DIRITTO D'AUTORE


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30 gennaio 2018

7/18. Mediazione tardivamente attivata, ripercussione negativa sui tempi della procedura e del processo: improcedibilità (Osservatorio Mediazione Civile n. 7/2018)

=> Tribunale di Vasto, 27 settembre 2017

In tema di mediazione demandata ex art. 5, comma 2, d.lgs. 28/2010, la parte che presenta la relativa istanza oltre il termine di 15 giorni assegnato dal giudice non incorrere - per ciò solo - sempre nella declaratoria di improcedibilità della domanda giudiziale. Nel caso di specie, però, avendo il ritardo nella presentazione della domanda di mediazione avuto una ripercussione negativa sia sui tempi di definizione della procedura (la quale non si è potuta concludere entro i tre mesi dalla scadenza del termine assegnato dal giudice), sia sui tempi di definizione del processo (posto che all’udienza di rinvio è stata avanzata istanza di rinvio del processo per consentire l’esperimento della procedura di mediazione tardivamente intrapresa), deve concludersi che la condizione di procedibilità non si è verificata, con conseguente declaratoria di improcedibilità della domanda. (I) (II).


(II) Per approfondimenti si veda SPINA, Mediazione demandata attivata con ritardo: la domanda è sempre improcedibile?, Altalex, 2017




Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 7/2018

Tribunale di Vasto
sentenza
27 settembre 2017

Omissis

--- hanno proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo con il quale il Tribunale di Vasto gli ha ingiunto di versare, in solido tra loro, in favore della ---, la somma di € 55.071,01 – oltre interessi e spese di giudizio – in ragione delle esposizioni debitorie maturate dalla --- con riferimento ad un rapporto di conto corrente e ad un contratto di finanziamento stipulati con la predetta banca e garantiti da fideiussione omnibus prestata da ---.

A sostegno della domanda, gli opponenti hanno dedotto plurimi motivi di contestazione, non solo con riguardo alla inammissibilità dell’azione monitoria e alla conseguente nullità del decreto ingiuntivo, ma anche in relazione alla fondatezza nel merito della pretesa creditoria avanzata dalla banca.

La creditrice opposta, costituitasi in giudizio, ha contestato le circostanze allegate dagli opponenti ed ha concluso per il rigetto della domanda, a motivo della sua infondatezza, e per la conferma del decreto ingiuntivo, con vittoria di spese ed onorari di causa.

Nel corso del giudizio, prima di avviare la causa alla fase decisoria, questo giudice con ordinanza del 13.07.2016 – dopo aver evidenziato e indicato alle parti gli indici di concreta mediabilità della controversia – disponeva, ai sensi dell’art. 5, secondo comma, del D.L.gs. 4 marzo 2010, n. 28, l’esperimento della procedura di mediazione per la ricerca di una soluzione amichevole della lite. In ottemperanza alle statuizioni giudiziali, le parti opponenti davano inizio al procedimento comparendo, personalmente e con l’assistenza del proprio difensore, al primo incontro, tenutosi in data 01.03.2017 innanzi all’organismo di mediazione prescelto. La procedura, però, non sortiva esito positivo, dal momento che - al termine del primo incontro - il mediatore prendeva atto che la parte invitata si era rifiutata di prestare il consenso alla prosecuzione del procedimento, ai sensi dell’art. 8, primo comma, D. Lgs. n. 28/10 e dichiarava, di conseguenza, chiuso il procedimento.

All’udienza di rinvio del 19.12.2016, la parte convenuta, prima di chiedere la fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni, formulava una preliminare eccezione di improcedibilità della opposizione, sull’assunto che la domanda di mediazione fosse stata presentata tardivamente, oltre il termine di quindici giorni assegnato dal giudice con l’ordinanza di rimessione delle parti in mediazione. Gli opponenti si opponevano all’accoglimento dell’eccezione e chiedevano, in ogni caso, fissarsi udienza di precisazione delle conclusioni.

Con ordinanza del 15.05.2017, il giudice, ritenuto di dover decidere separatamente la questione pregiudiziale di improcedibilità della opposizione, invitava le parti a precisare le conclusioni, riservando la causa in decisione alla successiva udienza del 05.06.2017.

1. L’eccezione di improcedibilità della opposizione è fondata e, pertanto, merita di essere accolta.

2. Deve innanzitutto premettersi che, in caso di opposizione a decreto ingiuntivo, sul tema della individuazione della parte sulla quale grava l’onere di attivazione della procedura di mediazione e su quello delle ripercussioni della eventuale inottemperanza a tale onere sulla sorte del decreto ingiuntivo opposto, questo giudicante – con precedente sentenza n. 174 del 30.05.2016 – ha aderito all’orientamento affermato dalla Corte di Cassazione (cfr., Cass., 03.12.2015, n. 24629), secondo il quale l’onere di avviare la procedura di mediazione delegata ai sensi dell’art. 5, comma 4, D.Lgs. n. 28/10 grava sulla parte opponente, con la conseguenza che la mancata attivazione della mediazione comporta la declaratoria di improcedibilità della opposizione e la definitività del decreto ingiuntivo opposto, che acquista l’incontrovertibilità tipica del giudicato.

Coerentemente con tale impostazione, si tratta - dunque - di stabilire se il tardivo esperimento della procedura di mediazione da parte dell’opponente (che è a ciò onerato) può essere equiparato all’omesso esperimento della stessa, così da farne scaturire – in caso di risposta positiva - conseguenze analoghe sul piano della improcedibilità della opposizione e della definitività del decreto ingiuntivo.

