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26 gennaio 2016

7/16. C. Baratta. Il mediatore-manager: gestire un conflitto con la teoria degli stakeholder (Osservatorio Mediazione Civile n. 7/2016)

Il mediatore-manager: gestire un conflitto con la teoria degli stakeholder

di Carlo Baratta
(Mediatore in Torino)


“Il conflitto con gli stakeholder è il combustibile del capitalismo”: è quanto sostiene _Robert Edward Freeman per adattarlo alla situazione della mediazione si può dire che il conflitto tra le parti  è l’essenza della mediazione.

Premessa

Con questa relazione, sostengo  appoggiandomi agli studi  di Bourdieu, che il conflitto è un fatto naturale che sorge quando  più soggetti  entrano in relazione. Perciò il conflitto è un fattore presente nella mediazione, e riuscire a capire come si può generare è importante per gestire una mediazione.
Sostengo che le parti in lite possano descriversi utilizzando la teoria degli stakeholder
Questa teoria è servita per capire come funziona un’impresa complessa, che deve gestire reti di relazioni, si può, a mio avviso applicare alla procedura di mediazione che di fatto è una rete di relazioni. Questo approccio serve anche per definire meglio il ruolo del mediatore, che non è un giudice o un avvocato ma molto  simile ad un manager, che per questa teoria deve gestire il conflitto tra gli stakeholder o le parti. Il ruolo del mediatore, in conseguenza del DECRETO LEGISLATIVO 6 agosto 2015, n. 130 pubblicato in G.U. n. 191 del 19/08/2015, ha visto rafforzata questa impostazione.

L’approccio sociologico di Bourdieu ; habitus, campi, conflitto.

Tutto quello che è presente nella realtà, è il prodotto di relazioni. Relazioni da intendere in senso ampio, quindi non solo legami intersoggettivi tra persone ma legami, scambi che si determinano indipendentemente dalle volontà individuali. (es. mediazione demandata, le parti sono costrette a partecipare).
Con questa ipotesi, che in sociologia è stata formulata da Bourdieu, il mondo reale è caratterizzato da diverse tipologie di conflitti, tra parti, caratterizzati da punti  di vista interessi soluzioni diverse.
Il conflitto, e non l’equilibrio, costituisce per Bourdieu l’essenza della vita sociale, la mediazione perciò è essenziale per giungere ad una soluzione concordata che non necessariamente porta all’equilibrio matematico.
L’approccio, del sociologo francese, è interessante per la mediazione in quanto  si pone come  sintesi tra la visione “oggettiva dei fatti sociali”, visione che spiega la realtà sociale come prodotto di fattori indipendenti dai singoli attori sociali, e la visione “soggettiva” che considera la realtà come prodotto dell’agire dei singoli, delle loro rappresentazioni e credenze; la natura della realtà sociale, è duplice.
Per rendere questa teoria meno astratta possiamo pensare alla realtà come  alla chimica: gli  elementi hanno una loro specificità e possono entrare in relazione con altri, è il risultato di questi legami  che dà senso agli elementi, anche i fatti sociali costruiti da relazioni possibili, possano produrre un caso particolare del possibile
Questo modo  di pensare è antico già Aristotele indica lo stato del carattere hexis o habitus, che orienta le nostre percezioni e i nostri desideri, che considera la condotta mentale come relazione tra esperienze passate e le azioni che si attuano. Per Bourdieu “….’habitus quel sistema di disposizioni interiorizzate che ha il compito di mediare tra le strutture sociali oggettive e le pratiche dei soggetti. L’habitus è una struttura strutturata: possiede, cioè, un legame di dipendenza dal mondo sociale. Ma è anche una struttura strutturante, perché organizza le pratiche e la percezione delle pratiche” è un operatore di razionalità pratica che trascende la coscienza individuale.
E’ un meccanismo trasferibile da un contesto all’altro dell’agire sociale, dalle scelte di consumo a quelle del lavoro e politiche.
L’habitus è un principio generatore di strategie che permettono di far fronte a situazioni impreviste e continuamente rinnovate.
Anche il concetto di “interesse”, che ipotizza la teoria della Scelta Razionale Rational Action Theory, è per Bourdieu da rivedere perché con l’idea dell’habitus l’azione non è necessariamente orientata secondo lo schema della massimizzazione dei benefici, come sancisce la teoria della scelta razionale, ma avviene attraverso passaggi che analiticamente sono simili a un gioco.
Un giocatore che ha interiorizzato le regole agisce seguendo le procedure e le azioni previste da quel gioco facendole nel modo previsto senza porsi intenzionalmente come fine quello che c’è da fare. Non ha necessità di sapere esattamente quello che fa per farlo, non ha neppure il problema di sapere immediatamente che cosa gli altri possono fare in risposta.
Ciascuna persona si caratterizza per la quantità e la composizione delle risorse disponibili.
Ogni genere di risorsa che permette di appropriarsi dei “profitti” che derivano dalle relazioni poste in essere, quali prendere parte o l’essere situato in quel particolare contesto, può configurarsi come  capitale  individuale.
I principali capitali sono quattro:
economico (beni materiali e finanziari),
culturale (abilità, titoli),
sociale (risorse acquisite attraverso la condizione di far parte di un gruppo sociale), 
simbolico.

