=> Consiglio di Stato, sentenza del 17 novembre 2015
In parziale riforma della
sentenzaimpugnata, è respinto il ricorso di primo grado quanto ai vizi dedotti
avverso l’art.16, comma 9, e l’art. 4, comma 1, lettera b) del d.m. 18 ottobre 2010, n. 180,
confermando per il resto la sentenza medesima. Pertanto, in caso di esito
negativo del primo incontro, in applicazione del comma5-ter dell’art. 17. D.lgs. 28/2010, non può che essere esclusa la
debenza delle spese di mediazione (che comprendono “anche l’onorario del
mediatore per l’intero procedimento di mediazione”), diversamente dalle spese
di avvio, le quali vanno qualificate come onere economico imposto per
l’accesso a un servizio che è obbligatorio ex lege per tutti coloro i quali
intendano accedere alla giustizia in determinate materie (I) (II) (III) (IV).
Il primo incontro
non costituisce un passaggio esterno e preliminare della procedura di
mediazione.
Quanto alla disciplina
della mediazione obbligatoria, una volta superato il vizio di eccesso di delega
che aveva indotto l’intervento cassatorio della Cortecostituzionale con la sentenza n. 272 del 2012, non è dato rinvenire
manifesti e significativi profili di violazione dell’art. 24 Cost. ovvero di
altri parametri di rango costituzionale (V).
(II) Si veda altresì Consigliodi Stato, 12 febbraio 2014, ordinanza n. 607 in Osservatorio Mediazione Civilen. 10/2014 e Consiglio
di Stato, 22.4.2015, n. 1694 in Osservatorio Mediazione Civile n. 20/2015
(III) Si veda D.M.n. 180 del 2010 aggiornato alle modifiche introdotte dal D.M. n. 139 del 2014(Osservatorio Mediazione Civile n. 52/2014)
(V) Si veda lo Specialemediazione obbligatoria e Corte Costituzionale
Fonte: Osservatorio
Mediazione Civile n. 5/2016
Consiglio di Stato
sezione quarta
sentenza
17 novembre 2015
Omissis
1. Giunge all’attenzione della Sezione il contenzioso relativo alla
regolamentazione attuativa dell’art. 16 del decreto legislativo 4 marzo 2010,
nr. 28, il quale, sulla scorta della delega contenuta nell’art. 60 della legge
18 giugno 2009, nr. 69, ha introdotto nel nostro ordinamento la mediazione in
materia civile e commerciale, come prescritto dalla direttiva 21 maggio 2008,
nr. 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione europea.
In primo grado, l’Unione Nazionale delle Camere Civili (U.N.C.C.) ha
impugnato il decreto del Ministro della Giustizia, adottato di concerto col
Ministro dell’Economia e delle Finanze, nr. 180 del 18 ottobre 2010,
lamentandone l’illegittimità sotto plurimi profili, anche sulla base della
ritenuta illegittimità costituzionale di retrostanti disposizioni del citato
d.lgs. nr. 28 del 2010.
Il T.A.R. del Lazio, investito della controversia, in parziale accoglimento
delle deduzioni di parte attrice, ha sollevato (ord. 12 aprile 2011, nr. 3202)
questione di legittimità costituzionale di alcune norme dell’impugnato decreto,
concernenti fra l’altro l’obbligatorietà del previo esperimento della
mediazione ai fini dell’esercizio della tutela giudiziale in determinate
materie.
Sulla questione la Corte costituzionale si è pronunciata con la sentenza
nr. 272 del 6 dicembre 2012, con la quale ha annullato, per violazione degli
artt. 76 e 77 Cost., l’art. 5, comma 1, del d.lgs. nr. 28 del 2010, nonché una
serie di disposizioni a questo correlate, ritenendo viziata da eccesso di
delega la previsione dell’obbligatorietà del ricorso alla mediazione ed alla
conseguente strutturazione della relativa procedura come condizione di procedibilità
della domanda giudiziale in relazione a varie tipologie di controversie.
