme al principio della ragionevole durata del processo, perché la verifica all'udienza fissata D.Lgs. n. 28 del 2010, ex art. 5, comma 2, è già ricompresa nell'intervallo temporale delimitato dalla previsione del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 7, a mente del quale "Il periodo di cui all'art. 6 e il periodo del rinvio disposto dal giudice ai sensi dell'art. 5, commi 1-bis e 2, non si computano ai fini di cui della L. 24 marzo 2001, n. 89,

art. 2".

Resta inteso, nel quadro interpretativo così delineato, che ove l'udienza di verifica sia stata fissata subito dopo la scadenza del termine di durata della mediazione, ai sensi del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 6, senza che il procedimento sia stato iniziato o comunque si sia concluso per una colpevole inerzia iniziale della parte, che ha ritardato la presentazione della istanza, quest'ultima si espone al rischio che la sua domanda giudiziale sia dichiarata improcedibile, a causa del mancato esperimento della mediazione entro il termine di durata della procedura previsto per legge.

In tale prospettiva ermeneutica la Corte si è già posta, riconoscendo rilevanza all'effettivo esperimento della mediazione delegata a seguito dell'invito in tale senso rivolto dal giudice ed a prescindere dalla specifica indicazione del termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione, osservando che esso costituisce un termine fisso la cui mancanza può costituire al più una formale irregolarità (cfr. Cass. 2775/2020).

In conclusione, dunque, ritiene il collegio che le considerazioni sin qui sviluppate conducano ad elaborare il seguente principio di diritto: Ai fini della sussistenza della condizione di procedibilità di cui al D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, commi 2 e 2 bis, ciò che rileva nei casi di mediazione obbligatoria ope iudicis è l'utile esperimento, entro l'udienza di rinvio fissata dal giudice, della procedura di mediazione, da intendersi quale primo incontro delle parti innanzi al mediatore e conclusosi senza l'accordo, e non già l'avvio di essa nel termine di quindici giorni indicato dal medesimo giudice delegante con l'ordinanza che dispone la mediazione.

Ciò posto, nel caso di specie non vi è dubbio che il procedimento di mediazione ha avuto luogo entro l'udienza del 21 settembre 2016, fissata con il provvedimento che l'ha disposta e che, pertanto, non poteva essere pronunciata l'improcedibilità della domanda; il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata cassata con rinvio alla Corte d'appello omissis in diversa composizione, per riesame dell'appello alla luce dell'enunciato principio di diritto e, altresì, per le spese del giudizio di legittimità. 

PQM 

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello omissis, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità. 

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità. 

30 maggio 2022

20/22. Mediazione attivata tre mesi e cinque giorni prima dell'udienza di rinvio: la domanda è procedibile? (Osservatorio Mediazione Civile n. 20/2022)

=> Tribunale di Firenze, 11 febbraio 2022 

Una volta appurato che il procedimento di mediazione è stato attivato tre mesi e cinque giorni prima dell'udienza di rinvio, ossia con un anticipo, rispetto a tale data, superiore al termine di durata massima del procedimento fissato in tre mesi dall'art. 6, d. lgs. 28/10, va prestata adesione all'orientamento per cui il termine per l'avvio della mediazione può essere superato, siccome non perentorio, purché la procedura sia attivata (il che accade con il deposito della domanda) in tempi utili per la sua conclusione entro l'udienza di rinvio (I); una volta introdotta la mediazione nel rispetto della predetta tempistica ed espletato il primo incontro, del resto, la condizione di procedibilità si intende come rispettata, a prescindere dalla parte che si sia attivata per la relativa introduzione, ben potendo, in astratto, essere anche la parte non onerata ex lege (II).