3. All’uopo, si impone la necessità di operare un approfondimento sul tema della natura del termine di giorni quindici che, ai sensi dell’art. 5, commi 1 bis e 2, D. Lgs. n. 28/10, il giudice assegna alle parti per la presentazione della domanda di mediazione, quando decide di disporne l’esperimento, una volta «valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti».

Sulla natura perentoria o ordinatoria del predetto termine, nella giurisprudenza di merito si registrano orientamenti oscillanti, che dalla sua qualificazione fanno discendere conseguenze diverse in ordine alla improcedibilità della domanda giudiziale (ovvero, nella fattispecie, della opposizione).

4. Secondo un primo indirizzo, il termine di quindici giorni assegnato dal giudice ha carattere perentorio, pur in assenza di una esplicita previsione legale in tal senso, derivando tale conclusione dal principio giurisprudenziale secondo cui il carattere della perentorietà del termine può desumersi, anche in via interpretativa, tutte le volte che, per lo scopo che persegue e la funzione che adempie, lo stesso debba essere rigorosamente osservato (cfr., in questo senso, Cass. n. 14624/00; Cass., n. 4530/04). In relazione alla fattispecie della mediazione demandata, l’implicita natura perentoria del termine in parola si evincerebbe dalla stessa gravità della sanzione prevista, vale a dire l’improcedibilità della domanda giudiziale per il mancato esperimento della mediazione. Ne consegue che il tardivo esperimento della mediazione disposta dal giudice, ai sensi dell’art. 5, comma 2, D.Lgs. n. 28/2010, produce gli stessi effetti del mancato esperimento della stessa, ossia impedisce l’avveramento della condizione di procedibilità ed impone, sempre e comunque (vale a dire, senza possibilità di sanatoria), la declaratoria di improcedibilità del giudizio, con chiusura in rito del processo (cfr., in tal senso, Trib. Lecce, 03.03.2017; Trib. Cagliari, 08.02.2017; Trib. Firenze, 14.09.2016; Trib. Reggio Emilia, 14.07.2016; Trib. Firenze, 04.06.2015; Trib. Bologna, 15.03.2015).

5. Un opposto orientamento giurisprudenziale ritiene invece che, in assenza di una espressa previsione di perentorietà del termine assegnato dal giudice ex art. 5, secondo comma, D.Lgs. n. 28/2010, la presentazione della domanda di mediazione successivamente al termine di quindici giorni assegnato dal giudice non consente di ritenere operante la sanzione di improcedibilità prevista per il mancato esperimento del tentativo di mediazione, dovendosi dare prevalenza all’effetto sostanziale dello svolgimento del procedimento (cfr., Trib. Milano, 27.09.2016; Trib. Pavia, 14.10.2015). Ne deriva che la tardività dell’instaurazione del procedimento di mediazione non può essere equiparata al mancato svolgimento del procedimento medesimo.

A tale considerazione è stato aggiunto che, non essendo la domanda di mediazione un atto del processo, “predicare la perentorietà del termine per la sua presentazione è fuori luogo” (cfr., in tal senso, Trib. Roma, 14.07.2016, n. 14185), per cui la disciplina dello stesso non è riconducibile al regime di cui all’art. 152 c.p.c.

La tesi della natura ordinatoria conduce alla conclusione che il deposito dell'istanza oltre il termine suddetto non determina l'improcedibilità della domanda, a meno che il ritardo nella presentazione della domanda di mediazione non abbia pregiudicato l’effettivo esperimento della procedura prima della udienza di verifica, fissata ai sensi del secondo comma dell'art. 5 D.Lgs. n. 28/10 (come accadrebbe, ad esempio, nel caso in cui la mediazione demandata dal giudice venga introdotta con molto ritardo rispetto a quanto disposto e a breve distanza temporale dall'udienza di rinvio (cfr., Trib. Roma, 14.07.2016, n. 14185).

6. Un indirizzo interpretativo intermedio (cfr., Trib. Savona, 26.10.2016; Trib. Piacenza, 18.10.2016; Trib. Monza, 21.01.2016, n. 156; Trib. Como, 12.01.2015), pur riconoscendo la natura ordinatoria e non perentoria del termine in discorso, afferma che la parte a carico della quale è stato posto l’onere di instaurare il procedimento di mediazione può ottenere dal giudice una proroga del termine, sempreché depositi tempestivamente l’istanza prima della scadenza del termine stesso. È noto, infatti, che i termini ordinatori possono essere prorogati ai sensi dell’art. 154 c.p.c. (in virtù del quale “il giudice, prima della scadenza, può abbreviare o prorogare, anche d’ufficio, il termine che non sia stabilito a pena di decadenza. La proroga non può avere una durata superiore al termine originario. Non può essere consentita proroga ulteriore, se non per motivi particolarmente gravi e con provvedimento motivato”), ma solo a condizione che essi non siano ancora scaduti e che la proroga non superi la durata del termine originario, mentre una eventuale ulteriore proroga può essere ammessa subordinatamente alla ricorrenza di motivi particolarmente gravi; ciò sia per l’effetto preclusivo determinato dallo spirare del termine, sia per il contemporaneo verificarsi della decadenza dal diritto di compiere l’attività che ne consegue (in tal senso, tra le innumerevoli sentenze, si vedano Cass., 21.02.2013, n. 4448; Cass., 27.11.2010, n. 23227).

Ne deriva che, in caso di mancata proposizione dell’istanza di proroga del termine prima della sua scadenza, la parte inevitabilmente decadrebbe dalla relativa facoltà di instaurare il procedimento di mediazione, con la conseguenza che, anche secondo questo indirizzo giurisprudenziale, la tardiva proposizione della domanda di mediazione andrebbe equiparata, sotto il profilo della conseguente improcedibilità della domanda giudiziale, alla sua totale omissione.

