DIRITTO D'AUTORE


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30 aprile 2019

22/19. Legittimità costituzionale della mediazione e sue maggiori possibilità di successo rispetto alla negoziazione assistita (Osservatorio Mediazione Civile n. 22/2019)

=> Corte Costituzionale, 18 aprile 2019, sentenza n. 97

Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 84, comma 1, lett. b), d.l. n. 69 del 2013, come convertito, che inserisce il comma 1-bis all’art. 5 d.lgs. n. 28 del 2010 (reintroduzione della c.d. mediazione obbligatoria) e dell’art. 84, comma 1, lett. i), dello stesso d.l. n. 69 del 2013, nella parte in cui aggiunge il comma 4-bis, secondo periodo, all’art. 8, d.lgs. n. 28 del 2010 cit., sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 77 (I) (II).

Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 4, lett. a), d.lgs. n. 28 del 2010 (“I commi 1-bis e 2 non si applicano: a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione”), sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost (III).

Va affermata la sussistenza di un fondamentale elemento specializzante ravvisabile nella mediazione, rispetto alla negoziazione assistita (di cui al d.l. 132/2014 conv., con mod., in l. 162/2014), consistente nella circostanza che il procedimento di mediazione è connotato dal ruolo centrale svolto da un soggetto, il mediatore, terzo e imparziale, da cui discendono le maggiori possibilità della mediazione, rispetto alla negoziazione assistita, di conseguire la finalità cui è preordinata (IV).

Per approfondimenti si veda
SPINA
(nota a Corte Costituzionale, sentenza del 18.4.2019, n. 97)
in La Nuova Procedura Civile 2, 2019


(II) In merito alle novità introdotte alla disciplina della mediazione dal citato intervento del 2013 di veda si veda lo SPECIALE dell’OSSERVATORIO: DECRETO del FARE e NUOVA MEDIAZIONE CIVILE



Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 22/2019

Corte Costituzionale
Sentenza n. 97
18 aprile 2019

Omissis

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale ordinario di Verona, con due distinte ordinanze di cui si è detto in narrativa, solleva – in riferimento agli artt. 3 e 77, secondo comma, della Costituzione – sostanzialmente identiche questioni di legittimità costituzionale dell’art. 84, comma 1, lettera b), del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, che inserisce il comma 1-bis all’art. 5 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali), dell’art. 84, comma 1, lettera i), dello stesso d.l. n. 69 del 2013, nella parte in cui aggiunge il comma 4-bis, secondo periodo, all’art. 8 del citato d.lgs. n. 28 del 2010, nonché del comma 2 del medesimo art. 84.
Nella sola ordinanza iscritta al n. 98 r.o. 2018, subordinatamente alla questione avente ad oggetto l’art. 84, comma 1, lettera b), del d.l. n. 69 del 2013, il Tribunale rimettente dubita, inoltre, della legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 28 del 2010, in riferimento all’art. 3 Cost.
2.– In considerazione della parziale identità delle norme denunciate e delle censure formulate, i giudizi devono essere riuniti per essere decisi con un’unica pronuncia.
3.– Con la disposizione di cui all’art. 84, comma 1, lettera b), del d.l. n. 69 del 2013, il legislatore – mosso dalla necessità, cui fa riferimento il preambolo del decreto-legge stesso, di adottare «misure per l’efficienza del sistema giudiziario e la definizione del contenzioso civile» finalizzate, unitamente alle altre contestualmente previste, a «dare impulso al sistema produttivo del Paese attraverso il sostegno alle imprese, il rilancio delle infrastrutture, operando anche una riduzione degli oneri amministrativi per i cittadini e le imprese» – ha inserito il comma 1-bis all’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010.
È stata così reintrodotta nell’ordinamento – dopo la declaratoria d’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del citato del d.lgs. n. 28 del 2010 pronunciata da questa Corte, per eccesso di delega, con la sentenza n. 272 del 2012 – la mediazione civile quale condizione di procedibilità delle domande giudiziali relative a talune materie, tra le quali quella dei contratti bancari oggetto dei giudizi a quibus, specificamente individuate dalla norma.
La parte che intende esercitare in giudizio una delle azioni indicate dall’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010 è, dunque, tenuta preliminarmente a tentare la composizione stragiudiziale della controversia mediante l’esperimento del procedimento disciplinato dal d.lgs. medesimo, il cui svolgimento è affidato ad appositi organismi di mediazione e, al loro interno, ai mediatori. È, infatti, presso l’organismo territorialmente competente che devono essere depositate le istanze di mediazione, ricevute le quali il responsabile designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti, che si deve tenere, nella sede dell’organismo stesso (o nel luogo indicato nel regolamento da esso adottato), entro trenta giorni (artt. 4 e 8 del d.lgs. n. 28 del 2010).
L’art. 84, comma 1, lettera i), del d.l. n. 69 del 2013, nella parte in cui aggiunge il comma 4-bis, secondo periodo, all’art. 8 del d.lgs. n. 28 del 2010, riproduce, invece, la norma – in precedenza espressa dal comma 5 dello stesso art. 8, parimenti dichiarato incostituzionale, in via consequenziale, con la citata sentenza n. 272 del 2012 – che prevede che il giudice «condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5 [del d.lgs. n. 28 del 2010], non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio».
3.1.– Tanto la lettera b) dell’art. 84, comma 1, del d.l. n. 69 del 2013, quanto il secondo periodo del comma 4-bis aggiunto all’art. 8 del d.lgs. n. 28 del 2010 dalla lettera i) dello stesso art. 84, comma 1, difetterebbero, ad avviso del giudice a quo, «dei requisiti di necessità ed urgenza legittimanti la [loro] adozione con decreto legge», così ledendo l’art. 77, secondo comma, Cost., segnatamente in quanto il successivo comma 2, peraltro anch’esso autonomamente censurato, avrebbe posticipato la loro entrata in vigore di trenta giorni rispetto alla data di entrata in vigore del decreto-legge stesso (recte: rispetto alla data della entrata in vigore della legge di conversione del d.l.).
Il denunciato vulnus si apprezzerebbe, nella prospettiva del rimettente, sotto un duplice profilo.
Il suddetto differimento, infatti, per un verso, sarebbe incompatibile con l’urgenza del provvedere, che presupporrebbe, al contrario, l’immediata applicabilità delle norme dettate dal decreto-legge, anche alla luce di quanto disposto dall’art. 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri). Sotto altro aspetto, determinerebbe la carenza della omogeneità finalistica tra le norme censurate e le altre introdotte dal d.l. n. 69 del 2013, la cui efficacia non sarebbe stata procrastinata.
3.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha in limine sollevato, in entrambi i giudizi, eccezione di inammissibilità delle questioni, in quanto basate su un argomento fallace.
Contrariamente a quanto sostenuto dal giudice a quo, infatti, le disposizioni di cui all’art. 84, comma 1, del d.l. n. 69 del 2013 sarebbero entrate in vigore, ai sensi del successivo art. 86, come tutte le altre norme contenute nel medesimo decreto-legge, il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana: il legislatore, con il comma 2 dell’art. 84, avrebbe, pertanto, disposto «semplicemente […] un differimento nella efficacia di talune disposizioni […]».
3.2.1.– Le eccezioni non sono pertinenti e non possono essere accolte, dal momento che l’argomentazione su cui riposano non incide sul nucleo fondante la censura formulata, ravvisabile piuttosto nell’asserita necessità che tutte le norme contenute nel decreto-legge abbiano la stessa, immediata efficacia.
3.3.– Nel merito, le questioni non sono fondate.
3.3.1.– Esse devono essere scrutinate alla stregua del consolidato orientamento di questa Corte secondo cui «[…] il sindacato sulla legittimità dell’adozione, da parte del Governo, di un decreto-legge va limitato ai casi di evidente mancanza dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza richiesti dall’art. 77, secondo comma, Cost., o di manifesta irragionevolezza o arbitrarietà della loro valutazione» (sentenza n. 99 del 2018).
3.3.2.– Tanto premesso in linea generale, va rilevato che non può condividersi, quanto al primo profilo in cui è articolata la censura, la tesi del rimettente secondo cui l’insussistenza della straordinaria necessità e urgenza sarebbe desumibile dal mero differimento dell’efficacia delle disposizioni censurate.
Al contrario, questa Corte – anche laddove ha ricordato che l’art. 15, comma 3, della legge n. 400 del 1988, nel prescrivere, tra l’altro, che i decreti devono contenere misure di immediata applicazione, costituisce esplicitazione della ratio implicita nel secondo comma dell’art. 77 Cost. – ha tuttavia precisato che la necessità di provvedere con urgenza «non postula inderogabilmente un’immediata applicazione delle disposizioni normative contenute nel decreto-legge» (sentenza n. 170 del 2017; nello stesso senso sentenze n. 5 del 2018, n. 236 e n. 16 del 2017).
Mette conto, d’altra parte, osservare che, nel caso di specie, la norma che ha reintrodotto l’obbligatorietà della mediazione avrebbe evidentemente comportato un significativo incremento delle istanze di accesso al relativo procedimento: la decisione di procrastinarne, peraltro per un periodo contenuto, l’applicabilità è, pertanto, ragionevolmente giustificata dall’impatto che essa avrebbe avuto sul funzionamento degli organismi deputati alla gestione della mediazione stessa.
Del resto, una volta posticipata l’efficacia della mediazione obbligatoria, diviene con riguardo a essa coerente il differimento anche della connessa disciplina, posta dal secondo periodo del comma 4-bis dell’art. 8 del d.lgs. n. 28 del 2010, come introdotto dall’art. 84, comma 1, lettera i), del d.l. n. 69 del 2013, delle conseguenze della mancata partecipazione, senza giustificato motivo, al relativo procedimento.
3.3.3. – Nemmeno condivisibile è l’assunto, su cui è basato il secondo profilo in cui è articolata la censura in esame, in forza del quale le disposizioni sottoposte all’odierno scrutinio difetterebbero di coerenza funzionale rispetto alle altre norme contenute nel d.l. n. 69 del 2013 in quanto il legislatore avrebbe differito l’applicabilità solo delle prime.
Dalla «uniformità teleologica» che deve accomunare le norme contenute in un decreto-legge (sentenza n. 22 del 2012) non si può inferire, contrariamente a quanto sostenuto dal rimettente, un generale corollario per cui queste dovrebbero tutte necessariamente sottostare al medesimo termine iniziale di efficacia. La omogeneità finalistica che deve connotare le norme introdotte con la decretazione d’urgenza non presuppone, infatti, indefettibilmente l’uniformità di tale termine, ben potendo alcune di esse risultare comunque funzionali all’unico scopo di approntare rimedi urgenti anche là dove ne sia stata procrastinata l’applicabilità.
Il disposto differimento delle norme qui censurate trova del resto fondamento, come poc’anzi osservato, nell’esigenza di assicurare il corretto funzionamento degli organismi di mediazione: dunque, non solo non è sintomatico dell’assenza di coerenza finalistica, ma, al contrario, concorre a garantirla.
Deve quindi ritenersi che esso non abbia compromesso la matrice funzionale unitaria delle disposizioni denunciate, anch’esse finalizzate, unitamente alle altre adottate in materia di giustizia, alla realizzazione dei comuni e urgenti obiettivi – a loro volta preordinati al rilancio dell’economia – del miglioramento dell’efficienza del sistema giudiziario e dell’accelerazione dei tempi di definizione del contenzioso civile.
Le norme oggetto dell’odierno incidente di costituzionalità si collocano, pertanto, coerentemente all’interno di tale cornice finalistica, risultante dal preambolo e dal Titolo III (Misure per l’efficienza del sistema giudiziario e la definizione del contenzioso civile) del decreto-legge in cui sono contenute.
D’altro canto, proprio la considerazione delle peculiari conseguenze – differenti rispetto a quelle prodotte dalle altre misure adottate – derivanti dalle disposizioni in parola e prima ricordate concorre a rendere ragionevole la scelta di differirne l’applicabilità.
3.3.4.– Alla luce dei rilievi che precedono, deve escludersi sia l’evidente difetto dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza richiesti dall’art. 77, secondo comma, Cost., sia l’esistenza di una disomogeneità finalistica delle norme censurate rispetto alle altre contenute nel decreto-legge.
4.– Entrambe le ordinanze di rimessione del Tribunale di Verona reputano, altresì, «immotivata e priva di una ragione logica» la previsione dell’art. 84, comma 2, del d.l. n. 69 del 2013, che posticipa, come si è visto, di trenta giorni rispetto all’entrata in vigore della legge di conversione l’applicabilità delle disposizioni di cui al precedente comma 1: e la censurano perciò per contrasto con l’art. 3 Cost.
4.1.– In entrambi i giudizi l’Avvocatura generale ha eccepito l’inammissibilità delle questioni per difetto di motivazione sulla non manifesta infondatezza, giacché il Tribunale rimettente si sarebbe in sostanza limitato a sostenere che, in sede di decretazione d’urgenza, non possa essere procrastinata l’applicabilità di alcune disposizioni, senza tuttavia adeguatamente illustrare i motivi per cui siffatta scelta sarebbe illogica.
4.1.1.– Le eccezioni vanno disattese.
Malgrado la obiettiva sinteticità che connota la censura in esame, formulata in maniera pressoché identica in entrambe le ordinanze di rimessione, da una lettura complessiva di queste ultime si evince, infatti, che il giudice a quo, sulla base di un argomento sostanzialmente sovrapponibile a quello sviluppato in merito all’asserita violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost., reputa illogica, e perciò in contrasto con l’art. 3 Cost., la decisione di differire l’applicabilità di una norma adottata in sede di decretazione d’urgenza, evidenziando, quale indice sintomatico di tale irragionevolezza, la diversa soluzione prescelta dal legislatore con riguardo ad altre norme contenute nel medesimo testo normativo.
Sulla scorta della considerazione che precede, deve ritenersi assolto l’onere di motivazione che grava sul giudice rimettente.
4.2.– Le questioni, tuttavia, sono inammissibili per altre e diverse ragioni.