(I) In tal senso la pronuncia in commento richiama Cass. 40035/21, precisando che la S.C. ha ivi osservato che, nei casi (analoghi a quello di specie) di utile avvio e conclusione del procedimento entro il termine dell'udienza di rinvio, viene a perdere ogni rilievo l'indagine sulla tempestività dell'avvio rispetto al termine concesso al momento del rinvio iussu iudicis, così come quella sul rispetto del termine di durata massima del procedimento al momento della relativa attivazione, atteso che, “ai fini della sussistenza della condizione di procedibilità di cui all'art. 5, comma 2, e comma 2 bis d. lgs. n. 28/2010, ciò che rileva nei casi di mediazione obbligatoria ope iudicis è l'utile esperimento, entro l'udienza di rinvio fissata dal giudice, della procedura di mediazione, da intendersi quale primo incontro delle parti innanzi al mediatore e conclusosi senza l'accordo, e non già l'avvio di essa nel termine di quindici giorni indicato dal medesimo giudice delegante con l'ordinanza che dispone la mediazione”

(II) Si vedano gli artt. 5 e 8, D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 (Osservatorio Mediazione Civile n. 38/2018).

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 20/2022
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

Tribunale di Firenze
Sentenza, n. 382
11 febbraio 2022

Omissis

Sulle eccezioni di improcedibilità.

In limine, non meritano accoglimento le eccezioni di improcedibilità della causa per omesso tempestivo esperimento del tentativo di mediazione delegata, sollevate dalla parte attrice (con riferimento a entrambe le domande principale e riconvenzionale), dal convenuto (con riferimento alla sola domanda riconvenzionale), e dalla terza chiamata, per i motivi di seguito esposti.

Ripercorrendo in sintesi la sequenza processuale:

- con decreto emesso in data 30/05/18, è stato disposto invio in mediazione delegata, concedendosi altresì (onde consentire l'attivazione di un contraddittorio ex post sull'invio disposto de plano dal nuovo giudice subentrato nell'assegnazione del fascicolo), per la relativa attivazione, il termine di legge di quindici giorni, decorrenti dal decimo giorno dalla comunicazione del presente decreto, avvenuta in data 31/05/18, con previsione, secondo il disposto di legge, del relativo onere a carico della parte attrice sostanziale, e con rinvio della causa al 10/04/19 per la verifica e l'eventuale precisazione delle conclusioni (udienza poi differita d'ufficio con decreto del 01/04/19);

- la procedura non è stata attivata nei termini indicati dal giudice da nessuna parte;

- il convenuto-attore in riconvenzione ha, peraltro, attivato, con domanda depositata in data 05/01/19, un procedimento di mediazione, conclusosi a seguito della celebrazione del primo incontro del 11/03/19 per mancata adesione alla procedura della parte invitata, pur ritualmente presentatasi all'incontro.

Ciò premesso, l'attivazione da parte del convenuto (attore sostanziale sulla domanda riconvenzionale) consente di ritenere assolta tout court la condizione di procedibilità, essendosi comunque svolta, ancorché con esito negativo, la mediazione, con procedimento avviato e conclusosi in data antecedente a quella di rinvio disposta con il medesimo decreto di invio in mediazione:

- non vale, infatti, anzitutto, a rendere improcedibile la causa la dichiarazione della parte attrice, pur onerata dell'esperimento del tentativo di mediazione effettivo, di non volere intraprendere la mediazione (cfr., sul punto, Cass. n. 8473/19, cui questo giudice ritiene di aderire: “La condizione di procedibilità può ritenersi…realizzata qualora una o entrambe le parti comunichino al termine del primo incontro davanti al mediatore la propria indisponibilità a procedere oltre”);

- né, del resto, assume alcun rilievo il fatto che l'attivazione della mediazione sia avvenuta in data successiva allo spirare del termine concesso all'uopo dal giudice: una volta appurato, infatti, che il procedimento di mediazione è stato attivato tre mesi e cinque giorni prima dell'udienza di rinvio, ossia con un anticipo, rispetto a tale data, superiore al termine di durata massima del procedimento fissato in tre mesi dall'art. 6 D. Lgs. n. 28/10, nella versione ratione temporis applicabile alla controversia de qua (ossia quella successiva alla modifica apportata dal DL n. 69/13 e relativa legge di conversione), ritiene il Tribunale di prestare adesione all'orientamento per cui il termine per l'avvio della mediazione può essere superato, siccome non perentorio, purché la procedura sia attivata (il che accade con il deposito della domanda) in tempi utili per la sua conclusione entro l'udienza di rinvio: orientamento recentemente avallato dal S.C., il quale ha autorevolmente osservato, in chiave ancor più sostanzialista, che, nei casi (analoghi a quello di specie) di utile avvio e conclusione del procedimento entro il termine dell'udienza di rinvio, viene a perdere ogni rilievo l'indagine sulla tempestività dell'avvio rispetto al termine concesso al momento del rinvio iussu iudicis, così come quella sul rispetto del termine di durata massima del procedimento al momento della relativa attivazione, atteso che, “ai fini della sussistenza della condizione di procedibilità di cui all'art. 5, comma 2, e comma 2 bis d. lgs. n. 28/2010, ciò che rileva nei casi di mediazione obbligatoria ope iudicis è l'utile esperimento, entro l'udienza di rinvio fissata dal giudice, della procedura di mediazione, da intendersi quale primo incontro delle parti innanzi al mediatore e conclusosi senza l'accordo, e non già l'avvio di essa nel termine di quindici giorni indicato dal medesimo giudice delegante con l'ordinanza che dispone la mediazione» (Cass. n. 40035/21);

