DIRITTO D'AUTORE


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31 ottobre 2024

34/24. Sublocazione e cessione del contratto di locazione, domanda di mediazione e contestazione dell’inadempimento del cessionario/conduttore? (Osservatorio Mediazione Civile n. 34/2024)

 

=> Corte di Cassazione, 19 febbraio 2024 n. 4405


L’impugnata sentenza va cassata e rinviata alla Corte d'appello in applicazione del seguente principio di diritto: “Ai fini del rispetto del beneficium ordinis previsto dall'art. 36 della legge 392/1978, ciò che rileva è l'inadempimento vero e proprio del cessionario/conduttore, che, da parte del locatore, deve essere fatto constatare con autonomo atto, prima di rivolgersi al cedente e di esperire l'azione giudiziale. Tale autonomo atto può essere anche costituito dalla domanda di mediazione, ovvero dalla richiesta di partecipazione alla mediazione (nel caso di specie obbligatoria), estese - in funzione del successivo giudizio - anche al cessionario (e nel caso di cessioni successive all'ultimo cessionario), atteso che una simile iniziativa, per le sue caratteristiche funzionali ben può essere considerata come richiesta di adempimento ante causam fatta nei riguardi del cessionario (o dell'ultimo cessionario)” (I) (II).


(I) Si veda l’art. 5, d.lgs. n. 28/2010 (come novellato dalla c.d. riforma Cartabia), in Osservatorio Mediazione Civile n. 28/2023.


(II) Art. 36, l. 27.7.1978, n. 392.

Sublocazione e cessione del contratto di locazione.

Il conduttore può sublocare l'immobile o cedere il contratto di locazione anche senza il consenso del locatore, purché venga insieme ceduta o locata l'azienda, dandone comunicazione al locatore mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Il locatore può opporsi, per gravi motivi, entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione. Nel caso di cessione, il locatore, se non ha liberato il cedente, può agire contro il medesimo qualora il cessionario non adempia le obbligazioni assunte.

Le indennità previste dall'articolo 34 sono liquidate a favore di colui che risulta conduttore al momento della cessazione effettiva della locazione.


Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 34/2024

(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)


Cote di cassazione

sezione III

ordinanza n. 4405

19 febbraio 2024


Omissis


rilevato


1. GG Srl, con contratto registrato il 21.12.2010, concedeva in locazione a EE Srl l'immobile a uso commerciale sito in Osmannoro per la durata dal 1.12.2010 al 30.11.2016, dietro corresponsione di canone annuale.

Successivamente EE vendette a X Srl (all'epoca X Srl), un ramo d'azienda, del quale faceva parte il contratto di locazione dello stabile in questione, e comunicò a GG la cessione, pregando la società locatrice di provvedere alla “volturazione” del contratto di Via Volga a X (X). Il 19.10.2016 X vendette a X Network Srl un ramo di azienda che non comprendeva il contratto di locazione, ma altre “autorizzazioni e rapporti contrattuali”.

1.2. GG -sostenendo in fatto di essere stata lasciata all'oscuro dei vari passaggi e di non avere mai acconsentito ad alcuna cessione, ed eccependo in diritto che non era intervenuta alcuna liberazione della originaria conduttrice da parte di essa proprietaria, la quale non aveva mai espresso il consenso alla cessione, cosicché la stessa rimaneva obbligata in solido con la cessionaria per il pagamento dei canoni di locazione- agiva (sia con ricorso ex 447 bis cod. proc. civ., sia con intimazione di sfratto, procedimenti poi riuniti) contestualmente contro EE, X (già X) e X Network, chiedendo (i) la risoluzione per grave inadempimento di EE, X e X Network; (ii) la loro condanna in solido a riconsegnare l'immobile; (iii) la loro condanna in solido a pagarle i canoni scaduti e a scadere.

Si costituiva resistendo EE, deducendo di avere dato rituale comunicazione a GG della cessione, ed inoltre chiedendo:

(i) dichiararsi la propria carenza di legittimazione passiva rispetto alle domande di risoluzione e di rilascio dell'immobile, perché il contratto era stato ceduto, assieme al ramo d'azienda, a X, così come la conseguente disponibilità materiale dell'immobile;

(ii) rigettarsi la domanda di pagamento dei canoni, perché GG, ai sensi dell'art. 36 L. 392/78, avrebbe dovuto prima agire contro la cessionaria X, che, per contro, neppure era stata messa in mora; (iii) in subordine, chiedeva di essere manlevata da X e da X Network, alle quali esclusivamente sarebbe stata ascrivibile qualsiasi responsabilità.

Si costituiva X (già X), nella sola causa di sfratto per morosità, sostenendo di avere liberato e rilasciato l'immobile, perché, in sostanza, erano sopravvenuti fatti che rendevano ormai inservibile l'immobile a fini di impresa, e di aver comunicato a GG di avere liberato i locali, e dunque chiedendo:

(i) rigettarsi ogni domanda di GG contro di sé, avendo rilasciato i locali e non avendo nulla a che fare con la situazione creatasi;

(ii) rigettarsi, in ogni caso, la malleva di EE, perché per un parte la morosità risaliva all'agosto 2014, periodo che doveva restare a carico di EE anche in base a una transazione intervenuta fra loro, mentre la morosità successiva al 28 aprile 2016 era stata sanata con un versamento a GG (a titolo di canoni da maggio a ottobre 2016) effettuata da tale Agestel Srl

Si costituiva X Network, infine, chiedendo dichiararsi la propria carenza di legittimazione passiva, perché del tutto estranea alla vicenda, essendo stata cessionaria da EE di un diverso ramo d'azienda, non comprendente l'immobile oggetto di causa; aderiva comunque alle difese di X.

1.3. Con sentenza del 19 novembre 2019 il Tribunale di Firenze rigettava ogni domanda di GG contro X e X Network per carenza di legittimazione passiva; accoglieva tutte le domande di GG contro EE, pronunciando la risoluzione del contratto e condannando EE a rilasciare l'immobile, nonché a pagare tutti i canoni di locazione scaduti e di futura scadenza sino alla riconsegna; rigettava la domanda di manleva proposta da EE; condannava EE a rimborsare le spese a GG; condannava GG a rimborsare le spese a X e a X Network.

2. Avverso tale sentenza EE proponeva appello avanti alla Corte d'Appello di Firenze.

Si costituiva GG, resistendo e proponendo appello incidentale.

Si costituiva X Network Srl, resistendo e proponendo appello incidentale.

Restava intimato il Fallimento X Srl in liquidazione.

2.1. Con sentenza n.410/2021 pubblicata il 9 marzo 2021, la Corte d'Appello di Firenze accoglieva l'appello proposto da EE Srl, così pronunciando: “1. in accoglimento dei motivi primo, terzo e quarto dell'appello principale, assorbiti il secondo e il quinto; assorbite altresì le domande di malleva reiterate contro EE Srl da X Network Srl e da X Srl; nonché dichiarato improcedibile l'appello incidentale di GG Srl; rigettato infine l'appello incidentale proposto da X Network Srl contro GG Srl, in corrispondente parziale riforma della impugnata sentenza n. 3483/2019 emessa dal Tribunale di Firenze il 19.11.2019, confermata nel resto: a. rigetta tutte le domande proposte da GG Srl nei confronti di EE Srl; b. condanna GG Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, a rimborsare a EE Srl le spese processuali di primo grado, che liquida in complessivi Euro 8.030,00 per compensi professionali di avvocato, oltre al 15% per rimborso di spese generali, c.a.p. e i.v.a. secondo legge; 2. condanna GG Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, a rimborsare a EE Srl le spese processuali del presente grado, che liquida in complessi Euro 10.916,50, di cui Euro 165,50 per esborsi ed Euro 10.751,00 per compensi professionali di avvocato, oltre al 15% sui compensi per rimborso di spese generali, c.a.p. e i.v.a. secondo legge; 3. compensa integralmente fra GG Srl e X Network Srl le spese processuali del grado”.

3. Avverso tale sentenza GG Srl propone ora ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

Resiste con controricorso Sirti-Net Srl in liquidazione (già EE Srl in liquidazione).

Resiste con controricorso X Network Srl

Sebbene intimato, il Fallimento X Srl non ha svolto attività difensiva.

4. La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell'art. 380-bis.1, cod. proc. civ.

Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni

La ricorrente e le resistenti hanno depositato memorie illustrative.


Considerato


1. Con il primo motivo la società ricorrente denuncia “Violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. e, in particolare dell'art. 36 della L.392/1978, e/o omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.”.

Lamenta che la Corte d'Appello di Firenze non avrebbe preso in considerazione la reale posizione giuridica delle parti, dato che EE non è il locatore originario, bensì il primo dei cessionari e dunque un cedente intermedio, e per l'effetto avrebbe erroneamente ritenuto la EE gravata da responsabilità sussidiaria, caratterizzata dal beneficium ordinis, senza invece tenere conto dell'orientamento di legittimità, secondo cui tra tutti i cedenti intermedi (tra cui appunto EE) vige la regola della presunzione di una responsabilità solidale.

Ne deriva altresì che erroneamente la corte territoriale ha applicato al caso di specie il principio, derivante dal citato art. 36, del necessario rispetto del beneficium ordinis, per cui occorre che prima dell'azione giudiziale il cessionario sia quanto meno messo mora con specifico atto, ancorché stragiudiziale.

Se la corte territoriale avesse correttamente applicato i suddetti principi, avrebbe escluso la necessità di preventiva messa in mora del cessionario finale per poter agire giudizialmente nei confronti del cedente intermedio.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia “Violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360 c.p.c. e, in particolare, dell'art.36 della L.392/1978, Disciplina delle locazioni di immobili urbani, G.U. n.211 del 29 luglio 1978 e/o

omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360, comma 1, n.5, cod. proc. civ. e, in particolare, la Corte d'Appello di Firenze avrebbe errato nel ritenere che GG non abbia preventivamente cercato di ottenere l'adempimento dall'ultimo, nonché dal primo dei cessionari intermedi”.

