DIRITTO D'AUTORE


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22 dicembre 2011

8/11. Enti pubblici e regolazione delle composizioni stragiudiziali delle liti: sì se procedure non obbligatorie e proposte conciliative non vincolanti (Osservatorio Mediazione Civile n. 8/2011)


è Corte cost. 14 maggio 2010, n. 178

Lo Stato ha già esercitato in via generale la sua potestà legislativa in materia, mediante il d.lgs. n. 28 del 2010, che, nel disciplinare il procedimento di mediazione come condizione di procedibilità dell'azione giudiziale relativa alle controversie anche in materia di responsabilità medica, stabilisce (art. 2, comma 2) che la normativa statale «non preclude le negoziazioni volontarie e paritetiche relative alle controversie civili e commerciali, né le procedure di reclamo previste dalle carte dei servizi».
Le Regioni possono predisporre servizi come quello previsto dalla legge veneta censurata, nell'ambito delle proprie competenze nelle singole materie, prevedendo organi e procedimenti specificamente adatti alla natura delle attività coinvolte, nel rispetto del limite generale della non obbligatorietà delle procedure e della non vincolatività delle proposte conciliative.

La ratio della legge della Regione Veneto censurata nel presente giudizio è, secondo la resistente, quella di prevenire controversie giudiziarie connesse all'erogazione di prestazioni sanitarie. Pertanto, la materia in cui ricadono le norme impugnate nella «tutela della salute» - attribuita alla competenza legislativa concorrente, di cui al terzo comma dell'art. 117 Cost. - sulla base della considerazione che l'economicità, la completezza e la qualità delle prestazioni sanitarie devono necessariamente caratterizzare tutta l'organizzazione posta a tutela della salute dei cittadini. La prevenzione delle controversie, e dei loro costi elevati, rientra pienamente tra gli strumenti idonei a raggiungere i predetti obiettivi, che devono essere perseguiti dalle aziende sanitarie, con l'effetto di liberare risorse da impiegare nel miglioramento dei servizi.

Nel fare salve tutte le negoziazioni volontarie e paritetiche, volte alla prevenzione delle liti, nonché le norme contenute nelle carte di servizi (che, nella materia della «tutela della salute», vengono emanate ed applicate nell'ambito di strutture sanitarie territoriali o ospedaliere dipendenti dalle Regioni), lo Stato riconosce ad altri enti (ivi comprese, naturalmente, le Regioni) l'implicita capacità di regolare la composizione stragiudiziale di controversie attinenti ad attività, nei limiti della propria sfera di competenza, senza sconfinare nella disciplina della funzione giurisdizionale o comunque di atti e procedure che possono incidere sulla stessa.

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 8/2012


Corte Costituzionale
14 maggio 2010, n. 178
REPUBBLICA ITALIANA           
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE                       
composta dai signori:                                                
- Francesco AMIRANTE Presidente                                      
- Ugo DE SIERVO Giudice                                              
- Paolo MADDALENA "                                                  
- Alfio FINOCCHIARO "                                                
- Alfonso QUARANTA "                                                 
- Franco GALLO "                                                     
- Luigi MAZZELLA "                                                   
- Gaetano SILVESTRI "                                                
- Sabino CASSESE "                                                   
- Maria Rita SAULLE "                                                
- Giuseppe TESAURO "                                                 
- Giuseppe FRIGO "                                                   
- Alessandro CRISCUOLO "                                             
- Paolo GROSSI "                                                     
ha pronunciato la seguente                                           
SENTENZA                               
nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della  Regione Veneto  31  luglio  2009,  n. 15  (Norme  in  materia  di   gestione stragiudiziale del contenzioso sanitario),  promosso  dal  Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso  notificato  il  2-6  ottobre 2009, depositato in cancelleria il 12 ottobre 2009 ed iscritto al  n. 87 del registro ricorsi 2009.                                        
Visto l'atto di costituzione della Regione Veneto;                   
udito nell'udienza pubblica del 28 aprile 2010  il  Giudice  relatore Gaetano Silvestri;                                                   
uditi l'avvocato dello Stato Maurizio Borgo  per  il  Presidente  del Consiglio dei ministri e gli avvocati Mario Bertolissi e Luigi  Manzi per la Regione Veneto.                                               

Ritenuto in fatto

1. - Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso, con ricorso notificato il 2-6 ottobre 2009 e depositato il successivo 12 ottobre, questioni di legittimità costituzionale della legge della Regione Veneto 31 luglio 2009, n. 15 (Norme in materia di gestione stragiudiziale del contenzioso sanitario), ed, in particolare, degli artt. 1, comma 2, 2 e 3 nonché delle «altre disposizioni inscindibilmente connesse ad essi», per violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, secondo comma, lettera l), e terzo comma, della Costituzione.
Preliminarmente, il ricorrente evidenzia come la legge impugnata sia finalizzata alla riduzione del contenzioso in materia sanitaria, attraverso la promozione di «modalità di composizione stragiudiziale delle controversie insorte in occasione dell'erogazione delle prestazioni sanitarie» (art. 1, comma 1). Per il perseguimento di queste finalità «la Regione individua e disciplina le procedure funzionali alla composizione stragiudiziale delle controversie, promuovendone l'utilizzo da parte dei cittadini» (art. 1, comma 2). L'art. 2 della legge impugnata istituisce una «Commissione conciliativa regionale» con il compito di comporre in via stragiudiziale le controversie per danni da responsabilità civile derivanti da prestazioni sanitarie erogate dalle aziende sanitarie locali ed ospedaliere, nonché dalle strutture private provvisoriamente accreditate. L'art. 3 attribuisce alla Giunta regionale il compito di disciplinare l'organizzazione della Commissione, il procedimento davanti alla stessa, i criteri e le modalità di presentazione delle domande, e l'indennità spettante ai componenti, ai supplenti ed ai consulenti della suddetta Commissione. Spetta alla Giunta individuare, altresì, i mezzi, le risorse, la sede ed il personale da assegnare alla Commissione per l'espletamento delle sue funzioni (comma 1). Il comma 2 dell'art. 3 stabilisce, inoltre, i principi ed i criteri direttivi cui si deve ispirare il procedimento davanti alla Commissione, fra i quali, la non obbligatorietà, volontarietà, gratuità, imparzialità, celerità e riservatezza del procedimento conciliativo (lettere a, b, c, e, g ed i), la non vincolatività della decisione della Commissione (lettera d) e la definizione della conciliazione, in caso di accordo fra le parti, con un atto negoziale di diritto privato ai sensi dell'art. 1965 del codice civile (lettera h). L'art. 4 individua le parti necessarie nel procedimento ed i soggetti che possono intervenire, anche a mezzo di rappresentanti, e stabilisce i criteri di imputazione delle spese; l'art. 5 prevede il monitoraggio dell'attività conciliativa; l'art. 6 dispone l'istituzione di un fondo regionale finalizzato a risarcire i danni da responsabilità civile di un certo ammontare ed infine l'art. 7 reca una norma relativa alla copertura finanziaria della legge in esame.

