DIRITTO D'AUTORE


Tutti i testi e le massime giurisprudenziali sono coperti da diritto d’autore. Uso consentito citando la fonte con relativo link. Pregasi segnalare la citazione.

28 febbraio 2022

6/22. Riforma del processo civile, mediazione. DI CAMPLI (Consigliere CNF): in arrivo aumenti compensi all’Avvocato per le conciliazioni (Osservatorio Mediazione Civile n. 6/2022)

Omissis 

L’avv. DI CAMPLI ha spiegato come il parere del Consiglio di stato espresso il 17.2.2022 sullo schema di decreto del ministero della giustizia per l'aggiornamento dei parametri forensi su proposta del CNF abbia recepito la proposta del Consiglio Nazionale, prevedendo un “aumento del compenso per la mediazione e le negoziazione assistita per le due fasi della negoziazione e della conciliazione”. Si prevede – ha proseguito l’autorevole ospite dell’evento curato dal Centro Studi Diritto Avanzato, in partnership con la Rivista La Nuova Procedura Civile – “per la conciliazione in sede giudiziale, quindi per la transazione, un compenso pari a quello previsto per la fase decisionale e con un aumento di un quarto (…)”. 

Omissis

È possibile consultare il documento integrale, gratuitamente, al seguente URL: http://www.dirittoavanzato.it/2022/02/mediazione-presente-e-futuro-intervista.html 

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 6/2022
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

5/22. Tardiva attivazione del procedimento, ma conclusione entro l'udienza di rinvio disposto dal giudice: improcedibilità della domanda? (Osservatorio Mediazione Civile n. 5/2022)

=> Tribunale di Civitavecchia, 24 maggio 2021 

È destituita di fondamento l’eccezione di improcedibilità della domanda per tardiva attivazione del procedimento di mediazione obbligatoria disposto dal giudice, ai sensi dell'art. 5, comma 2, d.lgs. n. 28 del 2010, atteso che il termine di quindici giorni assegnato è da ritenersi ordinatorio e non perentorio, e la sanzione della improcedibilità della domanda giudiziale non può essere pronunciata se, pur essendo la mediazione stata iniziata in ritardo, il procedimento è comunque stato avviato e concluso entro l'udienza di rinvio ed il mancato rispetto del termine non ha quindi inciso sulla effettuazione del tentativo di mediazione e sull'avveramento della condizione di procedibilità (I).  

(I) Si veda l’art. 5, comma 2, D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 (Osservatorio Mediazione Civile n. 38/2018).

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 5/2022
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

Tribunale di Civitavecchia
sentenza
24 maggio 2021

Omissis 

Osserva preliminarmente il Tribunale che è destituita di fondamento l’eccezione di improcedibilità della domanda avanzata dai convenuti con la memoria ex art. 183 sesto comma n. 1 c.p.c. per tardiva attivazione del procedimento di mediazione obbligatoria disposto dal giudice, ai sensi dell'art. 5,2°. comma, D.Lgs. n. 28 del 2010, atteso che il termine di quindici giorni assegnato è da ritenersi ordinatorio e non perentorio, e la sanzione della improcedibilità della domanda giudiziale non può essere pronunciata se, pur essendo la mediazione stata iniziata in ritardo, il procedimento è comunque stato avviato e concluso entro l'udienza di rinvio ed il mancato rispetto del termine non ha quindi inciso sulla effettuazione del tentativo di mediazione e sull'avveramento della condizione di procedibilità.

Rileva ancora preliminarmente lo scrivente magistrato che l’attuale disponibilità, in capo ai convenuti, della consistenza immobiliare per cui è lite – come innanzi individuata– non è oggetto di contestazione tra le parti e può pertanto ritenersi circostanza pacifica e provata [art. 115 c.p.c.].

Ciò premesso, osserva il Tribunale che la domanda giudiziale – da qualificarsi come azione di rivendicazione ai sensi dell’art. 948 c.c.– è infondata e deve essere rigettata, per i motivi di seguito precisati [sulla qualificazione della domanda, che rientra nei compiti propri del giudice del merito, il quale è chiamato ad accertarne la portata non solo sulla base della sua formulazione letterale, ma, soprattutto, del suo contenuto sostanziale, in relazione alle finalità perseguite dalla parte ed al provvedimento richiesto in concreto, desumibile dalla situazione dedotta in causa e delle eventuali precisazioni formulate nel corso del giudizio, cfr. Cass. 3879/1987 e Cass. S.U. 27/2000; quanto alla individuazione in concreto del “perimetro” dell’azione reale di rivendicazione, cfr. il principio espresso in Cass. S.U. 7305/2014].

Nel caso di specie, valutata la qualificazione giuridica della domanda nei termini anzidetti e, considerata altresì la specifica contestazione sul punto svolta dai conventi che non consente una attenuazione del rigore probatorio [“il rigore della regola secondo cui chi agisce in rivendicazione deve provare la sussistenza del proprio diritto di proprietà o di altro diritto reale sul bene anche attraverso i propri danti causa, fino a risalire ad un acquisto a titolo originario o dimostrando il compimento dell’usucapione, non riceve attenuazione per il fatto che la controparte proponga domanda riconvenzionale ovvero eccezione di usucapione, in quanto chi è convenuto nel giudizio di rivendicazione non ha l’onere di fornire alcuna prova, potendo avvalersi del principio “possideo quia possideo”, anche nel caso in cui opponga un proprio diritto di dominio sulla cosa rivendicata, dal momento che tale difesa non implica alcuna rinuncia alla più vantaggiosa posizione di possessore”. Cfr. Cass, Sez. III, ordinanza n. 14734 del 7 giugno 2018], per l’accoglimento della domanda giudiziale è necessaria la "probatio diabolica" della titolarità del diritto di chi agisce ovvero è necessario che la parte attrice dimostri la proprietà risalendo, anche attraverso i propri danti causa, fino all’acquisto a titolo originario, ovvero dimostrando il compimento dell'usucapione.

L’odierno attore non ha né allegato né dimostrato [art. 2697, c. I, c.c., art. 112 c.p.c.] il compimento, in suo favore, dell’usucapione [né con riferimento al disposto di cui all’art. 1158 c.c. né avuto riguardo ai presupposti della fattispecie di cui all’art. 1159 c.c.].

Il titolo prodotto in atti, secondo la prospettazione attorea idoneo a fornire la prova della proprietà del bene oggetto di lite, è un atto di divisione recante rep.

26259 racc. 14364 del 1988 che ha diviso tra i figli di omissis i beni di proprietà materna caduti in successione.

Ebbene, da un lato deve rilevarsi che detto atto non è idoneo a fornire la prova della titolarità del bene cui si riferisce [cfr. Cass. civ. Sez. II Sent., 10/03/2015, n. 4730 secondo cui “l'atto di divisione, in ragione della sua natura meramente dichiarativa, non è idoneo a fornire la prova della titolarità del bene nei confronti dei terzi, mentre assume rilevanza probatoria nella controversia sulla proprietà tra i condividenti o i loro aventi causa, giacché la divisione, accertando i diritti delle parti sul presupposto di una comunione di beni indivisi, postula necessariamente il riconoscimento dell'appartenenza delle cose in comunione”] e quand’anche si volesse ritenerlo idoneo a fornire la prova del titolo di proprietà, detto atto non attribuisce all’attore il compendio oggetto di causa situato al mappale omissis foglio omissis [art. 5 atto di divisione individua i beni assegnati al omissis] bensì alla sorella omissis [art. 2 del predetto atto].

Dalla documentazione prodotta dalla parte istante, quindi, emerge che l’attore non è proprietario della consistenza immobiliare per cui è lite né in via esclusiva né tantomeno pro quota, la domanda ex art. 948 c.c. è quindi infondata e deve essere rigettata.

