=> Corte di Cassazione, 14 dicembre 2021 n. 40035
Il legislatore ha inteso riconnettere la statuizione giudiziale sulla
procedibilità della domanda al solo evento dell'esperimento del procedimento di
mediazione e non al mancato rispetto del termine di presentazione della domanda
di mediazione. Tale lettura appare coerente con la riconosciuta natura non
perentoria del termine di quindici giorni, fissato dal giudice (in coerenza
con la sistematica interpretazione delle disposizioni sulla mediazione e con la
finalità della mediazione demandata dal giudice in corso di causa). Va quindi elaborato
il seguente principio di diritto: ai fini della sussistenza della condizione
di procedibilità di cui al D.Lgs. n. 28 del
2010, art. 5, commi 2 e 2 bis, ciò che rileva
nei casi di mediazione obbligatoria ope iudicis è l'utile esperimento, entro
l'udienza di rinvio fissata dal giudice, della procedura di mediazione, da
intendersi quale primo incontro delle parti innanzi al mediatore e conclusosi
senza l'accordo, e non già l'avvio di essa nel termine di quindici giorni
indicato dal medesimo giudice delegante con l'ordinanza che dispone la
mediazione (I).
(I) Si veda l’art. 5, commi 2 e 2-bis, D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 (Osservatorio Mediazione Civile n. 38/2018).
Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 39/2022(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)
Omissis
Con il primo motivo il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1,
n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 152 e 154 c.p.c., in
relazione del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 2, per avere la sentenza
impugnata affermato la perentorietà del termine assegnato per l'instaurazione
della mediazione.
Si contesta cioè che la corte abbia erroneamente ritenuto il termine
previsto del D.Lgs. n. 28 del 2020, art. 5, comma 2, quale termine
endoprocessuale mentre, in realtà, ad esso non si applicherebbe la disciplina
prevista dall'art. 152 c.p.c. e l'effettivo esperimento del procedimento di
mediazione vale a sanare la sua eventuale tardività.
Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c.,
comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli art. 152 e 154 c.p.c.,
per avere la corte territoriale erroneamente disatteso la censura proposta
dagli appellanti in ordine al carattere indeterminato del termine di quindici
giorni per l'avvio della mediazione, per essere stato, nel caso di specie, il
termine agganciato non ad una data certa ma a quella di effettivo deposito della
CTU.
Parimenti si ritiene errata la conclusione che comunque la mediazione
non risultava avviata neanche a seguito della comunicazione dell'ordinanza con
cui si anticipava l'udienza di settembre, comunicazione che implicava
l'avvenuto deposito della CTU.
Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c.,
comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 28 del 2010,
art. 5, comma 4, lett. a), per avere la pronuncia della corte felsinea ritenuto
che la parte onerata dell'avvio della procedura di mediazione delegata era
l'opponente.
Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c.,
comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 28 del 2010,
art. 5, comma 2 e art. 6, per avere la corte territoriale escluso il valore
sostanziale della mediazione tardiva ritenendo l'interpretazione proposta dagli
appellanti fondata sulla radicale inutilità del termine legale, a prescindere
dalla sua natura perentoria od ordinatoria.
I quattro motivi riguardando, seppure sotto diversi aspetti, la
medesima questione dell'operatività della mediazione demandata quale condizione
di procedibilità ai sensi del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, commi 2 e 2 bis e
art. 6, possono essere trattati congiuntamente.
Le censure sono fondate per quanto di seguito considerato.
Esse richiamano l'attenzione della Corte sull'interpretazione della
disciplina riguardante la mediazione obbligatoria ope iudicis o demandata dal
giudice come stabilita nell'ambito del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, commi 2 e
2 bis e art. 6.