1.1. - Secondo il ricorrente, la legge reg. n. 15 del 2009 ed, in particolare, gli artt. 1, comma 2, 2 e 3 violerebbero, in primo luogo, l'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., poiché avrebbero ad oggetto l'istituto della conciliazione la cui disciplina rientra nella competenza legislativa statale in materia di «ordinamento civile» (sono richiamate le sentenze della Corte costituzionale n. 50 e n. 384 del 2005). Sarebbe al contempo violata la competenza legislativa statale in tema di «giurisdizione e norme processuali», a causa dell'«incidenza che la previsione e la regolamentazione del tentativo di componimento bonario delle liti possono avere sullo svolgimento del processo».
La difesa dello Stato osserva che la necessità di una disciplina uniforme degli strumenti di conciliazione su tutto il territorio nazionale è confermata dall'esigenza di regolare, in modo unitario, i rapporti tra lo svolgimento del procedimento di composizione stragiudiziale della controversia e l'esercizio del diritto di azione in sede giurisdizionale, con particolare riguardo alla decorrenza dei termini di prescrizione e di decadenza durante il tempo occorrente per l'espletamento del tentativo di conciliazione.
L'Avvocatura generale sottolinea, inoltre, come di recente lo Stato abbia esercitato la propria potestà legislativa in materia con l'approvazione della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), il cui art. 60 contiene una delega al Governo in materia di mediazione e di conciliazione delle controversie civili e commerciali.
A tal proposito, il ricorrente ritiene che l'art. 2, comma 3, della legge reg. n. 15 del 2009, nella parte in cui stabilisce che la Commissione conciliativa regionale è nominata dalla Giunta regionale e dura in carica tre anni, si ponga in contrasto con l'art. 60, comma 3, lettera b), della legge n. 69 del 2009, il quale individua, tra i principi e criteri direttivi, quello secondo cui la mediazione deve essere svolta da «organismi professionali e indipendenti, stabilmente destinati all'erogazione del servizio di conciliazione».
La violazione della competenza statale di cui all'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., sarebbe poi di tutta evidenza con riferimento all'art. 3, comma 2, lettera h), della legge reg. n. 15 del 2009, il quale prevede, tra i principi cui deve ispirarsi il procedimento davanti alla Commissione conciliativa, la «definizione della conciliazione, in caso di accordo fra le parti, con un atto negoziale di diritto privato ai sensi dell'articolo 1965 del codice civile». Secondo il ricorrente, la norma in esame qualificherebbe come transazione l'accordo che conclude il procedimento di conciliazione anche qualora non sia caratterizzato dalle «reciproche concessioni», previste dall'art. 1965 cod. civ.

1.2. - Le norme della legge reg. n. 15 del 2009 sono impugnate anche per violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., avuto riguardo alla competenza concorrente in materia di «professioni». Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, l'istituzione della Commissione conciliativa regionale (art. 2, comma 1) e la disciplina della sua composizione e del suo funzionamento determinerebbero la nascita di una nuova figura professionale - di conciliatore o mediatore - diversa da quella definita nell'art. 60 della legge n. 69 del 2009.
La difesa dello Stato richiama, al riguardo, la giurisprudenza costituzionale secondo la quale la potestà legislativa regionale nella materia concorrente delle «professioni» deve rispettare il principio per cui l'individuazione delle figure professionali, con i relativi titoli abilitanti, è riservata allo Stato, mentre spetta alle Regioni la disciplina dei profili che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale (sono citate le sentenze n. 153 del 2006 e n. 300 del 2007). Il ricorrente aggiunge che la giurisprudenza menzionata è stata pienamente recepita nel decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 30 (Ricognizione dei princìpi fondamentali in materia di professioni, ai sensi dell'articolo 1 della legge 5 giugno 2003, n. 131).
Inoltre, le norme regionali impugnate si porrebbero in contrasto con i principi dettati, in materia di professioni, dall'art. 60 della legge n. 69 del 2009, il quale, al comma 3, lettera c), ha previsto la creazione di un apposito registro degli organismi di conciliazione, sottoposto alla vigilanza del Ministero della giustizia, e alla lettera d) del medesimo comma ha regolamentato l'accesso a questa professione, prevedendo che i requisiti per l'iscrizione nel registro e per la sua conservazione siano stabiliti con decreto del Ministro della giustizia.
1.3. - Il Presidente del Consiglio dei ministri lamenta, infine, la violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., da parte delle norme censurate. Queste ultime, infatti, si porrebbero in contrasto con i principi contenuti nella direttiva 21 maggio 2008, n. 2008/52/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale), per il cui recepimento è stata conferita delega al Governo con l'art. 1 della legge 7 luglio 2009, n. 88 (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2008).
Al riguardo, la difesa dello Stato rileva come la citata direttiva comunitaria, analogamente alla normativa interna prima richiamata, preveda, quale condizione per lo svolgimento dell'attività di mediazione, i requisiti di imparzialità e di competenza del mediatore (art. 3); imponga agli Stati membri di adottare misure per consentire che gli accordi risultanti dalla mediazione abbiano efficacia esecutiva (art. 6); impegni gli Stati membri a salvaguardare il diritto di azione delle parti, che abbiano fatto ricorso al procedimento di mediazione, dagli effetti pregiudizievoli della prescrizione e della decadenza (art. 8).
Pertanto, le norme regionali impugnate, ponendosi in contrasto con le citate prescrizioni comunitarie, violerebbero gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost.

2. - Nel giudizio si è costituita la Regione Veneto, eccependo l'inammissibilità e deducendo comunque l'infondatezza delle censure.

2.1. - In via preliminare, la difesa regionale si sofferma sul contesto nel quale si colloca la normativa impugnata, evidenziando come negli ultimi decenni, in Italia ed in altri Stati europei, si sia assistito ad un aumento esponenziale del contenzioso sanitario. I successi della medicina moderna ed il conseguente aumento delle aspettative di vita hanno indotto il paziente a credere che l'esito infausto sia sempre e comunque attribuibile al medico, e non all'intrinseca gravità della malattia o all'imprevedibilità della risposta dell'organismo umano alle cure.
La cosiddetta overcompensation (cioè l'aumento dell'entità dei risarcimenti ed, in generale, l'aumento del contenzioso) avrebbe determinato «una pericolosa patologia» (la cosiddetta overdeterrence) della classe medica e della struttura ospedaliera, nonché, di riflesso, delle compagnie di assicurazione. In altre parole, il rischio di incorrere in procedimenti giudiziari ed eventualmente in pronunzie di condanna per il risarcimento dei danni provocati, indurrebbe molti medici ad abbandonare le specialità più a rischio o a ricorrere ad esami diagnostici superflui prima di ogni intervento (fenomeno della cosiddetta medicina difensiva). Tutto ciò determinerebbe un aumento dei rischi a carico della salute del paziente, dei costi per la spesa sanitaria e dei premi assicurativi; in qualche caso, addirittura, le compagnie di assicurazione avrebbero deciso di uscire dal mercato, rifiutandosi di assicurare medici operanti nei settori maggiormente esposti al rischio di procedimenti giudiziari per risarcimento dei danni.
Secondo la Regione Veneto, la normativa impugnata sarebbe finalizzata a contenere le crescenti spese affrontate dalle strutture sanitarie per il pagamento dei premi assicurativi (che, per l'anno 2004, ammonterebbero a 38.289.425 euro). Pertanto, la legge reg. n. 15 del 2009 (modellata su esperienze straniere, in particolare, tedesca ed austriaca), attraverso l'istituzione della Commissione conciliativa regionale, sarebbe volta a ridurre la spesa pubblica regionale e ad assicurare una migliore allocazione delle risorse, nel rispetto dei vincoli comunitari di finanza pubblica.
La resistente evidenzia, altresì, come la legge regionale censurata preveda una forma di monitoraggio dell'attività conciliativa al fine di rafforzare la gestione del rischio clinico; così facendo, la normativa impugnata darebbe attuazione all'art. 32 Cost.
Infine, la Regione Veneto precisa che la legge reg. n. 15 del 2009 ottempera a quanto sancito nell'intesa del 20 marzo 2008 (in particolare, nel punto 6) tra il Governo, le Regioni e le Province autonome, concernente, appunto, la gestione del rischio clinico e la sicurezza dei pazienti e delle cure.

2.2. - Quanto alle censure mosse dal ricorrente, la difesa regionale ne eccepisce, in primis, l'inammissibilità, poiché l'impugnativa riguarderebbe in modo generico l'intera legge reg. n. 15 del 2009.
Inoltre, l'affermazione, contenuta nel ricorso, secondo cui sono impugnate anche le altre disposizioni della legge regionale «inscindibilmente connesse» alle norme espressamente censurate, rimetterebbe alla Corte costituzionale il compito di individuare le disposizioni oggetto dell'impugnazione, in violazione del principio della domanda (ex art. 34 della legge 11 marzo 1953, n. 87 - Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale). Quella appena rappresentata costituirebbe un'ulteriore causa di inammissibilità delle questioni.