Altrettanto infondata è la domanda riconvenzionale svolta dai convenuta, atteso che non risulta maturato il possesso ventennale del compendio oggetto di lite, poiché i coniugi Se. Be. hanno acquistato l’immobile sito omissis, nel cui cortile antistante si trova la porzione di terreno controversa e qualificata come bene comune non censibile, soltanto in data 16.6.1995, pertanto solo da allora può in via astratta ritenersi esercitato un possesso utile ai fini del perfezionarsi dell’usucapione.

Come è noto, per giurisprudenza costante, per poter usucapire un bene comune, il possesso deve essere incompatibile con quello degli altri compossessori: per i beni in "compossesso", infatti, ai fini dell'usucapione, l'utilizzo esclusivo della cosa comune da parte del singolo compossessore non risulta sufficiente, essendo necessaria invece la dimostrazione concreta del possesso esclusivo sul bene comune, apertamente antitetico e chiaramente incompatibile con il possesso altrui, e l'onere della prova grava su colui il quale invoca l'avvenuta usucapione del bene comune (v., tra le altre, Cass. civ. n. 16414/17).

Nel caso di specie i convenuti non hanno fornito la prova del possesso ultraventennale esclusivo del compendio oggetto di causa. Invero la disponibilità che i medesimi avevano della porzione di terreno oggetto del presente giudizio, anche a voler ritenere come dedotto dai convenuti che la recinzione dell’area era avvenuta in data antecedente al 1995, non integrava il possesso rilevante ai fini dell’usucapione, atteso che per stessa ammissione dei coniugi Se.-Be. il rapporto di fatto tra i medesimi e il bene si era instaurato in virtù di contratto di locazione e pertanto era qualificabile come mera detenzione [cfr. Cass. 5551/2005 secondo cui “La presunzione di possesso utile "ad usucapionem" di cui all'art. 1141 cod. civ. non opera quando la relazione con la cosa consegua non ad un atto volontario d'apprensione, ma ad un atto o ad un fatto del proprietario - possessore, poiché l'attività del soggetto che dispone della cosa (configurabile come semplice detenzione o precario) non corrisponde all'esercizio di un diritto reale, non essendo svolta in opposizione al proprietario. In tal caso la detenzione non qualificata di un bene immobile può mutare in possesso solamente all'esito di un atto d'interversione idoneo ad escludere che il persistente godimento sia fondato sul consenso, sia pure implicito, del proprietario concedente”].

Solo successivamente al 16.06.1995, momento in cui gli odierni convenuti sono divenuti proprietari dell’immobile condotto in locazione, può dirsi che i medesimi hanno iniziato ad esercitare l’animus possidendi, ma non risulta ancora maturato il possesso utile ai fini dell’usucapione, risultando il presente giudizio introdotto nel maggio del 2015. Anche la domanda riconvenzionale deve quindi essere rigettata.

La soccombenza reciproca giustifica l’integrale compensazione, tra le parti, delle spese di lite, sussistendo, nel caso di specie, il requisito della cd. “reciproca soccombenza”, ai sensi dell’art. 92, c. II, c.p.c. 

PQM 

Il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa civile in primo grado omissis, disattesa ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione, così decide: rigetta la domanda attorea; rigetta la domanda riconvenzionale; ordina al Conservatore dei Registri Immobiliari territorialmente competente di procedere alla cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale e della domanda riconvenzionale, ove risultino eseguite, con esonero da ogni responsabilità al riguardo, a cura e spese della parte interessata; spese compensate.

 

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

17 febbraio 2022

4/22. Azione revocatoria: no alla mediazione obbligatoria (Osservatorio Mediazione Civile n. 4/2022)

=> Cassazione civile, 23 settembre 2021, n. 25855 

Va enunciato il seguente principio di diritto: l'azione revocatoria, non vertendo sulla qualificazione e attribuzione di diritti reali, avendo solo l'effetto di rendere insensibile, nei confronti dei creditori, l'atto dispositivo a contenuto patrimoniale del debitore, senza incidere sulla validità "inter partes" dell'atto stesso, non rientra fra le controversie assoggettate, a norma del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, art. 5, comma 1 bis, al tentativo obbligatorio di conciliazione (I).  

(I) Si veda l’art. 5, comma 1-bis, D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 (Osservatorio Mediazione Civile n. 38/2018).

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 4/2022
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

Corte di Cassazione
Ordinanza n. 25855
23 settembre 2021

Omissis

Ritenuto il Tribunale di Aosta, accogliendo la domanda omissis, dichiarò inefficace nei confronti di essi attori, ai sensi dell'art. 2901 c.c., il trasferimento in favore di C. della quota di comproprietà del 50% di P. sugli immobili siti in omissis, in seno al verbale di separazione consensuale, omologato dal Tribunale il 15/4/2010;

che la Corte d'appello di Torino, con la sentenza di cui epigrafe, rigettò l'impugnazione proposta dalla C. e dal P.;

che quest'ultimi ricorrono sulla base di cinque motivi avverso la decisione d'appello e che resistono con separati controricorsi: omissis;

considerato che il primo motivo, con il quale i ricorrenti prospettano violazione dell'art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 359 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 4, assumendo che la sentenza impugnata era venuta meno al dovere di rendere compiuta motivazione, avendo acriticamente fatta propria la motivazione di primo grado, non supera lo scrutinio d'ammissibilità, trattandosi di rimprovero privo di effettiva attitudine censuratoria, stante che la doglianza, evitando di confrontarsi con il costrutto motivazionale, peraltro articolato e corposo (da pag. 15 a pag. 23 la decisione prende in puntuale rassegna le censure d'appello), si limita a evocare l'ipotesi, che qui all'evidenza non ricorre, di mancanza di autonomo vaglio critico; per contro, ricorre la nullità della sentenza solo qualora la laconicità della motivazione non consenta di appurare che alla condivisione della decisione di prime cure il giudice d'appello sia pervenuto attraverso l'esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame, previa specifica ed adeguata considerazione delle allegazioni difensive, degli elementi di prova e dei motivi di appello (Sez. 6, n. 22022, 21/9/2017, Rv. 645333);

considerato che il secondo motivo, con il quale i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 1 bis, per non essere stato preceduto l'esercizio dell'azione giudiziaria dal tentativo obbligatorio di conciliazione, è manifestamente privo di fondamento, valendo quanto segue:

- la norma evocata, impone il tentativo di conciliazione, fra le altre, per le controversie in materia di diritti reali; come correttamente colto della sentenza impugnata, qui si tratta di tutt'altra materia, non vertendosi sulla qualificazione e attribuzione di diritti reali (la vicenda traslativa è del tutto estranea alla controversia), bensì in materia di conservazione della garanzia patrimoniale del debitore, sub specie dell'azione revocatoria, la quale, come noto, si limita a rendere insensibile nei confronti dei creditori l'atto dispositivo a contenuto patrimoniale del debitore, senza incidere sulla validità inter partes dell'atto stesso;

- di conseguenza può enunciarsi il seguente principio di diritto: "l'azione revocatoria, non vertendo sulla qualificazione e attribuzione di diritti reali, avendo solo l'effetto di rendere insensibile, nei confronti dei creditori, l'atto dispositivo a contenuto patrimoniale del debitore, senza incidere sulla validità "inter partes" dell'atto stesso, non rientra fra le controversie assoggettate, a norma del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, art. 5, comma 1 bis, al tentativo obbligatorio di conciliazione";

ritenuto che con il terzo motivo i ricorrenti denunziano violazione e falsa applicazione degli artt. 138 e 140 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, assumendo che:

- avevano proposto davanti al Tribunale querela di falso, denunziando falsità nell'attestazione di notificazione ai sensi dell'art. 140 c.p.c. e proposto sul punto motivo d'appello, per non avere il Giudice di primo grado ammesso la querela, che attraverso l'istruttoria del caso (in ispecie visione delle immagini riprese dall'impianto video dell'abitazione), avrebbe dimostrato "la nullità della notifica inficiando di conseguenza il processo di primo grado";