Va al riguardo rilevato che il rimettente non motiva in alcun modo sull’applicabilità, nei giudizi pendenti dinanzi a sé, della norma censurata.
Né d’altra parte ciò sarebbe stato possibile: dalle ordinanze di rimessione emerge, infatti, come i processi a quibus siano stati rispettivamente iscritti al ruolo generale degli anni 2014 e 2017; emerge quindi per tabulas che questi sono stati instaurati successivamente al periodo in cui ha prodotto effetti il differimento (trenta giorni dall’entrata in vigore, avvenuta il 21 agosto 2013, della legge di conversione) disposto dalla norma censurata.
Tale disposizione, pertanto, aveva ormai esaurito i propri effetti e di essa il giudice a quo non deve, conseguentemente, fare applicazione, sicché le questioni che la investono sono prive di rilevanza.
5.– In via subordinata, con l’ordinanza di rimessione iscritta al n. 98 r.o. 2018, il Tribunale rimettente dubita, in riferimento all’art. 3 Cost., in relazione al principio di uguaglianza, della legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 28 del 2010, che esclude l’obbligatorietà della mediazione, limitatamente alla fase monitoria, nei procedimenti per ingiunzione.
5.1.– Benché tale disposizione non sia indicata nel dispositivo dell’ordinanza di rimessione, dalla lettura della sua motivazione si desume con chiarezza come le censure formulate investano anche questa, specificamente nella parte in cui prevede l’obbligatorietà della mediazione nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo.
Deve conseguentemente ritenersi che il presente scrutinio di costituzionalità investa anche l’art. 5, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 28 del 2010, segnatamente laddove prevede l’obbligatorietà della mediazione nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo. Infatti, per un verso, il «thema decidendum, con riguardo alle norme censurate, va identificato tenendo conto della motivazione delle ordinanze» (sentenza n. 238 del 2014; nello stesso senso, ex plurimis, sentenza n. 203 del 2016; ordinanze n. 169 del 2016 e n. 162 del 2011); per altro verso, sulla base di tale motivazione è «ben possibile circoscrivere l’oggetto del giudizio di legittimità costituzionale ad una parte della disposizione censurata» (ex plurimis, sentenza n. 35 del 2017).
5.2.– Secondo il giudice rimettente, la compromissione del principio di uguaglianza emergerebbe dal raffronto con la disciplina legislativa della negoziazione assistita da uno o più avvocati, applicabile, ai sensi dell’art. 2 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132 (Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile), convertito, con modificazioni, nella legge 10 novembre 2014, n. 162, alle controversie in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti, nonché, fuori da questo caso e da quelli previsti dall’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010, alle domande aventi a oggetto il pagamento, a qualsiasi titolo, di somme non eccedenti cinquantamila euro.
Anche la negoziazione assistita costituirebbe, infatti, come la mediazione, una condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
Tuttavia, nei procedimenti per ingiunzione, la procedura di negoziazione assistita, secondo quanto disposto dall’art. 3, comma 3, lettera a), del d.l. n. 132 del 2014, non deve essere esperita né nella fase monitoria né nel successivo, eventuale giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo.
Al contrario, in virtù della disposizione censurata, il procedimento preliminare di mediazione, benché parimenti non applicabile alle domande proposte in via monitoria, deve essere intrapreso nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, sia pure dopo la pronuncia del giudice, ai sensi degli artt. 648 e 649 del codice di procedura civile, sulle istanze di concessione e di sospensione della provvisoria esecuzione del decreto stesso.
La descritta diversità tra le due discipline, ad avviso del giudice a quo, integrerebbe, come detto, una violazione dell’art. 3 Cost., determinando una disparità di trattamento manifestamente irragionevole e in quanto tale incidente anche nell’ambito della disciplina degli istituti processuali.
5.3.– L’Avvocatura generale ha sollevato preliminarmente eccezione d’inammissibilità della questione per difetto di rilevanza – o, comunque, per difetto di motivazione su di essa – rimarcando l’omessa indicazione, da parte del Tribunale rimettente, del valore della causa oggetto del giudizio a quo, che non consentirebbe di comprendere se nella fattispecie concreta possa, o meno, trovare applicazione la norma, evocata quale tertium comparationis, che disciplina la negoziazione assistita.
5.3.1.– L’eccezione non è pertinente.
A prescindere dal tertium comparationis, evocato solo quale indice di una rottura della coerenza dell’ordinamento, il giudice a quo è infatti chiamato a decidere, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, sulla istanza di concessione della esecuzione provvisoria del decreto stesso, avente ad oggetto un credito derivante da un contratto di anticipazione bancaria. Assunta la decisione in merito a tale richiesta, egli dovrebbe quindi assegnare alle parti il termine per intraprendere il procedimento di mediazione, secondo quanto previsto dal disposto dei commi 1-bis e 4, lettera a), dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010.
Tanto chiarito, si deve osservare che è ben vero che il rimettente non indica specificamente il valore della causa sottoposta alla sua cognizione, ma è altrettanto vero che ciò è ininfluente, giacché questa ha ad oggetto un contratto bancario: a prescindere dal suo valore, essa rientra quindi, in ogni caso, nel novero di quelle soggette alla mediazione.
Pertanto, ove dovesse essere ritenuta sussistente la dedotta irragionevole disparità di trattamento, con la conseguente espunzione di quella parte della norma censurata da cui deriva l’obbligatorietà della mediazione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, si espanderebbe la disciplina generale dell’accesso incondizionato alla giurisdizione. È dunque palese che, nonostante l’omissione evidenziata dalla difesa statale, la questione è rilevante, giacché dal suo accoglimento deriverebbe che il giudice rimettente non dovrebbe assegnare il termine per intraprendere il procedimento di mediazione.
Da questo punto di vista, la censura supera il vaglio di ammissibilità.
5.4.– Al pari di quelle già esaminate, neppure essa è, tuttavia, fondata.
5.4.1.– Entrambi gli istituti processuali posti a raffronto sono diretti a favorire la composizione della lite in via stragiudiziale e sono riconducibili alle «misure di ADR (Alternative Dispute Resolution)» (sentenza n. 77 del 2018). Entrambi, inoltre, costituiscono condizioni di procedibilità della domanda giudiziale, il cui difetto ha peraltro conseguenze analoghe, con finalità deflattiva.
A fronte di tali profili di omogeneità, è tuttavia ravvisabile nella mediazione un fondamentale elemento specializzante, che assume rilievo al fine di escludere che si sia al cospetto di situazioni sostanzialmente identiche disciplinate in modo ingiustificatamente diverso, ovvero che la scelta legislativa di trattare diversamente, con riguardo al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, le due fattispecie possa ritenersi manifestamente irragionevole e arbitraria, «questo essendo il parametro di riferimento in materia, tenuto conto che si discute di istituti processuali, nella cui conformazione […] il legislatore fruisce di ampia discrezionalità» (sentenza n. 12 del 2016; nello stesso senso, sentenza n. 164 del 2017).
5.4.2.– Più precisamente, il procedimento di mediazione è connotato dal ruolo centrale svolto da un soggetto, il mediatore, terzo e imparziale, là dove la stessa neutralità non è ravvisabile nella figura dell’avvocato che assiste le parti nella procedura di negoziazione assistita.
Il mediatore, infatti, ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 28 del 2010, da un lato, non può «assumere diritti od obblighi connessi […] con gli affari trattati […]» né percepire compensi direttamente dalle parti (comma 1); dall’altro, è obbligato a sottoscrivere, per ciascuna controversia affidatagli, un’apposita «dichiarazione di imparzialità» e a informare l’organismo di mediazione e le parti delle eventuali ragioni che possano minare la sua neutralità (comma 2, lettere a e b).
Tale neutralità, oltre ad essere sancita anche dall’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 28 del 2010, è peraltro altresì precisata dalla disciplina posta dall’art. 14-bis del decreto del Ministro della giustizia 18 ottobre 2010, n. 180 (Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione, nonché l’approvazione delle indennità spettanti agli organismi, ai sensi dell’articolo 16 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28), adottato, ai sensi dell’art. 16, comma 2, del medesimo d.lgs., di concerto con il Ministro per lo sviluppo economico, che regola le cause di incompatibilità e le ipotesi di conflitti di interesse in capo al mediatore.
Mentre, dunque, nella mediazione il compito – fondamentale al fine del suo esito positivo – di assistenza alle parti nella individuazione degli interessi in conflitto e nella ricerca di un punto d’incontro è svolto da un terzo indipendente e imparziale, nella negoziazione l’analogo ruolo è svolto dai loro stessi difensori: è conseguentemente palese come, pur versandosi in entrambi i casi in ipotesi di condizioni di procedibilità con finalità deflattive, gli istituti processuali in esame siano caratterizzati da una evidente disomogeneità.
La lumeggiata eterogeneità, nei termini appena illustrati, trova d’altro canto un chiaro riscontro nella giurisprudenza costituzionale. Questa Corte, esaminando la mediazione tributaria disciplinata dall’art. 17-bis del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), ha difatti rimarcato che la mancanza, in essa, «di un soggetto terzo che, come avviene per la mediazione delle controversie civili e commerciali disciplinata dal d.lgs. n. 28 del 2010 […], svolga la mediazione», se da un lato «comporta l’impossibilità di ricondurre la mediazione tributaria al modello di quella civilistica», dall’altro «induce a dubitare della stessa riconducibilità dell’istituto all’àmbito mediatorio propriamente inteso» (sentenza n. 98 del 2014).
L’evidenziata disomogeneità delle due fattispecie poste a confronto ne preclude, dunque, una comparabilità idonea a integrare l’asserita violazione dell’art. 3 Cost. e induce a escludere che sia stato irragionevolmente riservato un trattamento differenziato alla mediazione e, quindi, che la scelta legislativa denunciata dal rimettente abbia valicato il confine dell’arbitrarietà.
5.4.3.– D’altra parte, il tratto differenziale appena rilevato conferma la ratio che sostiene il diverso regime giuridico di cui, invece, si duole il giudice a quo: la presenza di un terzo del tutto indipendente rispetto alle parti giustifica, infatti, le maggiori possibilità della mediazione, rispetto alla negoziazione assistita, di conseguire la finalità cui è preordinata e, pertanto, la scelta legislativa di rendere obbligatoria solo la prima, e non la seconda, anche nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.
In tale ultimo giudizio, in altri termini, il legislatore ha ritenuto inutile imporre la negoziazione assistita, giacché essa è condotta direttamente dalle parti e dai loro avvocati, senza l’intervento di un terzo neutrale.
Anche alla luce della considerazione che precede, deve dunque escludersi che il differente trattamento normativo portato all’attenzione di questa Corte possa essere ritenuto manifestamente irragionevole e arbitrario.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 84, comma 2, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, sollevate, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Verona con le ordinanze indicate in epigrafe;
2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 84, comma 1, lettera b), del d.l. n. 69 del 2013, come convertito, che inserisce il comma 1-bis all’art. 5 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali), e dell’art. 84, comma 1, lettera i), dello stesso d.l. n. 69 del 2013, nella parte in cui aggiunge il comma 4-bis, secondo periodo, all’art. 8 del citato d.lgs. n. 28 del 2010, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 77, secondo comma, Cost., dal Tribunale ordinario di Verona con le ordinanze indicate in epigrafe;
3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 28 del 2010, sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., dal Tribunale ordinario di Verona con l’ordinanza iscritta al n. 98 del registro ordinanze 2018.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità. 

