=> Tribunale di Firenze, 23 novembre 2016
In caso di omessa mediazione si verifica l'improcedibilità dell’opposizione (art. 5, d.lgs. 28/2010) con conseguente passaggio in giudicato del
decreto ingiuntivo opposto. Tale tesi è l'unica che si armonizza con i
principi generali in materia di effetti
dell’inattività delle parti nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e che valorizza la ratio deflattiva del procedimento di
mediazione (I) (II).
(I) Per la
versione aggiornata del d.lgs. 28/2010 si veda: D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 aggiornato al d.l. 50/2017 conv. con mod. in l. 96/2017 - manovra correttiva 2017(Osservatorio Mediazione Civile n. 46/2017).
(II) Per approfondimenti si veda SPINA, Mediazione e opposizione a decreto ingiuntivo: i contrastanti orientamenti interpretativi sulla sanzione dell’improcedibilità della domanda (Osservatorio
Mediazione Civile n. 37/2017)
Fonte: Osservatorio
Mediazione Civile n. 6/2018
Tribunale di Firenze
sentenza
23 novembre 2016
Omissis
Con ordinanza del
16 febbraio 2016, veniva disposta la mediazione delegata della presente causa,
statuendosi che “le parti sostanziali”, assistite dagli avvocati, esperissero
il procedimento di mediazione presso un organismo accreditato ex art. 5 del
D.Lgs. 28/10, come mod. dalla L. 98/13.
Nella statuizione
era stato precisato alle parti che “ai sensi dell'art. 5, c. 2, D.Lgs. citato,
il mancato esperimento dell'effettivo tentativo di mediazione è sanzionato a
pena di improcedibilità della domanda”.
Il procedimento di
mediazione è stato introdotto su iniziativa dell'opposto omissis e non si è, in
realtà, effettivamente svolto unicamente a causa del contegno tenuto
dall'opponente sig. omissis, che ne ha impedito di fatto lo svolgimento non partecipandovi.
Dagli atti del
procedimento di mediazione prodotti unitamente alla nota esplicativa depositata
in data 19/06/2016, emerge che: introdotta il 01/03/2016 la domanda per
l'esperimento della mediazione delegata avanti all'Organismo di Conciliazione
della Camera di Commercio di Firenze da omissis, l'Organismo procedeva alla
fissazione dell'incontro fra le parti per il giorno 25/05/2016, h. 10,00 ed a
far pervenire avviso della convocazione a omissis in data 19/04/2016; in data
il giorno 25/05/2016, alle ore 10,00 il mediatore, constatata la presenza
personale di omissis e del suo difensore Avv. omissis, dava atto che
Deve quindi
ritenersi che il mancato effettivo esperimento –come richiesto- della
mediazione sia in tutto dipeso dalla mancata comparizione dell'odierno
opponente e che sia quindi interamente addebitabile a omissis.
Ritiene dunque il
Tribunale che la condizione di procedibilità non si sia avverata, per mancato
esperimento del procedimento di mediazione.
È vero che l'art. 5
comma 2-bis L. n. 28/2010 stabilisce che “la condizione di procedibilità si
considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza
accordo.”.
Tale disposizione,
tuttavia, non appare connotata da un'effettiva valenza precettiva, per la
semplice e decisiva ragione che sarebbe in contrasto con la nozione stessa di
condizione di procedibilità, con la ratio legis e con la funzione deflativa
dell'istituto della mediazione delegata se, dopo che il giudice ha ritenuto che
sussistano i presupposti per l'esperimento del procedimento di ADR (Alternative
Dispute Resolution), tale strumento deflativo potesse essere vanificato per
effetto di una scelta rimessa alla volontà delle parti, facoltizzate - secondo
questa non condivisibile chiave interpretativa – a non presentarsi all'incontro
fissato dal mediatore come se da ciò alcunchè potesse derivare.
La mediazione non è
una mera formalità cui le parti vengano arbitrariamente assoggettate, ma una
ricerca effettiva di una soluzione della lite alternativa al processo, che la
comunità nazionale ha stabilito per legge debba essere effettivamente svolta,
obbligatoriamente in certi casi e su disposizione del giudice in altri, a pena
di improcedibilità della domanda giudiziale.
Osserva per
completezza il Tribunale che la prescelta opzione ermeneutica si allinea all'
indirizzo di questo Ufficio (v., ex multis, Tribunale di Firenze, ordinanza del
17.03.2014; Sentenza n. 2769/2014).