- il richiamo del principio di sanatoria processuale degli atti nulli per raggiungimento dello scopo non era persuasivo, poiché un tal principio non operava in presenza di notifiche "radicalmente inesistenti";

considerato che il motivo non coglie la "ratio decidendi" e pertanto non può sfuggire a declaratoria d'inammissibilità, invero:

- è incontroverso, che effettuata la notificazione ai sensi dell'art. 140 c.p.c., i convenuti si costituirono tempestivamente in giudizio, svolgendo appieno le loro difese, senza prospettare di aver ricevuto l'atto in data diversa rispetto all'attestato o di non aver potuto fruire dei termini a comparire; da tale premessa la Corte di Torino ne ha tratto la conclusione che, al più, si sarebbe potuto essere in presenza di ipotesi di nullità, sanata dal raggiungimento dello scopo, e giammai di inesistenza dell'atto, conformemente al principio più volte nunciato da questa Corte, secondo il quale l'inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell'atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un'attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità; tali elementi consistono: a) nell'attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall'ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, "ex lege", eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l'atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa (S.U., n. 14916, 20/7/2016, Rv. 640603; conf., ex multis, Cass. nn. 2174/2017, 20659/2017, 3816/2018, 26601/2018, 14840/2018);

- a fronte di tale consolidato principio, dal quale si trae la manifesta irrilevanza della proposta querela, i ricorrenti, che incongruamente parlano a pag. 13, in fine, di "nullità della notifica", senza aggiungere utile elemento di contrasto ermeneutico, si limitano a riproporre la tesi disattesa dalla sentenza d'appello, non attinta da alcuna scrutinabile effettiva critica;

ritenuto che con il quarto motivo i ricorrenti si dolgono di violazione e falsa applicazione degli artt. 2901 e 2903 c.c., in relazione all'art. 360, n. 3, sotto i seguenti profili:

- la scissione degli effetti della notifica, introdotta dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 477/2002, presuppone l'effetto in favore del notificante a condizione che la notifica risulti essere andata a buon fine, inoltre le S.U., con la sentenza n. 8830/2010 hanno chiarito che la scissione opera unicamente a riguardo ella decadenza e non della prescrizione dell'azione;

- il termine di prescrizione dell'azione revocatoria decorre dal compimento dell'atto dispositivo e non dalla sua trascrizione;

- mancavano i presupposti dell'azione, poiché il credito nascente dalla condanna alle spese di cui alla sentenza n. 279/2010 del Tribunale di Aosta, pubblicata il 3/6/2010, era successivo all'atto dispositivo del 25/2/2010; non si era verificata l'asserita spoliazione per essere il P. proprietario di altri immobili nel Comune di Careri, quale erede dei genitori; v'era l'esistenza di un credito del P. nei confronti del Comune ammontante a Euro 82.686,00; la quota acquisita dalla C. era da stimarsi in Euro 32.000,00, a causa del pessimo stato dell'immobile, dichiarato inagibile dai Vigili del Fuoco il omissis; la C. non godeva di un alloggio a omissis, ma solo di una cantina di 5 mq. e l'abitazione in omissis era inagibile (ordinanza di sgombero sindacale del 7/1/1973); era stata corrisposta al Comune dall'assicurazione omissis la somma di Euro 14.210,81; non sussisteva l'"eventus damni" e non v'era prova del "consilium fraudis";

considerato che il motivo è per una parte inammissibile e per altra parte infondato, valendo quanto segue:

a) la regola della scissione degli effetti della notificazione per il notificante e per il destinatario, sancita dalla giurisprudenza costituzionale con riguardo agli atti processuali e non a quelli sostanziali, si estende anche agli effetti sostanziali dei primi ove il diritto non possa farsi valere se non con un atto processuale, sicché, in tal caso, la prescrizione è interrotta dall'atto di esercizio del diritto, ovvero dalla consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario per la notifica, mentre in ogni altra ipotesi tale effetto si produce solo dal momento in cui l'atto perviene all'indirizzo del destinatario (S.U., n. 24822, 09/12/2015, Rv. 637603); nella fattispecie si tratta proprio di un diritto (assicurare l'integrità della garanzia generica del credito) che può farsi valere, solo con un atto processuale (domanda di revocazione); in punto di validità della notifica si è avuto già modo di spiegare che la stessa andò a buon fine;

b) il termine di prescrizione dell'azione revocatoria non può che decorrere dalla trascrizione dell'atto dispositivo riguardante beni le cui vicende traslative sono assoggettate a trascrizione; questa Corte ha già avuto modo di chiarire che la disposizione dell'art. 2903 c.c., laddove stabilisce che l'azione revocatoria si prescrive in cinque anni dalla data dell'atto, deve essere interpretata, attraverso il coordinamento con la regola contenuta nell'art. 2935 c.c., nel senso che la prescrizione decorre dal giorno in cui dell'atto è stata data pubblicità ai terzi, in quanto solo da questo momento il diritto può esser fatto valere e l'inerzia del titolare protratta nel tempo assume effetto estintivo (Sez. 3, n. 5889 del 24/03/2016, Rv. 639406; conf., Cass. n. 11758/2018);

c) tutte le altre critiche, accomunate dall'anelito a un improprio riesame del merito e dal riferimento alla vicenda fattuale, aspecificamente evocata, attraverso richiami parziali e sommari in questa sede incontrollabili, non superano lo scrutinio d'ammissibilità: piuttosto palesemente le critiche, nella sostanza, risultano inammissibilmente dirette al controllo motivazionale, in spregio al contenuto dell'art. 360, c.p.c., vigente n. 5, in quanto, la deduzione del vizio di violazione di legge non determina, per ciò stesso, lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l'accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, occorrendo che l'accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (da ultimo, S.U. n. 25573, 12/11/2020, Rv. 659459);

considerato che il quinto motivo, con il quale i ricorrenti, in uno alla denunzia di violazione e falsa applicazione dell'art. 91 c.p.c., comma 1 e art. 92 c.p.c., comma 2, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, sollevano eccezione d'incostituzionalità dell'art. 91, comma 1, predetto, in relazione agli artt. 3,24 Cost., art. 111 Cost., comma 6 e art. 6, comma 3, lett. c), carta EDU, per essere stato il P. condannato al rimborso delle spese, nonostante fosse stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, è manifestamente infondato: l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato non ha, all'evidenza, lo scopo d'istituire una categoria di soggetti irragionevolmente privilegiati, ai quali venga assegnato il favore di non rifondere del costo del processo la controparte vincitrice, ma, ben diversamente, ha la funzione di consentire all'incapiente di esercitare i propri diritti agendo o resistendo in giudizio, fermo restando che, come tutti, deve sopportare le conseguenze della soccombenza;

considerato che i ricorrenti vanno condannati a rimborsare le spese in favore dei controricorrenti, tenuto conto del valore, della qualità della causa e delle attività svolte, siccome in dispositivo;

che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento, in favore di ciascuna delle quattro parti controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida per ognuna in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

6 febbraio 2022

3/22. MEDIA Magazine n. 1-2 del 2022 (Osservatorio Mediazione Civile n. 3/2022)


MEDIA Magazine

Mensile dell’Osservatorio Nazionale sulla Mediazione Civile
ISSN 2281 - 5139

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 N. 1-2/22  gennaio - febbraio 2022

 

Corte Costituzionale (in tema di patrocinio a spese dello Stato) e Parlamento (con la legge delega in tema di riforma del processo civile) si interessano della mediazione 

 

GIURISPRUDENZA


Mediazione obbligatoria conclusa con successo e patrocinio a spese dello Stato (Osservatorio Mediazione Civile n. 1/2022)
=> Corte Costituzionale, 20 gennaio 2022, n. 10


NORMATIVA 



COMMENTI E APPROFONDIMENTI



REDAZIONE APERTA

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Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 3/2022

2/22. Riforma del processo civile: le principali novità in tema di mediazione nella legge delega 206/2021 (Osservatorio Mediazione Civile n. 2/2022)

Riforma del processo civile: le principali novità in tema di mediazione nella legge delega 206/2021

di Giulio SPINA

 in La Nuova Procedura Civile, 4, 2021


L’articolo è consultabile gratuitamente al seguente URL: https://www.lanuovaproceduracivile.com/spina-riforma-del-processo-civile-le-principali-novita-in-tema-di-mediazione-nella-legge-delega-206-2021/

Il testo della legge delega di riforma è consultabile in Lamediazione nella legge delega 26 novembre 2021, n. 206 di riforma del processocivile (Osservatorio Mediazione Civile n. 50/2021).

