DIRITTO D'AUTORE


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30 novembre 2022

39/22. Mediazione demandata, termine di 15 giorni, natura non perentoria: ai fini della condizione di procedibilità rileva l’utile esperimento della procedura entro l'udienza fissata dal giudice (Osservatorio Mediazione Civile n. 39/2022)

=> Corte di Cassazione, 14 dicembre 2021 n. 40035 

Il legislatore ha inteso riconnettere la statuizione giudiziale sulla procedibilità della domanda al solo evento dell'esperimento del procedimento di mediazione e non al mancato rispetto del termine di presentazione della domanda di mediazione. Tale lettura appare coerente con la riconosciuta natura non perentoria del termine di quindici giorni, fissato dal giudice (in coerenza con la sistematica interpretazione delle disposizioni sulla mediazione e con la finalità della mediazione demandata dal giudice in corso di causa). Va quindi elaborato il seguente principio di diritto: ai fini della sussistenza della condizione di procedibilità di cui al D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, commi 2 e 2 bis, ciò che rileva nei casi di mediazione obbligatoria ope iudicis è l'utile esperimento, entro l'udienza di rinvio fissata dal giudice, della procedura di mediazione, da intendersi quale primo incontro delle parti innanzi al mediatore e conclusosi senza l'accordo, e non già l'avvio di essa nel termine di quindici giorni indicato dal medesimo giudice delegante con l'ordinanza che dispone la mediazione (I).

(I) Si veda l’art. 5, commi 2 e 2-bis, D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 (Osservatorio Mediazione Civile n. 38/2018).

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 39/2022
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

Corte di Cassazione
Sezione II
sentenza n. 40035
14 dicembre 2022

Omissis 

Con il primo motivo il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 152 e 154 c.p.c., in relazione del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 2, per avere la sentenza impugnata affermato la perentorietà del termine assegnato per l'instaurazione della mediazione.

Si contesta cioè che la corte abbia erroneamente ritenuto il termine previsto del D.Lgs. n. 28 del 2020, art. 5, comma 2, quale termine endoprocessuale mentre, in realtà, ad esso non si applicherebbe la disciplina prevista dall'art. 152 c.p.c. e l'effettivo esperimento del procedimento di mediazione vale a sanare la sua eventuale tardività.

Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli art. 152 e 154 c.p.c., per avere la corte territoriale erroneamente disatteso la censura proposta dagli appellanti in ordine al carattere indeterminato del termine di quindici giorni per l'avvio della mediazione, per essere stato, nel caso di specie, il termine agganciato non ad una data certa ma a quella di effettivo deposito della CTU.

Parimenti si ritiene errata la conclusione che comunque la mediazione non risultava avviata neanche a seguito della comunicazione dell'ordinanza con cui si anticipava l'udienza di settembre, comunicazione che implicava l'avvenuto deposito della CTU.

Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 4, lett. a), per avere la pronuncia della corte felsinea ritenuto che la parte onerata dell'avvio della procedura di mediazione delegata era l'opponente.

Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 2 e art. 6, per avere la corte territoriale escluso il valore sostanziale della mediazione tardiva ritenendo l'interpretazione proposta dagli appellanti fondata sulla radicale inutilità del termine legale, a prescindere dalla sua natura perentoria od ordinatoria.

I quattro motivi riguardando, seppure sotto diversi aspetti, la medesima questione dell'operatività della mediazione demandata quale condizione di procedibilità ai sensi del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, commi 2 e 2 bis e art. 6, possono essere trattati congiuntamente.

Le censure sono fondate per quanto di seguito considerato.

Esse richiamano l'attenzione della Corte sull'interpretazione della disciplina riguardante la mediazione obbligatoria ope iudicis o demandata dal giudice come stabilita nell'ambito del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, commi 2 e 2 bis e art. 6.