- una volta introdotta la mediazione nel rispetto della predetta tempistica ed espletato il primo incontro, del resto, la condizione di procedibilità si intende come rispettata, a prescindere dalla parte che si sia attivata per la relativa introduzione – ben potendo, in astratto, essere anche la parte non onerata ex lege; nella specie, tra l'altro, stante l'avvenuta proposizione di domande contrapposte, entrambe le parti, attrici rispetto alle relative domande, risultavano in effetti onerate all'attivazione della mediazione e l'attivazione da parte dell'una, determinando l'attivazione del procedimento su tutta la materia del contendere, ha automaticamente esentato anche l'altra dalla dichiarazione di improcedibilità, irrilevante essendo la qualificazione erronea della procedura come volontaria, anziché come delegata iussu iudicis, a fronte del suo effettivo esperimento.

Sulla vicenda fattuale.

Venendo, dunque, all'esame del merito della vertenza, la disamina sulla domanda principale risarcitoria da responsabilità professionale e quella sulla riconvenzionale di pagamento delle spettanze per l'opera prestata presuppongono entrambe un'indagine sulla medesima vicenda fattuale controversa, essendo le medesime condotte dall'attrice ascritte a carico del convenuto – e da quest'ultimo contestate – poste alla base tanto dell'asserito pregiudizio patrimoniale, quanto dell'eccepito inadempimento preclusivo del pagamento dei compensi al convenuto attore in riconvenzione.

Orbene, pacifica l'avvenuta stipula verbis di un contratto d'opera professionale omissis.

Tanto premesso, dunque, il calcolo del compenso per la parte extra-preventivo dovrà essere così effettuato: individuato l'importo lavori in euro 167.436,00 e applicata la percentuale del 1,057% (ottenuta applicando il coefficiente di parzializzazione di 0,13, come sopra individuato, alla percentuale di 8,1034), si otterrà la somma di euro 1.769,7, su cui applicare la maggiorazione del 15% per spese generali; per un totale di euro 2.035, da aggiungersi ai 1.000 dovuti a titolo di residuo compenso pattuito, per il complessivo importo finale di euro 3.035, oltre oneri di legge e interessi legali ex D.Lgs. n. 231/02 (trattandosi di prestazione professionale resa a Srl, come tale rientrante nella nozione di “transazione commerciale”) a far data dalla missiva di diffida del 13/06/12.

Sulle spese di lite.

