Il
mediatore-manager: gestire un conflitto con la teoria degli stakeholder
di Carlo Baratta
(Mediatore in Torino)
“Il conflitto con gli stakeholder è il combustibile del
capitalismo”: è quanto sostiene _Robert Edward Freeman per adattarlo alla
situazione della mediazione si può dire che il conflitto tra le parti è l’essenza della mediazione.
Premessa
Con questa relazione, sostengo appoggiandomi agli studi di Bourdieu, che il conflitto è un fatto
naturale che sorge quando più
soggetti entrano in relazione.
Perciò il conflitto è un fattore presente nella mediazione, e riuscire a capire
come si può generare è importante per gestire una mediazione.
Sostengo che le parti in lite possano
descriversi utilizzando la teoria degli stakeholder.
Questa teoria è
servita per capire come funziona un’impresa complessa, che deve gestire reti di
relazioni, si può, a mio avviso applicare alla procedura di mediazione che
di fatto è una rete di relazioni. Questo approccio serve anche per definire
meglio il ruolo del mediatore, che non è un giudice o un avvocato ma
molto simile ad un manager, che
per questa teoria deve gestire il conflitto tra gli stakeholder o le parti. Il
ruolo del mediatore, in conseguenza del DECRETO LEGISLATIVO 6 agosto 2015, n. 130
pubblicato in G.U.
n. 191 del 19/08/2015, ha visto rafforzata questa impostazione.
L’approccio sociologico di Bourdieu
; habitus, campi, conflitto.
Tutto quello che è
presente nella realtà, è il prodotto di relazioni. Relazioni da intendere in
senso ampio, quindi non solo legami intersoggettivi tra persone ma legami,
scambi che si determinano indipendentemente dalle volontà individuali. (es.
mediazione demandata, le parti sono costrette a partecipare).
Con questa ipotesi,
che in sociologia è stata formulata da Bourdieu, il mondo reale è
caratterizzato da diverse tipologie di conflitti, tra parti, caratterizzati da
punti di vista interessi soluzioni
diverse.
Il conflitto, e non l’equilibrio,
costituisce per Bourdieu l’essenza della vita sociale, la mediazione
perciò è essenziale per giungere ad una soluzione concordata che non
necessariamente porta all’equilibrio matematico.
L’approccio, del sociologo francese, è
interessante per la mediazione in quanto
si pone come sintesi tra la
visione “oggettiva dei fatti sociali”, visione che spiega la realtà sociale
come prodotto di fattori indipendenti dai singoli attori sociali, e la visione
“soggettiva” che considera la realtà come prodotto dell’agire dei singoli,
delle loro rappresentazioni e credenze; la natura della realtà sociale, è
duplice.
Per rendere questa
teoria meno astratta possiamo pensare alla realtà come alla chimica: gli elementi hanno una loro specificità e possono
entrare in relazione con altri, è il risultato di questi legami che dà senso agli elementi, anche i fatti
sociali costruiti da relazioni possibili, possano produrre un caso particolare
del possibile
Questo modo
di pensare è antico già Aristotele indica lo stato del carattere hexis o habitus, che orienta le
nostre percezioni e i nostri desideri, che considera la condotta mentale
come relazione tra esperienze passate e le azioni che si attuano. Per Bourdieu
“….’habitus quel sistema di disposizioni interiorizzate che ha il
compito di mediare tra le strutture sociali oggettive e le pratiche dei
soggetti. L’habitus è una struttura strutturata: possiede, cioè, un legame di
dipendenza dal mondo sociale. Ma è anche una struttura strutturante, perché
organizza le pratiche e la percezione delle pratiche” è un operatore di
razionalità pratica che trascende la
coscienza individuale.
E’ un meccanismo
trasferibile da un contesto all’altro dell’agire sociale, dalle scelte di consumo
a quelle del lavoro e politiche.
L’habitus è un
principio generatore di strategie che permettono di far fronte a situazioni
impreviste e continuamente rinnovate.