2.3. - Nel merito, la Regione Veneto contesta le conclusioni cui è pervenuto il ricorrente.

2.3.1. - Quanto all'asserita violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., la resistente sottolinea come sia inconferente il richiamo delle sentenze della Corte costituzionale n. 50 e n. 384 del 2005, giacché queste ultime riguarderebbero fattispecie molto diverse da quella oggetto dell'odierno giudizio.
In particolare, la difesa regionale rileva che, a differenza delle norme scrutinate nei giudizi definiti con le predette sentenze, la legge reg. n. 15 del 2009 disciplina un procedimento di conciliazione facoltativo e ad esclusiva iniziativa delle parti, come si desume dall'art. 3, comma 2, lettere a) e b), della stessa legge. I caratteri di non obbligatorietà e volontarietà del procedimento di conciliazione sarebbero resi ancora più evidenti da quanto previsto nell'art. 3, comma 2, lettere d) e h), della legge reg. n. 15 del 2009.
Dalle suddette caratteristiche del procedimento conciliativo in esame la resistente deduce l'infondatezza delle questioni promosse sia rispetto all'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. (al quale, secondo la difesa regionale, possono essere ricondotte le sole fattispecie di tentativo obbligatorio di conciliazione), sia in riferimento all'art. 117, terzo comma, Cost. (in quanto il procedimento di conciliazione facoltativo e ad esclusiva iniziativa delle parti non può essere ricompreso in alcuna delle materie elencate nella citata norma costituzionale).
In definitiva, la Regione Veneto ritiene che le norme impugnate siano espressione della potestà legislativa regionale residuale di cui all'art. 117, quarto comma, Cost.
Per le ragioni anzidette la resistente esclude l'esistenza di un contrasto tra la legge reg. n. 15 del 2009 e l'art. 60 della legge n. 69 del 2009, recante una delega legislativa in materia di mediazione e conciliazione delle controverse civili e commerciali. La Regione Veneto precisa come non fosse affatto tenuta a rispettare il citato art. 60 (il quale riguarderebbe i soli casi di tentativo obbligatorio di conciliazione), dal momento che la disciplina del procedimento di conciliazione facoltativo e ad esclusiva iniziativa delle parti è ascrivibile alla potestà legislativa regionale residuale.
In ogni caso, le norme impugnate sarebbero «in piena sintonia» con quanto stabilito dall'art. 60 della legge n. 69 del 2009. In particolare, la resistente contesta la tesi della difesa statale, secondo cui la nomina della Commissione conciliativa da parte della Giunta regionale ne minerebbe l'indipendenza, osservando che, se così fosse, non potrebbero essere considerate indipendenti neppure le diverse Autorità esistenti nell'ordinamento italiano (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Isvap, Consob ecc.) ed i cui vertici sono, quasi sempre, di nomina politica.
Inoltre, l'indipendenza e l'imparzialità della Commissione sarebbero garantite dall'art. 3 (recte, 2), comma 8, della legge reg. n. 15 del 2009, il quale prevede l'obbligo di astensione dei membri della Commissione in una serie di casi, «anche su richiesta delle parti». Nella stessa direzione andrebbe pure l'art. 3 (recte, 2), comma 7, secondo cui i componenti della Commissione «non possono essere scelti tra i dipendenti delle aziende ULSS ed ospedaliere nonché delle strutture private provvisoriamente accreditate della Regione del Veneto».
Infine, la difesa regionale ritiene che non sia condivisibile la lettura dell'art. 3, comma 2, lettera h), della legge reg. n. 15 del 2009, operata dal ricorrente, secondo cui la predetta norma qualificherebbe come transazione, ai sensi dell'art. 1965 cod. civ., l'accordo che conclude il procedimento di conciliazione «anche laddove non sia caratterizzato [...] da reciproche concessioni». A tal proposito, la resistente osserva che la non vincolatività della decisione della Commissione (art. 3, comma 2, lettera d) e quindi la possibilità per le parti di adire successivamente l'autorità giudiziaria, implicano l'esistenza di reciproche concessioni tra le stesse parti, nel caso in cui queste decidano di accettare l'esito del procedimento di conciliazione.

2.3.2. - In merito all'asserita violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., la Regione Veneto evidenzia l'inconferenza del riferimento, contenuto nel ricorso, alle sentenze n. 153 del 2006 e n. 300 del 2007 della Corte costituzionale. L'oggetto dei giudizi di legittimità costituzionale definiti con le predette sentenze non sarebbe, infatti, assimilabile a quello dell'odierno giudizio, in quanto la normativa oggi impugnata non istituisce una nuova figura professionale di conciliatore o mediatore a valenza generale, ma affida ad una Commissione conciliativa regionale, di cui fanno parte un magistrato a riposo, un avvocato ed un medico legale, il compito di risolvere in via stragiudiziale le sole controversie indicate nell'art. 2, commi 1 e 2, della legge reg. n. 15 del 2009.
Pertanto, la resistente ritiene che il legislatore regionale non fosse tenuto a rispettare né i principi generali in materia di «professioni» dettati dal d.lgs. n. 30 del 2006, né quelli previsti dall'art. 60 della legge n. 69 del 2009. In ogni caso, la normativa impugnata sarebbe conforme ai suddetti principi.

2.3.3. - In merito all'asserita violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., la Regione Veneto sottolinea come l'ambito di applicazione della legge reg. n. 15 del 2009 sia diverso da quello della direttiva n. 2008/52/CE, la quale riguarda le controversie transfrontaliere in materia civile e commerciale.
Peraltro, la normativa impugnata non si porrebbe in contrasto con la richiamata direttiva comunitaria (ed in particolare con gli artt. 6 e 8 di quest'ultima), essendo al contrario dubitabile la conformità dell'art. 60 della legge n. 69 del 2009 ai principi espressi dal medesimo atto comunitario, in quanto il citato art. 60 conterrebbe una nozione di «mediatore» meno ampia di quella recata dalla direttiva n. 2008/52/CE.

3. - In prossimità dell'udienza pubblica, la Regione Veneto ha depositato una memoria nella quale ribadisce quanto già affermato nell'atto di costituzione, anche alla luce del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (Attuazione dell'articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali).
In particolare, la difesa regionale sottolinea la differenza tra la conciliazione (di cui all'art. 60 della legge n. 69 del 2009 ed al d.lgs. n. 28 del 2010) e la transazione (di cui agli artt. 1965 e seguenti cod. civ., espressamente richiamati dalla legge reg. n. 15 del 2009).

Considerato in diritto

1. - Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale della legge della Regione Veneto 31 luglio 2009, n. 15 (Norme in materia di gestione stragiudiziale del contenzioso sanitario) ed, in particolare, degli artt. 1, comma 2, 2 e 3 nonché delle «altre disposizioni inscindibilmente connesse ad essi», per violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, secondo comma, lettera l), e terzo comma, della Costituzione.

1.1. - Preliminarmente, deve essere esaminata l'eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dalla Regione Veneto. Quest'ultima evidenzia come il ricorrente abbia impugnato un'intera legge e richiama la giurisprudenza costituzionale che ha escluso l'ammissibilità di questioni in tal modo proposte.
Al riguardo, deve essere richiamato il costante orientamento di questa Corte, secondo cui l'impugnativa di un'intera legge è inammissibile «ove ciò comporti la genericità delle censure che non consenta la individuazione della questione oggetto dello scrutinio di costituzionalità, mentre ammissibili sono le impugnative contro intere leggi caratterizzate da normative omogenee e tutte coinvolte dalle censure» (sentenza n. 201 del 2008).
Nell'odierno giudizio l'eccezione di inammissibilità deve essere rigettata, innanzitutto, perché il ricorrente non si limita ad impugnare genericamente l'intera legge, ma formula specifiche censure agli artt. 1, comma 2, 2 e 3, oltre a precisare che le altre disposizioni (ed in particolare l'art. 4) sono inscindibilmente connesse a quelle impugnate. In secondo luogo, la legge reg. Veneto n. 15 del 2009 presenta un contenuto omogeneo, essendo finalizzata a promuovere l'utilizzo di modalità di composizione stragiudiziale delle controversie sanitarie; pertanto, anche in assenza di specifiche censure, il ricorso sarebbe stato immune dal vizio di inammissibilità rilevato dalla Regione resistente.