Ritenuto pertanto
il mancato esperimento del procedimento di mediazione delegata ai sensi dell'art.
5, II co. D.Lgs. 28/2010 e s.m.i., deve valutarsi in questa sede la conseguenza
di tale omissione, avuto riguardo alla particolare natura del giudizio qui
instaurato (opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell'art. 645).
La disposizione
citata prevede che “… il giudice, anche in sede di giudizio di appello,
valutata la natura della causa, lo stato dell'istruzione ed il comportamento
delle parti, può disporre l'esperimento del procedimento di mediazione; in tal
caso l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità
della domanda giudiziale anche in sede di appello”.
Il comma 4 della
medesima disposizione prescrive inoltre che i commi 1-bis e 2, e cioè quelli
che prevedono la mediazione obbligatoria prima del giudizio, ovvero la
mediazione delegata dal giudice per le cause già pendenti, non si applicano “
nei procedimenti di ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia
sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione” (lett.
a).
Con tale disposizione
la legge ha escluso sia che la proposizione del ricorso monitorio o della
opposizione in materia rientrante tra quelle per le quali è prevista la
necessaria mediazione ante causam, siano condizionate da tale incombente, sia
che in tali procedimenti e nel susseguente giudizio di opposizione sino a
quando siano stati adottati i provvedimenti, ritenuti evidentemente urgenti ed
incompatibili con i tempi della mediazione, di cui agli artt. 648 e 649 c.p.c.,
possa essere disposta la mediazione delegata dal giudice.
La ratio di tale
disciplina è evidente. Si è cioè ritenuto che lo svolgimento della procedura di
mediazione fosse sostanzialmente incompatibile con le peculiari caratteristiche
del procedimento monitorio, caratterizzato dalla rapidità e assenza di previa
attivazione del contraddittorio, e dell'opposizione, il cui termine di
proponibilità è contingentato dall'art. 641 c.p.c..
La disposizione
dunque, ad avviso di questo interprete, è leggibile nel solo senso che è con
selettivo riferimento alla domanda che sostiene l'opposizione che introduce il
giudizio a cognizione piena, dopo l'adozione dei provvedimenti considerati
urgenti e latu sensu cautelari, che diviene possibile l'esperimento della
mediazione, procedimento cognitivo e relativa domanda cui dunque deve ritenersi
la legge faccia sul punto esclusivo riferimento.
Ciò posto, resta
fermo che ai sensi dell'art. 5, co. II, citato, il mancato esperimento della
mediazione delegata dal giudice, così come nel caso di mediazione ante causam,
comporta la ”improcedibilità della domanda giudiziale”.
Muovendo della
obbiettiva non univocità delle disposizioni letterali utilizzate (dimostrata
dalla pluralità di voci dottrinali e da orientamenti giurisprudenziali
antitetici) e valorizzando la particolare disciplina giuridica del giudizio di
opposizione, si ritiene di sostenere, in caso di omessa mediazione,
l'improcedibilità della opposizione con conseguente passaggio in giudicato del
D.I. opposto (Trib. Prato, sent. 18.7.2011, est.
I.; Trib. Rimini sent. 5.8.14 est. B. in omissis, Trib. Siena 25.6.2012,
est. C.).
La tesi
dell'improcedibilità della opposizione è infatti l'unica che si armonizza con i
principi generali in materia di effetti della inattività delle parti nel
giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e che valorizza la ratio
deflattiva del procedimento di mediazione.
Il giudizio di
opposizione a decreto ingiuntivo, pur instaurando certamente un giudizio
ordinario di cognizione in base al rinvio di cui all'art. 645 c.p.c., vede
esaurirsi tale ordinarietà nella chiamata a udienza fissa, nel contraddittorio
delle parti e nella piena cognizione che ne deriva.
Per il resto il
procedimento è interamente contemplato dal codice di rito nel Capo I (Del
procedimento di ingiunzione) del Titolo I (Dei procedimenti sommari) del Libro
IV, intitolato ai procedimenti speciali.