Lamenta, lungi dal volere equiparare un invito a partecipare ad un procedimento di mediazione ad una formale messa in mora, che la corte di merito non ha considerato che essa GG prima di agire contro EE aveva inviato a X Srl ed a X Network l'invito alla mediazione obbligatoria prodromica alla causa, e dunque non ha considerato che prima di convenire in giudizio EE, GG ha preventivamente tentato di ottenere il pagamento da tutti i cessionari intermedi, dunque conformandosi pienamente al dettato normativo di cui all'art. 36 della legge 392/1978.

3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia “Violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. e, in particolare, degli artt. 348,348-bis, 348-ter e 350 c.p.c. nonché 436 e 437 cod. proc. civ. per aver dichiarato erroneamente improcedibile l'appello incidentale di GG verso X Srl”.

Lamenta che la corte di merito ha erroneamente dichiarato improcedibile l'appello incidentale proposto da GG.

Deduce che tutte le parti erano costituite telematicamente e che in tal caso, come scritto nel decreto di fissazione di udienza, non era necessario né richiesto il deposito di ricorsi o notifiche; inoltre sul tema specifico dell'appello incidentale tutte le controparti avevano dispiegato ampie difese deduzioni ed eccezioni, per cui non era ravvisabile lesione alcuna del loro diritto di difesa.

4. Il primo motivo, in disparte il pur non marginale rilievo per cui la GG -solo genericamente evocando la documentazione prodotta in primo grado- sostanzialmente sollecita un riesame del merito in ordine alla posizione di EE quale cedente intermedio, evenienza mai menzionata nelle precedenti decisioni di merito, è infondato.

L'art. 36 legge n. 392/1978 prevede che: “Il conduttore può sublocare o cedere il contratto di locazione anche senza il consenso del locatore, purché venga insieme ceduta o locata l'azienda, dandone comunicazione al locatore mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Il Locatore può opporsi, per gravi motivi, entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione. Nel caso di cessione, il locatore, se non ha liberato il cedente, può agire contro il medesimo qualora il cessionario non adempia alle obbligazioni assunte”.

4.1. Tanto premesso, questa Corte, con orientamento cui si intende dare continuità, ha già avuto modo di affermare che “in caso di cessione del contratto di locazione (contestualmente a quella dell'azienda) effettuata ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 36, senza il consenso del locatore, mentre tra (l'unico) cedente e (l'unico) cessionario intercorre un vincolo di responsabilità sussidiaria (contraddistinta dal beneficium ordinis, che consente, perciò, al locatore di rivolgersi al cedente, con l'esperimento delle relative azioni giudiziali per il soddisfacimento delle obbligazioni inerenti il suddetto contratto, solo dopo che si sia configurato l'inadempimento del cessionario), nell'ipotesi di verificazione di plurime cessioni a catena, caratterizzate ciascuna dalla dichiarazione di non liberazione dei distinti cedenti, viene a configurarsi tra tutti i cedenti “intermedi” del contratto stesso (compreso il primo) un vincolo di corresponsabilità, rispetto al quale, in assenza di qualsivoglia limitazione ex lege, deve ritenersi normalmente applicabile la regola generale della presunzione di solidarietà (prevista dall'art. 1294 c.c.), in virtù della quale tutti i cedenti (a loro volta cessionari) non liberati dal locatore risponderanno, in solido tra loro, dell'obbligazione inadempiuta dall'attuale conduttore” (così Cass. n. 9486/2007)

4.2. La giurisprudenza successiva ha poi consolidato i seguenti principi:

a) a differenza della cessione del contratto, a struttura trilaterale (il consenso del contraente ceduto è elemento essenziale della cessione, e non co-elemento di efficacia della stessa) la cessione ex art. 36 si perfeziona con la semplice comunicazione al locatore, senza che, rispetto alla sua struttura, incida l'eventuale opposizione del locatore per gravi motivi;

b) in caso di cessione (o locazione) di azienda, con contestuale cessione del contratto di locazione dell'immobile nel quale l'azienda è esercitata, la disciplina recata dalla predetta norma (deviando in parte da quella generale di cui all'art. 1408 cod. civ.) comporta che, se il locatore non può opporsi alla sublocazione o alla cessione del contratto di locazione, unitamente alla cessione o locazione dell'azienda, tuttavia lo stesso può contare sul protrarsi della responsabilità del cedente per il pagamento del canone, nel caso di inadempimento del cessionario, salvo che egli stesso dichiari espressamente di liberarlo (Cass., 28809/2019; Cass. 30/09/2015, n. 19531).

c) il cedente è obbligato in via sussidiaria nei confronti del cessionario, alla stregua di una interpretazione storica e letterale dell'art. 36 in negativo, non essendo stata riprodotta la disposizione della legge n. 19 del 1965, art. 5 che prevedeva testualmente la responsabilità solidale tra cedente e cessionario;

d) la sussidiarietà si sostanzia, peraltro, nel semplice beneficium ordinis (e non anche nel più gravoso beneficium excussionis) in favore del cedente;

e) il rispetto di tale principio postula la semplice messa in mora senza esito del cessionario (con relativa prova a carico del locatore);

f) solo dopo aver rivolto senza esito la richiesta di inadempimento al cessionario ovvero all'ultimo cessionario in caso di cd. cessioni a catena, il locatore potrà rivolgersi, indifferenziatamente e solidalmente, a ciascuno dei cedenti intermedi, che non godono di alcun beneficium ordinis tra loro, e senza alcuna esigenza di integrare il contraddittorio tra i potenziali co-obbligati (da questo principio consegue la configurabilità del litisconsorzio facoltativo, che comporta rapporti scindibili sotto il profilo processuale: v. la già citata Cass., n. 9486/2007: “la illustrata struttura della coobbligazione solidale tra i conduttori convenuti in lite, escluso ogni rapporto di dipendenza o di subordinazione tra le posizioni degli stessi (escluso cioè che la responsabilità dell'un conduttore presupponga o consegua alla responsabilità dell'altro), determina l'autonomia delle domande cumulativamente proposte nei confronti degli stessi, impedendo la configurabilità di un rapporto unico ed inscindibile. Si versa, cioè, in una tipica fattispecie di litisconsorzio facoltativo con rapporti processualmente scindibili”; per cui: “con specifico riferimento alla cessione del contratto di locazione correlata alla cessione di azienda, si è espressa, in maniera reiterata, questa Corte, univoca nell'affermare che sussiste litisconsorzio necessario tra cedente, cessionario e ceduto soltanto quando siano in questione l'avvenuta conclusione, validità ed efficacia del contratto di cessione, ma non quando si controverta unicamente delle vicende del rapporto, potendo in questo caso il locatore esperire separate e distinte azioni nei riguardi dei soggetti tra loro obbligati in solido”; v. ex plurimis, Cass. 09/12/1997, n. 12454; Cass. 29/11/1993, n. 11847; Cass. 31.03.1987, n. 3102)”.

4.3. Questo consolidato orientamento della Corte da un lato è rispettoso della ratio del citato art. 36, che è quella di agevolare il trasferimento di aziende esercenti la loro attività in immobili condotti in locazione dall'imprenditore e di tutelare l'avviamento commerciale (con riferimento a tale ratio v. Cass. 19/01/2010, n. 685), ma, per altro verso, stante l'irrilevanza del consenso del locatore alla cessione della locazione contestuale alla cessione dell'azienda, evenienza questa che rende peculiare l'intera fattispecie speciale di detta cessione, valorizza l'opzione ermeneutica che risulti compatibile con una tutela “rafforzata” del soggetto ceduto al quale, in evidente spregio dei principi di successione nel debito, si nega la facoltà di esprimere la propria volontà ed il proprio assenso.

A tal proposito, perciò, da un lato tra il cedente ed il cessionario divenuto successivo conduttore dell'immobile esiste un vincolo di responsabilità sussidiaria, caratterizzata dal mero beneficium ordinis, che consente, perciò, al locatore di rivolgersi al cedente, con l'esperimento delle relative azioni giudiziali per il soddisfacimento delle obbligazioni inerenti il suddetto contratto, solo dopo che si sia consumato l'inadempimento di detto nuovo conduttore, nei cui confronti è necessaria la preventiva richiesta di adempimento mediante la semplice modalità della messa in mora. Dall'altro deve ritenersi legittima la configurabilità di una fattispecie di responsabilità cumulativa tra cessionari intermedi, che di per sé integra patente violazione del generale principio della incedibilità delle posizioni passive del rapporto obbligatorio senza il consenso del contraente ceduto, in quanto tuttavia giustificata alla luce della riconduzione ad equilibrio dell'intera vicenda contrattuale in fieri, mediante il meccanismo della “cumulatività indeterminata” della responsabilità tra coobbligati (Cass. 20/04/2007, n. 9486; Cass., 29/08/2019, n. 21794), alla quale si applica la regola generale della presunzione di solidarietà prevista dall'art. 1294 cod. civ., in virtù della quale tutti i cedenti (a loro volta cessionari) non liberati dal locatore risponderanno, in solido tra loro, dell'obbligazione inadempiuta dall'attuale

conduttore (cfr. Cass. n. 9486/2007).

4.4. Orbene, la corte di merito ha fatto puntuale applicazione dei suindicati principi (v. punto 3 della motivazione della sentenza impugnata), in forza dei quali interpreta l'art. 36 legge 392/1978 correttamente e dunque nel senso per cui, si ribadisce, nel caso di cessione plurima di contratto di locazione ad uso diverso dall'abitazione, di fronte all'inadempimento del pagamento del canone di locazione, il locatore deve -in primo luogo e prima di esercitare l'azione nei confronti del cedente-richiedere l'adempimento all'ultimo cessionario; nel caso in cui costui non adempia, scatta automaticamente la solidarietà fra tutti i cedenti e cessionari antecedenti, a cui dunque il locatore potrà successivamente ed indifferenziatamente rivolgersi.

E' per contro manifestamente infondata la tesi del ricorrente, che vorrebbe far discendere - non è chiaro in forza di quale principio - dal riconoscimento della responsabilità solidale di tutti i successivi cessionari, nel caso di plurime cessioni, l'esclusione del beneficium ordinis per cui, prima di agire, occorre che il locatore compulsi, chiedendo l'adempimento, l'ultimo cessionario.