2. - Le questioni non sono fondate.

2.1. - La ratio della legge della Regione Veneto censurata nel presente giudizio è, secondo la resistente, quella di prevenire controversie giudiziarie connesse all'erogazione di prestazioni sanitarie, con l'intento di ridurre l'ammontare dei risarcimenti, che gravano sui bilanci delle aziende sanitarie locali. La legge in questione nasce inoltre dall'esigenza di porre rimedio al forte aumento dei premi assicurativi, anch'essi a carico dei bilanci delle ASL, determinato dal rischio crescente di condanne al risarcimento dei danni derivanti dall'attività sanitaria. Ulteriore finalità della legge è quella di ridurre il fenomeno della cosiddetta "medicina difensiva", che porta alla prescrizione di accertamenti diagnostici non strettamente indispensabili prima di ogni intervento medico o chirurgico, al solo scopo di acquisire strumenti difensivi nella prospettiva di una eventuale, ma prevedibile, lite giudiziaria. La Regione resistente ha posto in rilievo, altresì, che le specialità mediche e chirurgiche più a rischio sono sempre meno ricercate, o addirittura abbandonate, dagli operatori e dagli specializzandi, con conseguenti difficoltà organizzative per le strutture sanitarie che intendono continuare a garantire livelli costanti di qualità e quantità delle prestazioni offerte ai cittadini.

2.2. - Quanto sopra premesso consente di individuare la materia in cui ricadono le norme impugnate nella «tutela della salute» - attribuita alla competenza legislativa concorrente, di cui al terzo comma dell'art. 117 Cost. - sulla base della considerazione che l'economicità, la completezza e la qualità delle prestazioni sanitarie devono necessariamente caratterizzare tutta l'organizzazione posta a tutela della salute dei cittadini. La prevenzione delle controversie, e dei loro costi elevati, rientra pienamente tra gli strumenti idonei a raggiungere i predetti obiettivi, che devono essere perseguiti dalle aziende sanitarie, con l'effetto di liberare risorse da impiegare nel miglioramento dei servizi.

3. - La suddetta individuazione della materia esclude che siano fondate le prospettazioni formulate in proposito dal ricorrente e dalla resistente.

3.1. - Non può essere condivisa l'evocazione, ad opera della difesa statale, dell'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., vale a dire della competenza legislativa dello Stato in tema di «giurisdizione e norme processuali» e di «ordinamento civile».
Le norme censurate, a differenza di quelle statali, non creano un sistema conciliativo imposto ai soggetti che reclamano un risarcimento per pretesi danni derivanti da prestazioni sanitarie. Infatti, l'art. 5 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (Attuazione dell'articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali) dispone (comma 1): «L'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale». L'art. 13 dello stesso atto normativo stabilisce inoltre: «Quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta [di conciliazione], il giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonché al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di un'ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto».
Dalle due norme sopra richiamate - che attuano i principi ed i criteri direttivi dell'art. 60 della legge di delega n. 69 del 2009 - si ricava che la mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali è contrassegnata dalla sua obbligatorietà, quale procedimento da esperire prima dell'instaurazione di una lite giudiziaria, pena l'improcedibilità della domanda. Altro effetto discendente dal procedimento conciliativo disciplinato dalle norme statali è quello sanzionatorio, previsto dal citato art. 13, per la parte che, pur avendo ricevuto una proposta di conciliazione ritenuta poi valida dal giudice, abbia costretto la controparte e l'amministrazione della giustizia ad un impiego di risorse, umane e materiali, che poteva essere evitato. In definitiva, il procedimento conciliativo disciplinato dalla legge statale, di cui il ricorrente sostiene la violazione da parte della normativa impugnata, rientra nell'esercizio della funzione giudiziaria e nella sfera del diritto civile, giacché, con riferimento al caso di specie, condiziona l'esercizio del diritto di azione finalizzato al risarcimento dei danni da responsabilità civile e prevede ricadute negative per chi irragionevolmente abbia voluto instaurare un contenzioso davanti al giudice, nonostante fosse stata formulata una proposta conciliativa rivelatasi successivamente satisfattiva delle proprie ragioni.

3.2. - Nulla di tutto quanto precede si ritrova nella disciplina contenuta nella legge regionale censurata.
Innanzitutto, l'avvio del procedimento conciliativo non è obbligatorio ed è subordinato al consenso di tutte le parti (art. 3, comma 2, lettere a e b); inoltre, la decisione non è vincolante, lasciando alle parti stesse la facoltà di adire successivamente l'autorità giudiziaria (lettera d). A differenza di quanto accade nel procedimento conciliativo previsto dalle norme statali, la scelta, anche di una sola delle parti interessate, di non avvalersi dell'opportunità offerta dalla legge regionale in esame non condiziona in alcun modo l'esercizio del diritto di azione, né il rifiuto della proposta conciliativa produce conseguenze sfavorevoli su chi lo esprime, quale che sia il contenuto di eventuali pronunce giurisdizionali successive.
Da queste caratteristiche della conciliazione disciplinata dalla legge regionale si evince che la Regione si è limitata a porre a disposizione dei cittadini e delle aziende sanitarie pubbliche e di quelle private accreditate uno strumento tecnico-giuridico di facilitazione e di supporto delle trattative, che i soggetti interessati ritengano liberamente di intavolare, allo scopo di individuare soluzioni condivise in relazione a pretese risarcitorie nascenti da attività sanitaria, consentendo al cittadino un più rapido soddisfacimento delle proprie richieste ed alle amministrazioni sanitarie una riduzione dei pesi finanziari ed amministrativi di lunghe e costose controversie.
La volontarietà dell'esperimento conciliativo, prevista dalle norme regionali, rende palese l'infondatezza della censura del ricorrente, basata sulla mancata previsione - del resto impossibile - di una sospensione dei termini di prescrizione e di decadenza: i soggetti interessati al bonario componimento, infatti, non sono obbligati a ritardare l'esercizio del loro diritto fondamentale di azione - con conseguente necessità di tenerli indenni dagli effetti pregiudizievoli derivanti dalla decorrenza dei suddetti termini - e non fanno altro che svolgere un'attività di negoziazione rientrante nell'ambito della propria autonomia privata, avvalendosi, per propria libera scelta, di un servizio offerto dall'ente pubblico.
Lo stesso richiamo all'istituto della transazione, di cui agli artt. 1965 e seguenti del codice civile, contenuto nell'art. 3, comma 2, lettera h), della legge regionale impugnata, non solo non dimostra lo sconfinamento di quest'ultima nel campo dell'ordinamento civile, ma fornisce invece conferma dell'assenza di ogni condizionamento, sostanziale e processuale, sui soggetti interessati. La prova a contrario di tale ultima considerazione è fornita dall'art. 12 del d.lgs. n. 28 del 2010, che prevede invece l'efficacia esecutiva del verbale di accordo, dopo la sua omologazione da parte del Presidente del Tribunale competente per territorio. Neppure è condivisibile in proposito il rilievo del ricorrente, basato sulla presunta introduzione, da parte della normativa regionale, di un tipo di transazione, diverso da quello codicistico, in cui non avrebbero rilievo le «reciproche concessioni». La lettura del citato art. 3, comma 2, lettera h), della legge regionale impugnata dimostra viceversa che si è in presenza di un mero rinvio alle norme del codice civile, senza che vi sia traccia di alcuna innovazione o modifica, che certo sarebbe stata estranea alla competenza legislativa regionale.
In sintesi, la legge regionale, per avvalorare la natura volontaria del procedimento e la non vincolatività della pronuncia della Commissione conciliativa, si limita a precisare che tutto il procedimento è orientato a facilitare l'eventuale formazione di un accordo transattivo - teso ad evitare l'insorgenza di una lite, così come prevede l'art. 1965, primo comma, cod. civ. - che le parti possono stipulare, se lo vogliono, esattamente nei termini previsti dal medesimo codice civile.