A tacere dei
termini contingentati per proporre l'opposizione contro un provvedimento idoneo
ad essere eseguito, deve riconoscersi al giudizio la natura di continuazione
della disputa provocata dalla pretesa monitoria, in quanto non è un mezzo di
impugnazione, ma un ulteriore sviluppo del procedimento monitorio ossia una sua
fase successiva, che vede proprio in tale provocatio ad opponendum l'unica
effettiva ragione dell'inversione sostanziale delle posizioni processuali delle
parti, altro fortissimo elemento di specialità, con l'ingiungente nella
posizione di convenuto opposto e l'ingiunto in quella di attore opponente:
opponiti, se hai ragioni più forti (resistunt veritati, si potiora). Peraltro,
è proprio dal momento della proposizione dell'opposizione che la cognizione
diviene piena, con conseguenti pieni oneri probatori delle parti, diminuiti
nella fase monitoria.
Nella risposta
oppositiva all'ingiunzione non può pertanto non essere riconosciuta una
inalienabile componente di domanda di accertamento negativo dell'esistenza del
credito agito in sede monitoria, tanto che l'opponente è certamente gravato
dall'onere probatorio di distruggere i fatti costitutivi della pretesa
dell'opposto per vedere affermare che niente deve (Cass. Sez. U, Sentenza n.
13533 del 30/10/2001; Sez. 3, Sentenza n. 3373 del 12/02/2010; Sez. 1, Sentenza
n. 15659 del 15/07/2011).
Domanda di
accertamento talmente insita nell'opposizione che addirittura nell'ipotesi in
cui l'opponente non formuli alcuna domanda in senso tecnico, egli avanzerebbe
quantomeno la propria negativa sulla pretesa monitoria, contenente sempre, fra
l'altro, per implicito, nel suo contenuto oggettivo (petitum) quella di
restituzione della somma che l'opponente sia costretto a pagare in conseguenza
della concessa esecuzione provvisoria del decreto (Sez. 3, Sentenza n. 2451 del
08/08/1962).
Domanda di
accertamento negativo che non vi è alcuna insuperabile ragione di ritenere non
sia quella considerata dall'art. 5, II co. D.Lgs. 28/2010, proprio in ragione
delle considerate specialità del giudizio di opposizione, fase conseguente del
giudizio speciale monitorio, che su tale specifico punto pone in generale gli
effetti negativi del consolidamento definitivo del decreto opposto a carico
dell'attore opponente qualora si determini l'estinzione del giudizio di
opposizione.
Infatti, la mancata
attivazione della mediazione disposta dal giudice, muovendo dalla ritenuta non
decisività della terminologia utilizzata dal Legislatore e dalla sanzione
prevista (improcedibilità della domanda giudiziale, anche in appello), altro
non è che una forma qualificata di inattività delle parti, per avere le stesse
omesso di dare esecuzione all'ordine del giudice.
Secondo la legge
processuale l'inattività delle parti rispetto a specifici adempimenti comporta,
di regola, l'estinzione del processo (si pensi all'inosservanza all'ordine
giudiziale di integrazione del contraddittorio nei confronti di litisconsorte
necessario, alla mancata rinnovazione della citazione, alla omessa riassunzione
del processo, alla mancata comparizione delle parti a due udienze consecutive –
artt. 102, 181, 307 e 309 c.p.c.).
L'estinzione non
produce peraltro particolari effetti sotto il profilo sostanziale, salvo che
nelle more della pendenza del giudizio estinto non sia maturata qualche
decadenza o prescrizione di natura sostanziale.
Recita, infatti,
l'art. 310, I co. c.p.c. che “l'estinzione del processo non estingue l'azione”.
In buona sostanza,
la parte, che vede “cadere” il processo a seguito di declaratoria di
estinzione, ben potrà avviare una nuova iniziativa processuale, riproponendo la
medesima domanda di merito.
Tale regola, però,
non vale in caso di estinzione riguardante il giudizio di opposizione a D.I.
E' infatti previsto
che, in tal caso, “il decreto, che non ne sia già munito, acquista efficacia
esecutiva” giusto il disposto di cui all'art. 653, I co. c.p.c..
Secondo la costante
interpretazione della giurisprudenza di legittimità, concorde la dottrina, tale
disposizione va intesa nel senso che l'estinzione del giudizio di opposizione
produce gli stessi effetti dell'estinzione del giudizio di impugnazione: il
decreto ingiuntivo opposto diviene definitivo ed acquista l'incontrovertibilità
tipica del giudicato (Cass. n. 4294/2004; n. 849/00).