A sèguito dell’intervento del giudice delle leggi, e dopo un primo
tentativo di modifica della normativa regolamentare non andato a buon fine a
causa della mancata conferma in sede di conversione del decreto-legge in cui
era stata inserita, il legislatore è nuovamente intervenuto con l’art. 84,
comma 1, lettera b), del decreto-legge 21 giugno 2013, nr. 69, convertito con
modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, nr. 98, che ha reintrodotto, inserendo
nell’art. 5 del d.lgs. nr. 28/2010 il nuovo comma 5-bis (nonché attraverso
l’introduzione di ulteriori disposizioni complementari), sia l’obbligatorietà
del previo ricorso alla mediazione che la sua configurazione come condizione di
procedibilità dell’azione.
Con la sentenza che ha definito il primo grado del presente giudizio, il
T.A.R. capitolino:
- ha, da un lato, respinto la maggior parte delle doglianze attoree,
ritenendo manifestamente infondate le ulteriori questioni di legittimità
costituzionale articolate avverso la nuova disciplina medio tempore
intervenuta;
- ha, per altro verso, accolto il ricorso limitatamente ai commi 2 e 9
dell’art. 16 del d.m. nr. 28/2010 (reputando illegittima la perdurante
previsione della debenza delle spese di avvio e delle spese di mediazione, a
fronte del principio di gratuità della mediazione contenuto nella normativa
primaria) ed al comma 3, lettera b), dell’art. 4 (reputando illegittima la
mancata previsione dell’esclusione degli avvocati dalla formazione obbligatoria
ivi prevista, a fronte del riconoscimento agli stessi della qualifica di
mediatori di diritto).
2. La ricostruzione che precede, in parte ripetitiva di quella operata
dal giudice di prime cure, non risulta contestata dalle parti costituite, per
cui, vigendo la preclusione di cui all’art. 64, comma 2, cod. proc. amm., deve
considerarsi idonea alla prova dei fatti oggetto di giudizio.
3. Tutto ciò premesso, l’appello dell’Amministrazione si appalesa in
parte fondato e pertanto meritevole di accoglimento, mentre invece non è
meritevole di favorevole delibazione l’appello incidentale dell’originaria
ricorrente.
4. In ordine logico, è proprio l’appello incidentale a dover essere
prioritariamente scrutinato, atteso:
a) che la sua ipotetica fondatezza comporterebbe la possibile
incostituzionalità delle stesse norme primarie a monte della censurata
disciplina regolamentare;
b) che siffatta questione, ove ritenuta non manifestamente infondata,
imporrebbe la rimessione alla Corte costituzionale anche d’ufficio (e, quindi,
indipendentemente da ogni rilievo circa la legittimazione processuale
dell’originaria ricorrente, come riproposto nel primo motivo d’appello
dell’Amministrazione).
4.1. Con la propria impugnazione incidentale, l’U.N.C.C. reitera una
sola delle questioni di legittimità costituzionale che il primo giudice ha
ritenuto manifestamente infondate, e segnatamente quella relativa al comma 2
dell’art. 5 del d.lgs. nr. 28/2010, il quale, in un contesto nuovamente
connotato dall’obbligatorietà del previo ricorso alla mediazione e dalla sua
strutturazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale in
determinate materia (per effetto della “novella” introdotta dal d.l. nr. 69 del
2013), consente al giudice, anche in sede di appello, di imporre alle parti
l’esperimento della procedura di mediazione.
4.2. Al riguardo, il primo giudice ha escluso che la nuova disciplina
introdotta nel 2013, pur stabilendo nei termini visti l’obbligatorietà del
previo esperimento della mediazione, comportasse una significativa incisione
del diritto alla tutela giurisdizionale di cui all’art. 24 Cost., essendo essa
circondata da cautele idonee a prevenire un serio pregiudizio di tale diritto:
in tal senso andrebbero le previsioni dell’assistenza obbligatoria del
difensore, della specializzazione dei mediatori e, soprattutto, della circoscrizione
dell’obbligatorietà al solo “primo incontro” di cui al comma 1 dell’art. 8 del
d.lgs. nr. 28/2010, all’esito del quale l’interessato può decidere di non
proseguire nella procedura di mediazione.