Le persone agiscono in più contesti, per il sociologo francese, ciascun contesto si caratterizza perché dotato di specifiche regole di funzionamento e forme di autorità. Questi contesti sono  chiamati campi che implicano una configurazione di relazioni oggettive tra posizioni, indipendente dalla volontà dei soggetti che operano in quel contesto.

Tutti i campi, sono tali perché presentano un elemento comune: il conflitto.

Il conflitto nasce per il tentativo di controllo delle risorse indispensabili in quel campo specifico.

Il controllo delle risorse nei conflitti, che interessano la mediazione, portano le parti a costruire delle posizioni, dominanti o subordinate, dipendenti dalla tipologia e dall’ammontare di capitale posseduto.

Se l’habitus determina il comportamento, lo stile delle parti, il campo delimita le azioni e le opportunità di soluzione della lite.

In genere chi occupa posizioni dominanti in una situazione di lite, tende a mettere in atto strategie di conservazione rispetto alla distribuzione di capitale esistente, tende a cedere il meno possibile, mentre chi è relegato in posizioni marginali è più disponibile a dispiegare strategie di sovversione, a trovare alternatine ad “allargare la torta”.

La teoria degli stakeholder

Le parti in lite possono essere analizzate secondo la teoria degli stakeholder.
Questo termine è formato  da due parole , “holder” è che tradotto può avere un significato ‘sufficientemente’ chiaro “l’holder è appunto il portatore di… qualcosa”, stake è più complesso indica il segnare, marcare, è una parola che indica l’agire. Il concetto che più rende l’idea è”portatore di interessi in grado di influenzare le organizzazioni con le quali è in relazione”.
Per inquadrare meglio il concetto, e utilizzarlo in mediazione lo stakeholder non è tale perché è organico ad un’impresa o istituzione, non è neppure un’azionista, ma assume questa natura perché interessato, coinvolto, toccato, chiamato in causa dall’azione di un terzo, di una impresa o di un’istituzione. Nella realtà quindi secondo la questa teoria ci sono  stakeholder produttori o detentori  di un bene o servizio  e stakeholder consumatori di beni o servizi e in mediazione lo sono non solo le parti ma anche gli avvocati delle parti.
In definitiva stakeholder è quel soggetto o gruppo interessato a influenzare i comportamenti dell’altro (impresa proprietario datore di lavoro ecc.) proprio perché è parte in causa, o perché ritiene di dover prendere posizione ed esprimerla, perché ne va dei suoi interessi. Gli stakeholder possono essere competenti e allora la loro azione sarà tesa a influenzare tecnicamente la lite, o possono essere motivati in quanto coinvolti ma non competenti.
Lo stakeholder più che riferirsi a soggetti portatori di interessi precisi, individua posizioni relazionali nei confronti della lite da mediare; gli interessi sono plurali, per questo motivo è necessario accordarsi per identificarli (la molteplicità ammette implicitamente le differenze). Infine caratteristica intrinseca alla mediazione, si ha a che fare anche con interessi diversi che possono essere fatti valere e invocati come esigibili.
Gli interessi in senso ampio sono oggetti che stanno a cuore, che attivano i soggetti: desideri, conoscenze, progetti, disponibilità, difficoltà, rifiuti. Gli stakeholder dispongono – e possono rendere disponibili ad altri interlocutori – interessi diversi, l’interesse è qualcosa che “sta tra”. Non c’è interesse se non in riferimento a posizioni e ad attori in relazione
Il conflitto tra gli interessi delle parti in lite, o stakeholder, è una caratteristica normale nei procedimenti  di mediazione. Ma ciò che è fondamentale è che il conflitto, venga fuori il più presto  possibile, anche  nel primo incontro, in modo che gli stessi stakeholder possano, in collaborazione con il mediatore, affrontarlo e risolverlo negli incontri  successivi.
Nessuna parte in lite ha già pronta una lista di requisiti completa; è invece compito del mediatore di aiutarle a fornire il proprio contributo al progetto di soluzione, la cosiddetta composizione della lite, facendo domande, scoprendo quali sono i fattori critici di successo e i rischi che possono avere un impatto negativo sui suoi interessi, e proponendo alternative.