La normativa introdotta con il D.Lgs. n. 28 del 2010, ed aggiornata con il D.L. n. 69 del 2013, conv. con modificazioni nella L. n. 98 del 2013, prevede all'art. 5, commi 2 e 2 bis che: "2. Fermo quanto previsto dal comma 1-bis e salvo quanto disposto dai commi 3 e 4, il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell'istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l'esperimento del procedimento di mediazione; in tal caso, l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello. Il provvedimento di cui al periodo precedente è adottato prima dell'udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista, prima della discussione della causa. Il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'art. 6 e, quando la mediazione non è già stata avviata, assegna contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione. 2-bis. Quando l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l'accordo".

L'art. 6 prevede che: "1. Il procedimento di mediazione ha una durata non superiore a tre mesi. 2. Il termine di cui al comma 1, decorre dalla data di deposito della domanda di mediazione, ovvero dalla scadenza di quello fissato dal giudice per il deposito della stessa e, anche nei casi in cui il giudice dispone il rinvio della causa ai sensi del sesto o del settimo periodo del comma 1-bis dell'art. 5, ovvero ai sensi dell'art. 5, comma 2, non è soggetto a sospensione feriale".

La novella del 2013 ha attribuito al giudice il potere di invitare le parti ad attivare la mediazione anche nelle materie per le quali del Decreto n. 28 del 2010, art. 5, esclude l'obbligatorietà, indipendentemente dalla loro adesione, originariamente richiesta. Il provvedimento può essere adottato, anche in appello, fino all'udienza di precisazione delle conclusioni o, se non prevista, fino alla discussione della causa anche nei casi in cui l'attore prima dell'introduzione del giudizio abbia già (inutilmente) esperito il tentativo obbligatorio.

La disciplina dispone che ove il giudice, in ragione della natura, lo stato dell'istruttoria ed il comportamento delle parti, ritenga che la causa presenti indici di mediabilità e possa, quindi, essere definita mediante un accordo amichevole attraverso l'elaborazione di una proposta, dispone l'invio delle parti in mediazione senza necessità di raccogliere il consenso delle parti,

cosicché accanto alla mediazione obbligatoria ope legis è prevista una mediazione obbligatoria ope iudicis. Ove il giudice disponga in tal senso, l'esperimento della mediazione diviene condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

Sulla concreta operatività di tale parentesi non giurisdizionale all'interno del processo, il legislatore si è limitato a prevedere che il giudice, indicate le suddette ragioni, fissi l'udienza successiva alla scadenza del termine (inizialmente di quattro ma dopo la riforma del 2013) di tre mesi previsto per la durata della mediazione dal D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 6 e, ove essa non sia stata già avviata, assegna altresì il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda.

La giurisprudenza di merito, chiamata a pronunciarsi su come debba essere inteso il suddetto termine, sulle conseguenze del mancato rispetto dello stesso, ha assunto differenti posizioni interpretative.

In alcuni casi è stato ritenuto che il termine di quindici giorni sia ordinatorio, in altri che sia perentorio, in altri ancora che non si tratti di un termine endoprocessuale con conseguente inapplicabilità dell'art. 152 c.p.c..

Anche la dottrina ha approfondito la questione della natura del termine e le conseguenze del suo mancato rispetto, pervenendo in prevalenza alla soluzione che l'inutile decorso del termine di quindici giorni per l'attivazione del tentativo di mediazione non determini l'improcedibilità della domanda giudiziale ove il procedimento sia stato, comunque, attivato in tempo utile o si sia concluso prima dell'udienza fissata per la prosecuzione del giudizio.

La soluzione che si adotta ha, inevitabilmente, differenti ricadute sul riconoscimento della prevista condizione di procedibilità e sulla relativa declaratoria di improcedibilità della domanda giudiziale, ricollegandola cioè alla mancata presentazione della domanda nel suddetto termine, ove ritenuto perentorio, passando in secondo piano la circostanza dell'effettivo svolgimento della mediazione.

La Corte ha già fornito, in tema di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda, alcune soluzioni interpretative.