3.3. - Neppure condivisibile è l'assunto della resistente, che inquadra la legge impugnata nella competenza legislativa residuale delle Regioni, di cui all'art. 117, quarto comma, Cost.
Tale tipo di competenza legislativa, avente carattere primario, escluderebbe la stretta connessione tra il servizio reso agli utenti ed agli operatori sanitari dalla legge in oggetto e la tutela della salute, che, come chiarito prima, non implica soltanto l'obbligo delle istituzioni pubbliche di fornire adeguate prestazioni sanitarie ai cittadini, ma presuppone altresì una organizzazione in grado di contenere i costi e di razionalizzare le spese, in vista di un efficace uso delle risorse disponibili. In questo campo, il ruolo dello Stato, quale legislatore di principio, è ineliminabile, allo scopo di assicurare una coerenza ed unitarietà di disciplina e soprattutto di rendere chiari i limiti invalicabili tra attività volte alla facilitazione di accordi privati e procedimenti contenziosi, legati invece, in modo diretto o indiretto, alla tutela giurisdizionale dei diritti ed ai procedimenti che su questa incidono, di competenza esclusiva dello Stato stesso.
Lo Stato ha già esercitato in via generale la sua potestà legislativa in materia, mediante il d.lgs. n. 28 del 2010, che, nel disciplinare il procedimento di mediazione come condizione di procedibilità dell'azione giudiziale relativa alle controversie anche in materia di responsabilità medica, stabilisce (art. 2, comma 2) che la normativa statale «non preclude le negoziazioni volontarie e paritetiche relative alle controversie civili e commerciali, né le procedure di reclamo previste dalle carte dei servizi».
È evidente che negoziazioni volontarie possono sorgere nei più diversi campi e rientrare pertanto in differenti materie, di competenza legislativa dello Stato o delle Regioni, o di entrambi, a seconda dei casi. Sarà, volta per volta, necessario valutare il titolo di competenza che abilita le Regioni ad intervenire con proprie norme allo scopo di predisporre servizi di supporto a tali negoziazioni. Per quanto riguarda la materia delle richieste di risarcimento del danno derivante da responsabilità medica, si deve sottolineare che tale area di intervento è esplicitamente contemplata dall'art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, con riguardo alla conciliazione obbligatoria, con la riserva contenuta nel citato art. 2, comma 2, che consente discipline non statali con riferimento a negoziazioni «volontarie e paritetiche», tali cioè da escludere qualsiasi posizione autoritativa di organi di mediazione non statali, da cui possano discendere effetti limitativi del diritto di azione.
Del resto, nell'ambito delle attività di leale collaborazione tra Stato e Regioni, è stata stipulata, in sede di Conferenza Stato-Regioni, l'Intesa del 20 marzo 2008, che, al punto 6, indica «l'opportunità di promuovere iniziative, anche di carattere normativo nazionale e regionale finalizzate a consentire l'adozione, presso le aziende sanitarie locali, le aziende ospedaliere, le aziende ospedaliero-universitarie, i policlinici universitari a gestione diretta e gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di diritto pubblico, nei limiti delle risorse finanziarie, umane e strumentali complessivamente disponibili, di misure organizzative atte a garantire la definizione stragiudiziale delle vertenze aventi ad oggetto danni derivanti da prestazioni fornite da operatori del Servizio sanitario nazionale, fermo restando il contenimento delle spese connesse al contenzioso, tenendo conto dei seguenti criteri: previsione della non obbligatorietà della conciliazione, quale strumento di composizione stragiudiziale delle controversie; garanzia della imparzialità, professionalità, celerità delle procedure e adeguata rappresentatività delle categorie interessate, con la esplicita esclusione della possibilità di utilizzare gli atti acquisiti e le dichiarazioni della procedura di conciliazione come fonte di prova, anche indiretta, nell'eventuale successivo giudizio e con la previsione che, in caso di accordo tra le parti, la conciliazione sia definita con un atto negoziale, ai sensi degli articoli 1965 e seguenti del codice civile».
Tutti i criteri previsti nell'Intesa di cui sopra sono stati recepiti nell'art. 3 della legge regionale censurata nel presente giudizio, ad eccezione di quello relativo alla non utilizzabilità degli atti e delle dichiarazioni relative alla procedura di conciliazione in un eventuale successivo giudizio, per l'evidente motivo che tale esclusione, incidendo sull'attività giurisdizionale, non spetta alle Regioni, bensì allo Stato.
La predisposizione di servizi volti a facilitare la conciliazione stragiudiziale in materia di danni da responsabilità sanitaria, mediante l'offerta di un supporto tecnico-giuridico è stata ed è oggetto di altre leggi regionali: legge della Regione Abruzzo 9 maggio 1990, n. 65 (Integrazione della legge regionale n. 20 del 2 aprile 1985, recante «Norme di salvaguardia dei diritti dell'utente dei servizi delle U.L.S.S.»); art. 65-quater della legge della Regione Lombardia 7 gennaio 1986, n. 1 (Riorganizzazione e programmazione dei servizi socio-assistenziali della Regione Lombardia), abrogata dall'art. 28, comma 1, lettera a), della legge della Regione Lombardia 12 marzo 2008, n. 3 (Governo della rete degli interventi e dei servizi alla persona in ambito sociale e sociosanitario); art. 4-bis della legge della Provincia di Bolzano 5 marzo 2001, n. 7 (Riordinamento del Servizio Sanitario provinciale).
Anche enti pubblici diversi dalle Regioni hanno emanato normative in materia: si veda, ad esempio, l'Ordine provinciale di Roma dei medici chirurghi e degli odontoiatri, che ha istituito l'ufficio "Accordia", quale sportello conciliativo delle controversie derivanti dai rapporti tra medici e pazienti.
In questo quadro variegato e complesso, fatto salvo nel suo insieme, e nei limiti indicati, dall'art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 28 del 2010, la legge regionale de qua si pone come uno degli interventi di razionalizzazione legislativa in una materia, quella delle controversie nascenti da prestazioni sanitarie, profondamente connessa alla gestione delle strutture di competenza regionale. Lo Stato ha già stabilito, in via generale, che gli accordi, facilitati da organismi conciliativi disciplinati da fonti diverse dalla legge statale, devono avere carattere volontario e paritetico. Tale principio si riflette nei vari campi di competenza regionale, delimitando l'area di intervento della corrispondente potestà legislativa, concorrente o residuale, a seconda dei casi, senza che tuttavia possa ipotizzarsi un'attività di supporto alla negoziazione privata e stragiudiziale delle controversie in materie estranee alla competenza legislativa regionale.
In definitiva, le Regioni possono predisporre servizi come quello previsto dalla legge veneta censurata, nell'ambito delle proprie competenze nelle singole materie, prevedendo organi e procedimenti specificamente adatti alla natura delle attività coinvolte, nel rispetto del limite generale della non obbligatorietà delle procedure e della non vincolatività delle proposte conciliative.
Nel fare salve tutte le negoziazioni volontarie e paritetiche, volte alla prevenzione delle liti, nonché le norme contenute nelle carte di servizi (che, nella materia della «tutela della salute», vengono emanate ed applicate nell'ambito di strutture sanitarie territoriali o ospedaliere dipendenti dalle Regioni), lo Stato riconosce ad altri enti (ivi comprese, naturalmente, le Regioni) l'implicita capacità di regolare la composizione stragiudiziale di controversie attinenti ad attività, nei limiti della propria sfera di competenza, senza sconfinare nella disciplina della funzione giurisdizionale o comunque di atti e procedure che possono incidere sulla stessa. In definitiva, alla disciplina dell'attività volontaria e negoziale di prevenzione delle liti deve essere riconosciuta natura accessoria rispetto alla normazione delle attività ricadenti nelle singole materie, con le conseguenze che da ciò derivano in termini di limiti alla potestà legislativa regionale, di volta in volta esercitata.