7. Nel variegato panorama di opzioni interpretative, questo Giudice ritiene di aderire alla tesi della natura non perentoria del termine assegnato dal giudice per la presentazione della domanda di mediazione, per un duplice ordine di argomentazioni.

a) Sotto un profilo meramente formale, la mancanza di una espressa previsione legale di perentorietà del termine deve condurre alla conclusione che lo stesso abbia natura ordinatoria e non perentoria, in applicazione del principio statuito dall’art. 152, secondo comma, c.p.c.

b) Da un punto di vista sostanziale, non ricorrono i presupposti per desumere tale carattere di perentorietà in via interpretativa, sulla base dello scopo che il termine persegue e della funzione che esso adempie.

Analizzando il dato testuale dell’art. 5, secondo comma, D.Lgs. n. 28/10, si evince che lo scopo sotteso alla assegnazione del termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione è quello di compulsare le parti all’attivazione della procedura, in modo che essa possa essere portata a termine prima della celebrazione della udienza di rinvio, che – a sua volta – deve essere fissata dopo la scadenza del termine di durata della mediazione, non superiore a tre mesi. In altre parole, la ratio legis della previsione del termine di quindici giorni risponde alla esigenza di garantire certezza dei tempi di definizione della procedura di mediazione, affinchè la parentesi extraprocessuale, che si apre con l’emissione della ordinanza di rimessione delle parti in mediazione, possa chiudersi entro la data di rinvio del processo ed in tempo utile ad evitare che il tentativo di raggiungimento di un accordo amichevole tra le parti ridondi in danno della durata complessiva del processo, provocando uno slittamento ulteriore della udienza di rinvio e, dunque, un allungamento dei tempi di definizione del giudizio.

Tale considerazione trova conferma nella disposizione dell’art. 6, secondo comma, D.Lgs. n. 28/10, che stabilisce che, nella mediazione demandata dal giudice, il termine di durata del procedimento di mediazione decorre, al più tardi, “dalla scadenza di quello fissato dal giudice per il deposito della domanda”, nel caso in cui – ovviamente – a quella data le parti non abbiano già depositato l’istanza.

Ricostruita in questi termini la funzione, per così dire, acceleratoria del termine in discussione, è evidente che ad esso non possa essere attribuito carattere di perentorietà, tanto più che la legge non prevede alcuna sanzione per la sua inosservanza. Dall’attento scrutinio del dato normativo si ricava, infatti, che la sanzione di improcedibilità della domanda giudiziale non consegue alla mancata proposizione della domanda di mediazione entro il termine di quindici giorni, bensì all’omesso esperimento del procedimento entro il termine di celebrazione della udienza di rinvio del processo, il quale viene, a sua volta, calibrato dal giudice in ragione del termine di durata della mediazione, pari a tre mesi decorrenti, al più tardi, dal termine assegnato per la presentazione della istanza.

Da quanto finora detto deriva che la parte istante può ben decidere di avanzare la domanda di mediazione delegata oltre il termine ordinatorio assegnato dal giudice, senza - per ciò solo - incorrere nella declaratoria di improcedibilità della domanda giudiziale. Tuttavia, la parte che ritarda l’attivazione della procedura si accolla il rischio che il procedimento non riesca a concludersi nel termine massimo di tre mesi, che inizia comunque a decorrere, indipendentemente dalla iniziativa dell’interessato, dalla scadenza del termine assegnato dal giudice.
Questo significa che, ove l’udienza di rinvio del processo sia stata fissata subito dopo la scadenza del termine di durata della mediazione, senza che il procedimento sia stato iniziato o comunque si sia concluso per una colpevole inerzia iniziale della parte, che ha ritardato la presentazione della istanza, quest’ultima si espone al rischio che la sua domanda giudiziale sia dichiarata improcedibile, a causa del mancato esperimento della mediazione entro il termine di durata della procedura o, in ogni caso, entro il più ampio termine di rinvio del processo all’udienza di verifica.

Diversamente, ove il procedimento di mediazione si sia concluso entro il termine di legge (o, comunque, anche successivamente ma pur sempre prima della celebrazione della udienza di rinvio), benché iniziato dopo la scadenza del termine assegnato dal giudice, giammai l’iniziale ritardo potrà determinare la declaratoria di improcedibilità della domanda giudiziale.

Non può, dunque, assolutamente condividersi la tesi che equipara, ai fini della improcedibilità della domanda giudiziale, il tardivo esperimento della mediazione al mancato esperimento della stessa, giacchè tale impostazione ha il triplice difetto: a) di desumere la natura perentoria del termine assegnato dal giudice sulla base di una controvertibile ricostruzione dello scopo e della funzione del termine medesimo; b) di giungere, per tal via, ad un’interpretazione estensiva in malam partem della disposizione normativa che sanziona con l’improcedibilità della domanda giudiziale il solo caso di mancato esperimento della procedura di mediazione e non anche la diversa ipotesi di tardiva attivazione di un procedimento regolarmente conclusosi; c) di attribuire maggiore rilevanza ad un elemento formale (vale a dire, il rispetto del termine di quindici giorni) rispetto al fattore sostanziale dello svolgimento del procedimento, contrariamente alla ratio legis di incentivazione del ricorso alla mediazione.