La normativa introdotta con il D.Lgs. n. 28 del 2010, ed aggiornata con
il D.L. n. 69 del 2013, conv. con modificazioni nella L. n. 98 del 2013,
prevede all'art. 5, commi 2 e 2 bis che: "2. Fermo quanto previsto dal
comma 1-bis e salvo quanto disposto dai commi 3 e 4, il giudice, anche in sede
di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell'istruzione
e il comportamento delle parti, può disporre l'esperimento del procedimento di mediazione;
in tal caso, l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità
della domanda giudiziale anche in sede di appello. Il provvedimento di cui al periodo
precedente è adottato prima dell'udienza di precisazione delle conclusioni
ovvero, quando tale udienza non è prevista, prima della discussione della
causa. Il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di
cui all'art. 6 e, quando la mediazione non è già stata avviata, assegna
contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione
della domanda di mediazione. 2-bis. Quando l'esperimento del procedimento di
mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione
si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude
senza l'accordo".
L'art. 6 prevede che: "1. Il procedimento di mediazione ha una
durata non superiore a tre mesi. 2. Il termine di cui al comma 1, decorre dalla
data di deposito della domanda di mediazione, ovvero dalla scadenza di quello
fissato dal giudice per il deposito della stessa e, anche nei casi in cui il
giudice dispone il rinvio della causa ai sensi del sesto o del settimo periodo
del comma 1-bis dell'art. 5, ovvero ai sensi dell'art. 5, comma 2, non è
soggetto a sospensione feriale".
La novella del 2013 ha attribuito al giudice il potere di invitare le
parti ad attivare la mediazione anche nelle materie per le quali del Decreto n.
28 del 2010, art. 5, esclude l'obbligatorietà, indipendentemente dalla loro
adesione, originariamente richiesta. Il provvedimento può essere adottato,
anche in appello, fino all'udienza di precisazione delle conclusioni o, se non
prevista, fino alla discussione della causa anche nei casi in cui l'attore prima
dell'introduzione del giudizio abbia già (inutilmente) esperito il tentativo
obbligatorio.
La disciplina dispone che ove il giudice, in ragione della natura, lo
stato dell'istruttoria ed il comportamento delle parti, ritenga che la causa
presenti indici di mediabilità e possa, quindi, essere definita mediante un
accordo amichevole attraverso l'elaborazione di una proposta, dispone l'invio
delle parti in mediazione senza necessità di raccogliere il consenso delle
parti,
cosicché accanto alla mediazione obbligatoria ope legis è prevista una
mediazione obbligatoria ope iudicis. Ove il giudice disponga in tal senso,
l'esperimento della mediazione diviene condizione di procedibilità della
domanda giudiziale.
Sulla concreta operatività di tale parentesi non giurisdizionale
all'interno del processo, il legislatore si è limitato a prevedere che il
giudice, indicate le suddette ragioni, fissi l'udienza successiva alla scadenza
del termine (inizialmente di quattro ma dopo la riforma del 2013) di tre mesi
previsto per la durata della mediazione dal D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 6 e,
ove essa non sia stata già avviata, assegna altresì il termine di quindici
giorni per la presentazione della domanda.
La giurisprudenza di merito, chiamata a pronunciarsi su come debba
essere inteso il suddetto termine, sulle conseguenze del mancato rispetto dello
stesso, ha assunto differenti posizioni interpretative.
In alcuni casi è stato ritenuto che il termine di quindici giorni sia
ordinatorio, in altri che sia perentorio, in altri ancora che non si tratti di
un termine endoprocessuale con conseguente inapplicabilità dell'art. 152
c.p.c..
Anche la dottrina ha approfondito la questione della natura del termine
e le conseguenze del suo mancato rispetto, pervenendo in prevalenza alla
soluzione che l'inutile decorso del termine di quindici giorni per
l'attivazione del tentativo di mediazione non determini l'improcedibilità della
domanda giudiziale ove il procedimento sia stato, comunque, attivato in tempo
utile o si sia concluso prima dell'udienza fissata per la prosecuzione del
giudizio.
La soluzione che si adotta ha, inevitabilmente, differenti ricadute sul
riconoscimento della prevista condizione di procedibilità e sulla relativa declaratoria
di improcedibilità della domanda giudiziale, ricollegandola cioè alla mancata
presentazione della domanda nel suddetto termine, ove ritenuto perentorio,
passando in secondo piano la circostanza dell'effettivo svolgimento della
mediazione.
La Corte ha già fornito, in tema di mediazione quale condizione di
procedibilità della domanda, alcune soluzioni interpretative.