Anche il concetto di “interesse”, che
ipotizza la teoria della Scelta Razionale Rational Action Theory, è per
Bourdieu da rivedere perché con l’idea dell’habitus l’azione non è
necessariamente orientata secondo lo schema della massimizzazione dei benefici,
come sancisce la teoria della scelta razionale, ma avviene attraverso passaggi
che analiticamente sono simili a un gioco.
Un giocatore che ha interiorizzato le
regole agisce seguendo le procedure e le azioni previste da quel gioco
facendole nel modo previsto senza porsi intenzionalmente come fine quello che
c’è da fare. Non ha necessità di sapere esattamente quello che fa per farlo,
non ha neppure il problema di sapere immediatamente che cosa gli altri possono
fare in risposta.
Ciascuna persona si caratterizza per la
quantità e la composizione delle risorse disponibili.
Ogni genere di risorsa che permette di
appropriarsi dei “profitti” che derivano dalle relazioni poste in essere, quali
prendere parte o l’essere situato in quel particolare contesto, può configurarsi
come capitale individuale.
I principali capitali sono quattro:
economico (beni materiali e finanziari),
culturale (abilità, titoli),
sociale (risorse acquisite attraverso la
condizione di far parte di un gruppo sociale),
simbolico.
Le persone agiscono in più
contesti,
per il sociologo francese, ciascun contesto si caratterizza perché dotato di
specifiche regole di funzionamento e forme di autorità. Questi contesti
sono chiamati campi
che implicano una configurazione di
relazioni oggettive tra
posizioni, indipendente dalla volontà dei
soggetti
che operano in quel contesto.
Tutti
i campi, sono tali perché presentano un elemento comune: il conflitto.
Il
conflitto nasce per il tentativo di controllo delle risorse indispensabili in
quel campo specifico.
Il
controllo delle risorse nei conflitti, che interessano la mediazione, portano
le parti a costruire delle posizioni, dominanti o subordinate, dipendenti dalla
tipologia e dall’ammontare di capitale posseduto.
Se
l’habitus determina il comportamento, lo stile delle parti, il campo delimita
le azioni e le opportunità di soluzione della lite.
In genere chi
occupa posizioni dominanti in una situazione di lite, tende a mettere in atto
strategie di conservazione rispetto alla distribuzione di capitale esistente,
tende a cedere il meno possibile, mentre chi è relegato in posizioni marginali
è più disponibile a dispiegare strategie di sovversione, a trovare alternatine
ad “allargare la torta”.
La teoria degli stakeholder
Le parti in lite
possono essere analizzate secondo la teoria degli stakeholder.
Questo
termine è formato da due parole , “holder” è che tradotto
può avere un significato ‘sufficientemente’ chiaro “l’holder è appunto il portatore di… qualcosa”,
stake è più complesso indica il segnare, marcare, è una parola che
indica l’agire. Il concetto che più rende l’idea è”portatore di interessi in grado di
influenzare le organizzazioni con le quali è in relazione”.
Per inquadrare meglio il concetto, e utilizzarlo in
mediazione lo stakeholder non è tale perché è organico ad un’impresa o
istituzione, non è neppure un’azionista, ma assume questa natura perché
interessato, coinvolto, toccato, chiamato in causa dall’azione di un terzo, di
una impresa o di un’istituzione. Nella realtà quindi secondo la questa teoria
ci sono stakeholder produttori o
detentori di un bene o servizio e stakeholder consumatori di beni o servizi e
in mediazione lo sono non solo le parti ma anche gli avvocati delle parti.
In
definitiva stakeholder
è quel soggetto o gruppo interessato a influenzare i comportamenti dell’altro
(impresa proprietario datore di lavoro ecc.) proprio perché è parte in causa, o
perché ritiene di dover prendere posizione ed esprimerla, perché ne va dei suoi
interessi. Gli stakeholder possono essere competenti e allora la loro azione
sarà tesa a influenzare tecnicamente la lite, o possono essere motivati in
quanto coinvolti ma non competenti.
Lo stakeholder più che riferirsi
a soggetti portatori di interessi precisi, individua posizioni relazionali
nei confronti della lite da mediare; gli interessi sono plurali, per questo
motivo è necessario accordarsi per identificarli (la molteplicità ammette
implicitamente le differenze). Infine caratteristica intrinseca alla
mediazione, si ha a che fare anche con interessi diversi che possono essere
fatti valere e invocati come esigibili.