In particolare, con la sentenza n. 8473/2019, la Corte ha affermato che la condizione di procedibilità può ritenersi realizzata al termine del primo incontro davanti al mediatore, qualora una o entrambe le parti, richieste dal mediatore dopo essere state adeguatamente informate sulla mediazione, comunichino la propria indisponibilità di procedere oltre.

Le Sezioni Unite civili hanno poi, con la sentenza n. 19596/2020, chiarito che la parte onerata della presentazione della domanda di mediazione obbligatoria ai sensi del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 1 bis, nei casi di opposizione a decreto ingiuntivo, sia il creditore opposto per la assorbente considerazione che essa è "condizione di procedibilità della domanda giudiziale" che è quella sostanziale del ricorrente in monitorio (cfr. Cass. 159/2021), cui possono aggiungersi, nei limiti consentiti, altre domande proposte in via riconvenzionale dall'opponente.

In questo contesto giurisprudenziale viene ora all'attenzione della Corte la fattispecie della mediazione delegata, in cui cioè non si verte nelle materie indicate nel D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 1 bis, ma sempre nell'ambito di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, nel corso del quale, decisa la sospensione della provvisoria esecutorietà, assegnati i termini ex art. 183 c.p.c., comma 6, all'esito della decisione sulla provvisoria esecutorietà e dello svolgimento della CTU, il giudice ha discrezionalmente disposto l'avvio delle parti in mediazione (cfr. Cass. 2775/2020), fissando l'udienza successiva ed assegnando il termine di 15 giorni dal deposito della CTU per la presentazione della domanda di avvio del procedimento di mediazione.

Ebbene, ritiene la Corte che in tale evenienza, al fine di stabilire se si sia verificata o meno la condizione di procedibilità della domanda giudiziale, debba aversi riguardo alla specifica prescrizione di legge secondo la quale "l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda" (D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 2, seconda parte del primo periodo,) e ancora "quando l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l'accordo" (D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 2 bis).

Si tratta di univoche indicazioni con le quali il legislatore ha inteso riconnettere la statuizione giudiziale sulla procedibilità della domanda al solo evento dell'esperimento del procedimento di mediazione e non al mancato rispetto del termine di presentazione della domanda di mediazione.

Esse appaiono la chiave di volta per la ricostruzione interpretativa della normativa sulla mediazione demandata perché indicano il necessario parametro di riferimento cui agganciare la declaratoria giudiziale di improcedibilità della domanda giudiziale.

Tale lettura appare coerente con la riconosciuta natura non perentoria del termine di quindici giorni, fissato dal giudice ai sensi del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 2, e tale rimasto anche nella disciplina risultata a seguito della riforma legislativa del 2013, che non è intervenuta sul punto.

La diversa conclusione non ha il conforto dell'art. 152 c.p.c., comma 2, non essendovi indicazione legislativa in tal senso.

Il D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 2, non prevede poi espressamente l'adozione di pronuncia di improcedibilità a seguito del mancato esperimento del procedimento di mediazione delegata entro il termine di quindici giorni.

L'attivazione della mediazione delegata non costituisce peraltro attività giurisdizionale e, quindi, appare effettivamente impropria l'applicazione di termini perentori in mancanza di espresse previsioni in tal senso.

Inoltre, l'adozione della sanzione della decadenza richiede una manifestazione di volontà espressa dal legislatore non desumibile dalla disciplina sulla mediazione.

Ancora, la natura non perentoria trova conforto nella previsione che il giudice deve fissare una successiva udienza tenendo conto della scadenza del termine massimo della durata della mediazione.

Anche la ratio legis sottesa alla mediazione obbligatoria ope iudicis e cioè la ricerca della soluzione migliore possibile per le parti, dato un certo stato di avanzamento della lite e certe sue caratteristiche, mal si concilia con la tesi della natura perentoria del termine, che finirebbe per giustificare il paradosso di non poter considerare utilmente esperite le mediazioni conclusesi senza pregiudizio per il prosieguo del processo solo perché tardivamente attivate, e così escludendo in un procedimento deformalizzato qual è quello di mediazione l'operatività del generale principio del raggiungimento dello scopo.