La chiave di lettura che qui si propone ha, invece, il pregio di valorizzare il dato sostanziale dell’esperimento del procedimento di mediazione e si pone in linea con lo spirito della normativa sulla mediazione, che risponde alla logica di favorire, quanto più possibile, la scelta delle parti di ricorrere alla procedura di risoluzione alternativa della controversia, senza penalizzare con gravi sanzioni processuali un contegno di formale ritardo nella attivazione del procedimento, in tutti i casi in cui l’inerzia iniziale della parte non abbia pregiudicato il tempestivo e corretto svolgimento della procedura, né provocato alcun allungamento dei tempi di definizione del giudizio.

8. Facendo applicazione al caso di specie dei principi di diritto innanzi enunciati, risulta dalla documentazione versata in atti che il primo incontro di mediazione si è svolto in data 01.03.2017 ed è, altresì, provato (oltre che non contestato) che la parte attrice ha presentato la domanda di mediazione il 13.12.2016, vale a dire ben oltre il termine di quindici giorni (per la precisione, circa quattro mesi dopo la data di scadenza del termine) assegnato dal giudice con l’ordinanza del 13.07.2016, comunicata solo il 01.08.2016.

Emerge dagli atti di causa che, all’udienza di rinvio del 19.12.2016, la procedura di mediazione non si era conclusa, dal momento che – essendo stata l’istanza depositata pochi giorni prima della predetta udienza – il primo incontro doveva essere ancora celebrato, come infatti è successivamente avvenuto in data 01.03.2017.

Orbene, non vi è dubbio che nella fattispecie l’incontestato ritardo nella presentazione della domanda di mediazione ha avuto una ripercussione negativa, sia sui tempi di definizione della procedura, la quale non si è potuta concludere entro i tre mesi dalla scadenza del termine assegnato dal giudice, sia sui tempi di definizione del processo, posto che all’udienza di rinvio, fissata da questo giudice per il 19.12.2016 (vale a dire, ad una data successiva rispetto alla scadenza del termine massimo di durata della mediazione), la parte opponente ha avanzato istanza di rinvio del processo per consentire l’esperimento della procedura di mediazione, che era stata tardivamente intrapresa.

In altri termini, poiché l’istanza di mediazione è stata depositata con molto ritardo rispetto a quanto disposto dal giudice (addirittura oltre il termine di durata massima della procedura) e soprattutto a ridosso temporale dell'udienza di rinvio, deve prendersi atto che, alla data di tale udienza, il procedimento di mediazione non era stato ancora esperito e, pertanto, deve concludersi che la condizione di procedibilità della opposizione non si è verificata.

9. Sulla scorta delle osservazioni finora esposte, non può che giungersi alla declaratoria di improcedibilità della opposizione, con conseguente definitiva esecutività del decreto ingiuntivo opposto.

10. Quanto al regime delle spese processuali, l’assoluta novità della questione, l’assenza di un orientamento giurisprudenziale di legittimità sul punto e la natura meramente processuale delle ragioni di reiezione della domanda, costituiscono eccezionali motivi che giustificano l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.

PQM

Il Tribunale di Vasto, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda definitivamente pronunciando sulla opposizione a decreto ingiuntivo proposta da --- nei confronti della ---, disattesa ogni diversa richiesta, eccezione o conclusione, così provvede: dichiara improcedibile l’opposizione a decreto ingiuntivo in epigrafe indicata; dichiara definitivamente esecutivo il decreto ingiuntivo n. 1351/2014, emesso dal Tribunale di Vasto il 28/10/2014 nei confronti di --- e in favore della ---; dichiara interamente compensate tra le parti le spese di lite; manda alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza.

Così deciso in Vasto, 27/09/2017.
Il Giudice
dott. Fabrizio Pasquale

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

29 gennaio 2018

6/18. Omessa mediazione: improcedibilità dell’opposizione e passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo opposto (Osservatorio Mediazione Civile n. 6/2018)

=> Tribunale di Firenze, 23 novembre 2016

In caso di omessa mediazione si verifica l'improcedibilità dell’opposizione (art. 5, d.lgs. 28/2010) con conseguente passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo opposto. Tale tesi è l'unica che si armonizza con i principi generali in materia di effetti dell’inattività delle parti nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e che valorizza la ratio deflattiva del procedimento di mediazione (I) (II).



Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 6/2018

Tribunale di Firenze
sentenza
23 novembre 2016

Omissis

Con ordinanza del 16 febbraio 2016, veniva disposta la mediazione delegata della presente causa, statuendosi che “le parti sostanziali”, assistite dagli avvocati, esperissero il procedimento di mediazione presso un organismo accreditato ex art. 5 del D.Lgs. 28/10, come mod. dalla L. 98/13.
Nella statuizione era stato precisato alle parti che “ai sensi dell'art. 5, c. 2, D.Lgs. citato, il mancato esperimento dell'effettivo tentativo di mediazione è sanzionato a pena di improcedibilità della domanda”.
Il procedimento di mediazione è stato introdotto su iniziativa dell'opposto omissis e non si è, in realtà, effettivamente svolto unicamente a causa del contegno tenuto dall'opponente sig. omissis, che ne ha impedito di fatto lo svolgimento non partecipandovi.
Dagli atti del procedimento di mediazione prodotti unitamente alla nota esplicativa depositata in data 19/06/2016, emerge che: introdotta il 01/03/2016 la domanda per l'esperimento della mediazione delegata avanti all'Organismo di Conciliazione della Camera di Commercio di Firenze da omissis, l'Organismo procedeva alla fissazione dell'incontro fra le parti per il giorno 25/05/2016, h. 10,00 ed a far pervenire avviso della convocazione a omissis in data 19/04/2016; in data il giorno 25/05/2016, alle ore 10,00 il mediatore, constatata la presenza personale di omissis e del suo difensore Avv. omissis, dava atto che
Deve quindi ritenersi che il mancato effettivo esperimento –come richiesto- della mediazione sia in tutto dipeso dalla mancata comparizione dell'odierno opponente e che sia quindi interamente addebitabile a omissis.
Ritiene dunque il Tribunale che la condizione di procedibilità non si sia avverata, per mancato esperimento del procedimento di mediazione.
È vero che l'art. 5 comma 2-bis L. n. 28/2010 stabilisce che “la condizione di procedibilità si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza accordo.”.
Tale disposizione, tuttavia, non appare connotata da un'effettiva valenza precettiva, per la semplice e decisiva ragione che sarebbe in contrasto con la nozione stessa di condizione di procedibilità, con la ratio legis e con la funzione deflativa dell'istituto della mediazione delegata se, dopo che il giudice ha ritenuto che sussistano i presupposti per l'esperimento del procedimento di ADR (Alternative Dispute Resolution), tale strumento deflativo potesse essere vanificato per effetto di una scelta rimessa alla volontà delle parti, facoltizzate - secondo questa non condivisibile chiave interpretativa – a non presentarsi all'incontro fissato dal mediatore come se da ciò alcunchè potesse derivare.
La mediazione non è una mera formalità cui le parti vengano arbitrariamente assoggettate, ma una ricerca effettiva di una soluzione della lite alternativa al processo, che la comunità nazionale ha stabilito per legge debba essere effettivamente svolta, obbligatoriamente in certi casi e su disposizione del giudice in altri, a pena di improcedibilità della domanda giudiziale.
Osserva per completezza il Tribunale che la prescelta opzione ermeneutica si allinea all' indirizzo di questo Ufficio (v., ex multis, Tribunale di Firenze, ordinanza del 17.03.2014; Sentenza n. 2769/2014).
Ritenuto pertanto il mancato esperimento del procedimento di mediazione delegata ai sensi dell'art. 5, II co. D.Lgs. 28/2010 e s.m.i., deve valutarsi in questa sede la conseguenza di tale omissione, avuto riguardo alla particolare natura del giudizio qui instaurato (opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell'art. 645).
La disposizione citata prevede che “… il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell'istruzione ed il comportamento delle parti, può disporre l'esperimento del procedimento di mediazione; in tal caso l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello”.
Il comma 4 della medesima disposizione prescrive inoltre che i commi 1-bis e 2, e cioè quelli che prevedono la mediazione obbligatoria prima del giudizio, ovvero la mediazione delegata dal giudice per le cause già pendenti, non si applicano “ nei procedimenti di ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione” (lett. a).
Con tale disposizione la legge ha escluso sia che la proposizione del ricorso monitorio o della opposizione in materia rientrante tra quelle per le quali è prevista la necessaria mediazione ante causam, siano condizionate da tale incombente, sia che in tali procedimenti e nel susseguente giudizio di opposizione sino a quando siano stati adottati i provvedimenti, ritenuti evidentemente urgenti ed incompatibili con i tempi della mediazione, di cui agli artt. 648 e 649 c.p.c., possa essere disposta la mediazione delegata dal giudice.
La ratio di tale disciplina è evidente. Si è cioè ritenuto che lo svolgimento della procedura di mediazione fosse sostanzialmente incompatibile con le peculiari caratteristiche del procedimento monitorio, caratterizzato dalla rapidità e assenza di previa attivazione del contraddittorio, e dell'opposizione, il cui termine di proponibilità è contingentato dall'art. 641 c.p.c..
La disposizione dunque, ad avviso di questo interprete, è leggibile nel solo senso che è con selettivo riferimento alla domanda che sostiene l'opposizione che introduce il giudizio a cognizione piena, dopo l'adozione dei provvedimenti considerati urgenti e latu sensu cautelari, che diviene possibile l'esperimento della mediazione, procedimento cognitivo e relativa domanda cui dunque deve ritenersi la legge faccia sul punto esclusivo riferimento.
Ciò posto, resta fermo che ai sensi dell'art. 5, co. II, citato, il mancato esperimento della mediazione delegata dal giudice, così come nel caso di mediazione ante causam, comporta la ”improcedibilità della domanda giudiziale”.