4.3. In critica a tali argomenti, parte appellante incidentale rileva
che le garanzie previste a favore del privato sarebbero solo apparenti, essendo
per un verso limitata nel tempo la previsione dell’obbligatorietà
dell’assistenza del difensore in sede di mediazione, e sotto altro profilo non
idoneamente assicurata la specializzazione e l’esperienza di diritto dei
mediatori (e ciò malgrado la contestuale previsione per cui gli stessi avvocati
sono “mediatori di diritto”).
Soprattutto, l’appellante incidentale muove dal presupposto che la
previsione di cui al ricordato comma 2 dell’art. 5 obblighi l’interessato, a
sèguito dell’ordinanza del giudice che impone la mediazione quale condizione di
procedibilità dell’azione, non già a limitarsi al primo incontro, ma ad
esperire la vera e propria procedura di mediazione.
4.4. La Sezione non condivide tale ultimo avviso, che appare in frontale
contrasto col dettato normativo.
Infatti, al di là di quanto appresso meglio si dirà in ordine all’essere
il primo incontro parte integrante del procedimento di mediazione e non un
qualcosa di estraneo ad esso, rileva il chiaro tenore testuale del comma 2-bis
del medesimo art. 5, il quale, con previsione certamente applicabile anche alla
fattispecie regolata dal precedente comma 2, dispone: “…Quando l’esperimento
del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda
giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al
mediatore si conclude senza l’accordo”.
Quanto ai più specifici rilievi svolti nell’appello incidentale, questi
sono basati su una svalutazione della rilevanza e della centralità del momento
formativo e dell’aggiornamento dei mediatori, il quale invece, come pure meglio
appresso si rileverà, costituiscono parte essenziale del substrato comunitario
dell’istituto de quo, di modo che non è possibile predicare l’illegittimità
costituzionale delle previsioni in questione sulla base di una mera visione
“pessimistica” del come in concreto detta formazione sarà attuata (come sembra
fare parte appellante incidentale, allorché assume che i cittadini saranno
lasciati in balìa di mediatori che non saranno necessariamente “esperti di
diritto”).
4.5. In definitiva, la Sezione ritiene di dover condividere e confermare
le conclusioni esposte nella sentenza impugnata in punto di manifesta infondatezza
della questione di legittimità costituzionale qui riproposta: nel senso che,
una volta superato il vizio di eccesso di delega che aveva indotto l’intervento
cassatorio della Corte costituzionale con la richiamata sentenza nr. 272 del
2012, non è dato rinvenire manifesti e significativi profili di violazione
dell’art. 24 Cost. ovvero di altri parametri di rango costituzionale.
5. Proseguendo nella disamina delle questioni preliminari, va esaminata
l’eccezione di inammissibilità del ricorso di prime cure sollevata nell’atto di
intervento ad adiuvandum dell’Associazione Primavera Forense, laddove si assume
il difetto di corretta instaurazione del rapporto processuale a cagione della
mancata evocazione in giudizio di almeno un organismo di mediazione, quale
controinteressato nei cui confronti il provvedimento impugnato era produttivo
di effetti.
Tale questione può certamente essere delibata nella presente sede,
atteso che:
a) va intesa quale vero e proprio motivo di impugnazione, essendo
articolata in un atto di intervento in appello scaturito da conversione di
opposizione di terzo proposta dinanzi al giudice di primo grado, giusta il
disposto dell’art. 109, comma 2, cod. proc. amm.;
b) afferisce alla rituale instaurazione del rapporto processuale, e pertanto
può pacificamente essere formulata anche per la prima volta in grado di
appello.