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 2/2022 (www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)














1/22. Mediazione obbligatoria conclusa con successo e patrocinio a spese dello Stato (Osservatorio Mediazione Civile n. 1/2022)

=> Corte Costituzionale, 20 gennaio 2022, n. 10

Il patrocinio a spese dello Stato deve essere garantito ai non abbienti anche nel procedimento di mediazione obbligatoria conclusa con successo. Va pertanto dichiarata l’illegittimità costituzionale degli articoli 74, secondo comma, 75, primo comma, e 83, secondo comma, del Dpr n. 115 del 2002 là dove non si prevede che il detto beneficio possa essere riconosciuto ai non abbienti anche per l’attività difensiva svolta in loro favore nel procedimento di mediazione obbligatoria concluso con esito positivo (I).  

(I) Si veda l’art. 5, comma 1-bis, D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 (Osservatorio Mediazione Civile n. 38/2018).

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 1/2022
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

Corte Costituzionale
Sentenza n. 10
20 gennaio 2022

Omissis

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Giancarlo CORAGGIO; Giudici : Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 74, comma 2, 75, comma 1, e 83, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)», promossi dal Tribunale ordinario di Oristano con ordinanza dell’8 luglio 2020 e dal Tribunale ordinario di Palermo con ordinanza del 17 marzo 2021, iscritte, rispettivamente, al n. 188 del registro ordinanze 2020 e al n. 115 del registro ordinanze 2021 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 1 e 34, prima serie speciale, dell’anno 2021.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 24 novembre 2021 il Giudice relatore Luca Antonini;

deliberato nella camera di consiglio del 25 novembre 2021. 

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza dell’8 luglio 2020 (reg. ord. n. 188 del 2020), il Tribunale ordinario di Oristano ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 24, terzo comma, della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale degli artt. 74, comma 2, e 83, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)».

L’art. 74, comma 2, t.u. spese di giustizia prevede che sia «assicurato il patrocinio nel processo civile, amministrativo, contabile, tributario e negli affari di volontaria giurisdizione, per la difesa del cittadino non abbiente quando le sue ragioni risultino non manifestamente infondate».

Il successivo art. 83, comma 2, dispone, per quanto qui interessa, che la liquidazione del compenso spettante al difensore «è effettuata al termine di ciascuna fase o grado del processo e, comunque, all’atto della cessazione dell’incarico, dall’autorità giudiziaria che ha proceduto».

La prima norma è censurata nella parte in cui non prevede che il patrocinio a spese dello Stato in favore dei non abbienti sia assicurato anche in relazione all’attività difensiva svolta nell’ambito della mediazione obbligatoria di cui all’art. 5, comma 1-bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali), quando il successivo giudizio non viene instaurato per l’intervenuta conciliazione delle parti. La seconda è denunciata nella parte in cui non prevede che, in tali fattispecie, alla liquidazione del compenso spettante al difensore provveda il giudice che sarebbe stato competente a conoscere della causa.

1.1.– In punto di rilevanza, il rimettente espone di essere chiamato a decidere sull’istanza di liquidazione presentata dal difensore nominato dall’amministratore di sostegno di P.O., ammessa al patrocinio a spese dello Stato dal Consiglio dell’ordine degli avvocati, per l’attività svolta nel corso di un procedimento di mediazione obbligatoria durante il quale le parti hanno raggiunto un accordo per la composizione bonaria della lite, sicché il processo non è stato poi introdotto.

L’accoglimento dell’istanza sarebbe, pertanto, precluso dalle norme denunciate, dal momento che queste non prevedono la possibilità di liquidare il compenso a carico dello Stato qualora l’attività difensiva sia stata espletata esclusivamente in sede di mediazione, senza dunque che sia stato instaurato il giudizio. D’altra parte, precisa il giudice a quo, nella specie sussisterebbero i requisiti stabiliti dalla legge per il conseguimento del diritto al patrocinio a spese dello Stato, con la conseguenza che, se le norme sospettate fossero dichiarate costituzionalmente illegittime, l’istanza di cui è investito potrebbe essere accolta.

1.2.– In merito alla non manifesta infondatezza, il Tribunale di Oristano preliminarmente esclude la possibilità di un’interpretazione secundum Constitutionem delle disposizioni censurate, ponendo in rilievo che queste, nel riconoscere il patrocinio a spese dello Stato e nel disciplinare la competenza ad adottare il decreto di liquidazione del compenso, fanno espresso riferimento al «processo» e all’autorità giudiziaria «che ha proceduto». La «necessità del processo» troverebbe poi conferma sul piano sistematico, avuto riguardo, tra l’altro, al disposto dell’art. 75, comma 1, t.u. spese di giustizia, a mente del quale «[l]’ammissione al patrocinio è valida per ogni grado e per ogni fase del processo e per tutte le eventuali procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse» al processo stesso.

In sostanza – conclude il rimettente anche sulla scorta della giurisprudenza di legittimità e di merito – affinché le attività difensive svolte al di fuori del processo possano essere considerate giudiziali, sarebbe pur sempre necessaria l’instaurazione del giudizio.

La liquidazione del compenso a carico dello Stato, pertanto, potrebbe avere ad oggetto l’attività espletata nel corso del procedimento di mediazione obbligatoria soltanto se questo abbia avuto esito negativo, mentre al medesimo risultato non si potrebbe giungere nell’ipotesi opposta, ostandovi la lettera delle disposizioni sospettate.

1.2.1.– Tale esito ermeneutico conduce il giudice a quo a dubitare della compatibilità con il dettato costituzionale degli artt. 74, comma 2, e 83, comma 2, t.u. spese di giustizia.

In proposito, dopo avere rammentato che il legislatore, nell’introdurre forme di giurisdizione condizionata è tenuto a non rendere eccessivamente difficoltosa la tutela giurisdizionale, il rimettente innanzitutto sottolinea come le norme denunciate escludano dall’ambito di applicazione del patrocinio a spese dello Stato il procedimento di mediazione con l’assistenza del difensore, benché il suo esperimento sia imposto, in determinate materie, quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

Quindi, aggiunge che sarebbe «incongruo» che a impedire la liquidazione dei compensi a carico dello Stato sia l’intervento della conciliazione, ovvero proprio dell’evento che evita la celebrazione del processo e soddisfa così la finalità deflattiva del contenzioso a cui è preordinata la mediazione obbligatoria.

Peraltro, prosegue il giudice a quo, la disciplina normativa denunciata disincentiverebbe il raggiungimento dell’accordo tra le parti, giacché i non abbienti, nella consapevolezza di dovere in tal caso sostenere le spese difensive, potrebbero preferire agire o resistere in giudizio.

Essa, pertanto, produrrebbe effetti opposti rispetto alla suddetta finalità deflattiva e al contempo comporterebbe maggiori oneri per la finanza pubblica, poiché lo Stato, in conseguenza della instaurazione del giudizio, dovrebbe sopportare le spese sia per la mediazione, sia per il successivo processo.

