=> Cassazione civile, 2 settembre 2015, n. 17480
L’art. 2, d.lgs. n.28/2010 collega la localizzazione dell'organismo di mediazione al foro
della controversia, non viceversa: il meccanismo legislativo postula che sia dapprima
individuato il foro giudiziale, secondo le regole sottese a tale
determinazione, e solo di riflesso sia individuato l'organismo cui
accedere in fase conciliativa.
Fonte: Osservatorio
Mediazione Civile n. 44/2015
Cassazione civile
Sezione VI
ordinanza
2 settembre 2015
Omissis
L'avvocato D.V.D., in proprio, ha proposto ricorso per regolamento di
competenza avverso l'ordinanza in data 10-12 novembre 2014 del Tribunale di
Roma, resa nel giudizio civile n. 66334/2013 RG pendente tra lo stesso
ricorrente, attore, e F. s.p.a., con la quale il Tribunale ha declinato la
propria competenza in favore di quella del Tribunale di Milano.
Il Tribunale di Roma ha declinato la accolto l'eccezione di incompetenza
territoriale formulata dalla società F., convenuta per danni conseguenti alla
"perdita" del numero telefonico del ricorrente in relazione alla c.d.
portabilità dell'utenza dal precedente gestore di telefonia (Telecom s.p.a.),
ed ha individuato la competenza del Tribunale di Milano sul rilievo della
clausola n. 25 delle condizioni generali di contratto inter partes,
sottoscritta specificamente dall'interessato a norma dell'art. 1341, secondo
comma, c.c., che individua appunto nel foro di Milano quello prescelto in sede
negoziale.
Il ricorrente ha criticato questa conclusione in base all'argomento
incentrato sull'applicazione della L. n. 249 del 1997, art. 1, il quale
stabilisce, nella materia, l'obbligo di esperire il tentativo obbligatorio di
conciliazione dinanzi al Comitato regionale per le comunicazioni (Co.re.com.),
tentativo da svolgere, secondo l'art. 3 e ss. del relativo regolamento
attuativo, presso l'organismo del luogo in cui è ubicata la postazione fissa
dell'utente finale ovvero del domicilio indicato dall'utente in sede
contrattuale, e dunque nella specie quello di Roma, con la conseguenza che
anche l'autorità giudiziaria competente alla cognizione della controversia deve
essere individuata secondo lo stesso criterio, alla luce della disposizione del
D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 4, secondo il quale la domanda di mediazione si
propone all'organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la
controversia, così stabilendo - sempre secondo il ricorrente - il principio
della necessaria coincidenza tra la competenza territoriale dell'organismo
conciliativo e quella dell'ufficio giudiziario dinanzi al quale portare la
controversia.
All'istanza di regolamento di competenza ha resistito con memoria la
s.p.a. F..
Prestandosi il ricorso ad essere trattato con il procedimento di cui
all'art. 380 ter c.p.c., è stata fatta richiesta al Pubblico Ministero presso
la Corte di formulare le sue conclusioni ed all'esito del loro deposito ne è
stata fatta notificazione agli avvocati delle parti, unitamente al decreto di
fissazione dell'adunanza della Corte.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Considerato quanto segue:
Nelle sue conclusioni il Pubblico Ministero ha osservato quanto segue:
"Considerato che la tesi del ricorso non è suscettibile di essere
accolta, per le seguenti ragioni:
A) la L. n. 249 del 1997, art. 1, (Istituzione dell'Autorità per le
garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo),
invocato dal ricorrente a presupposto della censura, nei suoi commi 11 e 12
così dispone:
"11. L'Autorità disciplina con propri provvedimenti le modalità per
la soluzione non giurisdizionale delle controversie che possono insorgere fra
utenti o categorie di utenti ed un soggetto autorizzato o destinatario di
licenze oppure tra soggetti autorizzati o destinatari di Licenze tra loro. Per
le predette controversie,individuate con provvedimenti dell'Autorità, non può
proporsi ricorso in sede giurisdizionale fino a che non sia stato esperito un
tentativo obbligatorio di conciliazione da ultimare entro tenta giorni dalla
proposizione dell'istanza all'Autorità. A tal fine, i termini per agire in sede
giurisdizionale sono sospesi fino alla scadenza del termine per la conclusione
del procedimento di conciliazione.