4. - Deve ritenersi non fondata la censura del ricorrente basata sulla presunta violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., sotto il profilo della competenza statale ad individuare nuove figure professionali, affermata e ribadita dalla giurisprudenza costante di questa Corte.
La legge censurata non introduce alcuna nuova figura professionale, giacché, nell'art. 2, comma 4, prevede che la Commissione conciliativa regionale è composta da un magistrato a riposo, da un avvocato e da un medico legale, che possiedono già ben precisi profili professionali e non acquistano alcuna ulteriore qualificazione per effetto della loro partecipazione alle attività della Commissione stessa. Nessuna interferenza è possibile quindi ravvisare con la normativa statale, che disciplina la figura dei mediatori nell'ambito delle procedure conciliative obbligatorie, avendo la Regione scelto di avvalersi di figure professionali già esistenti.

5. - Deve essere dichiarata non fondata pure la censura relativa alla violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., basata sull'asserito contrasto della legge regionale in questione con la direttiva 21 maggio 2008 n. 2008/52/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale). L'art. 1, comma 2, del suddetto atto normativo comunitario dispone infatti che lo stesso si applichi soltanto alle controversie transfrontaliere. Tanto vale ad escludere ogni sua attinenza con l'oggetto della legge della Regione Veneto impugnata nel presente giudizio.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, 2 e 3 della legge della Regione Veneto 31 luglio 2009, n. 15 (Norme in materia di gestione stragiudiziale del contenzioso sanitario), promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, per violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, secondo comma, lettera l), e terzo comma, della Costituzione, con il ricorso in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 maggio 2010.
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 14 MAG. 2010.
lo spazio che residua non soltanto alla potestà legislativa regionale, ma anche e soprattutto all'autonomia privata nello svolgimento dell'attività conciliativa/transattiva.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

21 dicembre 2011

7/11. L’obbligo informativo sussiste solo per le controversie non escluse dall’applicazione del d.lgs. n. 28 del 2010 (Osservatorio Mediazione Civile n. 7/2011)


è Trib. Varese, ord. 9 aprile 2010

L'obbligo informativo di cui all'art. 4, comma III, d.lgs. 28/2010 (1) deve ritenersi sussistente solo se la lite insorta tra le parti rientri tra quelle controversie per cui è possibile (in concreto, perché prevista) l'attività (facoltativa, obbligatoria o su impulso giudiziale) dei mediatori.

Restano estranee al regime giuridico conciliativo le controversie aventi ad oggetto mere questioni non aventi substrato economico ed involgenti il diritto delle persone e della famiglia (come, ad esempio: la separazione personale trai coniugi; lo scioglimento del matrimonio e la cessazione dei suoi effetti civili; i procedimenti ex artt. 709-ter e 710 c.p.c.; l'amministrazione di sostegno; etc.), come, del resto, è confermato dall'art. 5, comma IV, lett. e del d.lgs. 28/2010 (2).

Si riporta il teso dell’art. 4, comma 3, d.lgs. n. 28 del 2010.
“All'atto del conferimento dell'incarico, l'avvocato e' tenuto a informare l'assistito della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione disciplinato dal presente decreto e delle agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20. L'avvocato informa altresì l'assistito dei casi in cui l'esperimento del procedimento di mediazione e' condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L'informazione deve essere fornita chiaramente e per iscritto. In caso di violazione degli obblighi di informazione, il contratto tra l'avvocato e l'assistito e' annullabile. Il documento che contiene l'informazione e' sottoscritto dall'assistito e deve essere allegato all'atto introduttivo dell'eventuale giudizio. Il giudice che verifica la mancata allegazione del documento, se non provvede ai sensi dell'articolo 5, comma 1, informa la parte della facoltà di chiedere la mediazione”.

Si riporta il teso dell’art. 5, quarto comma d.lgs. n. 28 del 2010.
“4. I commi 1 e 2 non si applicano:
a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione;
b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all'articolo 667 del codice di procedura civile;
c) nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all'articolo 703, terzo comma, del codice di procedura civile;
d) nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all'esecuzione forzata;
e) nei procedimenti in camera di consiglio;
f) nell'azione civile esercitata nel processo penale”.

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 7/2011

Tribunale di Varese
Sezione I Civile
Ordinanza
9 aprile 2010


…omissis…

Il difensore della parte ricorrente ha allegato al proprio fascicolo di parte il documento informativo redatto ai sensi dell'art. 4, comma III, d.lgs. 28/2010. In effetti, il decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28 ha previsto che, all'atto del conferimento dell'incarico, l'avvocato sia tenuto a informare l'assistito: 1) della possibilità di avvalersi del procedimento di Alternative Dispute Resolution disciplinato dalla nuova normativa in tema di mediazione conciliazione delle controversie civili: 2) delle agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20 del suddetto articolato legislativo. L'avvocato deve informare altresì l'assistito dei casi in cui l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L'informazione deve essere fornita chiaramente e per iscritto (ed "il documento che contiene l'informazione è sottoscritto dall'assistito e deve essere allegato all'atto introduttivo dell'eventuale giudizio").

L'obbligo di informazione (cui si associa un onere di allegazione nell'eventuale giudizio) provoca anche una reazione dell'Ufficio giudiziario: il giudice che verifica la mancata allegazione del documento informativo, se non provvede ai sensi dell'articolo 5, comma 1, informa la parte della facoltà di chiedere la mediazione.

Stante l'attuale formulazione dell'art. 4, comma III, la violazione del disposto ivi introdotto fa sì che i contratti di patrocinio debbano considerarsi annullabili in caso di omessa informativa. Da qui l'importanza di adempiere all'onere (rectius: obbligo) informativo prescritto dalla normativa.

Va, però, rilevato che, nel caso di specie, l'obbligo di informativa non trova applicazione.

L'intero testo normativo, infatti, disciplina le sole "controversie civili e commerciali vertenti su diritti disponibili" (art, 2, d.lgs. 28/2010), così come alle sole liti aventi tale natura giuridica si riferiscono le fonti normative da cui ha attinto il nuovo saggio di legificazione (v. art. 60 legge 69/2009 e Dir. 2008/52/CE del Parlamento e del Consiglio del 21 maggio 2008). Si vuol dire che restano estranee al regime giuridico conciliativo le controversie aventi ad oggetto mere questioni non aventi substrato economico ed involgenti il diritto delle persone e della famiglia (come, ad esempio: la separazione personale trai coniugi; lo scioglimento del matrimonio e la cessazione dei suoi effetti civili; i procedimenti ex artt. 709-ter e 710 c.p.c.; l'amministrazione di sostegno; etc.), come, del resto, è confermato dall'art. 5, comma IV, lett. e del d.lgs. 28/2010 (che esclude dalla mediazione cd. obbligatoria i procedimenti in camera di consiglio). Un'ulteriore conferma dell'esclusione qui sostenuta è esplicita nella direttiva europea già citata (n. 52 del 21 maggio 2008), relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale (che attrae le controversie transfrontaliere): il decimo considerando della suddetta direttiva, espressamente prevede che essa non trovi applicazione riguardo "ai diritti ed agli obblighi su cui le parti non hanno facoltà di decidere da sole in base alla pertinente legge applicabile; tali diritti e obblighi sono particolarmente frequenti in materia di diritto di famiglia".