Rileva poi il rimettente che le norme censurate, non tenendo conto delle condizioni economiche dei non abbienti, ne limiterebbero di fatto l’uguaglianza nell’accesso alla mediazione e comprimerebbero l’effettività del loro diritto di difesa. Sotto quest’ultimo aspetto osserva altresì che i non abbienti, non essendo in grado di sostenere le spese per l’attività difensiva, potrebbero finanche essere indotti a rinunciare del tutto a far valere le proprie ragioni oppure a concludere l’accordo conciliativo a condizioni più onerose di quelle che avrebbero ottenuto ove dette spese fossero state poste a carico dello Stato.

Per le ragioni ora esposte, infine, le disposizioni denunciate determinerebbero anche un’ingiustificata disparità di trattamento tra abbienti e non abbienti.

Alla luce delle considerazioni che precedono, risulterebbero in definitiva lesi, secondo il Tribunale di Oristano, gli artt. 3 e 24, terzo comma, Cost.

1.2.2.– Sotto un diverso profilo, peraltro, le disposizioni censurate sarebbero generatrici di un’irragionevole disparità anche all’interno della stessa categoria dei non abbienti, a seconda che questi siano o meno parti di una controversia transfrontaliera.

Soltanto in relazione a tali controversie, infatti, l’art. 10 del decreto legislativo 27 maggio 2005, n. 116 (Attuazione della direttiva 2003/8/CE intesa a migliorare l’accesso alla giustizia nelle controversie transfrontaliere attraverso la definizione di norme minime comuni relative al patrocinio a spese dello Stato in tali controversie), estende il patrocinio a spese dello Stato anche ai procedimenti stragiudiziali, qualora, per quanto qui interessa, questi siano obbligatori. Siffatta disposizione, tuttavia, risponderebbe all’esigenza, comune alle controversie domestiche, di garantire l’effettività del diritto di difesa, sicché la sola natura transfrontaliera delle liti non costituirebbe un elemento idoneo a differenziare ragionevolmente i non abbienti che non ne siano parte.

2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili.

2.1.– Il giudice a quo, infatti, non avrebbe adeguatamente motivato l’asserita impossibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata.

Interpretazione, questa, che sarebbe invece praticabile alla luce dell’art. 75, comma 1, t.u. spese di giustizia, che contempla il patrocinio a spese dello Stato anche per le procedure «connesse» al processo, quale dovrebbe ritenersi il procedimento di mediazione pure se concluso con successo.

La prospettata soluzione ermeneutica sarebbe del resto conforme ai principi costituzionali perché, tra l’altro: a) risulterebbe coerente con la necessità di individuare un punto di equilibrio tra la garanzia del diritto di difesa e l’esigenza di contenimento della spesa pubblica, comportando minori costi per lo Stato, il quale dovrebbe infatti sostenere soltanto le spese connesse alla mediazione e non anche quelle inerenti al successivo giudizio; b) risponderebbe alla necessità che l’introduzione di forme di giurisdizione condizionata non renda eccessivamente gravoso l’esercizio del diritto di difesa; c) sarebbe in armonia con lo scopo deflattivo della mediazione.

Osserva, infine, l’Avvocatura generale che tale interpretazione troverebbe conforto nell’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’attività difensiva funzionale al successivo esercizio dell’azione giudiziaria dovrebbe considerarsi giudiziale ai fini della liquidazione del compenso a carico dello Stato (è citata, tra le altre, Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 19 aprile 2013, n. 9529).

Né tale conclusione sarebbe smentita dalla sentenza (è citata Corte di cassazione, sezione seconda civile, sentenza 31 agosto 2020, n. 18123) con la quale i giudici di legittimità hanno disatteso il ricorso avverso la statuizione di rigetto della domanda di liquidazione per l’attività difensiva svolta nella fase della mediazione obbligatoria: si tratterebbe, infatti, di una decisione inerente a una fattispecie «non del tutto sovrapponibile a quella in esame».

3.– Con successiva ordinanza del 17 marzo 2021 (reg. ord. n. 115 del 2021), il Tribunale ordinario di Palermo ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, 24, terzo comma, e 36, primo comma, Cost. – questioni di legittimità costituzionale degli artt. 74, comma 2, e 75, comma 1, t.u. spese di giustizia, nella parte in cui non prevedono che il patrocinio a spese dello Stato sia assicurato anche per l’attività difensiva espletata nel corso del procedimento di mediazione obbligatoria di cui all’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010, quando il processo non viene poi introdotto per intervenuta conciliazione fra le parti.

3.1.– Riferisce il rimettente di essere investito dell’istanza di liquidazione del compenso avanzata – in relazione alle prestazioni rese nell’ambito di un procedimento di mediazione obbligatoria concluso con un accordo conciliativo – dal difensore di G. D.B. e V. C., nella qualità di esercenti la potestà genitoriale sul minore A. D.B., ammessi al patrocinio a spese dello Stato dal Consiglio dell’ordine degli avvocati.

3.2.– La suddetta istanza non potrebbe, secondo il giudice a quo, trovare accoglimento alla luce del tenore letterale delle norme denunciate e della menzionata sentenza della Corte di cassazione n. 18123 del 2020, nella quale i giudici di legittimità avrebbero affermato che gli artt. 74 e 75 t.u. spese di giustizia escludono dal novero delle attività difensive suscettibili di liquidazione a carico dello Stato quelle svolte nel corso della mediazione non seguita dalla instaurazione del giudizio, precisando poi che tale limitazione non potrebbe essere superata in via interpretativa.

3.2.1.– Su tale premessa, il giudice palermitano ritiene che i citati artt. 74, comma 2, e 75, comma 1, t.u. spese di giustizia ledano, innanzitutto, gli artt. 3 e 24 Cost.

Considerato il favor legislativo per la soluzione stragiudiziale delle controversie, sarebbe del tutto irragionevole precludere l’accesso al patrocinio a spese dello Stato quando la controversia è stata definita in sede di mediazione obbligatoria e consentirlo invece in caso di esito infruttuoso della mediazione stessa, con la conseguente necessità di instaurare il processo.

Le norme denunciate, d’altro canto, minerebbero la funzione deflattiva della mediazione, che sarebbe infatti destinata ad essere affrontata dai difensori «come una mera formalità prodromica all’instaurazione» del giudizio, giacché solo in questa sede essi otterrebbero la liquidazione del compenso a spese dello Stato. Ciò che, peraltro, comporterebbe una lievitazione degli oneri a carico dell’erario, i quali, anziché essere limitati alle spese difensive per la mediazione stessa, sarebbero aggravati dai costi connessi allo svolgimento del processo.

A parere del rimettente, sarebbe vulnerato anche il diritto di agire in giudizio e, con esso, il principio di uguaglianza sostanziale. Il rischio di dover sopportare le spese difensive per il procedimento di mediazione obbligatoria, infatti, risulterebbe «disincentivante (e perciò pregiudizievole nella prospettiva della piena realizzazione del diritto di difesa presidiato anche dall’istituto del patrocinio a spese dello Stato)» per i non abbienti e lederebbe, pertanto, il loro diritto di accedere alla tutela giurisdizionale in condizioni di uguaglianza rispetto a quanti dispongono di mezzi economici adeguati.

3.2.2.– Secondo il Tribunale di Palermo, l’art. 3 Cost. sarebbe altresì violato in riferimento al principio di uguaglianza formale, sotto un duplice aspetto.

Le disposizioni censurate darebbero luogo a una ingiustificata disparità di trattamento, sia tra i non abbienti, in relazione alla disciplina riservata dal citato art. 10 del d.lgs. n. 116 del 2005 alla mediazione obbligatoria concernente le controversie transfrontaliere, sia tra i difensori dei non abbienti, i quali, pur avendo effettuato prestazioni identiche in sede di mediazione, riceverebbero, «sul piano del compenso» dovuto loro per tali attività, un trattamento differenziato a seconda del raggiungimento o meno dell’accordo.