23 dicembre 2016

88/16. Voce enciclopedica “Mediazione obbligatoria” (Osservatorio Mediazione Civile n. 88/2016)

Mediazione obbligatoria (voce)
di Giulio SPINA
AltalexPedia, Altalex, 2016
(voce agg. al 1/12/2016)



1. Premessa metodologica
2. Introduzione
3. Apparato regolatorio ed evoluzione normativa
3.1. Entrata in vigore della disciplina originaria sulla mediazione obbligatoria
3.2. La pronuncia di incostituzionalità
3.3. La reintroduzione della mediazione obbligatoria oggi vigente
4. Ambito di applicazione della mediazione obbligatoria
4.1. Controversie assoggettate alla mediazione obbligatoria
4.2. I criteri guida seguiti dal legislatore delegato
4.3. Esclusioni
4.4. Approfondimento: concreta identificazione delle controversie assoggettate alla mediazione obbligatoria
5. Disciplina e funzionamento
6. Approfondimenti: questioni pratiche e dubbi interpretativi
6.1. La condizione di procedibilità
6.2. Corretto avveramento della condizione di procedibilità
6.3. Primo incontro di mediazione e presenza delle parti
6.4. Domande riconvenzionali e domande di terzo
6.4.1. Tesi negativa
6.4.2. Tesi positiva
6.5. Procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo
6.5.1. La questione
6.5.2. La tesi per cui l’onere della mediazione grava sul debitore ingiunto
6.5.3. La tesi per cui l’onere della mediazione grava sul creditore opposto
6.5.4. Cass. civ. n. 24629/2015
6.5.5. Orientamenti di merito successivi