A ben vedere, dunque, una interpretazione secundum constitutionem delle norme interessate impone di renderle vitali solo là dove esse abbiamo una funzione effettiva e, dunque, si giustifichino in termini di ragionevolezza: orbene, che funzione avrebbe informare una parte della possibilità di avvalersi dei mediatori, in caso di liti che tale possibilità non prevedono? E quale razionalità avrebbe una norma che, in queste ipotesi, in caso di omessa informativa, consentisse di accedere alla annullabilità del contratto di patrocinio?

I rilievi sin qui svolti inducono a dovere accedere ad una interpretazione teleologica della normativa di nuovo conio, cosicché l'obbligo informativo di cui all'art. 4, comma III, d.lgs. 28/2010 deve ritenersi sussistente solo se la lite insorta tra le parti rientri tra quelle controversie per cui è possibile (in concreto, perché prevista) l'attività (facoltativa, obbligatoria o su impulso giudiziale) dei mediatori.

Conclusivamente, nella controversia in esame, poiché involgente una lite giudiziaria per cui non previsto l'accesso (anche facoltativo) al procedimento di mediazione di cui al d.lgs. 28/2010, non sussiste alcun obbligo per i difensori di rendere l'informativa di cui all'art. 4, comma III, decreto cit. e, conseguentemente, nessun obbligo del giudice, in caso di omessa informativa succitata, di provvedere in supplenza ai sensi del medesimo grimaldello normativo (art. 4, comma III, ult. inciso).

P.Q.M.

Letti ed applicati gli artt. 710, 737 c.p.c.
Rigetta l'istanza di anticipazione
Manda alla cancelleria perché l'odierno provvedimento sia comunicato alle parti
Varese lì 6 aprile 2010
L'estensore
dott. Giuseppe Buffone
Il Presidente
Pres. Francesco Paganini
depositato in cancelleria il 9 aprile 2010

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

19 dicembre 2011

6/11. Controversie in materia di turismo e mediazione (Osservatorio Mediazione Civile n. 6/2011)

In tema di composizione delle controversie in materia di turismo, la procedura di mediazione di cui al d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 (1) costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale o arbitrale se ciò é previsto da una clausola del contratto di fornitura dei servizi la quale deve essere specificamente approvata per iscritto dal turista.

Così si esprime l’art. 67, comma 1, del c.d. Codice del turismo (all. d.lgs. 25 maggio 2011, n. n. 79). 

Il successivo comma 2 del medesimo articolo, inserito nel titolo VII, capo III del Codice, dedicato alla qualità del servizio, alla soluzione delle controversie nonché alla carta dei servizi, fa ad ogni modo salva la facoltà del turista di “ricorrere a procedure di negoziazione volontaria o paritetica o alla procedura di conciliazione innanzi alle commissioni arbitrali o conciliative per la risoluzione delle controversie tra imprese e consumatori ed utenti inerenti la fornitura di servizi turistici istituite ai sensi dell’articolo 2, comma 4, lettera a), della legge 29 dicembre 1993, n. 580”.
Nella procedura di conciliazione, inoltre, i turisti hanno facoltà di avvalersi delle associazioni dei consumatori. Tale procedura di conciliazione, conclude l’art. 67, comma 2, é disciplinata dagli artt. 140 e 141 d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (c.d. Codice del consumo).

In tema di assistenza al turista, l’art. 68 del Codice del turismo, tra l’altro, istituisce presso il Dipartimento per lo sviluppo e la competitività del turismo, lo sportello del turista, “presso il quale le persone fisiche e giuridiche, nonché gli enti esponenziali per la rappresentanza degli interessi dei turisti possono proporre istanze, richieste reclami nei confronti di imprese ed operatori turistici per l’accertamento dell’osservanza delle disposizioni previste nel presente codice”. A norma del comma 2 del medesimo art. 68, inoltre, é fatta salva la possibilità di utilizzare le procedure di negoziazione volontaria e paritetica previste dall’art 2, comma 2, d.lgs. n. 28 del 2010.
In materia di procedura dei gestione dei reclami l’art. 69 dispone quanto segue.
1.      presentazione dell’istanza di cui all’art. 68 al Dipartimento per lo sviluppo e la competitività del turismo;
2.      il dipartimento avvia “senza ritardo” l’attività istruttoria e, contestuale, informa il reclamante, l’impresa o l’operatore turistico interessato, entro il termine di quindici giorni dal ricevimento dell’istanza.
3.      nel caso in cui il Dipartimento, nel corso dell’istruttoria, richieda dati, notizie o documenti ai soggetti proponenti il reclamo, alle imprese, agli operatori turistici e ai soggetti sui quali esercita la vigilanza, questi sono tenuti a rispondere nel termine di trenta giorni dalla ricezione della richiesta (in tale caso il procedimento è sospeso fino alla scadenza del suddetto termine).
4.      entro il termine di quarantacinque giorni dalla ricezione del reclamo il Dipartimento comunica ai menzionati soggetti l’esito dell’attività istruttoria (fatti salvi i casi di sospensione dovuti alla richiesta di informazioni o all'acquisizione di dati).

L’ultimo comma dell’art. 68 dispone poi che “il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro delegato disciplina con regolamento la procedura di gestione reclami, da svolgere nell'ambito delle attività istituzionali, che si conclude entro il termine di sessanta giorni dalla ricezione del reclamo”.

(1) Si veda Decreto legislativo n. 28 del 2010 aggiornato alla c.d. manovra bis 2011, in Osservatorio Mediazione Civile n. 2/2011 (www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com).

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 6/2011

13 dicembre 2011

5/11. Pubblichiamo il d.m. n. 145 del 2011 (Osservatorio Mediazione Civile n. 5/2011)

Il decreto ministeriale 6 luglio 2011 n. 145 ha apportato rilevanti modifiche al d.m. n. 180 del 2010 (1), “Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione, nonché l'approvazione delle indennità spettanti agli organismi, ai sensi dell’articolo 16 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28”(2).

Le principali novità introdotte dal d.m. n. 145 del 2011 riguardano, tra l’altro, i seguenti temi:
-         i requisiti dei mediatori [art. 2, co. 1, lett. a)] (2);  
-         la mancata adesione alla mediazione, nei casi di cui all’art. 5, comma1 d.lgs. n. 28 del 2010, e il rilascio dell’attestato di conclusione del procedimento di mediazione articolo [3, co. 1, lett. a)];
-         i criteri di determinazione dell'indennità di mediazione [art. 5, co. 1, lett. a) - f)].

(1) Si veda d.m. n. 180 del 2010 aggiornato alle modifiche introdotte dal d.m. n. 145 del 2011, in Osservatorio Mediazione Civile n. 4/2011 (www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com).

(2) Si veda Decreto legislativo n. 28 del 2010 aggiornato alla c.d. manovra bis 2011, in Osservatorio Mediazione Civile n. 2/2011 (www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com).

(3) Al riguardo si veda I requisiti del mediatore: le modifiche apportate al d.m. n. 108/2010 dal d.m. n. 145 del 2011, in Osservatorio Mediazione Civile n. 3/2011 (www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 5/2011

Decreto del Ministero della Giustizia 6 luglio 2011, n. 145. Regolamento recante modifica al decreto del Ministro della  giustizia 18 ottobre 2010, n. 180, sulla determinazione  dei  criteri  e  delle modalità di iscrizione e tenuta  del  registro  degli  organismi  di mediazione e dell'elenco dei formatori  per  la  mediazione,  nonché sull'approvazione delle indennità spettanti agli organismi, ai sensi dell'articolo 16 del decreto legislativo n. 28 del 2010.