E' vero che nel caso in cui l'ultimo cessionario non adempia, scatta automaticamente la solidarietà tra tutti i cedenti ed i cessionari antecedenti, ma -si ribadisce- resta pur sempre fermo il principio del beneficium ordinis, per cui, di fronte all'inadempimento, il locatore anzitutto deve compulsare l'ultimo cessionario.

5. Il secondo motivo è invece fondato.

Esso pone una questione nuova, che ad avviso di questa Corte deve essere risolta in senso contrario a quanto deciso della corte fiorentina.

5.1. Giova dunque anzitutto ricordare che in primo grado il Tribunale di Firenze aveva così statuito:

... in caso di mancata liberazione del cedente, per tutte le azioni attinenti alla prosecuzione o alla estinzione del rapporto locatizio, permane la legittimazione passiva dell'originario conduttore. Quanto alla responsabilità del cedente, da ultimo la Suprema Corte ha ritenuto applicabile il principio della responsabilità sussidiaria all'interno dei rapporti tra i coobbligati, sia pure sotto il limitato profilo del beneficium ordinis (vedi Cass., 20/04/2007, n. 9486; Cass., 11/11/2011, n. 23557), attraverso una preventiva richiesta di adempimento al cessionario, oppure, come sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità più recente, attraverso la semplice modalità della messa in mora (vedi Cass., n. 13706/2017). Applicando i suesposti principi al caso di specie, ne discende la responsabilità dell'originario conduttore EE Srl per i canoni di locazione non pagati anche per il periodo successivo alla cessione del ramo di azienda e del contratto di locazione (1.5.2016), non essendo stato liberato dal locatore, che ne ha ricevuto formale comunicazione; incontestato, poi, è l'inadempimento all'obbligo di pagamento dei canoni di locazione sin dal mese di maggio 2016 del conduttore cessionario, il quale, pur non avendo ricevuto alcuna formale richiesta di adempimento o di messa in mora da parte del locatore prima dell'introduzione del presente giudizio, ha manifestato sin da subito, con l'introduzione del procedimento di mediazione, la volontà di non adempiere (vedi verbale negativo di mediazione del 18.10.2017), con conseguente maturarsi dell'inadempimento di quest'ultimo”.

5.2. La corte d'appello ha invece integralmente riformato la decisione sotto tali profili, espressamente affermando che non è sufficiente, al fine del rispetto del beneficium ordinis, la richiesta inviata per la mediazione obbligatoria prodromica alla causa, dal momento che:

tale atto non è equipollente a una (preventiva) messa in mora. Ammesso e non concesso che una comunicazione indirizzata in via immediata non al debitore, ma all'Organismo di Mediazione, possa dirsi comunque utile ai presenti fini, è dirimente considerare che con la richiesta di mediazione il creditore non intima affatto al debitore di adempiere, ma -proprio per la natura dell'atto - riserva al successivo eventuale giudizio ogni richiesta.

Al massimo, cioè, la richiesta di mediazione manifesta al debitore che la sua controparte vanta una pretesa nei suoi confronti e, ove la mediazione non abbia buon esito, è intenzionata ad agire in giudizio; ma di certo non costituisce una intimazione immediata di adempimento, essendo ciò intrinsecamente in contrasto con la funzione dell'atto, che è quello di avviare una mediazione. È d'altra parte noto che la messa in mora, pur se a forma libera, deve manifestare la incondizionata volontà del creditore di pretendere l'immediato adempimento: “La costituzione in mora del debitore, anche al fine della interruzione della prescrizione, postula l'estrinsecazione della pretesa creditoria, con richiesta d'adempimento, e, per tanto, non può essere ravvisata in una generica riserva di far valere il diritto o di agire a sua tutela in un momento successivo.” (Cass. sez. civ. 21.5.1985 n. 3096 rv 440793); non sono idonee alla messa in mora “(…) semplici sollecitazioni prive del carattere di intimazione e dell'espressa richiesta di adempimento al debitore.” (Cass. sez. 6 civ. ord. 14.6.2018 n. 15714 rv 649150-01; conf.: Cass. sez. 6 civ. ord. 7.9.2020 n. 18546). Sarebbe inutile obiettare - e GG non lo fa - che l'art. 5 co. 6 primo periodo D. Lgs 28/2010 stabilisce che “Dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale”, perché la peculiare parificazione va considerata limitata, così come la legge specifica, ai soli fini della interruzione della prescrizione; ché, se poi si opinasse diversamente, si dovrebbe allora, per esser conseguenti, operare una parificazione totale della domanda di mediazione a quella giudiziale, col risultato, comunque favorevole alla tesi dell'appellante EE, che sarebbe mancata una intimazione al debitore principale precedente all'avvio della causa, con mancato rispetto del beneficium ordinis”.

La corte territoriale, pertanto, conclude nel senso che, ricevuta da parte di EE la comunicazione dell'avvenuta cessione, GG, prima di convenirla in giudizio per far valere la sua responsabilità sussidiaria rispetto a inadempimenti interamente attribuibili al cessionario, avrebbe dovuto mettere in mora X (all'epoca X).

5.3. Orbene, la corte di merito richiama astrattamente i principi di diritto posti da questa Suprema Corte in sede di interpretazione dell'art. 36 legge 392/1978 e qui riportati in sede di scrutinio del primo motivo di ricorso, ma non li applica correttamente al caso di specie, in cui viene in rilievo il profilo, mai esaminato sinora, per cui prima della instaurazione del giudizio di merito la GG ha comunicato a tutte le controparti di aver depositato istanza di mediazione, rispetto alla quale la corte fiorentina svolge considerazioni non condivisibili.

Anzitutto va rilevato che, per un verso, la corte d'appello sostanzialmente non disconosce l'esistenza del credito di GG e che, per altro verso, è cosa giudicata interna, formatasi per effetto della mancata impugnazione, che la mediazione fosse stata estesa all'ultimo cessionario, quello nei cui riguardi doveva rivolgersi la richiesta di pagamento.

Ciò posto, è errato quanto afferma la corte fiorentina circa l'impossibilità di considerare la richiesta di mediazione, come attività stragiudiziale, sub specie di richiesta di adempimento.

In disparte il rilievo -puramente formalistico ed affatto decisivo- per cui la domanda di mediazione non è rivolta direttamente al debitore ma all'Organismo di Mediazione, le argomentazioni della corte di merito per cui con la domanda di mediazione il creditore “non intima affatto di adempiere” sono immotivate ed apodittiche, a fronte della previsione dell'art. 4, comma 2, D.Lgs. n. 28 del 2010, che stabilisce che la domanda di mediazione è presentata mediante deposito (presso un organismo di mediazione) di un'istanza che deve indicare l'organismo, le parti, l'oggetto e le ragioni della pretesa; tale previsione va letta in combinato disposto con la normativa dettata dall'art. 5, comma 1-bis in tema di mediazione obbligatoria, il quale prevede uno stringente collegamento tra il processo civile (“azione”) e la preventiva mediazione.

La ratio di tale previsione è quella di ottenere, in caso di eventuale successivo giudizio, una simmetria tra la disposizione richiamata (art. 4 comma 2 D.Lgs. 28/2010) e l'art. 125 cod. proc. civ., circa il contenuto degli atti processuali, (cfr. Cass. n. 29333/2019, non massimata, che contiene questo espresso riferimento: “L'assunto cassatorio è che la corte territoriale abbia violato l'art. 4 del D.Lgs. n. 28/10 che prescrive che la domanda di mediazione debba contenere l'indicazione dell'organismo, delle parti, dell'oggetto e delle ragioni della domanda, in sintonia con quanto prescritto dall'art. 125 cod. proc. civ., quanto al contenuto degli atti processuali, sì da garantire che quanto sottoposto all'organismo di mediazione trovi corrispondenza in quanto successivamente portato alla cognizione del giudice”, per poi concludere nel senso della infondatezza del motivo, in quanto “All'esito di un accertamento di merito adeguatamente motivato, insuscettibile di riesame da parte di questa Corte, la decisione impugnata ha confrontato la domanda di mediazione con quella giudiziale ed ha ritenuto che non vi fosse una insanabile non sovrapponibilità del relativo oggetto”).

E' pacifico, dunque, che l'istanza di mediazione debba avere gli stessi elementi (parti, oggetto e ragioni), riproposti in sede processuale (personae, petitum e causa petendi dell'art. 125 cod. proc. civ.), e questo al fine di rendere effettiva la mediazione, per cui la parte chiamata deve essere messa in condizione di conoscere tutte le questioni, nel loro nucleo essenziale, costitutive della pretesa dell'altra parte.

In questo contesto, dunque, non è ragionevolmente possibile escludere che la domanda di mediazione non possa anche rivestire i presupposti della intimazione ad adempiere; se la mediazione è finalizzata alla definizione della controversia in via conciliativa, deflazionando il contenzioso ordinario, per altro verso la medesima costituisce condizione di procedibilità della successiva domanda giudiziale: pertanto, l'istanza di mediazione deve contenere quel nucleo indefettibile di elementi e di contenuto, tale da evidenziare la pretesa su cui la mediazione medesima possa essere utilmente esperita ovvero, in caso contrario, che costituirà il fondamento ed il contenuto della futura iniziativa giudiziale, e per questo dunque non può non far riferimento alla pretesa creditoria da un lato ed all'inadempimento, al di là del mero ritardo, dall'altro.

5.4. Anche l'ulteriore argomento formulato dalla corte di merito e fondato sul disposto del comma 6 dell'art. 5 D.Lgs. 28/2010 non è condivisibile.

La citata disposizione prevede in particolare che: “Dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all'articolo 11 presso la segreteria dell'organismo”.

Orbene, al contrario di quanto dice la corte di merito, proprio il principio espresso dal citato art. 5, comma 6, primo periodo, attribuendo alla domanda di mediazione effetti interruttivi della prescrizione a somiglianza della proposizione della domanda giudiziale, implica a maggior ragione che l'attivazione della mediazione non possa che considerarsi come richiesta di adempimento all'ultimo cessionario.

