DIRITTO D'AUTORE


Tutti i testi e le massime giurisprudenziali sono coperti da diritto d’autore. Uso consentito citando la fonte con relativo link. Pregasi segnalare la citazione.

30 gennaio 2017

7/17. Istanza di mediazione sottoscritta solo dal difensore: improcedibilità. Termine di 15 giorni per avviare la mediazione: natura perentoria (Osservatorio Mediazione Civile n. 7/2017)

=> Tribunale di Modena, 10 giugno 2016

La domanda di mediazione con cui la parte chieda l'avvio di una procedura di mediazione (assistito dal proprio difensore, ma senza prevedere nella delega che il difensore avesse facoltà di presentare in proprio la domanda e sottoscriverla) se viene sottoscritta dal solo difensore, è affetta da insanabile contraddittorietà intrinseca che impedisce di considerarla validamente presentata. In caso di mediazione obbligatoria ex art. 5 comma 1-bis, d.lgs. 28/2010, quindi, va dichiarata l’improcedibilità della domanda. Sarebbe infatti stata necessaria procura specifica (I).

In caso di mediazione obbligatoria ex art. 5 comma 1-bis, d.lgs. 28/2010 è da aderire all'opinione per la quale il termine di quindici giorni assegnato dal giudice per il deposito della domanda di mediazione ha natura perentoria implicita, stante la sanzione di improcedibilità contemplata dalla legge e portando l’opposta interpretazione ad arbitrarie dilatazioni del processo. Comunque, pure se la natura del termine fosse stata ordinatoria, la parte avrebbe dovuto almeno segnalare al giudice istruttore, prima della scadenza, l'opportunità di prorogarlo o proporre corrispondente istanza, ovvero successivamente alla scadenza chiedere remissione in termini, a norma degli artt. 153 e 154 c.p.c.  (I) (II).


(II) Per approfondimenti sugli artt. 153 e 154 c.p.c. si veda di recente VIOLA, CODICE DI PROCEDURA CIVILE con schemi, formule e approfondimenti(dottrina e giurisprudenza), Cedam, 2016.

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 7/2017

Tribunale di Modena
Sentenza
10 giugno 2016

Omissis

omissis ha chiesto che, previa dichiarazione di invalidità delle relative clausole contrattuali, il omissis, presso il dante causa del quale lui intestatario di conto corrente e di conto anticipi, sia condannato alla restituzione di quanto in tesi addebitato illecitamente per interessi ultralegali, interessi usurari, capitalizzazione trimestrale, spese e commissioni non dovute, erronee date di valute, variazioni peggiorative non concordate.
Il omissis oltre a contestare nel merito le domande, ha eccepito l'incompetenza territoriale per essere in tesi competente il tribunale di omissis, luogo di sua sede; dopo che il giudice istruttore aveva con ordinanza 3 aprile 2015 assegnato termine di quindici giorni per la presentazione di domanda di mediazione, ha eccepito l'improcedibilità delle domande giudiziali, giacché omissis non avrebbe validamente introdotto e esperito la mediazione.
Per quel che riguarda la questione di competenza territoriale omissis; da presumere, dunque, che i contratti siano stati conclusi nel circondario del tribunale.
Ciò posto, risulta che l'unica domanda di mediazione presentata sia quella prodotta in copia dal omissis e non è controverso che essa sia sottoscritta solamente da un difensore di omissis in questa causa, l'avvocato omissis, e non da lui personalmente; alla medesima conclusione si arriverebbe con esame “ictu oculi” delle sottoscrizioni nella citazione (l'una a grafia somigliante e inclinata, l'altra no).
Ma tale domanda di mediazione cominciava con “Il/la sottoscritto/a omissis assistito dal proprio difensore di fiducia omissis in virtù di delega allegata alla presente domanda”, sottoscritto “omissis” che “chiede l'avvio di una procedura di mediazione omissis”; nel momento in cui sottoscrive soggetto diverso da “omissis”, la domanda di mediazione è affetta da insanabile contraddittorietà intrinseca che impedisce di considerarla validamente presentata.
In ogni caso, la domanda di mediazione così come formulata prevedeva l'ipotesi di semplice assistenza del difensore di fiducia ed eventualmente delega allegata, non che il difensore di fiducia avesse facoltà di presentare in proprio la domanda e sottoscriverla; sarebbe stata necessaria, quindi, procura specifica affinché soggetto diverso dall'interessato potesse divenire “Il/la sottoscritto/a” che in nome e per conto “chiede l'avvio di una procedura di mediazione”.
Eccezioni concernenti la tempestività della costituzione del omissis sono superate dalla circostanza che la questione rilevante è venuta alla luce dopo l'ordinanza omissis del giudice istruttore; è da aderire all'opinione per la quale il termine assegnato in quell'occasione aveva natura perentoria implicita, stante la sanzione di improcedibilità contemplata dalla legge e opposta interpretazione portando ad arbitrarie dilatazioni del processo.
Comunque, pure se la natura del termine fosse stata ordinatoria, omissis avrebbe dovuto almeno segnalare al giudice istruttore, prima della scadenza, l'opportunità di prorogarlo o proporre corrispondente istanza, ovvero successivamente alla scadenza chiedere remissione in termini, a norma degli artt. 153 e 154 cod. proc. civ.; nessuna di queste attività esercitate, ugualmente ne deriverebbe improcedibilità se il termine di natura ordinatoria.
Le spese processuali seguono la maggior soccombenza, che è della parte che prima del giudizio era onerata dello svolgimento di procedura di mediazione; l'ammontare è liquidato conformemente a dispositivo, ricordandosi che la sentenza è titolo esecutivo per il rimborso dell'Iva se dovuta, per il contributo integrativo di cui all'art. 11 della legge n. 576/80, per la tassa giudiziale di registro, senza che occorrano pronunce sui punti.
Nella causa omissis, il tribunale di Modena definisce il giudizio e decide: rigetta l'eccezione di incompetenza per territorio proposta dal omissis; dichiara improcedibili le domande proposte da omissis; condanna omissis a rimborsare al omissis le spese processuali da esso sostenute e dovute; liquida le spese processuali a oggi sostenute e dovute in 48,00 euro di esborsi e in 8.030,00 euro di compenso, oltre spese generali e accessori di legge; rigetta le contrarie e diverse domande o eccezioni.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