3.2.3.– Il rimettente dubita, infine, della compatibilità delle disposizioni denunciate con l’art. 36, primo comma, Cost., che sarebbe leso in quanto, per effetto della preclusione da esse derivante, i difensori presterebbero «attività lavorativa obbligatoria gratuitamente».

4.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di inammissibilità delle questioni sollevate.

Ritiene la difesa dello Stato, sulla scorta di argomentazioni sostanzialmente identiche a quelle addotte in relazione all’ordinanza di rimessione del Tribunale di Oristano, che neanche il Tribunale di Palermo abbia compiutamente motivato in merito all’impossibilità di un’interpretazione costituzionalmente conforme.

4.1.– La dedotta violazione dell’art. 36, primo comma, Cost. sarebbe inoltre insussistente, in quanto l’assunzione della difesa della parte ammessa al patrocinio non sarebbe obbligatoria e, comunque, perché la relativa attività sarebbe svolta dall’avvocato solo occasionalmente. 

Considerato in diritto

1.– Con ordinanza dell’8 luglio 2020 (reg. ord. n. 188 del 2020), il Tribunale ordinario di Oristano dubita della legittimità costituzionale degli artt. 74, comma 2, e 83, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)», i quali, rispettivamente, dispongono che è «assicurato il patrocinio nel processo civile, amministrativo, contabile, tributario e negli affari di volontaria giurisdizione, per la difesa del cittadino non abbiente quando le sue ragioni risultino non manifestamente infondate» e, per quanto qui rileva, che la liquidazione del compenso spettante al difensore della parte non abbiente «è effettuata al termine di ciascuna fase o grado del processo e, comunque, all’atto della cessazione dell’incarico, dall’autorità giudiziaria che ha proceduto».

2.– La prima disposizione è censurata nella parte in cui non prevede che il patrocinio a spese dello Stato in favore dei non abbienti sia assicurato anche in relazione all’attività difensiva svolta nell’ambito della mediazione obbligatoria di cui all’art. 5, comma 1-bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali), quando il successivo giudizio non viene instaurato per l’intervenuta conciliazione delle parti. La seconda è denunciata laddove non prevede che, in tali fattispecie, alla liquidazione del compenso spettante al difensore provveda il giudice che sarebbe stato competente a conoscere della causa.

2.1.– Sul presupposto che le norme sospettate non consentano di liquidare tale compenso indipendentemente dalla instaurazione del giudizio – e quindi nel caso in cui la mediazione obbligatoria si sia conclusa con successo, in virtù del raggiungimento dell’accordo conciliativo – e che non siano suscettibili di una interpretazione costituzionalmente conforme, il rimettente sostiene che tale preclusione violerebbe, sotto plurimi profili, gli artt. 3 e 24, terzo comma, della Costituzione.

Il dedotto contrasto sarebbe apprezzabile, innanzitutto, in considerazione del fatto che il procedimento di mediazione è escluso dalla sfera di applicabilità del patrocinio a spese dello Stato benché sia imposto, in determinate materie, quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

Sarebbe quindi irragionevole che la liquidazione del compenso sia impedita proprio dall’evento che evita la celebrazione del processo e realizza la finalità deflattiva perseguita dal legislatore con l’introduzione della mediazione obbligatoria.

Altro profilo di irragionevolezza risiederebbe nel rilievo che i non abbienti, anziché conciliare, potrebbero essere indotti a privilegiare la scelta di agire o resistere in giudizio, per vedersi riconosciute in questa sede le spese difensive; ciò che finirebbe per frustrare la suddetta finalità e comporterebbe maggiori oneri per lo Stato.

D’altra parte, le norme censurate, non prevedendo il patrocinio nonostante l’obbligatorietà della mediazione al fine di accedere al giudizio e potendo finanche indurre i non abbienti a rinunciare a far valere le proprie ragioni, minerebbero l’effettività del loro diritto di difesa, ledendo altresì il principio di uguaglianza sia in senso sostanziale che in senso formale, tra abbienti e non abbienti.

Il principio di parità sarebbe compromesso anche all’interno della stessa categoria dei non abbienti, poiché l’art. 10 del decreto legislativo 27 maggio 2005, n. 116 (Attuazione della direttiva 2003/8/CE intesa a migliorare l’accesso alla giustizia nelle controversie transfrontaliere attraverso la definizione di norme minime comuni relative al patrocinio a spese dello Stato in tali controversie), ingiustificatamente li ammetterebbe a fruire del patrocinio a spese dello Stato in relazione ai procedimenti stragiudiziali obbligatori solo ove, tuttavia, questi siano inerenti a una controversia transfrontaliera.

3.– Con successiva ordinanza del 17 marzo 2021 (reg. ord. n. 115 del 2021), il Tribunale ordinario di Palermo dubita della legittimità costituzionale del già denunciato art. 74, comma 2, nonché dell’art. 75, comma 1, t.u. spese di giustizia, nella parte in cui non prevedono che il patrocinio a spese dello Stato sia assicurato anche per l’attività difensiva espletata nel corso del procedimento di mediazione obbligatoria di cui all’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010 quando il processo non viene poi introdotto per intervenuta conciliazione fra le parti.

Il suddetto art. 75, comma 1, dispone che l’ammissione al patrocinio «è valida per ogni grado e per ogni fase del processo e per tutte le eventuali procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse».

3.1.– Anche il giudice palermitano esclude la praticabilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme censurate, il cui tenore testuale precluderebbe, nella lettura della giurisprudenza di legittimità, la liquidazione del compenso al difensore allorquando al procedimento di mediazione non abbia fatto seguito l’instaurazione del giudizio.

Su questo assunto, egli ritiene che le suddette norme violino, innanzitutto, gli artt. 3 e 24, terzo comma, Cost.

Sarebbe, infatti, contrario al canone della ragionevolezza consentire l’accesso al patrocinio a spese dello Stato in caso di esito infruttuoso della mediazione obbligatoria, con la conseguente introduzione del processo, ed escluderlo invece proprio quando la mediazione stessa ha raggiunto il suo scopo; ciò che, peraltro, comprometterebbe la finalità deflattiva della procedura in parola e causerebbe un aggravio degli oneri a carico dell’erario, in quanto la mediazione sarebbe destinata ad essere affrontata dai difensori dei non abbienti «come una mera formalità prodromica all’instaurazione» del giudizio.

Ritiene, inoltre, il rimettente, sulla scorta di argomentazioni sostanzialmente analoghe a quelle spese dal Tribunale di Oristano, che le norme denunciate rechino un vulnus al diritto di agire in giudizio dei non abbienti e al principio di uguaglianza sostanziale.

L’art. 3 Cost. sarebbe leso anche sul versante della uguaglianza formale, per la ingiustificata disparità che le disposizioni censurate determinerebbero, non soltanto all’interno della stessa categoria dei non abbienti, a seconda che essi siano o meno parte di una controversia transfrontaliera, ma anche tra difensori, i quali, pur avendo effettuato prestazioni identiche nel corso del procedimento di mediazione, avrebbero diritto al compenso a carico dello Stato solo in caso mancato raggiungimento dell’accordo.

A tale ultimo rilievo è, infine, connesso il lamentato contrasto con l’art. 36, primo comma, Cost., che sarebbe violato in quanto i difensori presterebbero «attività lavorativa obbligatoria gratuitamente».

4.– È intervenuto in entrambi i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo l’inammissibilità delle questioni per inadeguato esperimento del tentativo di interpretazione costituzionalmente conforme.