Mediatore come manager

Il modello degli stakeholder rappresenta l’impresa non come una serie di transazioni di mercato, ma come una rete di scambi cooperativi, competitivi e conflittuali che coinvolge un ampio numero di individui e gruppi organizzati in vario modo. L’impresa è vista come un’organizzazione, dove molti differenti individui e gruppi tentano di raggiungere propri fini.
Altri studiosi del tema come Evan e Freeman hanno una visione dell’impresa interessante per la mediazione, per questi autori lo scopo dell’impresa, è quello di fungere da mezzo per il coordinamento degli interessi degli stakeholder.
Freeman e Evan (cit.), hanno  formulato questa ipotesi riferendosi alla teoria della giustizia di John Rawls (1982), secondo il loro ragionare stakeholder rappresentativi e razionali, possono  arrivare a soluzioni determinate da principi di “equa contrattazione” (Freeman e Evan, cit.)
Sempre questo modello assegna al manager (mediatore) il compito di determinare quali stakeholder sono importanti e di conseguenza quali stakeholder riceveranno attenzione (i detentori dei  diritti disponibili). Pertanto, è la percezione degli attributi di uno stakeholder da parte del manager a decidere dell’importanza dello stakeholder.
La teoria degli stakeholder, sorta per capire come funzione un’impresa complessa, è importante per la procedura di mediazione perché si può considerarla come un’impresa atipica che eroga servizi.
I due concetti fondamentali di questa teoria sono utilizzabili in mediazione:
1.  gli stakeholder hanno consapevolezza della loro posizione a causa del loro interesse in quella lite.
2.  gli interessi di entrambe le parti hanno valore intrinseco e meritano considerazione per se stessi nel processo decisionale manageriale, indipendentemente dalla capacità di una parte o stakeholder, di promuovere gli interessi di altri in quella lite.
Se si utilizza questo modo di pensare i mediatori sono simili  ai manager hanno un “rapporto fiduciario” con gli stakeholder interessati a quell’oggetto immateriale che si  chiama composizione della lite.
Questa teoria presuppone il fondamento morale del principio kantiano sul rispetto delle persone, principio secondo per il quale le persone, le parti in lite, devono essere trattate come fini in sé e non meramente come mezzi per qualche fine.
Sempre per questa teoria il mediatore manager assume un ruolo sociale importante che amplia le competenze tecniche, le qualità morali del suo lavoro, lo portano a cercare di tutelare il benessere delle parti e quindi  di favorire la salute del contesto in cui  opera.
Alcuni studiosi, in particolare Mitchell, hanno cercato di formulare una teoria per identificare e classificare le tipologie di stakeholder.
Sono state individuate, da questo autore, tre qualità specifiche:
1) potere dello stakeholder di influenzare gli obiettivi o le parti su cui agisce;
2) legittimità (morale) della relazione dello stakeholder con quei obiettivi;
3) urgenza della pretesa dello stakeholder sugli obiettivi.
Mitchell ed Etzioni (cit.), definiscono “potere” in una relazione se un soggetto ha o può ottenere accesso a mezzi coercitivi, utilitari o normativi per imporre la sua volontà nella relazione.
Considerano la “legittimità” quando un soggetto ha la percezione che, le azioni di un’entità sono desiderabili, giuste o appropriate all’interno di qualche sistema di norme, valori, credenze e definizioni costruite socialmente.
Considerano “l’urgenza” il grado a cui le pretese dello stakeholder richiedono immediata
attenzione da parte del manager-mediatore.
Queste qualità vanno evidenziate, dal mediatore, nel momento dei colloqui che svolge con le parti. Per capire come il mediatore possa riconoscerle, va precisato che:
1.  ogni qualità è una variabile;
2.  l’esistenza di ciascuna qualità è una realtà costruita socialmente;
3.  una, o entrambe le parti, può non essere consapevole di possedere una qualità, e se lo è, può decidere di non agire in modo  coerente.
In ogni caso, possedere una qualità non implica una buona relazione stakeholder-manager (parte-mediatore); una buona relazione dipende dall’interazione tra una o più qualità di una parte con una o più qualità dell’altra parte, inoltre va considerato che ciascuna parte si può relazionare con l’altra variando  le qualità che nette nella trattativa. Così, il potere guadagna di autorità attraverso la legittimità e di urgenza attraverso l’azione del comunicare.
La legittimità guadagna diritti attraverso il potere e voce attraverso l’urgenza.
L’urgenza favorisce l’accesso ai canali del processo decisionale per la soluzione della lite attraverso la legittimità e incoraggia l’azione dello stakeholder attraverso il potere.
Per ottenere un risultato serve il contributo dato di tutte e tre le qualità, è la fusione tra qualità che permette di costruire l’agire responsabile.
Il mediatore si attiverà per far crescere in ciascuna delle due parti in mediazione, e farà riconoscere all’altra parte il mix di potere, legittimità urgenza di entrambi.
Attraverso una tavola di  verità, Tab.1,  che evidenzia la presenza “1” o l’assenza “0” di una certa qualità si ottengono sette combinazione possibili. Quella indicata con “L” è possibile solo in via teorica, in quanto indica  un soggetto che non ha nessuna  delle tre qualità.