Il contributo è consultabile gratuitamente al seguente link:

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 88/2016
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

21 gennaio 2016

6/16. SPINA, Mediazione obbligatoria e primo incontro: queste le spese dovute (Osservatorio Mediazione Civile n. 6/2016)

SPINA, Mediazione obbligatoria e primo incontro: queste le spese dovute
in La Nuova Procedura Civile, 1, 2016





SOMMARIO: I. FATTO (ITER PROCESSUALE E NORME RILEVANTI) - II. LA STATUIZIONE DEL CONSIGLIO DI STATO - III. DIRITTO (DECISIONI E PRINCIPALI ARGOMENTAZIONI) - III. 1. Spese di mediazione dovute al primo incontro - III.2. Formazione degli avvocati quali mediatori di diritto - IV. CONSEGUENZE PRATICHE (SPESE DOVUTE)

La sentenza in commento (Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza del 17.11.2015) concerne l’appello proposto avverso la sentenza Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione prima, sentenza del 23.1.2015, n. 1351.
Di seguito verranno analizzate le seguenti questioni, ritenute di maggior interesse scientifico e rilevanza pratica:
- spese di mediazione dovute al primo incontro;
- formazione degli avvocati quali mediatori di diritto.

Il contributo è consultabile gratuitamente al seguente all’URL:

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 6/2016

19 gennaio 2016

5/16. Consiglio di Stato, d.m. 180/2010: spese di mediazione e primo incontro (Osservatorio Mediazione Civile n. 5/2016)

=> Consiglio di Stato, sentenza del 17 novembre 2015

In parziale riforma della sentenzaimpugnata, è respinto il ricorso di primo grado quanto ai vizi dedotti avverso l’art.16, comma 9, e l’art. 4, comma 1, lettera b) del d.m. 18 ottobre 2010, n. 180, confermando per il resto la sentenza medesima. Pertanto, in caso di esito negativo del primo incontro, in applicazione del comma5-ter dell’art. 17. D.lgs. 28/2010, non può che essere esclusa la debenza delle spese di mediazione (che comprendono “anche l’onorario del mediatore per l’intero procedimento di mediazione”), diversamente dalle spese di avvio, le quali vanno qualificate come onere economico imposto per l’accesso a un servizio che è obbligatorio ex lege per tutti coloro i quali intendano accedere alla giustizia in determinate materie (I) (II) (III) (IV).
  
Il primo incontro non costituisce un passaggio esterno e preliminare della procedura di mediazione.
  
Quanto alla disciplina della mediazione obbligatoria, una volta superato il vizio di eccesso di delega che aveva indotto l’intervento cassatorio della Cortecostituzionale con la sentenza n. 272 del 2012, non è dato rinvenire manifesti e significativi profili di violazione dell’art. 24 Cost. ovvero di altri parametri di rango costituzionale (V).
  





Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 5/2016

Consiglio di Stato
sezione quarta
sentenza
17 novembre 2015

Omissis

1. Giunge all’attenzione della Sezione il contenzioso relativo alla regolamentazione attuativa dell’art. 16 del decreto legislativo 4 marzo 2010, nr. 28, il quale, sulla scorta della delega contenuta nell’art. 60 della legge 18 giugno 2009, nr. 69, ha introdotto nel nostro ordinamento la mediazione in materia civile e commerciale, come prescritto dalla direttiva 21 maggio 2008, nr. 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione europea.
In primo grado, l’Unione Nazionale delle Camere Civili (U.N.C.C.) ha impugnato il decreto del Ministro della Giustizia, adottato di concerto col Ministro dell’Economia e delle Finanze, nr. 180 del 18 ottobre 2010, lamentandone l’illegittimità sotto plurimi profili, anche sulla base della ritenuta illegittimità costituzionale di retrostanti disposizioni del citato d.lgs. nr. 28 del 2010.
Il T.A.R. del Lazio, investito della controversia, in parziale accoglimento delle deduzioni di parte attrice, ha sollevato (ord. 12 aprile 2011, nr. 3202) questione di legittimità costituzionale di alcune norme dell’impugnato decreto, concernenti fra l’altro l’obbligatorietà del previo esperimento della mediazione ai fini dell’esercizio della tutela giudiziale in determinate materie.
Sulla questione la Corte costituzionale si è pronunciata con la sentenza nr. 272 del 6 dicembre 2012, con la quale ha annullato, per violazione degli artt. 76 e 77 Cost., l’art. 5, comma 1, del d.lgs. nr. 28 del 2010, nonché una serie di disposizioni a questo correlate, ritenendo viziata da eccesso di delega la previsione dell’obbligatorietà del ricorso alla mediazione ed alla conseguente strutturazione della relativa procedura come condizione di procedibilità della domanda giudiziale in relazione a varie tipologie di controversie.
A sèguito dell’intervento del giudice delle leggi, e dopo un primo tentativo di modifica della normativa regolamentare non andato a buon fine a causa della mancata conferma in sede di conversione del decreto-legge in cui era stata inserita, il legislatore è nuovamente intervenuto con l’art. 84, comma 1, lettera b), del decreto-legge 21 giugno 2013, nr. 69, convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, nr. 98, che ha reintrodotto, inserendo nell’art. 5 del d.lgs. nr. 28/2010 il nuovo comma 5-bis (nonché attraverso l’introduzione di ulteriori disposizioni complementari), sia l’obbligatorietà del previo ricorso alla mediazione che la sua configurazione come condizione di procedibilità dell’azione.
Con la sentenza che ha definito il primo grado del presente giudizio, il T.A.R. capitolino:
- ha, da un lato, respinto la maggior parte delle doglianze attoree, ritenendo manifestamente infondate le ulteriori questioni di legittimità costituzionale articolate avverso la nuova disciplina medio tempore intervenuta;
- ha, per altro verso, accolto il ricorso limitatamente ai commi 2 e 9 dell’art. 16 del d.m. nr. 28/2010 (reputando illegittima la perdurante previsione della debenza delle spese di avvio e delle spese di mediazione, a fronte del principio di gratuità della mediazione contenuto nella normativa primaria) ed al comma 3, lettera b), dell’art. 4 (reputando illegittima la mancata previsione dell’esclusione degli avvocati dalla formazione obbligatoria ivi prevista, a fronte del riconoscimento agli stessi della qualifica di mediatori di diritto).
2. La ricostruzione che precede, in parte ripetitiva di quella operata dal giudice di prime cure, non risulta contestata dalle parti costituite, per cui, vigendo la preclusione di cui all’art. 64, comma 2, cod. proc. amm., deve considerarsi idonea alla prova dei fatti oggetto di giudizio.
3. Tutto ciò premesso, l’appello dell’Amministrazione si appalesa in parte fondato e pertanto meritevole di accoglimento, mentre invece non è meritevole di favorevole delibazione l’appello incidentale dell’originaria ricorrente.
4. In ordine logico, è proprio l’appello incidentale a dover essere prioritariamente scrutinato, atteso:
a) che la sua ipotetica fondatezza comporterebbe la possibile incostituzionalità delle stesse norme primarie a monte della censurata disciplina regolamentare;
b) che siffatta questione, ove ritenuta non manifestamente infondata, imporrebbe la rimessione alla Corte costituzionale anche d’ufficio (e, quindi, indipendentemente da ogni rilievo circa la legittimazione processuale dell’originaria ricorrente, come riproposto nel primo motivo d’appello dell’Amministrazione).
4.1. Con la propria impugnazione incidentale, l’U.N.C.C. reitera una sola delle questioni di legittimità costituzionale che il primo giudice ha ritenuto manifestamente infondate, e segnatamente quella relativa al comma 2 dell’art. 5 del d.lgs. nr. 28/2010, il quale, in un contesto nuovamente connotato dall’obbligatorietà del previo ricorso alla mediazione e dalla sua strutturazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale in determinate materia (per effetto della “novella” introdotta dal d.l. nr. 69 del 2013), consente al giudice, anche in sede di appello, di imporre alle parti l’esperimento della procedura di mediazione.
4.2. Al riguardo, il primo giudice ha escluso che la nuova disciplina introdotta nel 2013, pur stabilendo nei termini visti l’obbligatorietà del previo esperimento della mediazione, comportasse una significativa incisione del diritto alla tutela giurisdizionale di cui all’art. 24 Cost., essendo essa circondata da cautele idonee a prevenire un serio pregiudizio di tale diritto: in tal senso andrebbero le previsioni dell’assistenza obbligatoria del difensore, della specializzazione dei mediatori e, soprattutto, della circoscrizione dell’obbligatorietà al solo “primo incontro” di cui al comma 1 dell’art. 8 del d.lgs. nr. 28/2010, all’esito del quale l’interessato può decidere di non proseguire nella procedura di mediazione.
4.3. In critica a tali argomenti, parte appellante incidentale rileva che le garanzie previste a favore del privato sarebbero solo apparenti, essendo per un verso limitata nel tempo la previsione dell’obbligatorietà dell’assistenza del difensore in sede di mediazione, e sotto altro profilo non idoneamente assicurata la specializzazione e l’esperienza di diritto dei mediatori (e ciò malgrado la contestuale previsione per cui gli stessi avvocati sono “mediatori di diritto”).
Soprattutto, l’appellante incidentale muove dal presupposto che la previsione di cui al ricordato comma 2 dell’art. 5 obblighi l’interessato, a sèguito dell’ordinanza del giudice che impone la mediazione quale condizione di procedibilità dell’azione, non già a limitarsi al primo incontro, ma ad esperire la vera e propria procedura di mediazione.
4.4. La Sezione non condivide tale ultimo avviso, che appare in frontale contrasto col dettato normativo.
Infatti, al di là di quanto appresso meglio si dirà in ordine all’essere il primo incontro parte integrante del procedimento di mediazione e non un qualcosa di estraneo ad esso, rileva il chiaro tenore testuale del comma 2-bis del medesimo art. 5, il quale, con previsione certamente applicabile anche alla fattispecie regolata dal precedente comma 2, dispone: “…Quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo”.
Quanto ai più specifici rilievi svolti nell’appello incidentale, questi sono basati su una svalutazione della rilevanza e della centralità del momento formativo e dell’aggiornamento dei mediatori, il quale invece, come pure meglio appresso si rileverà, costituiscono parte essenziale del substrato comunitario dell’istituto de quo, di modo che non è possibile predicare l’illegittimità costituzionale delle previsioni in questione sulla base di una mera visione “pessimistica” del come in concreto detta formazione sarà attuata (come sembra fare parte appellante incidentale, allorché assume che i cittadini saranno lasciati in balìa di mediatori che non saranno necessariamente “esperti di diritto”).
4.5. In definitiva, la Sezione ritiene di dover condividere e confermare le conclusioni esposte nella sentenza impugnata in punto di manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale qui riproposta: nel senso che, una volta superato il vizio di eccesso di delega che aveva indotto l’intervento cassatorio della Corte costituzionale con la richiamata sentenza nr. 272 del 2012, non è dato rinvenire manifesti e significativi profili di violazione dell’art. 24 Cost. ovvero di altri parametri di rango costituzionale.