Tuttavia, l’eccezione è infondata, dovendo in questa sede ribadirsi il
consolidato insegnamento giurisprudenziale per cui, in caso di impugnazione di
norme regolamentari, non possono individuarsi soggetti aventi posizione formale
di controinteressati, a nulla rilevando in tal senso la posizione dei
destinatari delle disposizioni generali e astratte contenute nel regolamento
impugnato (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 21 giugno 2006, nr. 3717; id., sez. V, 17
maggio 2005, nr. 6420).
6. Ciò premesso, col primo motivo d’impugnazione l’Amministrazione
reitera l’eccezione, disattesa dal primo giudice, di inammissibilità del
ricorso per carenza di legittimazione, non potendo riconoscersi sufficiente
rappresentatività all’Unione istante in primo grado.
Il mezzo è infondato, atteso che, come già rilevato in sede cautelare,
va ascritta a mero errore l’indicazione nell’epigrafe del ricorso (e della
sentenza di primo grado) del nominativo della ricorrente come “Unione Nazionale
delle Camere Civili di Parma”, risultando documentate dallo statuto, da un
lato, la rappresentatività nazionale dell’associazione, e, per altro verso, che
l’originaria sede in Parma dipendeva unicamente dalla previsione che, nelle
more dell’individuazione di una sede in Roma, fissava automaticamente la sede
sociale presso lo studio professionale del Presidente pro tempore (il quale, al
momento della proposizione del ricorso, era appunto un avvocato del foro di Parma).
7. Parzialmente fondati invece, come più sopra anticipato, sono il
secondo e il terzo motivo dell’appello dell’Amministrazione, con i quali si
censurano le due statuizioni di annullamento della disciplina regolamentare cui
è pervenuto il primo giudice.
8. Principiando dal secondo mezzo, questo attiene alla parte della
sentenza impugnata nella quale è stata ritenuta l’illegittimità dei commi 2 e 9
dell’art. 16 del d.m. nr. 180 del 2010, nei quali rispettivamente si prevedeva
che: “…Per le spese di avvio, a valere sull’indennità complessiva, è dovuto da
ciascuna parte per lo svolgimento del primo incontro un importo di euro 40,00
per le liti di valore fino a 250.000,00 euro e di euro 80,00 per quelle di
valore superiore, oltre alle spese vive documentate che è versato dall'istante
al momento del deposito della domanda di mediazione e dalla parte chiamata alla
mediazione al momento della sua adesione al procedimento. L’importo è dovuto
anche in caso di mancato accordo”, e che: “…Le spese di mediazione sono corrisposte
prima dell’inizio del primo incontro di mediazione in misura non inferiore alla
metà. Il regolamento di procedura dell’organismo può prevedere che le indennità
debbano essere corrisposte per intero prima del rilascio del verbale di accordo
di cui all’articolo 11 del decreto legislativo. In ogni caso, nelle ipotesi di
cui all’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo, l’organismo e il
mediatore non possono rifiutarsi di svolgere la mediazione”.
8.1. Tali previsioni, comportanti sempre e comunque l’erogazione di
somme da parte dell’utente anche in caso di esito negativo del primo incontro,
sono state ritenute dal primo giudice incompatibili con l’innovativa
disposizione di cui al comma 5-ter dell’art. 17 del d.lgs. nr. 28/2010, secondo
cui: “…Nel caso di mancato accordo all’esito del primo incontro, nessun
compenso è dovuto per l’organismo di mediazione”.
Siffatta incompatibilità viene in sentenza ricondotta a un difetto di
coordinamento fra la “novella” di cui al d.l. nr. 69/2013 ed il preesistente
impianto normativo, avendo la prima introdotto il principio della gratuità del
ricorso alla mediazione, sia pure limitatamente alla fase del “primo incontro”.
8.2. A fronte di tali argomentazioni, la Sezione reputa fondate le
opposte deduzioni della difesa erariale, nei limiti e per le ragioni già in
parte anticipate in fase cautelare e che di sèguito si vanno ulteriormente a
sviluppare.