Nel giudizio che trae origine dall’ordinanza di rimessione del Tribunale di Palermo, inoltre, la difesa dello Stato ha dedotto la non fondatezza della censura formulata in riferimento all’art. 36, primo comma, Cost.

5.– Le questioni sollevate con le due ordinanze di rimessione sono basate su argomenti in larga parte sovrapponibili e sono comunque connesse, per la parziale coincidenza delle norme denunciate e dei parametri evocati.

I relativi giudizi vanno, pertanto, riuniti per essere decisi con un’unica pronuncia.

6.– Preliminarmente, va rilevato che il giorno stesso della deliberazione della presente sentenza è stata definitivamente approvata la legge 26 novembre 2021, n. 206 (Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata), con la quale viene conferita al Governo una delega legislativa per quanto qui interessa recante, tra i principi e criteri direttivi, quello dell’estensione del patrocinio a spese dello Stato alle procedure di mediazione e di negoziazione assistita (art. 1, comma 4, lettera a).

Tale previsione non spiega, però, effetti negli odierni incidenti, dal momento che la sua entrata in vigore non vale a escludere l’applicazione delle disposizioni censurate.

7.– Ancora in via preliminare, deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Avvocatura generale sulla scorta dell’asserita carenza di un’adeguata motivazione in ordine all’impossibilità di interpretare le norme denunciate secundum Constitutionem.

I rimettenti, infatti, hanno escluso la praticabilità di un’interpretazione adeguatrice alla luce del dato letterale e per ragioni sistematiche, non mancando di confrontarsi con la posizione della giurisprudenza di legittimità.

Da tanto consegue il rigetto dell’eccezione in esame, giacché attiene al merito, e non all’ammissibilità delle questioni, la condivisione o meno del presupposto interpretativo delle norme censurate (ex plurimis, sentenze n. 150 del 2021 e n. 230 del 2020).

8.– Presupposto esegetico che, venendo appunto al merito, questa Corte ritiene condivisibile.

Esso è, infatti, innanzitutto coerente con il tenore testuale delle disposizioni denunciate.

L’art. 74, comma 2, t.u. spese di giustizia, invero, assicura ai non abbienti il beneficio in discussione facendo esclusivo riferimento al «processo». Nella medesima direzione, l’art. 75, comma 1, del citato testo unico delimita poi l’ambito di validità dell’ammissione al patrocinio a ogni grado e fase «del processo e per tutte le eventuali procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse» al processo stesso, di cui, pertanto, presuppone l’introduzione. Il successivo art. 83, comma 2, infine, nel suo primo periodo attribuisce la competenza a provvedere in ordine alla liquidazione del compenso all’autorità giudiziaria «che ha proceduto», in tal modo ribadendo, senza possibilità di equivoco, l’esigenza dell’instaurazione di un giudizio di cui l’autorità giudiziaria sia stata, per l’appunto, investita.

Il patrocinio a spese dello Stato è stato quindi contemplato dalle norme censurate in chiave eminentemente processuale: ciò che trova ulteriore conferma nella circostanza che lo stesso legislatore, con la legge delega innanzi citata, ha avvertito l’esigenza di introdurre specifiche disposizioni volte espressamente a estenderlo, a prescindere dal loro esito, anche alle procedure di mediazione.

Va peraltro precisato che la sentenza richiamata dall’Avvocatura generale a sostegno della possibilità di un’interpretazione conforme (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 19 aprile 2013, n. 9529), in realtà, non ha riguardato segnatamente le norme oggetto dell’odierno scrutinio e che invece l’assunto dei rimettenti si pone in linea con l’orientamento recentemente espresso dai giudici di legittimità con specifico riferimento al tema che viene qui considerato. Nella sentenza 31 agosto 2020, n. 18123, infatti, la seconda sezione civile della Corte di cassazione ha affermato che l’art. 74 t.u. spese di giustizia «postula l’intervenuto avvio della lite giudiziale», poiché «limita l’operatività del patrocinio a spese dello Stato all’ambito del procedimento […] civile»; ha poi espressamente precisato che siffatto limite non può essere superato in via interpretativa, pena lo sconfinare «nella produzione normativa», e ha quindi concluso che correttamente il giudice di merito aveva «ritenuto non liquidabile compenso al difensore per la fase della mediazione, cui non e` seguita la proposizione della lite».

8.1.– È dunque alla stregua del presupposto ermeneutico da cui muovono i giudici a quibus che le questioni sollevate dai rimettenti devono essere vagliate, innanzitutto considerando, quanto al tessuto normativo sul quale esse si innestano, che la mediazione civile obbligatoria è stata introdotta dall’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010 con un evidente intento deflattivo del contenzioso (sentenza n. 97 del 2019) ed è strutturata quale condizione di procedibilità delle domande giudiziali.

La parte che intende esercitare in giudizio un’azione relativa alle controversie nelle materie ivi specificamente individuate è, infatti, «tenut[a], assistit[a] dall’avvocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione», al fine di tentarne la composizione stragiudiziale.

Si è al cospetto, pertanto, di un procedimento contraddistinto dall’obbligatorietà, che deve essere espletato, pena l’improcedibilità della domanda, prima dell’instaurazione di una lite giudiziaria. Esso, di conseguenza, condiziona, in determinate materie, l’esercizio del diritto di azione.

È, in definitiva, sull’esclusione del patrocinio a carico dello Stato in ordine a tale procedimento, qualora questo si concluda con esito positivo, precludendo quindi l’introduzione del processo, che si sviluppano le questioni di costituzionalità sollevate dai rimettenti sugli artt. 74, comma 2, 75, comma 1, e 83, comma 2, t.u. spese di giustizia.

9.– Esse sono fondate in riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, in relazione, rispettivamente, al principio di ragionevolezza e a quello di eguaglianza sostanziale, e 24, terzo comma, Cost.

9.1.– Quanto al canone della ragionevolezza, va evidenziato che il nesso di strumentalità necessaria con il processo e la riconducibilità della mediazione alle forme di giurisdizione condizionata aventi finalità deflattive costituiscono elementi che rendono del tutto distonica e priva di alcuna ragionevole giustificazione l’esclusione del patrocinio a spese dello Stato quando la medesima mediazione si sia conclusa con successo e non sia stata in concreto seguita dalla proposizione giudiziale della domanda.

In tal modo, infatti, il suddetto patrocinio risulta contraddittoriamente escluso proprio nei casi in cui il procedimento de quo ha raggiunto – in ipotesi anche grazie all’impegno dei difensori – lo scopo deflattivo prefissato dal legislatore.

Pertanto, la circostanza che, in virtù del suo esito positivo, alla mediazione obbligatoria non abbia fatto seguito l’instaurazione del giudizio, lungi dal costituire un coerente fondamento della denunciata preclusione, al contrario concorre a disvelarne la palese irrazionalità, peraltro traducendosi anche in una sorta di disincentivo verso quella cultura della mediazione che il legislatore stesso si è fatto carico di promuovere.

Nel descritto contesto, infatti, non implausibilmente i rimettenti rilevano che proprio per effetto dell’esclusione censurata i non abbienti e i loro difensori potrebbero essere indotti a non raggiungere l’accordo e ad adire quindi comunque il giudice, all’unico scopo di ottenere, una volta introdotto il processo, le relative spese difensive.

Tale evenienza porterebbe nocumento non solo alla funzione della mediazione, vanificandone le finalità deflattive, ma anche a quella della giurisdizione che, a dispetto della sua natura sussidiaria rispetto alla mediazione stessa, finirebbe per essere strumentalizzata per obiettivi diversi dallo ius dicere, ciò che determinerebbe ulteriori irragionevoli ricadute di sistema per il sicuro aumento degli oneri a carico dello Stato, chiamato a sostenere anche i costi dello svolgimento del giudizio.

Gli argomenti che precedono rivelano quindi la manifesta irragionevolezza delle disposizioni censurate, peraltro ben precedenti l’introduzione, nell’ordinamento, della disciplina della mediazione obbligatoria e mai coordinate con essa.