Non sarà pertanto
possibile riproporre l'opposizione e resteranno coperti da giudicato implicito
tutte le questioni costituenti antecedente logico necessario della decisione
monitoria (cfr. sul punto, tra le altre, Cass. n. 15178/00).
Evidente è
l'analogia di ratio e di disciplina tra l'estinzione dell'opposizione a D.I. e
quella del processo di appello (art. 338 c.p.c. secondo cui “l'estinzione del
giudizio di appello… fa passare in giudicato la sentenza impugnata…”). Analoga
conseguenza deriva dalla sanzione processuale prevista in caso di tardiva
costituzione in giudizio dell'opponente. Sul punto è consolidata la giurisprudenza
di legittimità nel senso di ritenere che in tal caso l'opposizione è
improcedibile (tra le tante, Cass. n. 15727/06; nello stesso senso Cass. n.
25621/08), con passaggio in giudicato del D.I. (così come si evince dal
combinato disposto di cui agli artt. 647 e 656 c.p.c.).
Trattasi di
disposizione che trova il suo corrispondente in fase di appello nell'art. 348,
I co. c.p.c., il quale espressamente prevede la sanzione dell'improcedibilità
dell'appello, se l'appellante non si costituisce nei termini. E' pacifico che
anche in tal caso la sentenza di primo grado passa in giudicato.
Ancora, può
richiamarsi l'inammissibilità dell'opposizione, perchè proposta dopo il termine
di cui all'art. 641 c.p.c., ed alla analogia di trattamento rispetto al mancato
rispetto in fase di impugnazione dei termini perentori di cui agli artt. 325 e
327 c.p.c.. Tale disciplina risponde all'elementare esigenza di porre a carico
della parte opponente/appellante, che si avvale dei rimedi previsti per evitare
il consolidarsi di provvedimento giudiziale idoneo al giudicato e per ottenerne
la revoca/riforma, l'onere di proporre e coltivare ritualmente il processo di
opposizione/ di gravame, ponendo in essere ritualmente tutti gli atti di
impulso necessari.
Alla luce di quanto
sopra, si ritiene che la interpretazione delle disposizioni di cui al D.Lgs. n.
28/10 e s.m.i. in materia di conseguenze dell'omessa mediazione non possa
prescindere dalla particolare natura dei giudizi cui essa si riferisce, e
segnatamente dalle peculiarità dello speciale giudizio di opposizione a D.I.,
che presenta i suddetti aspetti di analogia con i giudizi impugnatori.
Al fine di non
optare per una interpretazione dell'art. 5, II co. D.Lgs. citato, incoerente e
dissonante con le suddette peculiarità, deve pertanto ritenersi che
nell'opposizione a D.I., così come per i procedimenti di appello, la locuzione
“improcedibilità della domanda giudiziale” debba interpretarsi alla stregua di
improcedibilità/estinzione dell'opposizione (o dell'impugnazione in caso di appello)
e non come improcedibilità della domanda monitoria consacrata nel provvedimento
ingiuntivo.
Invero, la tesi
opposta, al di là delle suggestioni relative all'inversione delle qualità
formali e sostanziali delle parti, costituenti anch'esse caratteristiche del
procedimento speciale per ingiunzione e della relativa opposizione, appare
fondata su una mera interpretazione letterale della disciplina, secondo cui
“l'improcedibilità della domanda giudiziale” sarebbe senz'altro da individuare,
anche ai sensi dell'art. 39 ultimo comma c.p.c., nell'originario ricorso
monitorio.
Tuttavia, così
argomentando, si verrebbe a configurare, come è stato evidenziato in dottrina,
una singolare “improcedibilità postuma” che dovrebbe colpire un provvedimento
giudiziario condannatorio idoneo al giudicato sostanziale, già definitivamente
emesso, ancorchè sub judice.
Si tratterebbe, in
sostanza, di sanzione processuale che non consta abbia eguali nell'ordinamento
processuale. Il tutto senza considerare l'inopportunità di porre nel nulla una
pretesa che è già stata scrutinata positivamente dall'autorità giudiziaria, sia
pure non nel contraddittorio delle parti, con provvedimento idoneo al giudicato
sostanziale.