12. I provvedimenti dell'Autorità definiscono le procedure relative ai
criteri minimi adottati dalle istituzioni dell'Unione Europea per la
regolamentazione delle procedure non giurisdizionali a tutela dei consumatori e
degli utenti. I criteri individuati dall'Autorità nella definizione delle
predette procedure costituiscono principi per la definizione delle controversie
che le parti concordino di deferire ad arbitri";
Nella sua formulazione testuale, dunque, la disposizione della L. n. 249
del 1997, non solo nulla stabilisce in merito alla questione della competenza
territoriale, limitandosi a prescrivere una condizione di proponibilità della
domanda (Cass., n. 24334/2008;
peraltro non vincolante quanto all'organismo ivi indicato, nella fase di
transizione, fino al funzionamento dei Comitati regionali per le comunicazioni:
Cass. n. 14103/2011), ma si limita, per chiaro dettato, a regolare una fase
pre-giurisdizionale (la "soluzione non giurisdizionale delle
controversie"), senza interferire con la individuazione del giudice o con
le regole di determinazione della competenza e dunque senza interessarsi della
fase giudiziale successiva;
B) il D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 4, (Attuazione della L. 18 giugno
2009, n. 69, art. 60, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione
delle controversie civili e commerciali), parallelamente invocato dal
ricorrente in una sorta di combinato disposto con la norma di cui al punto che
precede - nel testo, applicabile temporalmente, susseguente alle modifiche di
cui al D.L. n. 69 del 2013, conv. dalla L. n. 98 del 2013, a decorrere peraltro
non dall'8 settembre 2013, come afferma il ricorso, ma dal 20 settembre 2013,
ossia trenta giorni dopo l'entrata in vigore della legge di conversione e cioè
a partire dal 21 agosto 2013, giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta
Ufficiale; cfr. art. 1, comma 3, della legge in discorso - a sua volta,
stabilisce, per quanto qui rileva, nel comma 1: "Accesso alla mediazione.
1. La domanda di mediazione relativa alle controversie di cui all'articolo 2 è
presentata mediante deposito di un'istanza presso un organismo nel luogo del
giudice territorialmente competente per la controversia. In caso di più domande
relative alla stessa controversia, la mediazione si svolge davanti
all'organismo territorialmente competente presso il quale è stata presentata la
prima domanda. Per determinare il tempo della domanda si ha riguardo alla data
del deposito dell'istanza".
Le controversie di cui all'art. 2 del medesimo testo normativo, al quale
la citata disposizione fa rinvio, sono così indirettamente definite:
"Controversie oggetto di mediazione. 1. Chiunque può accedere alla
mediazione per la conciliazione di una controversia civile e commerciale
vertente su diritti disponibili, secondo le disposizioni del presente decreto.
2. Il presente decreto non preclude le negoziazioni volontarie e paritetiche
relative alle controversie civili e commerciali, ne1 le procedure di reclamo
previste dalle carte dei servizi".
Ma le controversie nelle quali è prevista la mediazione quale condizione
di procedibilità sono definite nell'art. 5 dello stesso testo legislativo;
esse, dopo la sentenza della Corte cost. n. 272/2012 e nel testo novellato dal
citato D.L. n. 69 del 2013, conv. in L. n. 98 del 2013, sono, in base alla
disposizione del comma 1 bis, così enumerate: "1-bis. Chi intende
esercitare in giudizio un'azione relativa a una controversia in materia di
condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di
famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno
derivante da responsabilità medica e sanitaria da diffamazione con il mezzo
della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e
finanziari, è tenuto, assistito dall'avvocato, preliminarmente a esperire il
procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero il procedimento
di conciliazione previsto dal D.Lgs. 8 ottobre 2007, n. 179, ovvero il
procedimento istituito in attuazione dell'art. 128 bis, del testo unico delle
leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1
settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, per le materie ivi
regolate. L'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di
procedibilità della domanda giudiziale, (omissis)".
Si ricava da tali disposizioni la triplice conseguenza che:
1) la regolazione della mediazione obbligatoria - ovvero quale
condizione di proponibilità della domanda - posta dal D.Lgs. n. 28/2010 non concerne,
per materia, la controversia in esame;
2) la generica previsione della corrispondenza tra luogo di organismo di
mediazione e giudice territorialmente competente a conoscere della
controversia, indicata nel D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 4, per le cause non a
mediazione obbligatoria, non può trovare applicazione nella controversia in
esame, che, essendo regolata dalla L. n. 249 del 1997, secondo un modulo di
conciliazione preventiva obbligatorio, presuppone che sussista il rapporto di
condizionamento tra previo esperimento della fase pre-giudiziale e causa,
rapporto che non è predicabile in base all'art. 2 invocato;
3) inoltre, ed in linea di principio è rilievo dirimente, la regola di
corrispondenza tra luogo dell'organismo di conciliazione e luogo del giudice
competente, regola sulla quale il ricorrente incentra la propria doglianza,
deve essere rovesciata, poiché - anche secondo il tenore letterale della norma,
che collega la localizzazione dell'organismo amministrativo al foro della
controversia, non viceversa, e che dunque suppone come operazione preliminare
la determinazione del giudice, da cui quella dell'organismo deriva – altrimenti
si verificherebbe una distorsione delle regole processuali sulla competenza,
sostanzialmente abrogate nell'intera materia in discorso e sostituite dal solo
criterio di determinazione dell'organismo di conciliazione.