In particolare, con la sentenza n. 8473/2019, la Corte ha affermato che
la condizione di procedibilità può ritenersi realizzata al termine del primo
incontro davanti al mediatore, qualora una o entrambe le parti, richieste dal
mediatore dopo essere state adeguatamente informate sulla mediazione,
comunichino la propria indisponibilità di procedere oltre.
Le Sezioni Unite civili hanno poi, con la sentenza n. 19596/2020,
chiarito che la parte onerata della presentazione della domanda di mediazione
obbligatoria ai sensi del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 1 bis, nei casi
di opposizione a decreto ingiuntivo, sia il creditore opposto per la assorbente
considerazione che essa è "condizione di procedibilità della domanda
giudiziale" che è quella sostanziale del ricorrente in monitorio (cfr.
Cass. 159/2021), cui possono aggiungersi, nei limiti consentiti, altre domande
proposte in via riconvenzionale dall'opponente.
In questo contesto giurisprudenziale viene ora all'attenzione della
Corte la fattispecie della mediazione delegata, in cui cioè non si verte nelle
materie indicate nel D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 1 bis, ma sempre
nell'ambito di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, nel corso del
quale, decisa la sospensione della provvisoria esecutorietà, assegnati i
termini ex art. 183 c.p.c., comma 6, all'esito della decisione sulla
provvisoria esecutorietà e dello svolgimento della CTU, il giudice ha
discrezionalmente disposto l'avvio delle parti in mediazione (cfr. Cass.
2775/2020), fissando l'udienza successiva ed assegnando il termine di 15 giorni
dal deposito della CTU per la presentazione della domanda di avvio del procedimento
di mediazione.
Ebbene, ritiene la Corte che in tale evenienza, al fine di stabilire se
si sia verificata o meno la condizione di procedibilità della domanda
giudiziale, debba aversi riguardo alla specifica prescrizione di legge secondo
la quale "l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di
procedibilità della domanda" (D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 2,
seconda parte del primo periodo,) e ancora "quando l'esperimento del procedimento
di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione
si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude
senza l'accordo" (D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 2 bis).
Si tratta di univoche indicazioni con le quali il legislatore ha inteso
riconnettere la statuizione giudiziale sulla procedibilità della domanda al
solo evento dell'esperimento del procedimento di mediazione e non al mancato
rispetto del termine di presentazione della domanda di mediazione.
Esse appaiono la chiave di volta per la ricostruzione interpretativa
della normativa sulla mediazione demandata perché indicano il necessario
parametro di riferimento cui agganciare la declaratoria giudiziale di
improcedibilità della domanda giudiziale.
Tale lettura appare coerente con la riconosciuta natura non perentoria
del termine di quindici giorni, fissato dal giudice ai sensi del D.Lgs. n. 28
del 2010, art. 5, comma 2, e tale rimasto anche nella disciplina risultata a
seguito della riforma legislativa del 2013, che non è intervenuta sul punto.
La diversa conclusione non ha il conforto dell'art. 152 c.p.c., comma
2, non essendovi indicazione legislativa in tal senso.
Il D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 2, non prevede poi
espressamente l'adozione di pronuncia di improcedibilità a seguito del mancato
esperimento del procedimento di mediazione delegata entro il termine di
quindici giorni.
L'attivazione della mediazione delegata non costituisce peraltro
attività giurisdizionale e, quindi, appare effettivamente impropria
l'applicazione di termini perentori in mancanza di espresse previsioni in tal
senso.
Inoltre, l'adozione della sanzione della decadenza richiede una
manifestazione di volontà espressa dal legislatore non desumibile dalla
disciplina sulla mediazione.
Ancora, la natura non perentoria trova conforto nella previsione che il
giudice deve fissare una successiva udienza tenendo conto della scadenza del
termine massimo della durata della mediazione.