8.2.1. Innanzi tutto, è opportuno rilevare l’infelicità della formula
impiegata dalla novella del 2013 da ultimo citata, la quale per la prima volta
fa uso del generico termine “compenso”, inserendosi in un tessuto normativo in
cui il corrispettivo dovuto per i servizi di mediazione è qualificato più
tecnicamente come “indennità”; quest’ultima terminologia, oltre che nelle norme
primarie anteriori al ricordato intervento del 2013, si rinviene anche
nell’art. 1 del censurato d.m. nr. 180/2010, laddove l’indennità di mediazione
è definita come “l’importo posto a carico degli utenti per la fruizione del
servizio di mediazione fornito dagli organismi” (comma 1, lettera h).
Tale indennità poi, a tenore del successivo e citato art. 16, si compone
di varie voci, fra le quali rilievo primario hanno le già richiamate “spese di
avvio” e “spese di mediazione”.
8.2.2. Tanto premesso, nessun dubbio può porsi per le spese di
mediazione, le quali, comprendendo “anche l’onorario del mediatore per l’intero
procedimento di mediazione” (art. 16, comma 10), integrano certamente il nucleo
essenziale dell’indennità di mediazione: di queste, in applicazione del
richiamato comma 5-ter dell’art. 17, non può che essere esclusa la debenza in
caso di esito negativo del primo incontro.
Diverse considerazioni vanno svolte per le spese di avvio,
indipendentemente dal se le si voglia considerare comprensive delle “spese vive
documentate” ovvero a latere di esse (sul punto, il dettato del comma 9 sconta
una certa ambiguità): ed invero, mentre non può seriamente essere negato il
rimborso delle spese vive (sul che la stessa originaria ricorrente avendo
chiarito di non avere alcunché da opporre), anche per le residue spese
disciplinate dal medesimo comma 9 deve ritenersi la loro estraneità alla nozione
di “compenso” – intesa quale corrispettivo di un servizio prestato – introdotta
dal comma 5-ter dell’art. 17.
Ed invero, come efficacemente dimostrato dalla difesa erariale e dagli
intervenienti ad adiuvandum, le spese di avvio, quantificate dal legislatore in
modo fisso e forfettario (e, quindi, sganciato da ogni considerazione
dell’entità del servizio effettivamente prestato dall’organismo di mediazione),
vanno qualificate come onere economico imposto per l’accesso a un servizio che
è obbligatorio ex lege per tutti coloro i quali intendano accedere alla
giustizia in determinate materie; quanto sopra risulta confermato dal
riconoscimento, a favore di chi tali spese abbia erogato, di un correlativo
credito d’imposta commisurato alla somma versata e dovuto, ancorché in misura
ridotta, anche nel caso in cui la fruizione del servizio si sia arrestata al
primo incontro (art. 20, d.lgs. nr. 28/2010).
In altri termini, posto che il primo incontro non costituisce un
passaggio esterno e preliminare della procedura di mediazione, ma ne è invece
parte integrante alla stregua del chiaro tenore testuale dell’art. 8 del d.lgs.
nr. 28/2010, e dal momento che tale fase il legislatore ha inteso configurare
come obbligatoria per chiunque intenda adire la giustizia in determinate
materie, indipendentemente dalla scelta successiva se avvalersi o meno della
mediazione (al punto da qualificare l’esperimento del detto incontro come
condizione di procedibilità dell’azione), ne discende la coerenza e
ragionevolezza della scelta di scaricare i relativi costi non sulla
collettività generale, ma sull’utenza che effettivamente si avvarrà di detto
servizio.