Il meccanismo legislativo postula che sia dapprima individuato il foro
giudiziale, secondo le regole sottese a tale determinazione, e solo di riflesso
sia individuato l'organismo cui accedere in fase conciliativa;
C) in connessione con il rilievo appena indicato, non si potrebbe fare
leva sulla disciplina regolamentare - anche essa invocata nel ricorso - di cui
alla delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n. 173/2007, e
segnatamente dell'art. 4, rubricato "competenza per territorio", il
quale prevede che "per determinare il Co.re.com. territorialmente
competente per l'esperimento del tentativo di conciliazione di cui all'art. 2,
si ha riguardo al luogo in cui è ubicata la postazione fissa ad uso dell'utente
finale ovvero, negli altri casi, al domicilio indicato dall'utente al momento
della conclusione del contratto o, in mancanza, alla sua residenza o sede
legale", perchè tale delibera dell'Autorità garante non potrebbe in alcun
caso incidere, tanto più in assenza di autorizzazione primaria, sulla fonte di
livello legislativo e segnatamente sulle regole processuali in materia di
competenza, riservate, per Costituzione, alla fonte legislativa (statale).
Sicché non potrebbe una fonte di livello regolamentare costituire valida
disposizione costitutiva di quella "inderogabilità disposta espressamente
dalla legge" alla quale ha riguardo l'art. 28 c.p.c. e che è dedotta dal
ricorso a sostegno della impugnativa, quale (unica) ragione di superamento
della clausola concordata.
Considerato che per le ragioni anzidette non può accogliersi l'unico
motivo della censura mossa nei riguardi della declinatoria della competenza da
parte del giudice di Roma, non essendo per il resto in discussione la validità
della clausola di determinazione convenzionale che indica in quello di Milano
il foro competente (e non essendo, peraltro, ex se inefficace quale condizione
processuale di proponibilità l'avvenuto esperimento dell'istanza di
conciliazione, ancorchè svolto dinanzi a un organismo incompetente)".
Sulla base delle riportate conclusioni il Pubblico Ministero ha concluso
per il rigetto dell'istanza di regolamento di competenza.
Il Collegio condivide le argomentazioni e le conclusioni del Pubblico
Ministero, alle quali deve aggiungesi solo quanto segue.
Nella memoria parte ricorrente dissente da esse insistendo nella sua
prospettazione secondo cui il disposto regolamentare dell'Autorità Garante
avrebbe l'effetto di individuare, per il tramite dell'indicazione dell'organo
competente a ricevere il procedimento di definizione alternativa della lite,
anche la competenza territoriale.
Tale assunto si scontra in primo luogo contro il criterio esegetico che
impone di leggere l'oggetto di disciplina come limitato all'individuazione
della sede del detto procedimento e preclude qualsiasi lettura estensiva, in
assenza di indici che la rivelino.
Inoltre, se anche l'esegesi suggerita dal ricorrente avesse una qualche
legittimazione nel disposto normativo, si tratterebbe di esegesi che non si
potrebbe preferire o che comunque si dovrebbe disattendere mediante il criterio
della disapplicazione degli atti amministrativi illegittimi, perché una fonte
regolamentare avrebbe preteso di derogare alla legge, cioè al codice di rito. E
ciò in mancanza di una previsione di legge (nella L. n. 249 del 1997, o
altrove) legittimante un simile effetto mediante la tecnica del c.d.
regolamento autorizzato a modificare disposizioni di legge, per il
tramite dell'avallo di un fenomeno di c.d. delegificazione.
L'istanza di regolamento dev'essere, dunque, rigettata e dev'essere
dichiarata la competenza del Tribunale di Milano, dinanzi al quale il giudizio
sarà riassunto nel termine di ci all'art. 50 c.p.c., decorrente dalla
comunicazione del deposito della presente.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo ai sensi
del D.M. n. 55 del 2014.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si deve
dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della
ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
PQM
La Corte dichiara la competenza del Tribunale di Milano. Fissa per la
riassunzione il temine di cui all'art. 50 c.p.c., con decorso dalla
comunicazione del deposito della presente.
Condanna il ricorrente alla rifusione alla resistente delle spese del
giudizio di regolamento, liquidate in Euro millequattrocento, di cui duecento
per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, da atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta
Civile - 3, il 16 luglio 2015.
AVVISO. Il
testo riportato non riveste carattere di ufficialità.