Muovendo della obbiettiva non univocità delle disposizioni letterali utilizzate (dimostrata dalla pluralità di voci dottrinali e da orientamenti giurisprudenziali antitetici) e valorizzando la particolare disciplina giuridica del giudizio di opposizione, si ritiene di sostenere, in caso di omessa mediazione, l'improcedibilità della opposizione con conseguente passaggio in giudicato del D.I. opposto (Trib. Prato, sent. 18.7.2011, est. I.; Trib. Rimini sent. 5.8.14 est. B. in omissis, Trib. Siena 25.6.2012, est. C.).
La tesi dell'improcedibilità della opposizione è infatti l'unica che si armonizza con i principi generali in materia di effetti della inattività delle parti nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e che valorizza la ratio deflattiva del procedimento di mediazione.
Il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, pur instaurando certamente un giudizio ordinario di cognizione in base al rinvio di cui all'art. 645 c.p.c., vede esaurirsi tale ordinarietà nella chiamata a udienza fissa, nel contraddittorio delle parti e nella piena cognizione che ne deriva.
Per il resto il procedimento è interamente contemplato dal codice di rito nel Capo I (Del procedimento di ingiunzione) del Titolo I (Dei procedimenti sommari) del Libro IV, intitolato ai procedimenti speciali.
A tacere dei termini contingentati per proporre l'opposizione contro un provvedimento idoneo ad essere eseguito, deve riconoscersi al giudizio la natura di continuazione della disputa provocata dalla pretesa monitoria, in quanto non è un mezzo di impugnazione, ma un ulteriore sviluppo del procedimento monitorio ossia una sua fase successiva, che vede proprio in tale provocatio ad opponendum l'unica effettiva ragione dell'inversione sostanziale delle posizioni processuali delle parti, altro fortissimo elemento di specialità, con l'ingiungente nella posizione di convenuto opposto e l'ingiunto in quella di attore opponente: opponiti, se hai ragioni più forti (resistunt veritati, si potiora). Peraltro, è proprio dal momento della proposizione dell'opposizione che la cognizione diviene piena, con conseguenti pieni oneri probatori delle parti, diminuiti nella fase monitoria.
Nella risposta oppositiva all'ingiunzione non può pertanto non essere riconosciuta una inalienabile componente di domanda di accertamento negativo dell'esistenza del credito agito in sede monitoria, tanto che l'opponente è certamente gravato dall'onere probatorio di distruggere i fatti costitutivi della pretesa dell'opposto per vedere affermare che niente deve (Cass. Sez. U, Sentenza n. 13533 del 30/10/2001; Sez. 3, Sentenza n. 3373 del 12/02/2010; Sez. 1, Sentenza n. 15659 del 15/07/2011).
Domanda di accertamento talmente insita nell'opposizione che addirittura nell'ipotesi in cui l'opponente non formuli alcuna domanda in senso tecnico, egli avanzerebbe quantomeno la propria negativa sulla pretesa monitoria, contenente sempre, fra l'altro, per implicito, nel suo contenuto oggettivo (petitum) quella di restituzione della somma che l'opponente sia costretto a pagare in conseguenza della concessa esecuzione provvisoria del decreto (Sez. 3, Sentenza n. 2451 del 08/08/1962).
Domanda di accertamento negativo che non vi è alcuna insuperabile ragione di ritenere non sia quella considerata dall'art. 5, II co. D.Lgs. 28/2010, proprio in ragione delle considerate specialità del giudizio di opposizione, fase conseguente del giudizio speciale monitorio, che su tale specifico punto pone in generale gli effetti negativi del consolidamento definitivo del decreto opposto a carico dell'attore opponente qualora si determini l'estinzione del giudizio di opposizione.
Infatti, la mancata attivazione della mediazione disposta dal giudice, muovendo dalla ritenuta non decisività della terminologia utilizzata dal Legislatore e dalla sanzione prevista (improcedibilità della domanda giudiziale, anche in appello), altro non è che una forma qualificata di inattività delle parti, per avere le stesse omesso di dare esecuzione all'ordine del giudice.
Secondo la legge processuale l'inattività delle parti rispetto a specifici adempimenti comporta, di regola, l'estinzione del processo (si pensi all'inosservanza all'ordine giudiziale di integrazione del contraddittorio nei confronti di litisconsorte necessario, alla mancata rinnovazione della citazione, alla omessa riassunzione del processo, alla mancata comparizione delle parti a due udienze consecutive – artt. 102, 181, 307 e 309 c.p.c.).
L'estinzione non produce peraltro particolari effetti sotto il profilo sostanziale, salvo che nelle more della pendenza del giudizio estinto non sia maturata qualche decadenza o prescrizione di natura sostanziale.
Recita, infatti, l'art. 310, I co. c.p.c. che “l'estinzione del processo non estingue l'azione”.
In buona sostanza, la parte, che vede “cadere” il processo a seguito di declaratoria di estinzione, ben potrà avviare una nuova iniziativa processuale, riproponendo la medesima domanda di merito.
Tale regola, però, non vale in caso di estinzione riguardante il giudizio di opposizione a D.I.
E' infatti previsto che, in tal caso, “il decreto, che non ne sia già munito, acquista efficacia esecutiva” giusto il disposto di cui all'art. 653, I co. c.p.c..
Secondo la costante interpretazione della giurisprudenza di legittimità, concorde la dottrina, tale disposizione va intesa nel senso che l'estinzione del giudizio di opposizione produce gli stessi effetti dell'estinzione del giudizio di impugnazione: il decreto ingiuntivo opposto diviene definitivo ed acquista l'incontrovertibilità tipica del giudicato (Cass. n. 4294/2004; n. 849/00).
Non sarà pertanto possibile riproporre l'opposizione e resteranno coperti da giudicato implicito tutte le questioni costituenti antecedente logico necessario della decisione monitoria (cfr. sul punto, tra le altre, Cass. n. 15178/00).