24 gennaio 2017

6/17. Mediazione obbligatoria: rimessione in termini; perentorietà del termine dei 15 giorni; effetti dell’improcedibilità della domanda nel rito locatizio a carico dell'intimato opponente (Osservatorio Mediazione Civile n. 6/2017)

=> Tribunale di Rimini, 24 maggio 2016

L'istanza di rimessione in termini quanto alla data di inizio del procedimento di mediazione, adducendo di non aver potuto iniziarla a causa di una malattia che non avrebbe permesso di accedere alla propria casella di posta elettronica certificata, non può essere accolta qualora da alcuna documentazione risulti provato che la malattia che avrebbe afflitto il procuratore di parte le avrebbe impedito di accedere alla propria pec per controllarne il contenuto. L'istituto della rimessione in termini, applicabile a questo particolare istituto della mediazione per analogia con l'art. 153 c.p.c. presuppone infatti la scusabilità dell'errore in cui è incorsa la parte che lo ha invocato; la decadenza deve perciò essere stata determinata da una causa non imputabile alla parte in quanto causata da un fatto estraneo alla sua volontà (I).

In merito al disposto di cui all’art.5, d.lgs. 28/2010 secondo cui qualora il mancato esperimento della mediazione venga eccepito dal convenuto o rilevato dal giudice entro la prima udienza, quest'ultimo assegna alle parti il termine di quindici giorni per l'avvio del procedimento in parola va affermato che detto termine ha natura perentoria in quanto la sanzione prevista dalla legge per la sua inosservanza consiste nella improcedibilità della domanda; stante quindi la gravità della sanzione non può ritenersi altrimenti ordinatorio il termine assegnato (II).

Se il giudizio a cognizione piena (vuoi per estinzione — anche se non espressamente richiamata dagli articoli 665-667 c.p.c. — vuoi per declaratoria di improcedibilità) non sfocia in una pronuncia di merito che prenda il posto dell'ordinanza di rilascio, ne deriva la stabilizzazione dell'ordinanza di rilascio in quanto difetta una pronuncia di merito che si saldi a detta ordinanza (assorbendola, se si tratta di pronuncia di accoglimento della domanda di condanna al rilascio; caducandola, se si tratta di pronuncia di rigetto della domanda di condanna al rilascio). A carico dell'intimato opponente, non operoso in mediazione, resta quindi l'effetto della scelta di non avere coltivato la propria opposizione e con essa le proprie eccezioni finalizzate a paralizzare la domanda di condanna al rilascio del locatore. È quindi possibile concludere nel senso che l'espressione "condizione di procedibilità della domanda" di cui all’art.5 comma 1-bis, d.lgs. 28/2010 va correttamente intesa con riferimento:
- alla domanda di accertamento negativo del diritto al rilascio proposta dall'intimato-opponente;
- alle ulteriori domande (diverse da quella originaria di condanna al rilascio stante l'intervenuta risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore) proposte dal locatore e/o dall'intimato (essenzialmente pagamento somme).
Tali domande restano travolte dalla pronuncia di improcedibilità del giudizio di opposizione proposta dall'intimato; e ciò in quanto non risultano sorrette da una pronuncia in sede di procedimento di convalida che sia idonea a sopravvivere nella fase a cognizione piena (I) (II).