8.3. A fronte dei rilievi fin qui svolti, che la Sezione ha in parte
anticipato in fase cautelare, parte appellata nella propria memoria conclusiva
rileva:
- che quanto evidenziato in ordine alla non riconducibilità delle spese
di avvio alla nozione di “compenso”, di cui all’art. 17, comma 5-ter, del
d.lgs. nr. 28/2010, sarebbe bensì vero in astratto, ma trascurerebbe di
considerare la circostanza, dimostrata dall’esperienza pratica, che le spese de
quibus finiscono di fatto per coprire non solo i costi di esercizio degli
organismi di mediazione (come era negli intenti del legislatore), ma anche e
per buona parte i loro compensi, di modo che dovrebbe in ogni caso concludersi
che esse, per come sono state quantificate e per la loro incidenza sul
complessivo equilibrio economico-finanziario degli organismi di mediazione,
finirebbero comunque per risolversi in una prestazione patrimoniale imposta in
violazione della riserva di legge di cui all’art. 23 Cost.;
- che, quanto alla previsione del riconoscimento di un credito d’imposta
a favore di chi si sia avvalso della mediazione, questa andrebbe in realtà
riferita alla sola ipotesi in cui dopo il primo incontro vi sia stato accesso
alla mediazione, ma questa abbia poi avuto esito negativo, e non anche al caso
in cui non si sia andati oltre il primo incontro.
8.3.1. Con riguardo al primo aspetto, la Sezione osserva anzi tutto che
il tema della quantificazione dell’indennità di mediazione, e specificamente
dell’incidenza delle spese di avvio sul complessivo equilibrio
economico-finanziario degli organismi di mediazione, risulta estraneo al
perimetro del presente giudizio, non essendo stato in prime cure il d.m. nr.
180/2010 impugnato nella parte relativa alla determinazione dei criteri di
calcolo dell’indennità.
Al di là di tale assorbente rilievo, la descrizione degli effetti
“perversi”, che si paventa possano scaturire da una determinata opzione
normativa, non è evidentemente ex se sufficiente a farne inferire
l’illegittimità; né può predicarsi una violazione della riserva di legge di cui
all’art. 23 Cost. in presenza di una disposizione primaria, quale è l’art. 17
del d.lgs. nr. 28/2010, che, nel disciplinare i criteri e le modalità per il
reperimento delle risorse atte a consentire il funzionamento degli organismi di
mediazione, in via di eccezione esonera l’utenza che si avvalga
dell’obbligatorio primo incontro, in caso di esito infruttuoso di esso, dalla
sola corresponsione di somme a titolo di “compenso” (nel senso sopra
precisato).
8.3.2. Quanto al secondo rilievo, esso muove da un presupposto –
l’estraneità del “primo incontro” al procedimento di mediazione propriamente
detto – che non solo non trova alcun aggancio testuale nell’art. 20 del d.lgs.
nr. 28/2010 (il quale, nel disciplinare il credito d’imposta, non impiega
affatto espressioni univoche nel senso di circoscrivere la detraibilità alle
sole somme erogate in caso di effettivo accesso alla mediazione), ma – come
detto – appare smentito da altre disposizioni del medesimo decreto, e in primo
luogo dall’art. 8, alla cui stregua il primo incontro rientra indiscutibilmente
nel “procedimento” di mediazione.
In ogni caso, è evidente alla stregua di quanto sopra esposto che la
disciplina riveniente dall’art. 20 del d.lgs. nr. 28/2010 costituisce solo una
conferma, ulteriore e ad abundantiam, delle conclusioni che devono essere
raggiunte aliunde, nel senso della riconducibilità delle spese di avvio non già
al concetto di “compenso” degli organismi di mediazione, ma piuttosto a un
costo di esercizio che il legislatore nella propria discrezionalità ha inteso
porre a carico dell’utenza che è obbligata per legge a far ricorso al relativo
servizio.
9. Col proprio terzo motivo d’appello, l’Amministrazione censura il capo
di sentenza con cui è stato annullato il comma 3, lettera b), dell’art. 4 del
d.m. nr. 180/2010, nella parte in cui obbligava anche gli avvocati a seguire i
percorsi di formazione e aggiornamento previsti per gli organismi di
mediazione.