Evidente è l'analogia di ratio e di disciplina tra l'estinzione dell'opposizione a D.I. e quella del processo di appello (art. 338 c.p.c. secondo cui “l'estinzione del giudizio di appello… fa passare in giudicato la sentenza impugnata…”). Analoga conseguenza deriva dalla sanzione processuale prevista in caso di tardiva costituzione in giudizio dell'opponente. Sul punto è consolidata la giurisprudenza di legittimità nel senso di ritenere che in tal caso l'opposizione è improcedibile (tra le tante, Cass. n. 15727/06; nello stesso senso Cass. n. 25621/08), con passaggio in giudicato del D.I. (così come si evince dal combinato disposto di cui agli artt. 647 e 656 c.p.c.).
Trattasi di disposizione che trova il suo corrispondente in fase di appello nell'art. 348, I co. c.p.c., il quale espressamente prevede la sanzione dell'improcedibilità dell'appello, se l'appellante non si costituisce nei termini. E' pacifico che anche in tal caso la sentenza di primo grado passa in giudicato.
Ancora, può richiamarsi l'inammissibilità dell'opposizione, perchè proposta dopo il termine di cui all'art. 641 c.p.c., ed alla analogia di trattamento rispetto al mancato rispetto in fase di impugnazione dei termini perentori di cui agli artt. 325 e 327 c.p.c.. Tale disciplina risponde all'elementare esigenza di porre a carico della parte opponente/appellante, che si avvale dei rimedi previsti per evitare il consolidarsi di provvedimento giudiziale idoneo al giudicato e per ottenerne la revoca/riforma, l'onere di proporre e coltivare ritualmente il processo di opposizione/ di gravame, ponendo in essere ritualmente tutti gli atti di impulso necessari.
Alla luce di quanto sopra, si ritiene che la interpretazione delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 28/10 e s.m.i. in materia di conseguenze dell'omessa mediazione non possa prescindere dalla particolare natura dei giudizi cui essa si riferisce, e segnatamente dalle peculiarità dello speciale giudizio di opposizione a D.I., che presenta i suddetti aspetti di analogia con i giudizi impugnatori.
Al fine di non optare per una interpretazione dell'art. 5, II co. D.Lgs. citato, incoerente e dissonante con le suddette peculiarità, deve pertanto ritenersi che nell'opposizione a D.I., così come per i procedimenti di appello, la locuzione “improcedibilità della domanda giudiziale” debba interpretarsi alla stregua di improcedibilità/estinzione dell'opposizione (o dell'impugnazione in caso di appello) e non come improcedibilità della domanda monitoria consacrata nel provvedimento ingiuntivo.
Invero, la tesi opposta, al di là delle suggestioni relative all'inversione delle qualità formali e sostanziali delle parti, costituenti anch'esse caratteristiche del procedimento speciale per ingiunzione e della relativa opposizione, appare fondata su una mera interpretazione letterale della disciplina, secondo cui “l'improcedibilità della domanda giudiziale” sarebbe senz'altro da individuare, anche ai sensi dell'art. 39 ultimo comma c.p.c., nell'originario ricorso monitorio.
Tuttavia, così argomentando, si verrebbe a configurare, come è stato evidenziato in dottrina, una singolare “improcedibilità postuma” che dovrebbe colpire un provvedimento giudiziario condannatorio idoneo al giudicato sostanziale, già definitivamente emesso, ancorchè sub judice.
Si tratterebbe, in sostanza, di sanzione processuale che non consta abbia eguali nell'ordinamento processuale. Il tutto senza considerare l'inopportunità di porre nel nulla una pretesa che è già stata scrutinata positivamente dall'autorità giudiziaria, sia pure non nel contraddittorio delle parti, con provvedimento idoneo al giudicato sostanziale.
L'incongruenza appare vieppiù marcata allorchè si consideri l'ipotesi in cui il provvedimento monitorio opposto sia stato concesso esecutivo o tale qualità abbia acquisito a seguito dello scrutinio di cui all'artt. 648 c.p.c.. L'esecutorietà infatti, come categoria generale del diritto positivo, cui deve essere riferita la natura dell'ingiunzione di pagamento esecutiva ex art. 642 c.p.c., viene definita in modo ampiamente condiviso come efficacia tipica dell'atto, cui si può dare esecuzione anche contro la volontà dei destinatari, possibilità cioè di portare in esecuzione il provvedimento contro la volontà del soggetto nei cui confronti è destinato a produrre effetti.
L'esecutorietà si atteggia pertanto come attitudine irretrattabile a porre in esecuzione il comando contenuto nel titolo, totalmente sottratto all'attività, apprezzamento, volontà delle parti di impedirne, modificarne o attenuarne gli effetti, fino agli eventuali rimedi endoprocessuali propri del titolo o alla definitiva caducazione del titolo stesso che, nell'ipotesi di improcedibilità della domanda monitoria per mancato esperimento della mediazione, vedrebbe la relativa pretesa, oltre che fulminata da “improcedibilità postuma”, la caducazione di un titolo esecutivo già esistente, perfetto ed il cui fondamento è già stato scrutinato, in limine e senza alcun ulteriore esame del merito.
In parallelo può considerarsi che se davvero domanda improcedibile dovesse ritenersi quella svolta in sede monitoria, nel giudizio d'appello avverso la sentenza di primo grado, che abbia interamente accolto la pretesa formulata con l'ingiunzione, con gravame proposto dal debitore condannato che non abbia avanzato alcuna riconvenzionale, l'inosservanza della mediazione disposta dal giudice d'appello ai sensi dell'art. 5 II co. D.Lgs. 28/2010 verrebbe a comportare non soltanto l'improcedibilità del giudizio di appello (cui solo dovrebbe fisiologicamente conseguire il passaggio in giudicato della sentenza impugnata), bensì in definitiva dell'intero giudizio di primo grado e della sentenza impugnata confermativa del decreto ingiuntivo opposto, che verrebbe a trovarsi revocato per effetto dell'alquanto “postuma improcedibilità” derivante dalla mancata mediazione in appello. Dovrebbe cioè ritenersi caducato in sede di appello il decreto ingiuntivo opposto, già scrutinato nel merito e confermato in primo grado con sentenza appellata, per il mancato svolgimento della mediazione ordinata in sede di impugnazione.