Il ragionamento svolto dalla corte di merito, secondo cui la parificazione tra istanza di mediazione e domanda giudiziale sarebbe limitata ai soli fini della interruzione della prescrizione, invero non considera che la previsione del citato art. 5, comma 6, D.Lgs. 28/2010, lungi dall'essere letta ed interpretata in maniera puramente letterale, va considerata sotto un profilo sistematico.

E sotto tale profilo deve essere rilevato che con questa disposizione il legislatore si è fatto carico dell'evenienza per cui colui che esperisce e coltiva un percorso di mediazione (e lodevolmente, visto che, come si desume dall'art. 8, comma 4-bis del D.Lgs. 2010 n. 28 - a norma del quale “Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall' art. 5, non ha partecipato al procedimento (di mediazione) senza giustificato motivo al versamento all' entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio”- è ormai principio immanente dell' ordinamento giuridico che la partecipazione alla mediazione è un valore in sé, a prescindere dal merito, e quindi dal convincimento di non dover incorrere nella soccombenza) non può essere costretto a subire gli effetti del decorso della prescrizione.

Pertanto, posto che la domanda di mediazione precede necessariamente la domanda giudiziale, il legislatore ha optato, a scanso di dubbi, per parificarla espressamente alla domanda giudiziale ai fini della interruzione del decorso del termine di prescrizione.

5.5. Del tutto formalistico e privo di pregio e poi l'assunto secondo cui in tal modo si equiparerebbe totalmente la richiesta di mediazione alla domanda giudiziale, con la conseguenza che mancherebbe l'essersi richiesto il pagamento all'ultimo cessionario prima di compulsare gli altri, in quanto il pagamento risulterebbe richiesto a tutti i cedenti e cessionari, con conseguente mancato rispetto del beneficium ordinis.

La domanda di mediazione, per la sua specifica funzione di giustizia complementare in funzione deflattiva, collegata al solo eventuale futuro giudizio di merito, viene inviata ante causam e nell'esporre la pretesa giuridica di cui si e titolari e la relativa esigenza di tutela, anzitutto al fine di trovare un possibile accordo conciliativo tra le parti, contiene naturalmente quella richiesta di adempimento che, pur nella sua forma più elementare, vale ad escludere il mero ritardo ed è idonea a far constare l'inadempimento del soggetto obbligato.

Va condivisa pertanto la censura contenuta nel secondo motivo di ricorso (p. 17), per cui “nessuno ha mai voluto equiparare un invito a partecipare a un procedimento di mediazione a una formale messa in mora, tuttavia non può certo dirsi che prima di convenire in giudizio EE, GG non abbia preventivamente tentato di ottenere il pagamento dai cessionari intermedi e dunque conformandosi pienamente al dettato normativo di cui all'art. 36 della legge 392/1978”.

5.6. Risulta inoltre illogico che la corte territoriale abbia rigettato la domanda del proprietario verso il cedente, affermando che il primo non avrebbe tentato di ottenere l'adempimento dei cessionari intermedi e giustificando tale rilievo sulla pretesa non equipollenza tra domanda di mediazione e messa in mora.

Se infatti si considera complessivamente la motivazione, è possibile rilevare che l'impugnata sentenza svolge una articolata -e condivisibile- premessa, richiamando l'orientamento di questa Corte, secondo cui ciò che conta, ai fini del rispetto del beneficium ordinis, non è la mora in sé del cessionario, che, a ben vedere, si produce ex re allo scadere del termine per il pagamento della rata di canone (cfr. Cass. sez. 3^ civ. 17.12.1986 n. 7628; Cass. sez. 3^ civ. 13.3.2007 n. 5836; Cass. sez. 3^ civ. 9.12.2004 n. 25853; è fatta salva la deroga dell'art. 1282 co. 2 c.c. nei soli casi, diversi dal presente, in cui le parti abbiano pattuito la natura querable della prestazione del conduttore), ma l'inadempimento vero e proprio, che occorre dunque constatare, al di là del mero ritardo, con un autonomo atto - ancorché nelle semplici forme dell'intimazione stragiudiziale - che non può che essere anteriore all'azione giudiziale (v. Cass., 20/01/2017, n. 1433, nel solco dell'indirizzo fissato dalla citata Cass., 9486/2007).

In ogni caso, poi, questa Corte ha già avuto modo di affermare che la messa in mora non richiede formule sacramentali né di particolari adempimenti (Cass., 18631/2019: “l'atto di costituzione in mora di cui all'art. 1219 cod. civ., idoneo ad integrare atto interruttivo della prescrizione ai sensi dell'art. 2943, ultimo comma, cod. civ., non è soggetto a rigore di forme, all'infuori della scrittura, e quindi non richiede l'uso di formule solenni né l'osservanza di particolari adempimenti, occorrendo soltanto che il creditore manifesti chiaramente, con un qualsiasi scritto diretto al debitore e portato comunque a sua conoscenza, la volontà di ottenere il soddisfacimento del proprio diritto. Sulla base di tali principi, perché un atto possa valere come costituzione in mora, deve contenere unicamente la chiara indicazione del soggetto obbligato (elemento soggettivo), nonché l'esplicitazione di una pretesa e l'intimazione o la richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare l'inequivocabile volontà del titolare del credito di ottenere il soddisfacimento del proprio diritto nei confronti del soggetto indicato (elemento oggettivo)”.

5.7. Ebbene, nel caso di specie GG prima di intraprendere il giudizio ex art. 447 bis cod. proc. civ. ha tentato di ottenere l'adempimento da parte di tutti cessionari, dunque in applicazione del disposto di cui al citato art. 36 legge 392/1978.

Il ragionamento della corte territoriale sul beneficium ordinis non considera che tale beneficio implica soltanto che prima dell'esercizio dell'azione contro il cedente e, quindi contro la platea dei cedenti e cessionari, ci si debba rivolgere stragiudizialmente all'ultimo cessionario. L'attività mediatoria, pur coinvolgente tutti i soggetti coinvolti nelle cessioni a catena del contratto di locazione, non costituisce quindi esercizio dell'azione giudiziale contro il cedente originario ed i successivi cessionari e cedenti anteriori all'ultimo cessionario.

5.8. La possibile funzione della domanda di mediazione di far constare ante causam l'inadempimento del debitore risulta vieppiù evidente se si considera, come ha osservato in prime cure il tribunale ed invece ha trascurato la corte d'appello, che nel caso di specie i destinatari della convocazione in mediazione hanno manifestato la volontà di non adempiere, come risulta dal verbale negativo di mediazione, per cui in tal modo si è maturato il loro inadempimento, in forza dell'espresso disposto, che la corte fiorentina ha omesso di considerare, dell'art. 1219 comma 2, n. 2, cod. civ., per cui non è necessaria la messa in mora del debitore allorquando lo stesso abbia dichiarato per iscritto di non voler eseguire l'obbligazione.

6. Pertanto, in accoglimento del motivo la impugnata sentenza va cassata e rinviata alla Corte d'appello di Firenze, in diversa composizione, per nuovo esame in applicazione del seguente principio di diritto:

Ai fini del rispetto del beneficium ordinis previsto dall'art. 36 della legge 392/1978, ciò che rileva è l'inadempimento vero e proprio del cessionario/conduttore, che, da parte del locatore, deve essere fatto constatare con autonomo atto, prima di rivolgersi al cedente e di esperire l'azione giudiziale. Tale autonomo atto può essere anche costituito dalla domanda di mediazione, ovvero dalla richiesta di partecipazione alla mediazione (nel caso di specie obbligatoria), estese - in funzione del successivo giudizio - anche al cessionario (e nel caso di cessioni successive all'ultimo cessionario), atteso che una simile iniziativa, per le sue caratteristiche funzionali ben può essere considerata come richiesta di adempimento ante causam fatta nei riguardi del cessionario (o dell'ultimo cessionario)”.

7. Il terzo motivo è manifestamente infondato.

Va premesso che la corte di merito ha dichiarato l'improcedibilità dell'appello incidentale di GG in quanto la stessa non ha depositato nel giudizio di appello la prova dell'avvenuta notificazione del ricorso incidentale.

Tale circostanza è pacifica, tanto è vero che la stessa GG motiva le proprie ragioni sostenendo che tale onere non le incombesse.

Va invece ricordato che questa Corte a Sezioni Unite, con la sentenza 30/07/2008, n. 20604 ha già avuto modo di affermare che, nel rito del lavoro, l'appello incidentale, pur tempestivamente proposto, ove non sia stato notificato va dichiarato improcedibile, poiché il giudice, in attuazione del principio della ragionevole durata del processo, non può assegnare all'appellante un termine per provvedere a nuova notifica, e la suddetta improcedibilità è rilevabile d'ufficio trattandosi di materia sottratta alla disponibilità delle parti (v. anche tra le successive conformi, Cass. sez. lav. 19.1.2016 n. 837; Cass., 03/04/2017, n. 8595; Cass., 19/10/2017, n. 24742; Cass., n. 29870/2008; Cass., n.1721/2009; Cass., n. 11600/2010, Cass., n.27086/2011; Cass., n. 20613/2013; Cass., n. 6159/2018).

Il principio discende dall' art. 436, comma 3, cod. proc. civ., il quale, per effetto dell'espresso richiamo contenuto nell'art. 447 bis, comma 2, cod. proc. civ., si applica anche ai giudizi, come il presente, in tema di locazione.

Si è poi ulteriormente precisato che il principio, affermato per l'appello principale, va applicato anche all'appello incidentale (v. Cass. 19/01/2016, n. 837).

7.1. La corte di merito ha dunque fatto buon governo dei suddetti principi, applicandoli al caso sottoposto al suo esame, in cui l'appello incidentale di GR verso X e stato tempestivamente proposto, ma non notificato, sottolineando in motivazione che né nelle fasi anteriori, ivi compresa quella incidentale di inibitoria, né con le note di trattazione scritta dell'udienza di discussione GG ha allegato di avere mai notificato la sua comparsa contenente l'appello incidentale e men che meno ne ha fornito prova.