L'incongruenza
appare vieppiù marcata allorchè si consideri l'ipotesi in cui il provvedimento
monitorio opposto sia stato concesso esecutivo o tale qualità abbia acquisito a
seguito dello scrutinio di cui all'artt. 648 c.p.c.. L'esecutorietà infatti,
come categoria generale del diritto positivo, cui deve essere riferita la natura
dell'ingiunzione di pagamento esecutiva ex art. 642 c.p.c., viene definita in
modo ampiamente condiviso come efficacia tipica dell'atto, cui si può dare
esecuzione anche contro la volontà dei destinatari, possibilità cioè di portare
in esecuzione il provvedimento contro la volontà del soggetto nei cui confronti
è destinato a produrre effetti.
L'esecutorietà si
atteggia pertanto come attitudine irretrattabile a porre in esecuzione il
comando contenuto nel titolo, totalmente sottratto all'attività, apprezzamento,
volontà delle parti di impedirne, modificarne o attenuarne gli effetti, fino
agli eventuali rimedi endoprocessuali propri del titolo o alla definitiva
caducazione del titolo stesso che, nell'ipotesi di improcedibilità della
domanda monitoria per mancato esperimento della mediazione, vedrebbe la
relativa pretesa, oltre che fulminata da “improcedibilità postuma”, la
caducazione di un titolo esecutivo già esistente, perfetto ed il cui fondamento
è già stato scrutinato, in limine e senza alcun ulteriore esame del merito.
In parallelo può
considerarsi che se davvero domanda improcedibile dovesse ritenersi quella
svolta in sede monitoria, nel giudizio d'appello avverso la sentenza di primo
grado, che abbia interamente accolto la pretesa formulata con l'ingiunzione,
con gravame proposto dal debitore condannato che non abbia avanzato alcuna
riconvenzionale, l'inosservanza della mediazione disposta dal giudice d'appello
ai sensi dell'art. 5 II co. D.Lgs. 28/2010 verrebbe a comportare non soltanto
l'improcedibilità del giudizio di appello (cui solo dovrebbe fisiologicamente
conseguire il passaggio in giudicato della sentenza impugnata), bensì in
definitiva dell'intero giudizio di primo grado e della sentenza impugnata
confermativa del decreto ingiuntivo opposto, che verrebbe a trovarsi revocato
per effetto dell'alquanto “postuma improcedibilità” derivante dalla mancata
mediazione in appello. Dovrebbe cioè ritenersi caducato in sede di appello il
decreto ingiuntivo opposto, già scrutinato nel merito e confermato in primo
grado con sentenza appellata, per il mancato svolgimento della mediazione
ordinata in sede di impugnazione.
Fare riferimento
alla domanda sostanziale, ed alla nozione di attore in senso sostanziale,
porterebbe inoltre all'inevitabile conseguenza, semprechè nelle more non siano
maturate decadenze o prescrizioni, che il processo potrebbe ricominciare da
zero (nuovo ricorso monitorio, conseguente opposizione ecc.), con evidente
eterogenesi dei fini nell'assunzione di una sorta di effetto anti deflattivo
dell'istituto della mediazione delegata.
Infatti in caso di
omessa mediazione nell'opposizione a D.I. non si avrebbe alcuna deflazione
effettiva, bensì il raddoppio dei processi e degli adempimenti: il creditore
che non ottenga soddisfazione dal processo “improcedibile” non esiterà, nella
maggior parte dei casi, a riproporre in via giudiziale la medesima domanda.
Al contrario, la
soluzione interpretativa qui accolta esalta la portata e l'efficacia deflattiva
dell'istituto, essendo evidente che il formarsi del giudicato rende non più
ulteriormente discutibile il rapporto controverso, con conseguente rigetto in
rito dell'eventuale riproposizione della medesima domanda (o di altre con
questa incompatibili).
Le questioni poste
a base dell'opposizione a DI, come nel caso dell'appello, una volta dichiarate
“improcedibili”, non potrebbero essere più utilmente riproposte.
Nè d'altra parte
può ritenersi, come sostenuto dal Tribunale di Varese, che tale soluzione circa
l'opposizione a D.I., creerebbe “un irragionevole squilibrio ai danni del
debitore che non solo subisce l'ingiunzione di pagamento a contraddittorio
differito, ma nella procedura successiva alla fase sommaria, viene pure gravato
di altro onere che, nel procedimento ordinario, non spetterebbe a lui. E ciò
sulla base di una scelta discrezionale del creditore”.