Anche la ratio legis sottesa alla mediazione obbligatoria ope iudicis e
cioè la ricerca della soluzione migliore possibile per le parti, dato un certo
stato di avanzamento della lite e certe sue caratteristiche, mal si concilia
con la tesi della natura perentoria del termine, che finirebbe per giustificare
il paradosso di non poter considerare utilmente esperite le mediazioni conclusesi
senza pregiudizio per il prosieguo del processo solo perché tardivamente
attivate, e così escludendo in un procedimento deformalizzato qual è quello di
mediazione l'operatività del generale principio del raggiungimento dello scopo.
Appare, pertanto, più coerente con la sistematica interpretazione delle
disposizioni sulla mediazione e con la finalità della mediazione demandata dal
giudice in corso di causa privilegiare la verifica dell'effettivo esperimento
della mediazione.
Tale verifica deve svolgersi all'udienza fissata dal giudice con il
provvedimento con cui aveva disposto l'invio delle parti in mediazione.
Se in quella udienza risulta che vi sia stato il primo incontro dinanzi
al mediatore conclusosi senza l'accordo (D.Lgs. n. 28 del 2010, ex art. 5,
comma 2 bis), il giudice non potrà che accertare l'avveramento della condizione
di procedibilità e proseguire il giudizio.
Così intesa, la norma raggiunge lo scopo cui è rivolta e cioè favorire,
ove possibile ed in termini effettivi, forme alternative ma altrettanto
satisfattive di tutela mediante la composizione amichevole delle liti ed al
contempo conferma il carattere di extrema ratio che il legislatore della
mediazione riconosce, in prospettiva deflattiva, alla tutela giurisdizionale.
Tale interpretazione risulta altresì conforme al principio della
ragionevole durata del processo, perché la verifica all'udienza fissata D.Lgs.
n. 28 del 2010, ex art. 5, comma 2, è già ricompresa nell'intervallo temporale
delimitato dalla previsione del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 7, a mente del
quale "Il periodo di cui all'art. 6 e il periodo del rinvio disposto dal
giudice ai sensi dell'art. 5, commi 1-bis e 2, non si computano ai fini di cui
della L. 24 marzo 2001, n. 89,
art. 2".
Resta inteso, nel quadro interpretativo così delineato, che ove
l'udienza di verifica sia stata fissata subito dopo la scadenza del termine di
durata della mediazione, ai sensi del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 6, senza che
il procedimento sia stato iniziato o comunque si sia concluso per una colpevole
inerzia iniziale della parte, che ha ritardato la presentazione della istanza,
quest'ultima si espone al rischio che la sua domanda giudiziale sia dichiarata improcedibile,
a causa del mancato esperimento della mediazione entro il termine di durata della
procedura previsto per legge.
In tale prospettiva ermeneutica la Corte si è già posta, riconoscendo
rilevanza all'effettivo esperimento della mediazione delegata a seguito
dell'invito in tale senso rivolto dal giudice ed a prescindere dalla specifica
indicazione del termine di quindici giorni per la presentazione della domanda
di mediazione, osservando che esso costituisce un termine fisso la cui mancanza
può costituire al più una formale irregolarità (cfr. Cass. 2775/2020).
In conclusione, dunque, ritiene il collegio che le considerazioni sin
qui sviluppate conducano ad elaborare il seguente principio di diritto: Ai fini
della sussistenza della condizione di procedibilità di cui al D.Lgs. n. 28 del
2010, art. 5, commi 2 e 2 bis, ciò che rileva nei casi di mediazione
obbligatoria ope iudicis è l'utile esperimento, entro l'udienza di rinvio
fissata dal giudice, della procedura di mediazione, da intendersi quale primo
incontro delle parti innanzi al mediatore e conclusosi senza l'accordo, e non
già l'avvio di essa nel termine di quindici giorni indicato dal medesimo
giudice delegante con l'ordinanza che dispone la mediazione.
Ciò posto, nel caso di specie non vi è dubbio che il procedimento di mediazione ha avuto luogo entro l'udienza del 21 settembre 2016, fissata con il provvedimento che l'ha disposta e che, pertanto, non poteva essere pronunciata l'improcedibilità della domanda; il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata cassata con rinvio alla Corte d'appello omissis in diversa composizione, per riesame dell'appello alla luce dell'enunciato principio di diritto e, altresì, per le spese del giudizio di legittimità.
PQM
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello omissis, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.