Infondate sono dunque le considerazioni, contenute nel motivo di ricorso, secondo cui tutte le parti erano costituite in giudizio, dal momento che la mancata notifica (e la mancata prova in giudizio del fatto che essa sia avvenuta) non è causa di nullità, cioè di un vizio sanabile con l'avvenuta costituzione in giudizio delle parti, ma è causa di improcedibilità, cioè di un vizio comunque non sanabile, neppure a seguito della costituzione delle parti.

7.2. Risulta infine irrilevante e privo di pregio il fatto che GG abbia “dovuto anche depositare istanza di correzione di errore materiale sul punto” (v. p. 20 del ricorso), in quanto allegato in maniera del tutto generica, in violazione dell'art. 366, n. 6, cod. proc. civ. ed in assenza di correlazione con quanto motivato dalla corte territoriale nel ritenere improcedibile l'appello incidentale; che poi, in allegato a tale istanza di correzione di errore materiale, GG abbia prodotto le ricevute telematiche relative alla notifica alle controparti dell'appello incidentale allo scopo di cercare di ovviare all'omessa produzione nel corso del giudizio, è evenienza parimenti irrilevante, dato che tale produzione è tardiva, essendo intervenuta dopo la pronuncia della sentenza nel giudizio di appello.

8. In conclusione, vanno rigettati il primo ed il terzo motivo di ricorso, mentre va accolto il secondo; l'impugnata sentenza va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altra Sezione della Corte d'Appello di Firenze, comunque in diversa composizione, per nuovo esame in applicazione del principio di diritto indicato al par. 6 della motivazione.

9. Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.


PQM


La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso; rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia ad altra Sezione della Corte d'Appello di Firenze, comunque in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.


AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

20 maggio 2023

22/23. In mediazione si può chiedere qualcosa di diverso o minore rispetto al petitum immediato processuale: la pretesa risarcitoria generica o inferiore alla domanda giudiziale comporta l’improcedibilità? (Osservatorio Mediazione Civile n. 22/2023)

=> Tribunale di Treviso, 6 ottobre 2022

 

L'obbligo stabilito dall'art. 4 D.Lgs. 28/2010 va riferito al nucleo della controversia, e non necessariamente anche a domande risarcitorie di carattere accessorio che è del tutto prevedibile siano avanzate con il compiuto dispiegarsi dell'attività difensiva delle parti, cioè nella fase giudiziale.

Seppur in fase di mediazione venga chiesto di meno rispetto alla domanda giudiziale, o la pretesa risarcitoria sia volutamente generica, ciò non permette di affermare l'improcedibilità in prima udienza; difatti, è fisiologico che nella fase della mediazione - anche in via di istanza - si possa formalmente chiedere qualcosa di diverso o minore rispetto al petitum immediato processuale. Diversamente, verrebbe del tutto vulnerata la ratio sottesa alla mediazione, rendendola nei fatti un duplicato processuale (A ciò aggiungasi che la resistente, non partecipando alla procedura conciliativa stragiudiziale, si è negata qualsivoglia possibilità di approfondimento riguardo al completo intendimento della controparte).

 

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 22/2023

(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

 

Tribunale di Treviso

Sentenza

6 ottobre 2022

 

Omissis

 

Preliminarmente, quanto all'eccepita improcedibilità del giudizio per mancato esperimento da parte del ricorrente del tentativo di mediazione obbligatoria, l'eccezione risulta infondata, visto che il procedimento di mediazione è stato correttamente avviato, con conseguente verificazione dell'adempimento obbligatorio ex lege; infatti, l'obbligo stabilito dall'art. 4 D.Lgs. 28/2010 va riferito al nucleo della controversia, e non necessariamente anche a domande risarcitorie di carattere accessorio che è del tutto prevedibile siano avanzate con il compiuto dispiegarsi dell'attività difensiva delle parti, cioè nella fase giudiziale. Nel caso di specie, era stato preventivamente attivato, alla fine del 2020, dall'odierna ricorrente un procedimento per accertamento tecnico preventivo, nel quale la resistente risulta essersi costituita (cfr. doc. 10 resistente) e dove, peraltro, era indicato lo scaglione di valore entro il quale rientrava la domanda (5.200,00 - 26.000,00, cfr. doc. 16 ricorrente); pertanto, non può condividersi l'assunto di parte resistente secondo cui la mancata indicazione del quantum della domanda risarcitoria nell'invito alla mediazione le avrebbe precluso ogni possibilità di approntare un'adeguata difesa.

A ciò aggiungasi che la resistente, non partecipando alla procedura conciliativa stragiudiziale, si è negata qualsivoglia possibilità di approfondimento riguardo al completo intendimento della controparte. Del resto, seppur in fase di mediazione venga chiesto di meno rispetto alla domanda giudiziale, o la pretesa risarcitoria sia volutamente generica, ciò non permette di affermare l'improcedibilità in prima udienza; è fisiologico, infatti, che nella fase della mediazione - anche in via di istanza - si possa formalmente chiedere qualcosa di diverso o minore rispetto al petitum immediato processuale. Diversamente, verrebbe del tutto vulnerata la ratio sottesa alla mediazione, rendendola nei fatti un duplicato processuale.

L'eccezione proposta da parte resistente è, quindi, infondata e va respinta.

Quanto all'eccepita inammissibilità della domanda riconvenzionale svolta dal resistente, l'eccezione di parte ricorrente risulta meritevole di accoglimento.

Infatti, essa non è stata accompagnata dalla necessaria richiesta di spostamento dell'udienza prevista dagli artt. 416 e 418 c.p.c. per il rito locatizio.

Per questo motivo, la domanda riconvenzionale proposta da parte resistente è inammissibile.

Nel merito, è pacifico che il conduttore non abbia provveduto a corrispondere i canoni di locazione dovuti per i mesi da aprile 2020 ad agosto 2020 e per il periodo 1-20 settembre 2020, sino all'intervenuto rilascio dell'immobile, per un importo pari a complessivi 6.049, 90 (cfr. pag. 9 ricorso, oltre a pag. 19 comparsa di costituzione del resistente), nulla essendo stato allegato dalle parti con riferimento all'eventuale successivo pagamento dei canoni scaduti.

La resistente afferma di non aver adempiuto all'obbligazione di versare i canoni di locazione per il periodo di cui sopra essenzialmente per due ragioni, vale a dire a causa delle restrizioni imposte per il contrasto alla nota pandemia da Covid-19 che hanno determinato la chiusura forzata dell'attività di parrucchiera dalla stessa esercitata nell'immobile locato nonché a causa dei vizi asseritamente presenti nell'immobile e mai risolti dal locatore, che avrebbero impedito il pieno godimento dell'immobile da parte del conduttore.

Entrambe le eccezioni sollevate dalla resistente sono, tuttavia, infondate e non possono trovare accoglimento. omissis

Quanto alla domanda del locatore avente ad oggetto l'indennità di mancato preavviso, quantificata in 6.405, 78 (pari a sei mensilità), è pacifico che la conduttrice abbia comunicato alla locatrice la volontà di rilasciare l'immobile locato "nel minor tempo possibile" con la missiva datata 10.8.2020 (cfr. doc. 5 ricorrente), ancor prima che con la lettera del 15.9.2020, di pochi giorni antecedente all'effettiva riconsegna delle chiavi del locale.

Poiché, ai sensi dell'art. 2 del contratto di locazione (cfr. doc. 1 ricorrente), la conduttrice poteva recedere liberamente dal contratto in ogni momento, con un preavviso di sei mesi, detto termine semestrale deve essere computato dal 17.8.2020 (data in cui la citata missiva fu ricevuta dal locatore, cfr. doc. 23 resistente).

Conseguentemente, la domanda del ricorrente risulta parzialmente meritevole di accoglimento, con riferimento al solo periodo residuale intercorso tra il rilascio dell'immobile (20.9.2020) e la scadenza di dette termine semestrale (17.2.2021), ovvero per 5 mensilità, anziché 6, come richiesto, e per un importo pari ad € 5.338,15 (1.067,63 x 5 mensilità).

Con riferimento alla domanda di rimborso della somma di 197, 15 a titolo di tassa per il rinnovo del contratto e per la sua risoluzione, essa non può trovare accoglimento in quanto l'esborso non è provato.

Parte ricorrente, infatti, allega di aver provveduto al pagamento di detta somma e, nel proprio atto introduttivo (cfr. p. 9 ricorso), cita i docc. 26 e 27 a fondamento della propria allegazione; tuttavia, tali documenti non risultano depositati tra gli atti del presente giudizio, all'interno della cartella zippata allegata al ricorso.

Quanto alla domanda di risarcimento dei danni subiti dall'immobile locato, il consulente tecnico d'ufficio, nel procedimento per accertamento tecnico preventivo esperito ante causam R.G. n. 7652/2020, ha stimato il costo di ripristino dell'immobile già locato alla resistente nell'importo complessivo di Sentenza n. 1871/2022 pubbl. il 06/10/2022 RG n. 7361/2021 6.875, 00, IVA esclusa, così ripartito (cfr. pagg. 12/13 relazione c.t.u. sub doc. 17 ricorrente): -  € 150,00 + IVA per la rimozione, l'asporto e l'eliminazione della pellicola presente sulla vetrina, degli specchi e dello scaffale; - € 960, 00 + IVA ed € 3.240,00 + IVA per il ripristino della pavimentazione, con asporto della precedente e posa di nuova pavimentazione a causa della difficoltà di reperire piastrelle della stessa tipologia di quelle presenti, stante la vetustà delle stesse; - € 150,00 + IVA per la rasatura e la stuccatura dei fori presenti nel controsoffitto e nelle pareti; - € 570,00 + IVA per il ripristino del quadro elettrico e la posa di nuove placche in sostituzione di quanto asportato (di cui 450, 00 + IVA per il ripristino del quadro elettrico ed € 120,00 + IVA per la posa delle placche); - € 945,00 + IVA per il taglio dell' intonaco sulle pareti interessate dall' umidità di risalita, l' applicazione di idoneo prodotto deumidificante/isolante e la successiva intonacatura; - € 560,00 + IVA per la ritinteggiatura delle pareti; - € 300, 00 + IVA per l'eliminazione delle pareti in cartongesso e asporto dei materiali di risulta in discarica.