Gli
interessi in senso ampio sono oggetti che stanno a cuore, che attivano i
soggetti: desideri, conoscenze, progetti, disponibilità, difficoltà, rifiuti.
Gli stakeholder
dispongono – e possono rendere disponibili ad altri interlocutori – interessi
diversi, l’interesse è qualcosa che “sta tra”. Non c’è interesse se non in
riferimento a posizioni e ad attori in relazione
Il conflitto tra
gli interessi delle parti in lite, o stakeholder, è una caratteristica normale
nei procedimenti di mediazione. Ma ciò
che è fondamentale è che il conflitto, venga fuori il più presto possibile, anche nel primo incontro, in modo che gli stessi
stakeholder possano, in collaborazione con il mediatore, affrontarlo e
risolverlo negli incontri successivi.
Nessuna
parte in lite ha già pronta una lista di requisiti completa; è invece compito
del mediatore di aiutarle a fornire il proprio contributo al progetto di
soluzione, la cosiddetta composizione della lite, facendo domande, scoprendo
quali sono i fattori critici di successo e i rischi che possono avere un
impatto negativo sui suoi interessi, e proponendo alternative.
Mediatore
come manager
Il modello degli
stakeholder rappresenta l’impresa non come una serie di transazioni di mercato,
ma come una rete di scambi cooperativi, competitivi e conflittuali che
coinvolge un ampio numero di individui e gruppi organizzati in vario modo. L’impresa
è vista come un’organizzazione, dove molti differenti individui e gruppi
tentano di raggiungere propri fini.
Altri
studiosi del tema come Evan e Freeman hanno una visione dell’impresa
interessante per la mediazione, per questi autori lo scopo dell’impresa,
è quello di fungere da mezzo per il coordinamento degli interessi degli
stakeholder.
Freeman
e Evan (cit.), hanno formulato questa
ipotesi riferendosi alla teoria della giustizia di John Rawls (1982), secondo
il loro ragionare stakeholder rappresentativi e razionali, possono arrivare a soluzioni determinate da principi
di “equa contrattazione” (Freeman e Evan, cit.)
Sempre
questo modello assegna al manager (mediatore) il compito di determinare
quali stakeholder sono importanti e di conseguenza quali stakeholder riceveranno
attenzione (i detentori dei diritti
disponibili). Pertanto, è la percezione degli attributi di uno
stakeholder da parte del manager a decidere dell’importanza dello stakeholder.
La
teoria degli stakeholder, sorta per capire come funzione un’impresa complessa,
è importante per la procedura di mediazione perché si può considerarla come
un’impresa atipica che eroga servizi.
I
due concetti fondamentali di questa teoria sono utilizzabili in mediazione:
1. gli stakeholder
hanno consapevolezza della loro posizione a causa del loro interesse in
quella lite.
2. gli interessi di
entrambe le parti hanno valore intrinseco e meritano considerazione per
se stessi nel processo decisionale manageriale, indipendentemente dalla
capacità di una parte o stakeholder, di promuovere gli interessi di altri in
quella lite.
Se
si utilizza questo modo di pensare i mediatori sono simili ai manager hanno un “rapporto fiduciario” con
gli stakeholder interessati a quell’oggetto immateriale che si chiama composizione della lite.
Questa
teoria presuppone il fondamento morale del principio kantiano sul rispetto
delle persone, principio secondo per il quale le persone, le parti in lite,
devono essere trattate come fini in sé e non meramente come mezzi per
qualche fine.
Sempre
per questa teoria il mediatore manager assume un ruolo sociale importante che
amplia le competenze tecniche, le qualità morali del suo lavoro, lo portano a
cercare di tutelare il benessere delle parti e quindi di favorire la salute del contesto in
cui opera.
Alcuni studiosi, in
particolare Mitchell, hanno cercato di formulare una teoria per identificare e
classificare le tipologie di stakeholder.