5. Proseguendo nella disamina delle questioni preliminari, va esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso di prime cure sollevata nell’atto di intervento ad adiuvandum dell’Associazione Primavera Forense, laddove si assume il difetto di corretta instaurazione del rapporto processuale a cagione della mancata evocazione in giudizio di almeno un organismo di mediazione, quale controinteressato nei cui confronti il provvedimento impugnato era produttivo di effetti.
Tale questione può certamente essere delibata nella presente sede, atteso che:
a) va intesa quale vero e proprio motivo di impugnazione, essendo articolata in un atto di intervento in appello scaturito da conversione di opposizione di terzo proposta dinanzi al giudice di primo grado, giusta il disposto dell’art. 109, comma 2, cod. proc. amm.;
b) afferisce alla rituale instaurazione del rapporto processuale, e pertanto può pacificamente essere formulata anche per la prima volta in grado di appello.
Tuttavia, l’eccezione è infondata, dovendo in questa sede ribadirsi il consolidato insegnamento giurisprudenziale per cui, in caso di impugnazione di norme regolamentari, non possono individuarsi soggetti aventi posizione formale di controinteressati, a nulla rilevando in tal senso la posizione dei destinatari delle disposizioni generali e astratte contenute nel regolamento impugnato (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 21 giugno 2006, nr. 3717; id., sez. V, 17 maggio 2005, nr. 6420).
6. Ciò premesso, col primo motivo d’impugnazione l’Amministrazione reitera l’eccezione, disattesa dal primo giudice, di inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione, non potendo riconoscersi sufficiente rappresentatività all’Unione istante in primo grado.
Il mezzo è infondato, atteso che, come già rilevato in sede cautelare, va ascritta a mero errore l’indicazione nell’epigrafe del ricorso (e della sentenza di primo grado) del nominativo della ricorrente come “Unione Nazionale delle Camere Civili di Parma”, risultando documentate dallo statuto, da un lato, la rappresentatività nazionale dell’associazione, e, per altro verso, che l’originaria sede in Parma dipendeva unicamente dalla previsione che, nelle more dell’individuazione di una sede in Roma, fissava automaticamente la sede sociale presso lo studio professionale del Presidente pro tempore (il quale, al momento della proposizione del ricorso, era appunto un avvocato del foro di Parma).
7. Parzialmente fondati invece, come più sopra anticipato, sono il secondo e il terzo motivo dell’appello dell’Amministrazione, con i quali si censurano le due statuizioni di annullamento della disciplina regolamentare cui è pervenuto il primo giudice.
8. Principiando dal secondo mezzo, questo attiene alla parte della sentenza impugnata nella quale è stata ritenuta l’illegittimità dei commi 2 e 9 dell’art. 16 del d.m. nr. 180 del 2010, nei quali rispettivamente si prevedeva che: “…Per le spese di avvio, a valere sull’indennità complessiva, è dovuto da ciascuna parte per lo svolgimento del primo incontro un importo di euro 40,00 per le liti di valore fino a 250.000,00 euro e di euro 80,00 per quelle di valore superiore, oltre alle spese vive documentate che è versato dall'istante al momento del deposito della domanda di mediazione e dalla parte chiamata alla mediazione al momento della sua adesione al procedimento. L’importo è dovuto anche in caso di mancato accordo”, e che: “…Le spese di mediazione sono corrisposte prima dell’inizio del primo incontro di mediazione in misura non inferiore alla metà. Il regolamento di procedura dell’organismo può prevedere che le indennità debbano essere corrisposte per intero prima del rilascio del verbale di accordo di cui all’articolo 11 del decreto legislativo. In ogni caso, nelle ipotesi di cui all’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo, l’organismo e il mediatore non possono rifiutarsi di svolgere la mediazione”.
8.1. Tali previsioni, comportanti sempre e comunque l’erogazione di somme da parte dell’utente anche in caso di esito negativo del primo incontro, sono state ritenute dal primo giudice incompatibili con l’innovativa disposizione di cui al comma 5-ter dell’art. 17 del d.lgs. nr. 28/2010, secondo cui: “…Nel caso di mancato accordo all’esito del primo incontro, nessun compenso è dovuto per l’organismo di mediazione”.
Siffatta incompatibilità viene in sentenza ricondotta a un difetto di coordinamento fra la “novella” di cui al d.l. nr. 69/2013 ed il preesistente impianto normativo, avendo la prima introdotto il principio della gratuità del ricorso alla mediazione, sia pure limitatamente alla fase del “primo incontro”.
8.2. A fronte di tali argomentazioni, la Sezione reputa fondate le opposte deduzioni della difesa erariale, nei limiti e per le ragioni già in parte anticipate in fase cautelare e che di sèguito si vanno ulteriormente a sviluppare.
8.2.1. Innanzi tutto, è opportuno rilevare l’infelicità della formula impiegata dalla novella del 2013 da ultimo citata, la quale per la prima volta fa uso del generico termine “compenso”, inserendosi in un tessuto normativo in cui il corrispettivo dovuto per i servizi di mediazione è qualificato più tecnicamente come “indennità”; quest’ultima terminologia, oltre che nelle norme primarie anteriori al ricordato intervento del 2013, si rinviene anche nell’art. 1 del censurato d.m. nr. 180/2010, laddove l’indennità di mediazione è definita come “l’importo posto a carico degli utenti per la fruizione del servizio di mediazione fornito dagli organismi” (comma 1, lettera h).
Tale indennità poi, a tenore del successivo e citato art. 16, si compone di varie voci, fra le quali rilievo primario hanno le già richiamate “spese di avvio” e “spese di mediazione”.
8.2.2. Tanto premesso, nessun dubbio può porsi per le spese di mediazione, le quali, comprendendo “anche l’onorario del mediatore per l’intero procedimento di mediazione” (art. 16, comma 10), integrano certamente il nucleo essenziale dell’indennità di mediazione: di queste, in applicazione del richiamato comma 5-ter dell’art. 17, non può che essere esclusa la debenza in caso di esito negativo del primo incontro.
Diverse considerazioni vanno svolte per le spese di avvio, indipendentemente dal se le si voglia considerare comprensive delle “spese vive documentate” ovvero a latere di esse (sul punto, il dettato del comma 9 sconta una certa ambiguità): ed invero, mentre non può seriamente essere negato il rimborso delle spese vive (sul che la stessa originaria ricorrente avendo chiarito di non avere alcunché da opporre), anche per le residue spese disciplinate dal medesimo comma 9 deve ritenersi la loro estraneità alla nozione di “compenso” – intesa quale corrispettivo di un servizio prestato – introdotta dal comma 5-ter dell’art. 17.
Ed invero, come efficacemente dimostrato dalla difesa erariale e dagli intervenienti ad adiuvandum, le spese di avvio, quantificate dal legislatore in modo fisso e forfettario (e, quindi, sganciato da ogni considerazione dell’entità del servizio effettivamente prestato dall’organismo di mediazione), vanno qualificate come onere economico imposto per l’accesso a un servizio che è obbligatorio ex lege per tutti coloro i quali intendano accedere alla giustizia in determinate materie; quanto sopra risulta confermato dal riconoscimento, a favore di chi tali spese abbia erogato, di un correlativo credito d’imposta commisurato alla somma versata e dovuto, ancorché in misura ridotta, anche nel caso in cui la fruizione del servizio si sia arrestata al primo incontro (art. 20, d.lgs. nr. 28/2010).
In altri termini, posto che il primo incontro non costituisce un passaggio esterno e preliminare della procedura di mediazione, ma ne è invece parte integrante alla stregua del chiaro tenore testuale dell’art. 8 del d.lgs. nr. 28/2010, e dal momento che tale fase il legislatore ha inteso configurare come obbligatoria per chiunque intenda adire la giustizia in determinate materie, indipendentemente dalla scelta successiva se avvalersi o meno della mediazione (al punto da qualificare l’esperimento del detto incontro come condizione di procedibilità dell’azione), ne discende la coerenza e ragionevolezza della scelta di scaricare i relativi costi non sulla collettività generale, ma sull’utenza che effettivamente si avvarrà di detto servizio.