Nell'odierno giudizio, tuttavia, il ricorrente non chiede il pagamento delle somme relative alla ritinteggiatura delle pareti (peraltro l'art. 7 del contratto stesso prevedeva che l'immobile fosse riconsegnato non ritinteggiato), all'eliminazione delle pareti in cartongesso e all'asporto dei relativi materiali, al taglio dell'intonaco, all'applicazione dell'idoneo prodotto deumidificante/isolante e alla successiva intonacatura, ma soltanto di quelle inerenti l'asporto della pellicola presente sulla vetrina, dei sei specchi e dello scaffale, il ripristino della pavimentazione, la rasatura e la stuccatura dei fori, il ripristino del quadro elettrico e la posa di nuove placche, tenendo conto degli importi medio tempore effettivamente spesi per l'esecuzione di dette attività, quantificati in € 3.153,90, IVA inclusa.

A tale proposito, il ricorrente si è limitato a chiedere l'acquisizione in giudizio della citata relazione peritale redatta in sede di procedimento di accertamento tecnico preventivo, che attesta la sussistenza di alcuni danni, mentre la resistente ha formulato alcuni capitoli di prova, ritenuti inammissibili, volti a dimostrare che sin dall'inizio del rapporto l'immobile non si trovava in ottimo stato locativo, con particolare riferimento al quadro elettrico e alla salubrità dei locali concessi in locazione.

In merito al risarcimento dei danni che si verifichino nell'immobile locato, in base a giurisprudenza costante (cfr., ex multis, Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 6387 del 15/03/2018), incombe sul locatore l'onere della prova del fatto costitutivo del vantato diritto, e cioè del deterioramento intervenuto tra il momento della consegna e quello della restituzione dell'immobile, mentre sul conduttore grava l'onere di dimostrare il fatto impeditivo della sua responsabilità.

Peraltro, è nozione pacifica che, tra i danni arrecati all' immobile dei quali il locatore è ammesso a chiedere il risarcimento al termine della locazione, non rientrino i deterioramenti dovuti al normale uso dell'immobile medesimo da parte del conduttore.

Tali principi devono trovare applicazione nel caso di specie. Orbene, quanto alle condizioni del pavimento, il CTU ha verificato il danneggiamento di alcune piastrelle. Atteso che il danneggiamento riguarda solo alcune piastrelle, e non un'intera parte della pavimentazione del locale, il danno ora in esame pare potersi qualificare come normale deterioramento dovuto all'uso ultraventennale dell'immobile oggetto di causa da parte della conduttrice, che lo occupava dal 1998, essendo subentrata nel rapporto ad altra precedente conduttrice e titolare dell'azienda.

Il ricorrente non ha, dunque, alcun diritto risarcitorio in merito. Infatti, sul conduttore, per espressa previsione di legge e costante giurisprudenza, incombe il doveroso obbligo di riconsegnare l'immobile nello stesso stato in cui lo ha ricevuto inizialmente, senza essere responsabile per l'ordinario stato di usura del bene. Il conduttore, quindi, deve sì essere custode diligente dell'immobile, limitandosi ad utilizzarlo secondo le sue caratteristiche e per l'uso pattuito, ma non può ritenersi tenuto a risarcire alcun degrado che sia mera conseguenza del suo normale uso (in questo senso, ex multis, Cass., Sez. Un., Sentenza n. 6882 del 08/03/2019).

Quanto ai fori presenti nel controsoffitto e nelle pareti, accertati dal CTU in corso di causa, vale analogo discorso.

Infatti, anche alla luce dell'attività regolarmente svolta da parte della conduttrice nei locali ad essa locati, è certo plausibile che siano stati operati alcuni piccoli fori sulle pareti, strumentali ad appendere degli scaffali sospesi alle pareti o altri supporti - verosimilmente fissati tramite viti a pressione - necessari all'attività di parrucchiera.

Sicché la stuccatura e rasatura degli stessi rimane a carico del locatore. Per quanto concerne il costo di rimozione, asporto ed eliminazione della pellicola presente sulla vetrina, dei sei specchi e dello scaffale, la fattura dimessa in giudizio dal ricorrente sub doc. 20 riguarda soltanto la rimozione delle specchiere, rispetto alle quali, sulla base delle allegazioni delle parti, non è dato comprendere quando siano state installate nell'immobile locato, in specie se prima o dopo la consegna dei locali all'attuale conduttrice.

Tuttavia, in entrambi i casi il costo della rimozione delle specchiere non può essere addossato alla resistente. Infatti, ove queste ultime fossero preesistenti al subentro della G.XXX, la rimozione delle suddette non potrebbe, evidentemente, considerarsi onere ricompreso nell'obbligo di riconsegnare l'immobile nello stato in cui le fu consegnato.

Viceversa, ove fossero state da questa installate, troverebbe applicazione l'art. 8, comma secondo, del contratto di locazione, in forza del quale queste ultime andrebbero considerate acquisite alla proprietà della ricorrente, e, di conseguenza, la spesa per la loro rimozione resterebbe a suo carico, visto che il loro asporto avrebbe necessariamente danneggiato i muri su cui erano installate.

In ogni caso, considerato che è pacifico che la pellicola presente sulla vetrina sia stata apposta dalla resistente, il costo di rimozione, per come ritenuto congruo dal c.t.u. all'esito del contraddittorio tra le parti e, dunque, nella misura di 150, 00, oltre IVA al 22%, e, dunque, per € 183,00 può essere riconosciuto al ricorrente.

Quanto all'ulteriore costo richiesto dal ricorrente per la custodia delle suddette specchiere, quantificato nel ricorso nell'importo di € 1.134,60 sino al 31.12.2021, il ricorso non può trovare accoglimento sotto tale profilo, visto quanto già rilevato in ordine all' assenza di un obbligo per la conduttrice di rimozione delle specchiere.

In ogni caso, la spesa di custodia non potrebbe comunque essere addossata alla conduttrice, considerato che il ricorrente ha diffidato la resistente al loro ritiro entro 8 giorni con missiva del 15.11.2021 (cfr. doc. 34 ricorrente), successiva di più di un anno al rilascio dei locali, avvertendola che decorso detto periodo egli si sarebbe ritenuto libero di assumere le conseguenti iniziative: atteso che mai la conduttrice ha risposto a della diffida né ha manifestato alcun interesse al ritiro delle specchiere (avendo, anzi, espressamente optato per il loro smaltimento, cfr. doc. 18 resistente), il costo per la loro conservazione, derivante da una pattuizione intercorsa tra la ricorrente e la terza omissis, non può certo essere posto a suo carico.

Con riferimento al quadro elettrico, le doglianze di parte ricorrente sono fondate e il costo di rimessione in pristino del medesimo va risarcito al locatore da parte resistente.

Infatti, dalla documentazione in atti (cfr. docc. 12, 37 ricorrente, docc. 20, 27 resistente) si evince che sia il locatore sia il conduttore si sono premurati di far eseguire, nel 2014 (verosimilmente proprio a seguito delle missive inviate dalla conduttrice, documentate sub docc. 3 e 5 resistente), degli interventi di manutenzione dell'impianto elettrico e delle relative prese (oltretutto rivolgendosi alla medesima ditta, la omissis di omissis); dunque, non è possibile affermare il diritto della resistente di asportare quadro elettrico e prese di corrente una volta terminato il rapporto, operazione peraltro non eseguibile senza danneggiare i locali, contrariamente a quanto sostenuto dalla conduttrice. Parte resistente, del resto, allega di avere commissionato, all'epoca del suo subentro nell'immobile, la realizzazione del quadro elettrico, delle prese e dei differenziali perché l'impianto non era a norma, ma non documenta in alcun modo l'effettuazione della relativa spesa.

Tuttavia, poiché parte ricorrente allega di aver sostenuto, a detto titolo, una spesa maggiore di quella indicata dal CTU nella propria relazione, ritenuta congrua all' esito del contraddittorio tra le parti, essa ha diritto al minor importo rispetto a quello richiesto, pari ad € 570,00 + IVA, quantificato dal c.t.u. e, dunque, ad 695, 40, IVA compresa.

Quanto alla domanda di parte ricorrente relativa al rimborso delle spese sostenute per la manutenzione della canna fumaria e la rimozione delle tubazioni realizzate dalla conduttrice, essa è fondata e merita di trovare accoglimento, così come la domanda relativa al rimborso delle spese sostenute dal locatore per il sopralluogo eseguito dall'omissis presso l'immobile oggetto del contratto, per gli importi richiesti (cfr. docc. 14, 25 ricorrente), pari ad € 183,00 ed € 43,00; si tratta, invero, rispettivamente, di opere di ordinaria manutenzione che gravano sulla conduttrice, sia ai sensi dell'art. 1576 c.c. sia in base all'espressa pattuizione di cui all'art. 8 del contratto, ovvero di innovazioni che, sempre ai sensi dell'art. 8, dovevano essere rimosse a sue spese o, ancora, di un sopralluogo che si è reso necessario in base alle doglianze, poi rivelatesi infondate, della conduttrice medesima. Per tutti i predetti motivi, parte resistente viene condannata a corrispondere a parte ricorrente tutti gli importi sopra indicati.

Ai sensi dell'art. 91 c.p.c., le spese di lite per il presente giudizio vanno poste a carico della parte resistente, soccombente con riferimento a quasi tutti le domande formulate nei suoi confronti, e vanno liquidate come da dispositivo, sulla base del D.M. n. 55 del 10 marzo 2014 recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, tenuto conto del criterio del "decisum" (cfr. SS.UU Sentenza n. 19014 dell'11/09/2007, oggi recepito dall'art. 5, co. 1 , del D.M. n. 55/2014 recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi da parte di un organo giurisdizionale) e della relativa complessità della controversia, del numero di udienze e di atti  depositati, dell'assenza di attività istruttoria, in misura pari agli importi medi per le fasi di studio e introduttiva e a quelli minimi per la fase decisoria per i giudizi di cognizione ordinaria, per l'importo di € 2.547,00, oltre alle spese e al compenso per l'attivazione del procedimento di mediazione, in misura pari all' importo medio, pari ad 441,00.