IL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA

di concerto con  

IL MINISTRO DELLO SVILUPPO ECONOMICO

Visto l'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400;
Visto l'articolo 16 del decreto legislativo 4 marzo  2010,  n.  28, recante attuazione dell'articolo 60 della legge 18  giugno  2009,  n. 69, in materia di mediazione  finalizzata  alla  conciliazione  delle controversie civili e commerciali;
Udito il parere n. 2228/2011 del Consiglio di Stato, espresso dalla Sezione consultiva per gli atti normativi nell'adunanza del 9  giugno 2011;
Vista la comunicazione alla Presidenza del Consiglio  dei  Ministri in  data  21  giugno  2011,  e  la  successiva  comunicazione   della Presidenza del Consiglio dei Ministri in data 28 giugno 2011;

A d o t t a

il seguente regolamento: 

Art. 1
Modifiche agli articoli 3 e 17 del decreto del Ministro della giustizia 18 ottobre 2010, n. 180

1.  All'articolo  3,  comma  2,  del  decreto  del  Ministro  della giustizia 18  ottobre  2010,  n.  180,  sono  apportate  le  seguenti modificazioni:
a) nel primo periodo, dopo le  parole:  «ovvero  persona  da  lui delegata  con  qualifica  dirigenziale»,   e   prima   delle   parole «nell'ambito della direzione generale», sono aggiunte le seguenti: «o con qualifica di magistrato»;
b) dopo il primo periodo e' aggiunto il seguente:  «Il  direttore generale della giustizia civile, al fine di esercitare la  vigilanza, si  può  avvalere  dell'Ispettorato  generale  del  Ministero  della
giustizia.».
2. All'articolo  17,  comma  2,  del  decreto  del  Ministro  della giustizia 18  ottobre  2010,  n.  180,  sono  apportate  le  seguenti modificazioni:
a) nel primo periodo, dopo le  parole:  «ovvero  persona  da  lui delegata  con  qualifica  dirigenziale»,   e   prima   delle   parole «nell'ambito della direzione generale», sono aggiunte le seguenti: «o con qualifica di magistrato»;
b) dopo il primo periodo, e' aggiunto il  seguente  periodo:  «Il direttore generale della giustizia civile, al fine di  esercitare  la vigilanza, si può avvalere dell'Ispettorato generale  del  Ministero della giustizia.».

Art. 2 
Modifiche all'articolo 4 del decreto del Ministro della giustizia 18 ottobre 2010, n. 180

1.  All'articolo  4,  comma  3,  del  decreto  del  Ministro  della giustizia 18  ottobre  2010,  n.  180,  sono  apportate  le  seguenti modificazioni:
a) la lettera b) e' sostituita dalla seguente: «b)  il  possesso, da parte  dei  mediatori,  di  una  specifica  formazione  e  di  uno specifico aggiornamento almeno biennale, acquisiti presso gli enti di formazione in base all'articolo 18,  nonché  la  partecipazione,  da parte dei mediatori, nel biennio  di  aggiornamento  e  in  forma  di tirocinio assistito, ad almeno venti casi di mediazione svolti presso organismi iscritti;».

Art. 3
Modifiche all'articolo 7 del decreto del Ministro della giustizia  18 ottobre 2010, n. 180

1.  All'articolo  7,  comma  5,  del  decreto  del  Ministro  della giustizia 18 ottobre 2010, n. 180, dopo la lettera c)  sono  aggiunte le seguenti:
a) «d) che, nei casi di cui all'articolo 5, comma 1, del  decreto legislativo, il mediatore svolge  l'incontro  con  la  parte  istante anche in mancanza di adesione della parte chiamata in  mediazione, e la segreteria dell'organismo può rilasciare attestato di conclusione del procedimento solo all'esito del verbale di mancata partecipazione della  medesima  parte  chiamata  e  mancato  accordo,  formato dal mediatore  ai  sensi  dell'articolo  11,   comma   4,   del   decreto legislativo;»;
b) «e) criteri inderogabili per l'assegnazione degli affari di mediazione predeterminati e  rispettosi  della  specifica  competenza professionale del mediatore designato, desunta anche dalla  tipologia di laurea universitaria posseduta.».

Art. 4
Modifiche all'articolo 8 del decreto del Ministro della giustizia  18 ottobre 2010, n. 180

1. All'articolo 8 del  decreto  del  Ministro  della  giustizia  18 ottobre 2010, n. 180, e' aggiunto, in fine, il  seguente  comma: «4. L'organismo iscritto  e'  obbligato  a  consentire,  gratuitamente  e disciplinandolo nel proprio regolamento, il  tirocinio  assistito  di cui all'articolo 4, comma 3, lettera b)».

Art. 5
Modifiche all'articolo 16 del decreto del Ministro della giustizia 18 ottobre 2010, n. 180

1. All'articolo 16 del decreto  del  Ministro  della  giustizia 18 ottobre 2010, n. 180, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 4, lettera b), le parole «un quinto» sono  sostituite dalle seguenti: «un quarto»;
b) al comma 4, la lettera d) e' sostituita dalla seguente: «nelle materie di cui all'articolo 5, comma 1, del decreto legislativo, deve essere ridotto di un terzo per i primi sei scaglioni, e  della  metà per i restanti, salva la riduzione  prevista  dalla  lettera  e) del presente comma, e non si  applica  alcun  altro  aumento  tra  quelli previsti dal presente articolo a eccezione di quello  previsto  dalla lettera b) del presente comma»;
c) al comma 4, lettera e), le parole «deve essere ridotto  di  un terzo» sono sostituite dalle seguenti: «deve essere  ridotto  a  euro quaranta per il primo scaglione e ad euro  cinquanta  per  tutti  gli altri scaglioni, ferma restando l'applicazione della lettera c) del presente comma»;
d) il comma 8 è sostituito  dal  seguente:  «Qualora  il  valore risulti  indeterminato,  indeterminabile,  o  vi  sia  una   notevole divergenza tra le parti sulla stima, l'organismo decide il valore  di riferimento, sino al limite di  euro  250.000,  e  lo  comunica  alle parti. In ogni caso, se all'esito del procedimento di  mediazione  il valore risulta diverso, l'importo dell'indennità è  dovuto  secondo il corrispondente scaglione di riferimento.»;
e) al comma 9, e' aggiunto in fine il seguente  periodo: «Il regolamento di procedura  dell'organismo  può  prevedere  che   le indennità debbano essere corrisposte per intero prima  del  rilascio del  verbale  di  accordo  di  cui  all'articolo 11 del decreto legislativo. In ogni caso, nelle ipotesi di cui all'articolo 5, comma 1, del decreto legislativo, l'organismo e il  mediatore  non  possono rifiutarsi di svolgere la mediazione.»;
f) dopo il comma 13 è aggiunto il seguente: «14. Gli importi minimi delle indennità per ciascun scaglione di riferimento, come determinati a norma della tabella A allegata al presente  decreto, sono derogabili.».

Art. 6
Modifiche all'articolo 20 del decreto del Ministro della giustizia 18 ottobre 2010, n. 180

1. All'articolo 20 del decreto  del  Ministro  della  giustizia  18 ottobre 2010, n. 180, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, dopo le parole «il  responsabile»  e  prima  delle parole «verifica il possesso», sono inserite  le  seguenti: «, dopo aver provveduto all'iscrizione di cui al periodo precedente,»;
b) al comma 2, le  parole  «sei  mesi», ovunque  presenti,  sono sostituite con le seguenti: «dodici mesi»;
c) al comma 3, dopo le parole «il responsabile»  e  prima  delle parole «verifica il possesso», sono inserite  le  seguenti: «,  dopo aver provveduto all'iscrizione di cui al periodo precedente,»;
d) al comma 4, le  parole  «sei  mesi»,  ovunque  presenti,  sono sostituite con le seguenti: «dodici mesi».

Art. 7
Entrata in vigore

1. Il presente decreto entra  in  vigore  il  giorno  successivo  a quello  della  sua  pubblicazione  nella  Gazzetta  Ufficiale   della Repubblica italiana.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella  Raccolta  ufficiale  degli  atti  normativi  della  Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

AVVISO. Il testo di questo provvedimento non riveste carattere di ufficialità.

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