(I) Per approfondimenti sugli artt. 153 e 665-667 c.p.c. si veda di recente VIOLA, CODICE DI PROCEDURA CIVILE con schemi, formule e approfondimenti(dottrina e giurisprudenza), Cedam, 2016.


Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 6/2017

Tribunale di Rimini
Sentenza
24 maggio 2016

Omissis

Con atto di citazione ritualmente notificato omissis intimava sfratto per morosità nei confronti di omissis, resasi morosa nel pagamento dei canoni di locazione da marzo a luglio 2015 per complessivi euro 2.995,50 relativamente all'immobile uso abitazione concessole in locazione con contratto sottoscritto in data 26.03.2007 sito in omissis, nel quale veniva pattuito un canone di locazione annuale di euro 6.600,00, da pagarsi in rate mensili anticipate ad oggi rivalutate in euro 573,86.
All'udienza di convalida compariva in giudizio personalmente la conduttrice opponendosi allo sfratto e richiamando la documentazione depositata in data 11.08.2015, producendo in giudizio una propria missiva del 20.09.2014, una videata di un ordine di bonifico del 04.09.2015 e una mail del 12.03.2015 a firma dell'avv. omissis.
Il giudice si riservava e con ordinanza resa fuori udienza in data 29.09.2015, ritenendo che: “dalla documentazione versata in atti e dalle doglianze rappresentate in udienza dalla sig.ra omissis non risulta che abbia comunque pagato i canoni per i quali si discute, adducendo unicamente di voler compensare tali somme con gli oneri condominiali per i quali risulterebbe creditrice; di alcun pregio è altresì il bonifico del 04.09.2015, il quale non è dimostrato sia mai pervenuto al locatore, dato che dalla videata prodotta si tratterebbe di un ordine revocabile e non della copia della contabile, mentre l'ulteriore documentazione non contribuisce a provare che la conduttrice abbia corrisposto neppure in parte i canoni arretrati. Per quanto infine riguarda il pagamento dei 10 euro richiesti dal locatore a titolo di lavaggio auto, come riportato all'udienza del 08.09.2015, tale questione dovrà essere oggetto di idonea indagine demandabile in sede di merito”, ordinava il rilascio dell'immobile, invitava le parti a tentare la mediazione obbligatoria entro 15 giorni dalla comunicazione del provvedimento, mutava il rito e fissava la prima udienza nel merito per il 04.02.2016, con termine per deposito di memorie integrative per ambo le parti.
Nelle more il procuratore di parte ricorrente con istanza del 10.11.2015 (reiterate in data 16.11.2015 e da ultimo il 15.12.2015) chiedeva di poter essere rimessa in termini quanto alla data di inizio del procedimento di mediazione, adducendo di non aver potuto iniziarla a causa di una malattia che non le avrebbe permesso di accedere alla propria casella di posta elettronica certificata.
Purtroppo l'istanza di rimessione in termini non può essere accolta, in quanto da alcuna documentazione è provato che la malattia che avrebbe afflitto il procuratore di parte ricorrente le avrebbe impedito di accedere alla propria pec per controllarne il contenuto, anche perché alcuna documentazione medica è mai stata depositata né nel fascicolo cartaceo né in quello telematico, sebbene citata nelle reiterate istanze.
L'istituto della rimessione in termini, applicabile a questo particolare istituto della mediazione per analogia con l'art. 153 c.p.c. presuppone la scusabilità dell'errore in cui è incorsa la parte che lo ha invocato. La decadenza deve perciò essere stata determinata da una causa non imputabile alla parte in quanto causata da un fatto estraneo alla sua volontà. Nel caso di specie la malattia rappresentata dal procuratore di parte ricorrente (genericamente indicata nella propria istanza e della quale allo stato si ignora la causa e la tipologia) non le avrebbe comunque impedito di poter accedere al proprio computer per controllare le mail, anche delegando tale incombente a terze persone. Questo giudice ritiene quindi in primo luogo che non sussistano i termini per concedere una rimessione nei termini come formulati dal ricorrente ed in secondo luogo che l'esperimento del tentativo di conciliazione obbligatorio sia condizione di procedibilità dell'azione. Ed invero, il d.lgs. 28/2010 che, all'art. 5 ha introdotto, quale condizione di procedibilità per le controversie aventi ad oggetto i contratti locativi l'esperimento di un procedimento di mediazione ai sensi del medesimo decreto, prevedendo che altresì, qualora il mancato esperimento della mediazione venga eccepito dal convenuto o rilevato dal giudice entro la prima udienza, quest'ultimo assegni alle parti il termine di quindici giorni per l'avvio del procedimento in parola.