In considerazione del rigetto integrale della domanda risarcitoria attorea, del conseguente assorbimento della domanda di garanzia impropria avanzata contro la terza chiamata, della non arbitrarietà di tale chiamata da parte del convenuto (dovendosi ritenere, da un lato, la validità e la non vessatorietà della clausola claims made, ma dall'altro lato la collocazione della richiesta di risarcimento del 04/08/10, cui ha fatto seguito la denuncia di sinistro del 05/08/10, nell'arco temporale dei sei mesi successivi alla cessazione di efficacia del contratto, come da art. 7 Condizioni generali di contratto), dell'avvenuta espressa estensione della domanda attorea alla terza chiamata, dell'estraneità dell'assicurazione alla domanda riconvenzionale di parte convenuta, dell'accoglimento di tale domanda in ragione di un ammontare pari a circa un quarto di quanto domandato, le spese di lite, come liquidate in dispositivo ai sensi del DM n. 55/14, con applicazione dei valori medi di cui allo scaglione individuato dalla sommatoria delle domande, e con aumento al massimo della voce relativa alla fase decisionale, attesa la sua duplicazione dovuta alla rimessione della causa sul ruolo per il supplemento di istruttoria (non dovuto nei confronti della parte terza chiamata, rimasta estranea a tale supplemento di istruttoria e pertanto correttamente limitatasi, nelle seconde memorie ex art. 190 c.p.c., al mero richiamo delle precedenti), seguono la soccombenza nei rapporti con la terza chiamata e sono poste integralmente a carico di parte attrice, pienamente soccombente sulla domanda risarcitoria, in ossequio al principio per cui “Le spese di giudizio sostenute dal terzo chiamato in garanzia, una volta che sia stata rigettata la domanda principale, vanno poste a carico della parte che, rimasta soccombente, abbia provocato e giustificato la chiamata in garanzia, trovando tale statuizione adeguata giustificazione nel principio di causalità, che governa la regolamentazione delle spese di lite, anche se l'attore soccombente non abbia formulato alcuna domanda nei confronti del terzo, salvo che l'iniziativa del chiamante si riveli palesemente arbitraria”(ex multis, Cass. n. 23213/19); devono essere poste a carico di parte attrice, in ragione della sua prevalente soccombenza, nei rapporti con il convenuto, in ragione di un quarto, ricorrendo, invece, i presupposti della soccombenza parziale reciproca di cui all'art. 92, comma 2 c.p.c., nella versione ratione temporis applicabile alla presente fattispecie, legittimante la compensazione dei restanti tre quarti, in adesione al consolidato orientamento giurisprudenziale che considera la soccombenza parziale dell'attore – ancorché soltanto sul quantum - alla stregua di soccombenza reciproca (Cass. sent. n. 22381/09: “La nozione di soccombenza reciproca, che consente la compensazione parziale o totale tra le parti delle spese processuali (art. 92, secondo comma, cod. proc. civ.), sottende – anche in relazione al principio di causalità – una pluralità di domande contrapposte, accolte o rigettate e che si siano trovate in cumulo nel medesimo processo fra le stesse parti ovvero anche l'accoglimento parziale dell'unica domanda proposta, allorché essa sia stata articolata in più capi e ne siano stati accolti uno o alcuni e rigettati gli altri ovvero quando la parzialità dell'accoglimento sia meramente quantitativa e riguardi una domanda articolata in un unico capo”; Cass. ord. n. 134/13).

Per le medesime ragioni suesposte, le spese di CTU, come liquidate con separato decreto in corso di causa, dovranno essere poste in via definitiva a carico di entrambe le parti convenuta e attrice, in ragione di metà per ciascuna, stante la reciprocità della soccombenza di entrambe sulla specifica domanda cui atteneva l'indagine peritale, dovendosi invece ritenere esclusa da tali spese la terza chiamata, rimasta estranea alla causa riconvenzionale. 

PQM 

Il Tribunale di Firenze, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, deduzione ed eccezione assorbita e/o disattesa: rigetta la domanda di risarcimento avanzata da parte di omissis Srl nei confronti del geom. omissis; condanna omissis alla corresponsione, in favore del geom. omissis, di euro 3.035, oltre oneri di legge e interessi legali (ex d.lgs. n. 231/02) a far data dal 13/06/12; condanna omissis Srl alla rifusione, in favore di Assicurazioni omissis Spa, delle spese di lite, che liquida in euro 13.430,00 oltre IVA e CPA come per legge e oltre spese generali forfetarie; dichiara compensate le spese di lite tra le parti omissis Srl e geom. omissis in ragione di tre quarti e condanna omissis Srl alla rifusione, in favore del geom. omissis, del restante quarto, che liquida in euro 4.167,5, oltre IVA e CPA come per legge e oltre spese generali forfetarie, con distrazione in favore del procuratore dichiaratosi antistatario; pone in via definitiva a carico paritario delle parti attrice e convenuta le spese di CTU, come liquidate con separato decreto in corso di causa.


AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

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