A tale conclusione il primo giudice è giunto sulla base del duplice
rilievo che, a norma dell’art. 16, comma 4-bis, del d.lgs. nr. 28/2010, gli
avvocati sono mediatori di diritto (potendo dunque iscriversi de plano al
relativo registro), e che essi hanno dei propri peculiari percorsi di
formazione e aggiornamento previsti dalla legge, nei quali può certamente
rientrare anche la preparazione allo svolgimento dell’attività di mediatore.
La Sezione, pur senza condividere taluni degli argomenti sul punto
impiegati dalla difesa erariale (e, in particolare, quello imperniato sulla
pretesa diversità “culturale” che esisterebbe, in relazione alla possibilità di
accesso del cittadino alla giustizia, fra l’atteggiamento tipico dell’avvocato
e quello richiesto al mediatore), reputa fondate le critiche mosse in parte qua
alla sentenza in epigrafe.
Ed invero, non può sussistere dubbio sulla diversità “ontologica” dei
corsi di formazione e aggiornamento gestiti per l’avvocatura dai relativi
ordini professionali - i quali possono bensì prevedere anche una preparazione
all’attività di mediazione, ma solo come momento eventuale e aggiuntivo
rispetto ad una più ampia e variegata pluralità di momenti e percorsi di aggiornamento
– rispetto alla formazione specifica che la normativa primaria richiede per i
mediatori, proprio in ragione dell’esigenza (non casualmente qui agitata
proprio dall’odierna appellata ed appellante incidentale) di assicurare che il
rischio di “incisione” sul diritto di iniziativa giudiziale costituzionalmente
garantito sia bilanciato da un’adeguata garanzia di preparazione e
professionalità in capo agli organismi chiamati a intervenire in tale delicato
momento.
Inoltre, che questo costituisca un tema centrale e “sensibile” del
sistema si ricava anche dalla retrostante normativa europea in subiecta materia
(e, in particolare, dall’art. 4, par. 2, della direttiva 2008/52/CE, secondo
cui: “…Gli Stati membri incoraggiano la formazione iniziale e successiva dei
mediatori allo scopo di garantire che la mediazione sia gestita in maniera
efficace, imparziale e competente in relazione alle parti”), alla cui stregua
va esclusa ogni opzione normativa o ermeneutica che possa anche solo dare
l’apparenza di un ridimensionamento delle esigenze così rappresentate.
A fronte di ciò, non è dato ricavare argomenti decisivi in contrario dal
disposto del comma 4-bis dell’art. 16 del d.lgs. nr. 28/2010 (richiamato dal
primo giudice quale parametro della ritenuta illegittimità in parte qua della
disciplina regolamentare), atteso che tale disposizione, proprio subito dopo
aver stabilito che: “…Gli avvocati iscritti all’albo sono di diritto
mediatori”, espressamente aggiunge: “…Gli avvocati iscritti ad organismi di
mediazione devono essere adeguatamente formati in materia di mediazione e
mantenere la propria preparazione con percorsi di aggiornamento teorico-pratici
a ciò finalizzati, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 55-bis del
codice deontologico forense (…)”.
10. In conclusione, e riepilogando, s’impone il parziale accoglimento
dell’appello dell’Amministrazione, con la conseguente riforma della sentenza
impugnata e le reiezione del ricorso di primo grado quanto all’art. 16, comma
9, ed all’art. 4, comma 3, lettera b), del d.m. nr. 180/2010 (fermo restando,
per il resto, quanto statuito dal primo giudice).
11. In considerazione della complessità e novità delle questioni
esaminate, nonché della parziale soccombenza reciproca, sussistono giusti
motivi per compensare tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio.
PQM
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta),
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto:
- accoglie l’appello principale, nei limiti di cui in motivazione;
- respinge l’appello incidentale;
- per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, respinge
il ricorso di primo grado quanto ai vizi dedotti avverso l’art. 16, comma 9, e
l’art. 4, comma 1, lettera b) del d.m. 18 ottobre 2010, nr. 180, confermando
per il resto la sentenza medesima.
Compensa tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità
amministrativa.
AVVISO. Il
testo riportato non riveste carattere di ufficialità.