9.2.– Parimenti fondate sono le questioni sollevate in riferimento agli artt. 3, secondo comma, e 24, terzo comma, Cost.

Quest’ultima disposizione, infatti, prevedendo che «[s]ono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione», mira a garantire a coloro che non sono in grado di sopportare il costo di un processo «l’effettività del diritto ad agire e a difendersi in giudizio, che il secondo comma del medesimo art. 24 Cost. espressamente qualifica come diritto inviolabile (sentenze n. 80 del 2020, n. 178 del 2017, n. 101 del 2012 e n. 139 del 2010; ordinanza n. 458 del 2002)» (da ultimo, sentenza n. 157 del 2021).

In questi termini, tali diritti, che rientrano tra i diritti civili, inviolabili e caratterizzanti lo Stato di diritto, richiamano il compito assegnato alla Repubblica dall’art. 3, secondo comma, Cost. affinché siano predisposti i mezzi necessari per garantire ai non abbienti le giuste chances di successo nelle liti, rimediando a un problema di asimmetrie – derivante dagli ostacoli di ordine economico che impediscono «di fatto» di compensare il difensore – che non può trovare soluzione nell’ambito dell’eguaglianza solo formale.

In questa prospettiva va precisato che la questione, sottolineata da questa Corte, della individuazione di un «punto di equilibrio tra garanzia del diritto di difesa per i non abbienti e necessità di contenimento della spesa pubblica in materia di giustizia» (sentenza n. 16 del 2018) rileva quando si tratti di giustificare modulazioni che si concretizzano, ad esempio, in filtri o controlli, come quelli previsti per i processi diversi da quello penale, nei quali il riconoscimento del beneficio in discorso presuppone che le ragioni di chi agisce o resiste in giudizio risultino non manifestamente infondate (sentenza n. 47 del 2020).

Ben diversi si presentano, invece, i termini della questione quando una determinata scelta legislativa giunge sino a impedire a chi versa in una condizione di non abbienza «l’effettività dell’accesso alla giustizia, con conseguente sacrificio del nucleo intangibile del diritto alla tutela giurisdizionale» (sentenza n. 157 del 2021).

In tal caso, infatti, sono nitidamente in gioco il «pieno sviluppo della persona umana» (art. 3, secondo comma, Cost.) e l’intero impianto dell’inviolabile diritto al processo di cui ai primi due commi dell’art. 24 Cost.: è quindi «naturalmente ridotto» il margine di discrezionalità del legislatore – pur, di per sé, particolarmente ampio nella conformazione degli istituti processuali (ex plurimis, sentenza n. 102 del 2021) – poiché si tratta comunque «di spese costituzionalmente necessarie», anch’esse inerenti, in senso lato, «all’erogazione di prestazioni sociali incomprimibili (ex plurimis, sentenze n. 62 del 2020, n. 275 e n. 10 del 2016)» (sentenza n. 152 del 2020).

In siffatte ipotesi l’argomento dell’equilibrio di bilancio recede di fronte alla possibilità, per il legislatore, di intervenire, se del caso, a ridurre quelle spese che non rivestono il medesimo carattere di priorità: è anche in tal senso che questa Corte ha affermato che «è la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione» (sentenza n. 169 del 2017; in precedenza, sentenza n. 275 del 2016).

9.2.1.– I principi appena enunciati rilevano nelle odierne questioni, poiché, data l’espressa previsione dell’assistenza dell’avvocato in sede di mediazione obbligatoria (art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010), è evidente che privare i non abbienti del patrocinio a spese dello Stato significa destinarli di fatto, precludendo loro la possibilità della difesa tecnica, a subire l’asimmetria rispetto alla controparte abbiente in relazione a un procedimento che, come si è chiarito, in determinate materie è direttamente imposto dalla legge e rientra nell’esercizio della funzione giudiziaria giacché condiziona l’esercizio del diritto di azione.

Il non abbiente è, peraltro, addirittura esposto al grave rischio di improcedibilità della sua domanda, qualora l’assistenza tecnica sia ritenuta non solo possibile ma anche obbligatoria dal giudice, in conformità a quanto affermato, con riferimento alla mediazione di cui si discute, dalla Corte di cassazione (Corte di cassazione, sezione terza civile, sentenza 27 marzo 2019, n. 8473) – sia pure nell’esaminare funditus solo lo specifico tema della necessaria presenza personale della parte dinanzi al mediatore – e nella circolare del Ministero della giustizia 27 novembre 2013 (Entrata in vigore dell’art. 84 del d.l. 69/2013 come convertito dalla l. 98/2013 recante disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia, che modifica il d.lgs. 28/2010. Primi chiarimenti).

Non è poi marginale aggiungere che la mediazione presuppone, in ogni caso, sin dalla sua attivazione il possesso di specifiche cognizioni tecniche di cui la parte non abbiente potrebbe essere priva: la relativa istanza richiede, infatti, l’individuazione sia del giudice territorialmente competente a conoscere della controversia, dovendo essere depositata presso un organismo che ha appunto sede nel luogo di tale giudice, sia delle parti, nonché dell’oggetto e delle ragioni della pretesa (art. 4, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 28 del 2010).

L’assenza di difesa tecnica nel procedimento di mediazione può, infine, riflettersi anche sotto ulteriori punti di vista sull’esito del successivo processo, ove si consideri che in caso di rifiuto della proposta conciliativa, se la successiva decisione giudiziale dovesse corrispondere al contenuto della proposta medesima, il giudice potrà escludere la ripetizione delle spese della parte vincitrice che ha opposto il rifiuto e condannarla al pagamento delle spese processuali della controparte, oltre che al versamento di una somma corrispondente all’importo del contributo unificato (art. 13, comma 1, del d.lgs. n. 28 del 2010).

È in definitiva evidente il radicale vulnus arrecato dalle norme censurate al diritto di difendersi dei non abbienti in un procedimento che, per un verso, è imposto ex lege in specifiche materie e che, per l’altro, è strumentale al giudizio al punto da condizionare l’esercizio del diritto di azione e il relativo esito.

10.– Va, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale degli artt. 74, comma 2, e 75, comma 1, t.u. spese di giustizia, nella parte in cui non prevedono che il patrocinio a spese dello Stato sia applicabile anche all’attività difensiva svolta nell’ambito dei procedimenti di mediazione di cui all’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010, quando nel corso degli stessi è stato raggiunto un accordo, nonché del successivo art. 83, comma 2, del medesimo testo unico sulle spese di giustizia, nella parte in cui non prevede che, in tali ipotesi, alla liquidazione in favore del difensore provveda l’autorità giudiziaria che sarebbe stata competente a decidere la controversia.

11.– Rimane ferma, ovviamente, la facoltà del legislatore di valutare, nella sua discrezionalità, eventualmente anche in sede di attuazione della legge delega prima richiamata, l’opportunità di introdurre, nel rispetto dei suddetti principi costituzionali, una più compiuta e specifica disciplina della fattispecie oggetto dell’odierno scrutinio.

12.– Restano assorbite le ulteriori censure prospettate dai rimettenti. 

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 74, comma 2, e 75, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)», nella parte in cui non prevedono che il patrocinio a spese dello Stato sia applicabile anche all’attività difensiva svolta nell’ambito dei procedimenti di mediazione di cui all’art. 5, comma 1-bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali), quando nel corso degli stessi è stato raggiunto un accordo, nonché dell’art. 83, comma 2, del medesimo d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui non prevede che, in tali fattispecie, alla liquidazione in favore del difensore provveda l’autorità giudiziaria che sarebbe stata competente a decidere la controversia.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 novembre 2021.

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Luca ANTONINI, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 20 gennaio 2022.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA

 

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità. 

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