Considerato che nel procedimento per accertamento tecnico preventivo instaurato ante causam il ctu aveva quantificato nell'importo di € 6.875,00, IVA esclusa (€ 8.387, 50 IVA inclusa), i costi di ripristino dei locali, necessari affinché essi potessero essere nuovamente locati, e che lo stesso ricorrente, nell'odierno giudizio, si è limitato a chiedere il ristoro a detto titolo del solo importo di 3.153, 9., IVA compresa, di gran lunga inferiore, e che, peraltro, la sua domanda risarcitoria è stata accolta per un importo inferiore e pari ad e 878,40, le relative spese legali e tecniche sostenute (quantificate dal ricorrente nell'importo di € 6.416,74, da ritenersi congruo) vengono poste a carico della parte resistente soccombente per la sola quota di 1/10 e , dunque, per l'importo di € 641,00 (comprensivo della rifusione di una sola minima parte del compenso liquidato a favore del CTU omissis, anticipato dal ricorrente).

 

PQM

 

Il Giudice, ogni diversa domanda ed eccezione reiette ed ogni ulteriore deduzione disattesa, definitivamente pronunciando, così provvede: condanna parte resistente omissis, al pagamento in favore della parte ricorrente omissis della somma di € 878,40 a titolo di risarcimento dei danni subiti; condanna parte resistente omissis, titolare della ditta individuale omissis, al pagamento in favore della parte ricorrente omissis della somma di € 6.049,90 a titolo di canoni di locazione scaduti e non versati; condanna parte resistente omissis, al pagamento in favore della parte ricorrente omissis della somma di € 5.338,15 a titolo di indennità di mancato preavviso; condanna parte resistente omissis, titolare della ditta individuale omissis, alla rifusione in favore della parte ricorrente omissis della somma di € 183,00 a titolo di spese da quest' ultimo sostenute per la manutenzione della canna fumaria e l'eliminazione delle tubazioni poste in essere dalla conduttrice; condanna parte resistente omissis, titolare della ditta individuale omissis, alla rifusione in favore della parte ricorrente omissis della somma di € 43,00 a titolo di spese da quest' ultimo sostenute per il sopralluogo dell'U2 presso l' immobile oggetto del contratto; condanna parte resistente omissis, alla rifusione delle spese di lite a favore della parte ricorrente omissis, liquidate nell'importo di € 2.547,00, oltre ad € 264,00 a titolo di spese vive e alle spese forfettarie nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge, con riferimento al presente giudizio; nell'importo di € 441,00, oltre ad € 48,80 a titolo di spese vive e alle spese forfettarie nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge, con riferimento al procedimento di mediazione obbligatoria; nell'importo onnicomprensivo di € 1.000,00 con riferimento al procedimento di accertamento tecnico preventivo.

 

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

30 marzo 2023

12/23. BARNI, Difformità tra istanza di mediazione ed atto introduttivo del giudizio: quali conseguenze sull’impugnazione della delibera assembleare? (Osservatorio Mediazione Civile n. 12/2023)

Difformità tra istanza di mediazione ed atto introduttivo del giudizio:
quali conseguenze sull’impugnazione della delibera assembleare?

di Edoardo Luigi BARNI
Mediatore Civile e Commerciale, 
Amministratore di Sostegno, Curatore di Eredità Giacenti 

Introduzione al tema  

Tra le questioni più delicate in materia di mediazione civile e commerciale, si può certamente annoverare quella inerente alla relazione, sul piano contenutistico, tra l’istanza di mediazione, ovverossia l’atto mediante il quale si instaura il procedimento descritto e disciplinato dal D. Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, e l’atto introduttivo del successivo giudizio. L’importanza di tale questione è legata anche e soprattutto al soddisfacimento della condizione di procedibilità della domanda giudiziale espressamente prevista dall’art. 5 del D. Lgs. 28/2010 e da intendersi nel senso che vi è l’obbligo, in capo a chi intenda esperire in sede giudiziale un’azione relativa ad una controversia attinente ad una delle materie elencate dalla medesima disposizione normativa, di esperire, in via preliminare, il procedimento di mediazione ai sensi del succitato decreto. 

Il presente contributo si propone, anzitutto, di trattare il tema della relazione, quanto a contenuti, tra l’istanza di mediazione e l’atto introduttivo del successivo processo, con particolare attenzione ad una recente pronuncia del Tribunale di Roma ed operando un raffronto tra le rispettive disposizioni normative di riferimento, al fine di mettere a fuoco fino a che punto il contenuto dell’atto propulsivo del giudizio possa discostarsi da quello dell’istanza mediante la quale si è precedentemente dato avvio al procedimento di mediazione affinché possa comunque ritenersi soddisfatta la condizione di procedibilità ex art. 5 D. Lgs. 28/2010. In secondo luogo, focalizzandosi su controversie in materia condominiale, che notoriamente costituisce una delle materie per le quali è prevista la mediazione obbligatoria ex lege, si intende, sempre con riferimento alla giurisprudenza (e soprattutto a quella più recente ), individuare fino a che punto è tollerabile lo scostamento di contenuti in ipotesi di impugnazione di delibera assembleare. 

Gli elementi riguardo ai quali vi deve essere simmetria tra istanza di mediazione ed atto introduttivo del processo 

Nell’ambito della giurisprudenza di merito sul tema, la sentenza Trib. Mantova, 22 gennaio 2019, in Osservatorio Mediazione Civile, n. 49/2019 (il cui testo è riportato integralmente su https://www.ilcaso.it/sentenze/ultime/21680), aveva affermato che, nel caso di specie, la condizione di procedibilità della domanda giudiziale dovesse considerarsi avverata dal momento che sussisteva, tra il procedimento di mediazione svoltosi precedentemente e il giudizio, piena identità di causa petendi e parziale identità di petitum, a nulla rilevando invece la circostanza che parte attrice, nella domanda di mediazione, avesse quantificato in maniera diversa le somme richieste rispetto all’atto di citazione. Ciò in quanto, come sottolineato dal Tribunale di Mantova, parte istante, al fine di giungere alla conciliazione, può ben chiedere, in sede di mediazione, meno di quello che chiederebbe in sede giudiziale, mentre a rilevare davvero è che parte convenuta sia posta nelle condizioni di avere, già in sede di mediazione, piena cognizione dei fatti a fondamento della pretesa fatta valere da controparte, così da poter valutare l’opportunità o meno della conciliazione. 

La questione concernente la relazione che deve intercorrere, sul piano dei contenuti, tra istanza ( o, se si preferisce, domanda ) di mediazione e atto introduttivo del successivo ed eventuale giudizio è stata trattata, in maniera più ampia, dalla sentenza Trib. Roma, 11 gennaio 2022, n. 259 (il cui testo è presente in misura integrale su https://www.101mediatori.it/sentenze-mediazione/vi-deve-essere-simmetria-tra-il-contenuto-dell-istanza-di-mediazione-l-atto-introduttivo-del-giudizio-1083.aspx, e di cui vi è un commento su https://www.condominioweb.com/deve-esserci-corrispondenza-tra-listanza-di-mediazione-e-la-citazione.18962), relativa ad una controversia in ambito condominiale, e pertanto attinente ad una delle materie per le quali si prevede la mediazione obbligatoria ex lege, dovendo quindi l’eventuale esperimento dell’azione giudiziale essere necessariamente preceduto da un tentativo di mediazione. Tralasciando momentaneamente profili specifici inerenti all’ipotesi di impugnazione della delibera dell’assemblea condominiale, costituenti oggetto del paragrafo successivo, ci si concentra ora sulle disposizioni normative di riferimento per quanto riguarda l’istanza di mediazione e l’atto introduttivo del processo, operando un raffronto tra le stesse. 

Per quanto concerne la domanda di mediazione, la disposizione che deve essere presa in esame, tra quelle facenti parte del tessuto normativo del D. Lgs. 28/2010, è l’art. 4, avente appunto rubrica “Accesso alla mediazione” e che, al comma 1, individua l’ambito territoriale ove deve essere ubicato l’organismo presso cui viene depositata l’istanza, tenendo conto che, con la Riforma Cartabia, è stata inserita, tra il primo e l’ultimo periodo di tale comma, la previsione secondo cui vi è la possibilità, su accordo delle parti, di derogare alla competenza dell’organismo. La stessa disposizione normativa specifica poi, al comma 2, i contenuti essenziali dei quali la domanda di mediazione non può difettare. Si tratta dell’indicazione dell’organismo, delle parti, dell’oggetto e delle ragioni della pretesa. 

Per quanto concerne invece l’atto introduttivo del processo, occorre innanzitutto fare riferimento ad una disposizione del Codice di rito civile che rientra nel novero di quelle riguardanti gli atti processuali in generale e che, tra l’altro, individua i contenuti degli atti di parte. Si tratta dell’art. 125 c.p.c., che quindi non riguarda una specifica tipologia di atto ma riguarda la generalità degli atti promananti dalle parti, i cui contenuti, salvo che la legge disponga altrimenti, consistono nell’indicazione dell’ufficio giudiziario, delle parti, dell’oggetto, delle ragioni della domanda ed anche delle conclusioni. Vi è poi, all’interno del Codice di rito, una specifica disposizione normativa di riferimento quanto ai contenuti richiesti per ogni tipologia di atto: ad esempio, per l’atto di citazione è l’art. 163, per il ricorso è l’art. 366, per la comparsa di costituzione e risposta è l’art. 167, ecc. Il Codice prevede poi notoriamente, per ciascuna tipologia, determinate conseguenze qualora non siano soddisfatti i requisiti richiesti con riferimento a quello specifico atto. 