Invero, non può
ravvisarsi alcuna disparità irragionevole nella circostanza che la scelta tra i
diversi strumenti processuali attivabili dall'attore sostanziale possa
comportare oneri e costi diversi per la parte convenuta.
D'altra parte non è
seriamente contestabile la piena legittimità e compatibilità del rito monitorio
e della disciplina codicistica dell'opposizione con i principi del giusto
processo di cui all'art. 111 Cost., e ciò anche se è indubbio che la scelta tra
le diverse opzioni possibili di esercizio del diritto di azione, e segnatamente
quella del rito monitorio, pone a carico della parte ingiunta oneri diversi ed
ulteriori (si pensi solo al termine più breve per proporre l'opposizione,
rispetto a quello di cui all'art. 163-bis c.p.c., e di costituzione in
giudizio, ovvero ai costi di iscrizione a ruolo e di notifica della causa di
opposizione) rispetto a quelli che la stessa deve assolvere, ove evocata in
giudizio in via ordinaria.
Ciò che è certo è
che i costi della promozione della mediazione, che consistono in sostanza nella
mera redazione ed invio della richiesta all'organismo di mediazione con
pagamento delle spese di segreteria per poche decine di Euro, per la loro
obbiettiva modestia, non possono certo considerarsi di per sè tali da far
valutare irragionevole la scelta legislativa in questione.
D'altra parte va
richiamato il combinato disposto di cui agli artt. 5 comma 2-bis e 17, comma
5-ter D.Lgs. N. 28/10, così come introdotti dal DL 69/13 conv. L. 98/13, da cui
si evince, da un lato, che la condizione di procedibilità della domanda
giudiziale “si considera avverata se il primo incontro avanti al mediatore si
conclude senza l'accordo” e, dall'altro, che “nel caso di mancato accordo
all'esito del primo incontro, nessun compenso è dovuto per l'organismo di
mediazione”, purchè, come all'inizio evidenziato e ritenuto, l'incontro ed il
tentativo si mediazione sia effettivo e non meramente nominalistico e apparente
(verbale figurativo, apposizione di data, firme e timbri).
Non sembra pertanto
che porre l'onere dell'avvio della mediazione a carico del debitore opponente
comporti alcun apprezzabile sacrificio.
Si aggiunga che
tale opzione interpretativa, che pone a carico della parte opponente l'onere
della proposizione della mediazione, dovrà applicarsi, ovviamente, non solo nei
giudizi ex art. 645 c.p.c., ma ogni qualvolta il processo abbia già prodotto un
provvedimento idoneo al giudicato ex art. 2909 c.c.. (es. ordinanze ex art. 186-bis
e ter c.p.c. ecc.).
Anche in tal caso
la omessa mediazione comporterà la intangibilità del provvedimento adottato,
con le inevitabili conseguenze circa gli antecedenti logici della decisione e
l'oggetto del giudicato.
L'opzione
ermeneutica in questa sede patrocinata ha peraltro trovato la conferma della
Corte regolatrice, che così ha ritenuto: “In tema di opposizione a decreto
ingiuntivo, l'onere di esperire il tentativo obbligatorio di mediazione verte
sulla parte opponente poichè l'art. 5 del D.Lgs. n. 28 del 2010 deve essere
interpretato in conformità alla sua "ratio" e, quindi, al principio
della ragionevole durata del processo, sulla quale può incidere negativamente
il giudizio di merito che l'opponente ha interesse ad introdurre” (Sez. 3,
Sentenza n. 24629 del 03/12/2015).
Va pertanto
dichiarata l'improcedibilità dell'opposizione.
Resta assorbita
ogni questione di merito.
Le spese seguono la
soccombenza, liquidate come in dispositivo.
PQM
Definitivamente
pronunziando sulla domanda proposta da omissis con atto di citazione
ritualmente notificato nei confronti di omissis ogni diversa e contraria
istanza, eccezione, richiesta disattesa così provvede: dichiara improcedibile
l'opposizione e per l'effetto conferma il decreto ingiuntivo n. omissis concesso
dal Tribunale di Firenze; condanna omissis al pagamento delle spese processuali
che si liquidano in € 12.000,00 per compensi, oltre il 15% per spese generali,
IVA e CAP sull'imponibile come per legge. Sentenza immediatamente e
provvisoriamente esecutiva ai sensi del D.L. 18 ottobre 1995 n. 432, convertito
con modificazioni nella L. 20.12.1995 n. 534.