L'articolo in questione infatti recita: “chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa ad una controversia in materia di ... locazione ... è tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione (comma 1) ... I commi 1 e 2 non si applicano: b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all'articolo 667 del codice di procedura civile (comma 2)”.
Tale termine ha natura perentoria in quanto, come osservato dalla giurisprudenza di merito in alcune recenti pronunce, la sanzione prevista dalla legge per la sua inosservanza consiste nella improcedibilità della domanda; stante quindi la gravità della sanzione non può ritenersi altrimenti ordinatorio il termine assegnato.
Da ultimo merita di soffermarsi sulle conseguenze che una tale pronuncia comporta sull'ordinanza ex art. 665 c.p.c. con la quale il giudice ha disposto il rilascio dell'immobile, in particolare se questa conservi o meno la sua efficacia.
Dal punto di vista giuridico l'atto conclusivo del procedimento sommario di sfratto, quale è l'ordinanza di rilascio, sebbene non idonea ad acquistare autorità di giudicato in ordine al diritto fatto valere dal locatore, può essere qualificato come provvedimento di condanna con riserva delle eccezioni del convenuto, i cui effetti permangono fino a quando non viene emessa la sentenza di merito.
Il giudicante non può negare che esiste tuttora un dibattito in merito alla natura di tale atto e quindi in merito alle conseguenze in caso di estinzione del procedimento di merito, ma la soluzione più aderente alla ratio dell'intero procedimento in analisi sembra essere quella secondo la quale, se all'interno di un processo a cognizione piena si inserisca un subprocedimento che si concluda con un provvedimento sommario anticipatorio della soddisfazione del diritto di una parte, nulla disponendo (il legislatore) circa la sorte dell'ordinanza, questa non è disciplinata in via analogica dall'art.683, comma 1, c.p.c. ma dall'applicazione analogica del principio desumibile dall'art. 653 c.p.c. secondo cui l'efficacia del provvedimento sommario non cautelare non verrebbe travolta dall'estinzione del giudizio a cognizione piena. In ossequio a tale ragionamento, mutuato anche dalla costante giurisprudenza di legittimità, si può affermare che l'estinzione del procedimento di merito non abbia effetto sull'ordinanza di mutamento di rito, non travolgendola quanto ad effetti.
Se il giudizio a cognizione piena (vuoi per estinzione — anche se non espressamente richiamata dagli articoli 665-667 c.p.c. — vuoi per declaratoria di improcedibilità) non sfocia in una pronuncia di merito che prenda il posto dell'ordinanza di rilascio, ne deriva la stabilizzazione dell'ordinanza di rilascio in quanto difetta una pronuncia di merito che si saldi a detta ordinanza (assorbendola, se si tratta di pronuncia di accoglimento della domanda di condanna al rilascio; caducandola, se si tratta di pronuncia di rigetto della domanda di condanna al rilascio). A carico dell'intimato opponente, non operoso in mediazione, resta l'effetto della scelta di non avere coltivato la propria opposizione e con essa le proprie eccezioni finalizzate a paralizzare la domanda di condanna al rilascio del locatore. E' ora possibile concludere nel senso che l'espressione "condizione di procedibilità della domanda" di cui al decreto legislativo 28/2010 va correttamente intesa con riferimento:
- alla domanda di accertamento negativo del diritto al rilascio proposta dall'intimato-opponente;
- alle ulteriori domande (diverse da quella originaria di condanna al rilascio stante l'intervenuta risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore) proposte dal locatore e/o dall'intimato "(essenzialmente pagamento somme).
Tali domande restano travolte dalla pronuncia di improcedibilità del giudizio di opposizione proposta dall'intimato; e ciò in quanto non risultano sorrette da una pronuncia in sede di procedimento di convalida, che sia idonea a sopravvivere nella fase a cognizione piena. In tal senso si è di recente espresso il Tribunale di Bologna il quale ha statuito nella sentenza del 17.11.20015 che, l'ordinanza di rilascio, non impugnabile e idonea alla stabilizzazione, non risulta intaccata dalla pronuncia di improcedibilità (anche perché essa è definita non impugnabile dall'articolo 665 c.p.c., e quindi non è neppure modificabile-revocabile).
Identica sorte avrebbe l'ordinanza di rilascio, in caso di declaratoria di estinzione del giudizio a cognizione piena.
Per tali motivi il ricorso è improcedibile, mentre permangono gli effetti dell’ordinanza provvisoria di rilascio resa in data 29.09.2015.
Le spese legali, in ragione delle questioni ermeneuticamente complesse dove non si riscontrano ancora pronunce stratificate e costanti della giurisprudenza, vengono interamente compensate tra le parti.