Sono state
individuate, da questo autore, tre qualità specifiche:
1) potere
dello stakeholder di influenzare gli obiettivi o le parti su cui agisce;
2) legittimità
(morale) della relazione dello stakeholder con quei obiettivi;
3) urgenza della
pretesa dello stakeholder sugli obiettivi.
Mitchell ed Etzioni
(cit.), definiscono “potere” in una relazione se un soggetto ha o può ottenere
accesso a mezzi coercitivi, utilitari o normativi per imporre la sua volontà
nella relazione.
Considerano la
“legittimità” quando un soggetto ha la percezione che, le azioni di un’entità
sono desiderabili, giuste o appropriate all’interno di qualche sistema di
norme, valori, credenze e definizioni costruite socialmente.
Considerano
“l’urgenza” il grado a cui le pretese dello stakeholder richiedono immediata
attenzione da parte
del manager-mediatore.
Queste
qualità vanno evidenziate, dal mediatore, nel momento dei colloqui che svolge
con le parti. Per capire come il mediatore possa riconoscerle, va precisato
che:
1. ogni qualità è una
variabile;
2. l’esistenza di
ciascuna qualità è una realtà costruita socialmente;
3. una, o entrambe le
parti, può non essere consapevole di possedere una qualità, e se lo è, può
decidere di non agire in modo coerente.
In
ogni caso, possedere una qualità non implica una buona relazione
stakeholder-manager (parte-mediatore); una buona relazione dipende
dall’interazione tra una o più qualità di una parte con una o più qualità
dell’altra parte, inoltre va considerato che ciascuna parte si può relazionare
con l’altra variando le qualità che
nette nella trattativa. Così, il potere guadagna di autorità attraverso la
legittimità e di urgenza attraverso l’azione del comunicare.
La
legittimità guadagna diritti attraverso il potere e voce attraverso l’urgenza.
L’urgenza
favorisce l’accesso ai canali del processo decisionale per la soluzione della
lite attraverso la legittimità e incoraggia l’azione dello stakeholder
attraverso il potere.
Per ottenere un
risultato serve il contributo dato di tutte e tre le qualità, è la fusione tra
qualità che permette di costruire l’agire responsabile.
Il mediatore si
attiverà per far crescere in ciascuna delle due parti in mediazione, e farà
riconoscere all’altra parte il mix di potere, legittimità urgenza di entrambi.
Attraverso una
tavola di verità, Tab.1, che evidenzia la presenza “1” o l’assenza “0”
di una certa qualità si ottengono sette combinazione possibili. Quella indicata
con “L” è possibile solo in via teorica, in quanto indica un soggetto che non ha nessuna delle tre qualità.
Tab1.1
POTERE
|
URGENZA
|
LEGITTIMITA’
|
|
0
|
0
|
0
|
L Non Stakeh.
|
1
|
0
|
0
|
1 S.LATENTE
|
0
|
1
|
0
|
2 S.LATENE
|
1
|
1
|
0
|
3 S.IN ATTESA
|
0
|
0
|
1
|
4 S.LATENTE
|
1
|
0
|
1
|
5 S.IN ATESA
|
0
|
1
|
1
|
6 S.IN ATTESA
|
1
|
1
|
1
|
7 S.DEFINITIVO
|
Le
sette combinazioni individuano sette tipologie di stakeholder, che si
possono aggregare in tre categorie,
tre
tipologie con uno solo dei tre attributi, denominati stakeholder “latenti”
(aree 1, 2, 4);
tre
classi con due attributi, denominati stakeholder “in attesa” (aree 3, 5,
6);
una
classe con tutti e tre gli attributi, denominata “stakeholder definitivi” (area
7).
Secondo
Mitchell, “Latenti” sono gli stakeholder che presentano una sola qualità,
questa caratteristica limita la loro capacità di relazione e li porta ad
assumere una posizione passiva, infatti possedendo un basso livello delle altre
due si determina un abbassamento della responsabilità nell’affrontare qualsiasi
azione che coinvolge i propri interessi.
Più
dettagliatamente questa passività nei confronti di altri stakeholder si declina
con questi termini:
“passivi”
situazione 1;
“discrezionale”
situazione 4
“esigente”
situazione 2.