Tab1.1
POTERE
URGENZA
LEGITTIMITA’

0
0
0
L  Non Stakeh.
1
0
0
1 S.LATENTE
0
1
0
2  S.LATENE
1
1
0
3 S.IN ATTESA
0
0
1
4 S.LATENTE
1
0
1
5 S.IN ATESA
0
1
1
6 S.IN ATTESA
1
1
1
7  S.DEFINITIVO

Le sette combinazioni individuano sette tipologie di stakeholder, che si possono aggregare in tre categorie,
tre tipologie con uno solo dei tre attributi, denominati stakeholder “latenti” (aree 1, 2, 4);
tre classi con due attributi, denominati stakeholder “in attesa” (aree 3, 5, 6); 
una classe con tutti e tre gli attributi, denominata “stakeholder definitivi” (area 7).

Secondo Mitchell, “Latenti” sono gli stakeholder che presentano una sola qualità, questa caratteristica limita la loro capacità di relazione e li porta ad assumere una posizione passiva, infatti possedendo un basso livello delle altre due si determina un abbassamento della responsabilità nell’affrontare qualsiasi azione che coinvolge i propri interessi.
Più dettagliatamente questa passività nei confronti di altri stakeholder si declina con questi termini:
“passivi” situazione 1;   
“discrezionale” situazione 4 
“esigente” situazione 2.
In queste condizioni per il mediatore, che percepisce solo una qualità, sarà difficile far trovare una soluzione, perché siamo in presenza o di priorità espresse male o di conflittuali.
“In attesa”. Gli stakeholder con due qualità percepite, porta gli stessi ad assumere una posizione attiva, proprio perché sono in grado di sviluppare un aumento del livello di responsabilità relativa, nel caso della mediazione, alla situazione che vede coinvolti i loro interessi.
 Anche loro secondo la qualità mancante sono classificabili in tre classi:
“dominanti” prevalgono potere e legittimità situazione 5,
“dipendenti” prevalgono urgenza e legittimità situazione 6; 
“pericolosi” prevalgono potere e urgenza situazione 3.
In queste condizioni per il mediatore, sarà un po’ meno difficile far trovare una soluzione, perché è più facile trovare una priorità comune alle parti e, in queste situazioni occorre controllare che eventuali “dipendenti” non si lascino sovrastare da eventuali “dominanti” o peggio “pericolosi”.
“Definitivi” sono quelli con tutte le qualità, coloro con forte senso di responsabilità in grado di formulare soluzioni interessanti.
Qualsiasi posizione iniziale di stakeholder può raggiungere la posizione di stakeholder “definitivo” se acquisisce le qualità mancanti, che possono essere tali solo perché non ancora fatte esplicitare dal mediatore. La situazione più frequente si ha quando uno stakeholder “dominante”, dotato di potere e legittimità, può pretendere anche una risposta urgente nei confronti dell’altra parte, ad es. nelle liti di sfratto.
Non sempre questa possibilità di arricchimento è possibile.