Fare riferimento alla domanda sostanziale, ed alla nozione di attore in senso sostanziale, porterebbe inoltre all'inevitabile conseguenza, semprechè nelle more non siano maturate decadenze o prescrizioni, che il processo potrebbe ricominciare da zero (nuovo ricorso monitorio, conseguente opposizione ecc.), con evidente eterogenesi dei fini nell'assunzione di una sorta di effetto anti deflattivo dell'istituto della mediazione delegata.
Infatti in caso di omessa mediazione nell'opposizione a D.I. non si avrebbe alcuna deflazione effettiva, bensì il raddoppio dei processi e degli adempimenti: il creditore che non ottenga soddisfazione dal processo “improcedibile” non esiterà, nella maggior parte dei casi, a riproporre in via giudiziale la medesima domanda.
Al contrario, la soluzione interpretativa qui accolta esalta la portata e l'efficacia deflattiva dell'istituto, essendo evidente che il formarsi del giudicato rende non più ulteriormente discutibile il rapporto controverso, con conseguente rigetto in rito dell'eventuale riproposizione della medesima domanda (o di altre con questa incompatibili).
Le questioni poste a base dell'opposizione a DI, come nel caso dell'appello, una volta dichiarate “improcedibili”, non potrebbero essere più utilmente riproposte.
Nè d'altra parte può ritenersi, come sostenuto dal Tribunale di Varese, che tale soluzione circa l'opposizione a D.I., creerebbe “un irragionevole squilibrio ai danni del debitore che non solo subisce l'ingiunzione di pagamento a contraddittorio differito, ma nella procedura successiva alla fase sommaria, viene pure gravato di altro onere che, nel procedimento ordinario, non spetterebbe a lui. E ciò sulla base di una scelta discrezionale del creditore”.
Invero, non può ravvisarsi alcuna disparità irragionevole nella circostanza che la scelta tra i diversi strumenti processuali attivabili dall'attore sostanziale possa comportare oneri e costi diversi per la parte convenuta.
D'altra parte non è seriamente contestabile la piena legittimità e compatibilità del rito monitorio e della disciplina codicistica dell'opposizione con i principi del giusto processo di cui all'art. 111 Cost., e ciò anche se è indubbio che la scelta tra le diverse opzioni possibili di esercizio del diritto di azione, e segnatamente quella del rito monitorio, pone a carico della parte ingiunta oneri diversi ed ulteriori (si pensi solo al termine più breve per proporre l'opposizione, rispetto a quello di cui all'art. 163-bis c.p.c., e di costituzione in giudizio, ovvero ai costi di iscrizione a ruolo e di notifica della causa di opposizione) rispetto a quelli che la stessa deve assolvere, ove evocata in giudizio in via ordinaria.
Ciò che è certo è che i costi della promozione della mediazione, che consistono in sostanza nella mera redazione ed invio della richiesta all'organismo di mediazione con pagamento delle spese di segreteria per poche decine di Euro, per la loro obbiettiva modestia, non possono certo considerarsi di per sè tali da far valutare irragionevole la scelta legislativa in questione.
D'altra parte va richiamato il combinato disposto di cui agli artt. 5 comma 2-bis e 17, comma 5-ter D.Lgs. N. 28/10, così come introdotti dal DL 69/13 conv. L. 98/13, da cui si evince, da un lato, che la condizione di procedibilità della domanda giudiziale “si considera avverata se il primo incontro avanti al mediatore si conclude senza l'accordo” e, dall'altro, che “nel caso di mancato accordo all'esito del primo incontro, nessun compenso è dovuto per l'organismo di mediazione”, purchè, come all'inizio evidenziato e ritenuto, l'incontro ed il tentativo si mediazione sia effettivo e non meramente nominalistico e apparente (verbale figurativo, apposizione di data, firme e timbri).
Non sembra pertanto che porre l'onere dell'avvio della mediazione a carico del debitore opponente comporti alcun apprezzabile sacrificio.
Si aggiunga che tale opzione interpretativa, che pone a carico della parte opponente l'onere della proposizione della mediazione, dovrà applicarsi, ovviamente, non solo nei giudizi ex art. 645 c.p.c., ma ogni qualvolta il processo abbia già prodotto un provvedimento idoneo al giudicato ex art. 2909 c.c.. (es. ordinanze ex art. 186-bis e ter c.p.c. ecc.).
Anche in tal caso la omessa mediazione comporterà la intangibilità del provvedimento adottato, con le inevitabili conseguenze circa gli antecedenti logici della decisione e l'oggetto del giudicato.
L'opzione ermeneutica in questa sede patrocinata ha peraltro trovato la conferma della Corte regolatrice, che così ha ritenuto: “In tema di opposizione a decreto ingiuntivo, l'onere di esperire il tentativo obbligatorio di mediazione verte sulla parte opponente poichè l'art. 5 del D.Lgs. n. 28 del 2010 deve essere interpretato in conformità alla sua "ratio" e, quindi, al principio della ragionevole durata del processo, sulla quale può incidere negativamente il giudizio di merito che l'opponente ha interesse ad introdurre” (Sez. 3, Sentenza n. 24629 del 03/12/2015).
Va pertanto dichiarata l'improcedibilità dell'opposizione.
Resta assorbita ogni questione di merito.
Le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.

PQM

Definitivamente pronunziando sulla domanda proposta da omissis con atto di citazione ritualmente notificato nei confronti di omissis ogni diversa e contraria istanza, eccezione, richiesta disattesa così provvede: dichiara improcedibile l'opposizione e per l'effetto conferma il decreto ingiuntivo n. omissis concesso dal Tribunale di Firenze; condanna omissis al pagamento delle spese processuali che si liquidano in € 12.000,00 per compensi, oltre il 15% per spese generali, IVA e CAP sull'imponibile come per legge. Sentenza immediatamente e provvisoriamente esecutiva ai sensi del D.L. 18 ottobre 1995 n. 432, convertito con modificazioni nella L. 20.12.1995 n. 534.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

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Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 5/2018

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