8.3. A fronte dei rilievi fin qui svolti, che la Sezione ha in parte anticipato in fase cautelare, parte appellata nella propria memoria conclusiva rileva:
- che quanto evidenziato in ordine alla non riconducibilità delle spese di avvio alla nozione di “compenso”, di cui all’art. 17, comma 5-ter, del d.lgs. nr. 28/2010, sarebbe bensì vero in astratto, ma trascurerebbe di considerare la circostanza, dimostrata dall’esperienza pratica, che le spese de quibus finiscono di fatto per coprire non solo i costi di esercizio degli organismi di mediazione (come era negli intenti del legislatore), ma anche e per buona parte i loro compensi, di modo che dovrebbe in ogni caso concludersi che esse, per come sono state quantificate e per la loro incidenza sul complessivo equilibrio economico-finanziario degli organismi di mediazione, finirebbero comunque per risolversi in una prestazione patrimoniale imposta in violazione della riserva di legge di cui all’art. 23 Cost.;
- che, quanto alla previsione del riconoscimento di un credito d’imposta a favore di chi si sia avvalso della mediazione, questa andrebbe in realtà riferita alla sola ipotesi in cui dopo il primo incontro vi sia stato accesso alla mediazione, ma questa abbia poi avuto esito negativo, e non anche al caso in cui non si sia andati oltre il primo incontro.
8.3.1. Con riguardo al primo aspetto, la Sezione osserva anzi tutto che il tema della quantificazione dell’indennità di mediazione, e specificamente dell’incidenza delle spese di avvio sul complessivo equilibrio economico-finanziario degli organismi di mediazione, risulta estraneo al perimetro del presente giudizio, non essendo stato in prime cure il d.m. nr. 180/2010 impugnato nella parte relativa alla determinazione dei criteri di calcolo dell’indennità.
Al di là di tale assorbente rilievo, la descrizione degli effetti “perversi”, che si paventa possano scaturire da una determinata opzione normativa, non è evidentemente ex se sufficiente a farne inferire l’illegittimità; né può predicarsi una violazione della riserva di legge di cui all’art. 23 Cost. in presenza di una disposizione primaria, quale è l’art. 17 del d.lgs. nr. 28/2010, che, nel disciplinare i criteri e le modalità per il reperimento delle risorse atte a consentire il funzionamento degli organismi di mediazione, in via di eccezione esonera l’utenza che si avvalga dell’obbligatorio primo incontro, in caso di esito infruttuoso di esso, dalla sola corresponsione di somme a titolo di “compenso” (nel senso sopra precisato).
8.3.2. Quanto al secondo rilievo, esso muove da un presupposto – l’estraneità del “primo incontro” al procedimento di mediazione propriamente detto – che non solo non trova alcun aggancio testuale nell’art. 20 del d.lgs. nr. 28/2010 (il quale, nel disciplinare il credito d’imposta, non impiega affatto espressioni univoche nel senso di circoscrivere la detraibilità alle sole somme erogate in caso di effettivo accesso alla mediazione), ma – come detto – appare smentito da altre disposizioni del medesimo decreto, e in primo luogo dall’art. 8, alla cui stregua il primo incontro rientra indiscutibilmente nel “procedimento” di mediazione.
In ogni caso, è evidente alla stregua di quanto sopra esposto che la disciplina riveniente dall’art. 20 del d.lgs. nr. 28/2010 costituisce solo una conferma, ulteriore e ad abundantiam, delle conclusioni che devono essere raggiunte aliunde, nel senso della riconducibilità delle spese di avvio non già al concetto di “compenso” degli organismi di mediazione, ma piuttosto a un costo di esercizio che il legislatore nella propria discrezionalità ha inteso porre a carico dell’utenza che è obbligata per legge a far ricorso al relativo servizio.
9. Col proprio terzo motivo d’appello, l’Amministrazione censura il capo di sentenza con cui è stato annullato il comma 3, lettera b), dell’art. 4 del d.m. nr. 180/2010, nella parte in cui obbligava anche gli avvocati a seguire i percorsi di formazione e aggiornamento previsti per gli organismi di mediazione.
A tale conclusione il primo giudice è giunto sulla base del duplice rilievo che, a norma dell’art. 16, comma 4-bis, del d.lgs. nr. 28/2010, gli avvocati sono mediatori di diritto (potendo dunque iscriversi de plano al relativo registro), e che essi hanno dei propri peculiari percorsi di formazione e aggiornamento previsti dalla legge, nei quali può certamente rientrare anche la preparazione allo svolgimento dell’attività di mediatore.
La Sezione, pur senza condividere taluni degli argomenti sul punto impiegati dalla difesa erariale (e, in particolare, quello imperniato sulla pretesa diversità “culturale” che esisterebbe, in relazione alla possibilità di accesso del cittadino alla giustizia, fra l’atteggiamento tipico dell’avvocato e quello richiesto al mediatore), reputa fondate le critiche mosse in parte qua alla sentenza in epigrafe.
Ed invero, non può sussistere dubbio sulla diversità “ontologica” dei corsi di formazione e aggiornamento gestiti per l’avvocatura dai relativi ordini professionali - i quali possono bensì prevedere anche una preparazione all’attività di mediazione, ma solo come momento eventuale e aggiuntivo rispetto ad una più ampia e variegata pluralità di momenti e percorsi di aggiornamento – rispetto alla formazione specifica che la normativa primaria richiede per i mediatori, proprio in ragione dell’esigenza (non casualmente qui agitata proprio dall’odierna appellata ed appellante incidentale) di assicurare che il rischio di “incisione” sul diritto di iniziativa giudiziale costituzionalmente garantito sia bilanciato da un’adeguata garanzia di preparazione e professionalità in capo agli organismi chiamati a intervenire in tale delicato momento.
Inoltre, che questo costituisca un tema centrale e “sensibile” del sistema si ricava anche dalla retrostante normativa europea in subiecta materia (e, in particolare, dall’art. 4, par. 2, della direttiva 2008/52/CE, secondo cui: “…Gli Stati membri incoraggiano la formazione iniziale e successiva dei mediatori allo scopo di garantire che la mediazione sia gestita in maniera efficace, imparziale e competente in relazione alle parti”), alla cui stregua va esclusa ogni opzione normativa o ermeneutica che possa anche solo dare l’apparenza di un ridimensionamento delle esigenze così rappresentate.
A fronte di ciò, non è dato ricavare argomenti decisivi in contrario dal disposto del comma 4-bis dell’art. 16 del d.lgs. nr. 28/2010 (richiamato dal primo giudice quale parametro della ritenuta illegittimità in parte qua della disciplina regolamentare), atteso che tale disposizione, proprio subito dopo aver stabilito che: “…Gli avvocati iscritti all’albo sono di diritto mediatori”, espressamente aggiunge: “…Gli avvocati iscritti ad organismi di mediazione devono essere adeguatamente formati in materia di mediazione e mantenere la propria preparazione con percorsi di aggiornamento teorico-pratici a ciò finalizzati, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 55-bis del codice deontologico forense (…)”.
10. In conclusione, e riepilogando, s’impone il parziale accoglimento dell’appello dell’Amministrazione, con la conseguente riforma della sentenza impugnata e le reiezione del ricorso di primo grado quanto all’art. 16, comma 9, ed all’art. 4, comma 3, lettera b), del d.m. nr. 180/2010 (fermo restando, per il resto, quanto statuito dal primo giudice).
11. In considerazione della complessità e novità delle questioni esaminate, nonché della parziale soccombenza reciproca, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio.

PQM

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto:
- accoglie l’appello principale, nei limiti di cui in motivazione;
- respinge l’appello incidentale;
- per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado quanto ai vizi dedotti avverso l’art. 16, comma 9, e l’art. 4, comma 1, lettera b) del d.m. 18 ottobre 2010, nr. 180, confermando per il resto la sentenza medesima.
Compensa tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.


AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

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