Conclusioni

Il mediatore manager, che voglia seguire questa impostazione deve ricordare che ogni parte in gioco ha un suo specifico habitus che in qualche modo è tratteggiato nelle 7 tipologie degli stakeholder, e che  per iniziare una mediazione di deve porre una semplice ma fondamentale domanda: “chi o che cosa realmente conta”, cioè, chi sono gli stakeholder di  questa lite e “a che cosa il mediatore deve realmente prestare attenzione” cioè quali  sono le priorità che mette in campo ciascuna parte.
Se una mediazione è possibile, è perché esistono relazioni esteriori, necessarie, indipendenti dalle volontà individuali e, che possono essere colte solo facendo ricorso alla procedura di mediazione, in altri termini, proprio perché i soggetti non assumono tutti il significato dei loro comportamenti come dato immediato della coscienza e perché tali comportamenti racchiudono sempre un senso più ampio di quanto essi non sappiano o non vogliano.
La teoria degli stakeholder serve soprattutto per le mediazioni tra parti ad alto rischio di conflitto violento. Il mediatore manager deve far prendere in considerazione alle parti l’aspetto dell’interdipendenza dei fini etici con quelli economici, questa può essere la leva per facilitare la soluzione della lite tra due stakeholder, anche rissosi. Il mediatore deve riscoprire il caduceo di Mercurio o per dirla come Confucio, bisogna comportarsi come indica l’ideogramma “ li( ) ”.
Li è il modo in cui ogni persona deve comportarsi per mantenere l’ordine sociale. Ognuno è tenuto a comportarsi secondo il proprio ruolo, in altre parole ognuno ha un ruolo nella società e deve comportarsi in accordo con la propria posizione.

Carlo Baratta

Riferimenti  bibliografici.
Per la parte sociologica

BOURDIEU, Pierre     Per una teoria della pratica , Roma, Raffaello Cortina, 2003]
ID                              La distinzione  , Bologna, Mulino 1983]
ID                              Les règles de l’art , Paris, Seuil     1992
ID                              Ragioni pratiche  , Bologna, Mulino, 1995]
ID                              Meditazioni pasca liane , Milano, Feltrinelli 1998]


Per la teoria degli stakeholder

Etzioni, A., Modern Organizations, Englewood Cliffs, NJ : Prentice Hall. . 1964

Evan, W., e Freeman . “A Stakeholder Theory of Modern Corporation:  Kantian Capitalism”, in,Beauchamp, T. e Bowie, N. (eds.), Ethical Theory and Business, Englewood Cliffs, NJ, Prentice Hall, 1988,

Freeman, R.E., Evan,   , “Corporate Governance: a Stakeholder   Interpretation”, Journal of Behavioral      Economics, 1990,

Freeman R.E,, Rusconi G.F, Donati M     Teoria degli stakeholder                                               F.Angeli  2009

Harrison, J.S., e Freeman,. 1999, “Stakeholders, Social Responsibility, and
                   Performance: Empirical Evidence and Theoretical Perspectives”, Academy of
                               Management Journal,          1999.

Mitchell, R. K., Agle, B. R., e Wood, D. J.  , “Toward a Theory of Stakeholder
Identification and Salience: Defining the Principle of Who and What Really Counts”, 1997
    Academy of Management Review, 22, 4    1997

Rawls, J. 1982, Una teoria della giustizia tr.it.             Feltrinelli, Milano  1971

Rossi  G.          Il conflitto epidemico,                           Adelphi      Milano    2003


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Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 7/2016


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