In
queste condizioni per il mediatore, che percepisce solo una qualità, sarà
difficile far trovare una soluzione, perché siamo in presenza o di priorità
espresse male o di conflittuali.
“In
attesa”.
Gli stakeholder con due qualità percepite, porta gli stessi ad assumere una
posizione attiva, proprio perché sono in grado di sviluppare un aumento del
livello di responsabilità relativa, nel caso della mediazione, alla
situazione che vede coinvolti i loro interessi.
Anche loro secondo la qualità mancante sono
classificabili in tre classi:
“dominanti”
prevalgono potere e legittimità situazione 5,
“dipendenti”
prevalgono urgenza e legittimità situazione 6;
“pericolosi”
prevalgono potere e urgenza situazione 3.
In queste
condizioni per il mediatore, sarà un po’ meno difficile far trovare una
soluzione, perché è più facile trovare una priorità comune alle parti e, in
queste situazioni occorre controllare che eventuali “dipendenti” non si lascino
sovrastare da eventuali “dominanti” o peggio “pericolosi”.
“Definitivi” sono
quelli con tutte le qualità, coloro con forte senso di responsabilità in grado
di formulare soluzioni interessanti.
Qualsiasi posizione
iniziale di stakeholder può raggiungere la posizione di stakeholder
“definitivo” se acquisisce le qualità mancanti, che possono essere tali solo
perché non ancora fatte esplicitare dal mediatore. La situazione più frequente
si ha quando uno stakeholder “dominante”, dotato di potere e legittimità, può
pretendere anche una risposta urgente nei confronti dell’altra parte, ad es. nelle
liti di sfratto.
Non sempre questa
possibilità di arricchimento è possibile.
Conclusioni
Il mediatore
manager, che voglia seguire questa impostazione deve ricordare che ogni parte
in gioco ha un suo specifico habitus che in qualche modo è tratteggiato nelle 7
tipologie degli stakeholder, e che per
iniziare una mediazione di deve porre una semplice ma fondamentale domanda:
“chi o che cosa realmente conta”, cioè, chi sono gli stakeholder di questa lite e “a che cosa il mediatore deve
realmente prestare attenzione” cioè quali
sono le priorità che mette in campo ciascuna parte.
Se una mediazione è
possibile, è perché esistono relazioni esteriori, necessarie, indipendenti
dalle volontà individuali e, che possono essere colte solo facendo ricorso alla
procedura di mediazione, in altri termini, proprio perché i soggetti non
assumono tutti il significato dei loro comportamenti come dato immediato della
coscienza e perché tali comportamenti racchiudono sempre un senso più ampio di
quanto essi non sappiano o non vogliano.
La
teoria degli stakeholder serve soprattutto per le mediazioni tra parti ad alto
rischio di conflitto violento. Il mediatore manager deve far prendere in
considerazione alle parti l’aspetto dell’interdipendenza dei fini etici con
quelli economici, questa può essere la leva per facilitare la soluzione della
lite tra due stakeholder, anche rissosi. Il mediatore deve riscoprire il
caduceo di Mercurio o per dirla come Confucio, bisogna comportarsi come indica
l’ideogramma “ li( 理 ) ”.
Li è il modo in cui
ogni persona deve comportarsi per mantenere l’ordine sociale. Ognuno è tenuto a
comportarsi secondo il proprio ruolo, in altre parole ognuno ha un ruolo nella
società e deve comportarsi in accordo con la propria posizione.
Carlo Baratta
Riferimenti
bibliografici.
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Pierre Per
una teoria della pratica , Roma, Raffaello
Cortina, 2003]
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ID Ragioni pratiche , Bologna, Mulino, 1995]
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Milano, Feltrinelli 1998]
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Mitchell, R. K., Agle, B. R., e Wood, D.
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Rawls, J. 1982, Una teoria della giustizia
tr.it. Feltrinelli, Milano 1971
Rossi G.
Il conflitto epidemico, Adelphi Milano
2003
AVVISO. Il testo riportato è quello inviato in Redazione dall'Autore, il quale è l'unico responsabile dei contenuti e della paternità dello scritto.
Fonte: Osservatorio
Mediazione Civile n. 7/2016