Venendo quindi a quanto osservato dal Tribunale di Roma nella summenzionata sentenza, si rileva che il contenuto dell’art. 4 D. Lgs. 28/2010 è “praticamente equivalente” a quello dell’art. 125 c.p.c., e, muovendo da questa constatazione derivante dal raffronto tra le due disposizioni normative, il Tribunale capitolino è dunque giunto ad affermare che l’applicazione dell’art. 4 comporta che vi deve essere una simmetria tra i fatti rappresentati in sede di mediazione e ciò che viene esposto in sede processuale, precisando che tale simmetria debba riguardare quantomeno i fatti principali. Qualora, al contrario, dovesse ravvisarsi una evidente asimmetria tra le rappresentazioni offerte nelle due sedi, ne deriverebbe, come conseguenza, l’improcedibilità della domanda giudiziale, poiché questa non potrà considerarsi passata attraverso il filtro della mediazione obbligatoria. Non si richiede, invece, che l’istanza di mediazione sia l’equivalente, sotto il profilo strettamente formale, di un atto giudiziario, e ciò è evidentemente spiegabile considerando che quello descritto e disciplinato dal D. Lgs. 28/2010 è un procedimento stragiudiziale. Parimenti, non si richiede l’indicazione degli “elementi di diritto”, ovverossia l’inquadramento giuridico dei fatti, come nel caso, invece, dell’atto di citazione e del ricorso. 

Il disposto dell’art. 4, che richiede l’indicazione delle ragioni della pretesa, deve quindi essere inteso nel senso che la domanda di mediazione deve introdurre gli elementi fattuali che saranno poi introdotti in sede processuale se si agirà in giudizio. Tutto ciò nell’ottica sia di consentire che si realizzi appieno la funzione deflattiva del contenzioso giudiziario propria dell’istituto della mediazione, sia di porre la parte chiamata in mediazione nelle condizioni di avere cognizione della materia del contendere e, di conseguenza, di poter prendere in maniera adeguata posizione su di essa. 

Asimmetria tra istanza di mediazione ed atto introduttivo del giudizio in ipotesi di impugnazione di delibera assembleare 

Si prendono ora in considerazione pronunce giurisprudenziali di merito inerenti a controversie in materia condominiale. Il primo provvedimento, svolgendo tale disamina in ordine cronologico, che si intende prendere in esame è la sentenza Trib. Roma, 29 dicembre 2021, n. 20160 (il cui testo è riportato interamente su https://www.101mediatori.it/sentenze-mediazione/l-istanza-di-mediazione-deve-avere-gli-stessi-elementi-parti-oggetto-e-ragioni-proposti-in-sede-processuale-poiche-in-caso-contrario-l-implementazione-1046.aspx e di cui è presente un commento su https://www.condominioweb.com/difformita-tra-mediazione-e-atto-di-citazione-conseguenze.18878). Nel caso di specie, parte attrice, in qualità di proprietaria di appartamenti facenti parte di uno stabile condominiale, a seguito dell’esito negativo del procedimento di mediazione avviato avverso una delibera assembleare, aveva impugnato in sede giudiziale la medesima delibera, mediante la quale l’assemblea condominiale aveva approvato la proposta transattiva, avanzata da un altro condomino in sede di mediazione, per la correzione e rettifica delle tabelle millesimali precedentemente approvate dall’assemblea condominiale stessa. Venuta poi a mancare l’originaria attrice, e quindi verificatosi uno degli eventi previsti dagli artt. 299 e 300 c.p.c. quali cause di interruzione del processo, il giudizio veniva proseguito, ai sensi dell’art. 302, dagli eredi della stessa. 

Quanto all’impugnazione della delibera assembleare, la disposizione normativa a cui deve essere fatto riferimento consiste nell’art. 1137 c.c., che, al comma 2, prevede espressamente che ogni condomino assente, dissenziente od astenuto possa adire l’autorità giudiziaria chiedendo l’annullamento della delibera impugnata entro il termine perentorio di trenta giorni, decorrente, per i dissenzienti e gli astenuti, dalla data della deliberazione, e, per gli assenti, dalla data di comunicazione della deliberazione. Nel caso di specie, parte attrice poneva a fondamento dell’impugnazione il difetto del quorum deliberativo, osservando che la proposta transattiva di rettifica delle tabelle millesimali era stata adottata con una maggioranza inferiore rispetto a quella prevista per legge. Si tratta di un motivo di impugnazione che, in generale, costituisce certamente motivo di annullabilità della delibera assembleare, ma deve essere proposto entro il termine decadenziale di trenta giorni, il che veniva contestato dai convenuti, i quali ritenevano invece tale motivo inammissibile in quanto proposto tardivamente, dal momento che esso non rientrava tra i motivi specificamente individuati nell’istanza di mediazione. 

Veniva così ad inserirsi, in questo quadro, il tema della simmetria tra istanza di mediazione ed atto introduttivo del processo, ampiamente trattato nell’ambito della parte motiva della decisione in esame. Il Tribunale di Roma, partendo dalla sottolineatura del parallelismo tra il disposto dell’art. 4, comma 2, D. Lgs. 28/2010 ed il disposto dell’art. 125 c.p.c., ha affermato che l’istanza di mediazione deve presentare gli stessi elementi (parti, oggetto e ragioni stanti alla base della pretesa), che verranno poi eventualmente riproposti nell’ambito del successivo processo (ovverossia personaepetitum e causa petendi). Gli elementi presenti nell’istanza possono anche essere riportati in forma succinta. In particolare, vi si deve necessariamente riscontrare una coincidenza quanto alla causa petendi, ossia le ragioni della domanda, così che la parte chiamata in mediazione sia posta nelle condizioni di conoscere, nell’ipotesi di mediazione avviata prima del giudizio, “tutte le questioni costitutive della pretesa dell’altra parte”. In definitiva, affinché l’istituto della mediazione assolva appieno alla propria funzione ed affinché quindi sia concretamente reso possibile il raggiungimento di un accordo di conciliazione che risolva la lite senza che la si porti in sede giudiziale, caratteristiche dell’istanza di mediazione debbono essere sintesi, completezza, interezza e coerenza. 

Nel caso di speciein sede di mediazione erano state indicate in maniera dettagliata le ragioni della richiesta, che ricalcavano il contenuto trasfuso all’interno dell’atto introduttivo del giudizio, mancando però il motivo di impugnazione concernente il difetto di quorum deliberativo, sollevato dagli attori solo con l’atto di citazione, configurando quindi una implementazione dell’oggetto della controversia e costituendo un motivo nuovo. Veniva rilevata, pertanto, la decadenza dall’impugnazione ai sensi dell’art. 1137 c.c. per vizio derivante dal mancato rispetto del quorum deliberativo ex art. 1136, co. 2, c.c., poiché tale vizio non era stato prospettato in sede di mediazione obbligatoria. Ne derivava il rigetto della domanda attorea in parte qua per tardività dell’impugnazione. 

Successivamente, a fronte di un’altra controversia in ambito condominiale, un altro Giudice del Tribunale capitolino ha prospettato una soluzione in parte differente nella sentenza Trib. Roma, 11 ottobre 2022, n. 14811 (su https://www.101mediatori.it/sentenze-mediazione/e-contrario-al-principio-di-speditezza-ed-economia-processuale-ritenere-che-il-modesto-ampliamento-della-causa-petendi-possa-comportare-l-1232.aspx ) rispetto a quella prospettata nella pronuncia esaminata sopra. In questo caso, un condomino conveniva in giudizio il condominio chiedendo che fosse dichiarata la nullità ovvero l’annullamento di delibere assembleari adottate in sua assenza deducendo l’illegittimità delle stesse sulla base di determinati motivi, tra cui l’irrituale ricezione dell’avviso di convocazione all’assemblea, il fatto che un condomino avesse ricevuto un numero eccessivo di deleghe per quella assemblea, lamentate irregolarità relative all’approvazione del bilancio consuntivo. Il Condominio convenuto, dal canto suo, eccepiva, tra l’altro, l’improcedibilità della domanda giudiziale in ragione dell’asimmetria rispetto all’istanza di mediazione. Il Tribunale, partendo da un raffronto tra la domanda di mediazione e l’atto introduttivo del processo, ha escluso l’improcedibilità, giacché, sebbene l’art. 4 D. Lgs. 28/2010 richieda espressamente l’indicazione delle “ragioni della pretesa” tra i contenuti dell’istanza di mediazione, non può considerarsi necessario, quanto all’istanza,  l’equivalente di un atto giudiziario sotto il profilo strettamente formale, e nemmeno l’indicazione degli “elementi di diritto”, ed ha altresì affermato che, sarebbe contrastante con i principi di speditezza ed economia processuale ritenere che un modesto ampliamento della causa petendi possa comportare, come conseguenza, l’improcedibilità dell’intera domanda giudiziale (soprattutto laddove, come nel caso di specie,  la mediazione si sia conclusa con verbale negativo). 

Infine, la recentissima sentenza Trib. Roma, 2 gennaio 2023, in Osservatorio Mediazione Civile, n. 7/2023 (il cui testo è riportato integralmente su https://www.101mediatori.it/sentenze-mediazione/in-tema-di-impugnazione-di-delibera-assembleare-e-tollerabile-un-margine-di-scostamento-fra-l-oggetto-della-citazione-e-quello-dell-istanza-di-1230.aspx), ancora in materia condominiale e con riferimento alla questione concernente la corrispondenza tra contenuto dell’istanza di mediazione ed atto introduttivo del processo in ipotesi di impugnazione di una delibera, individua espressamente gli elementi la cui indicazione è da ritenersi necessaria all’interno dell’istanza giacché debbono essere portati a conoscenza di parte invitataovverossia: i) la delibera che si intende impugnare; ii) l’indicazione del provvedimento (dichiarazione di nullità ovvero annullamento della delibera impugnata) che si intende chiedere in sede giudiziale qualora il procedimento di mediazione abbia poi esito negativo; iii) l’indicazione, in forma sintetica, dei motivi di impugnazione della delibera assembleare, dal momento che è da ritenersi tollerabile un margine di scostamento tra l’oggetto dell’atto introduttivo del giudizio e l’oggetto dell’istanza di mediazione. 

Pavia, 29/03/2023

Il presente contributo è stato inviato in Redazione quale materiale inedito, di esclusiva paternità dell’Autore e libero da qualunque diritto di sfruttamento, proprietà o altro da parte di terzi. Per contattare la Redazione è possibile scrivere all’indirizzo dell’Osservatorio (info.osservatoriomediazionecivile@gmail.com). 

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 12/2023 (www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

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