Appare, pertanto, più coerente con la sistematica interpretazione delle disposizioni sulla mediazione e con la finalità della mediazione demandata dal giudice in corso di causa privilegiare la verifica dell'effettivo esperimento della mediazione.

Tale verifica deve svolgersi all'udienza fissata dal giudice con il provvedimento con cui aveva disposto l'invio delle parti in mediazione.

Se in quella udienza risulta che vi sia stato il primo incontro dinanzi al mediatore conclusosi senza l'accordo (D.Lgs. n. 28 del 2010, ex art. 5, comma 2 bis), il giudice non potrà che accertare l'avveramento della condizione di procedibilità e proseguire il giudizio.

Così intesa, la norma raggiunge lo scopo cui è rivolta e cioè favorire, ove possibile ed in termini effettivi, forme alternative ma altrettanto satisfattive di tutela mediante la composizione amichevole delle liti ed al contempo conferma il carattere di extrema ratio che il legislatore della mediazione riconosce, in prospettiva deflattiva, alla tutela giurisdizionale.

Tale interpretazione risulta altresì conforme al principio della ragionevole durata del processo, perché la verifica all'udienza fissata D.Lgs. n. 28 del 2010, ex art. 5, comma 2, è già ricompresa nell'intervallo temporale delimitato dalla previsione del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 7, a mente del quale "Il periodo di cui all'art. 6 e il periodo del rinvio disposto dal giudice ai sensi dell'art. 5, commi 1-bis e 2, non si computano ai fini di cui della L. 24 marzo 2001, n. 89,

art. 2".

Resta inteso, nel quadro interpretativo così delineato, che ove l'udienza di verifica sia stata fissata subito dopo la scadenza del termine di durata della mediazione, ai sensi del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 6, senza che il procedimento sia stato iniziato o comunque si sia concluso per una colpevole inerzia iniziale della parte, che ha ritardato la presentazione della istanza, quest'ultima si espone al rischio che la sua domanda giudiziale sia dichiarata improcedibile, a causa del mancato esperimento della mediazione entro il termine di durata della procedura previsto per legge.

In tale prospettiva ermeneutica la Corte si è già posta, riconoscendo rilevanza all'effettivo esperimento della mediazione delegata a seguito dell'invito in tale senso rivolto dal giudice ed a prescindere dalla specifica indicazione del termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione, osservando che esso costituisce un termine fisso la cui mancanza può costituire al più una formale irregolarità (cfr. Cass. 2775/2020).

In conclusione, dunque, ritiene il collegio che le considerazioni sin qui sviluppate conducano ad elaborare il seguente principio di diritto: Ai fini della sussistenza della condizione di procedibilità di cui al D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, commi 2 e 2 bis, ciò che rileva nei casi di mediazione obbligatoria ope iudicis è l'utile esperimento, entro l'udienza di rinvio fissata dal giudice, della procedura di mediazione, da intendersi quale primo incontro delle parti innanzi al mediatore e conclusosi senza l'accordo, e non già l'avvio di essa nel termine di quindici giorni indicato dal medesimo giudice delegante con l'ordinanza che dispone la mediazione.

Ciò posto, nel caso di specie non vi è dubbio che il procedimento di mediazione ha avuto luogo entro l'udienza del 21 settembre 2016, fissata con il provvedimento che l'ha disposta e che, pertanto, non poteva essere pronunciata l'improcedibilità della domanda; il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata cassata con rinvio alla Corte d'appello omissis in diversa composizione, per riesame dell'appello alla luce dell'enunciato principio di diritto e, altresì, per le spese del giudizio di legittimità. 

PQM 

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello omissis, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità. 

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità. 

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