PQM

Il giudice onorario del Tribunale di Rimini, definitivamente pronunciando sul ricorso proposto da X contro Y, ogni ulteriore domanda e/o eccezione disattesa, così provvede: dichiara l'improcedibilità del presente giudizio stante la mancata attivazione della mediazione obbligatoria, dando atto che risulta stabilizzata l'ordinanza provvisoria di rilascio emessa in data 29.09.2015 nel procedimento di intimazione di sfratto per morosità omissis instaurato da omissis contro omissis; compensa tra le parti le spese di lite.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

19 gennaio 2017

5/17. Rifiuto scritto a partecipare al primo incontro; sanzione pecuniaria irrogata in corso di causa; sollecito del giudice a considerare una definizione transattiva della lite (Osservatorio Mediazione Civile n. 5/2017)

=> Tribunale di Vasto, 6 dicembre 2016



In tema di mediazione obbligatoria (art. 5 comma 1-bis, d.lgs. 28/2010), la prassi di anticipare per iscritto il proprio rifiuto di partecipare al primo incontro costituisce un atto di mera cortesia, privo di alcuna idoneità a giustificare l’assenza della parte. Difatti, nell’attuale sistema normativo non è mai consentito alle parti di anticipare la discussione sul tema della possibilità di avviare la mediazione, senza avere prima partecipato personalmente al primo incontro e recepito le informazioni che il mediatore è tenuto a dare circa la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione (I).

Il dissenso alla mediazione, ai fini della sua validità, deve essere non solo personale, ma anche consapevole, informato e, soprattutto, motivato (I).

In caso di mancata partecipazione senza giustificato motivo alla mediazione, la sanzione pecuniaria di cui all’art. 8, comma 4-bis, d.lgs. 28/2010 (versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio), prescindendo del tutto dall’esito del giudizio, può essere irrogata anche in corso di causa (I).

Anche in caso di mancata partecipazione delle parti alla mediazione, il giudice può sollecitare le parti a considerare l’opportunità e a valutare i vantaggi di una definizione transattiva della controversia. A tal fine il giudice può assegnare alle parti un termine (nella specie decorrente dalla scadenza del terzo termine assegnato per le memorie di cui all’art. 183, comma 6), per depositare in cancelleria note contenenti una specifica proposta di definizione conciliativa della lite, da sottoporre all’esame della controparte, nonché invitare le stesse, per la successiva udienza, a prendere precisa posizione sulla proposta e ad esplicitare le ragioni di un eventuale rifiuto (di cui il Giudice tiene conto ai fini della condanna alle spese, ai sensi dell’art. 91 c.p.c.) (II).


(II) Per approfondimenti sugli artt. 91 e 183 c.p.c. si veda di recente VIOLA, CODICE DI PROCEDURA CIVILE con schemi, formule eapprofondimenti (dottrina e giurisprudenza), Cedam, 2016.

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 5/2017

Tribunale di Vasto
Ordinanza
6 dicembre 2016

Omissis

Il giudizio introdotto da omissis ha ad oggetto una domanda di accertamento della nullità di un contratto di mutuo per applicazione di tassi di interesse usurari e, pertanto, rientra nel novero delle controversie in materia di contratti bancari e finanziari, per le quali l’art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. n. 28/10 impone il previo esperimento del procedimento di mediazione, come condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
Dal verbale del primo incontro di mediazione prodotto dall’attore, emerge che la banca odierna convenuta, costituitasi nel presente giudizio e ritualmente invitata a prendere parte alla mediazione, non si è presentata all’incontro all’uopo fissato dal mediatore, limitandosi a far pervenire alla segreteria dell’organismo di mediazione una comunicazione a mezzo p.e.c. con la quale esponeva la propria intenzione di non partecipare all’incontro ed illustrava in una lettera allegata le ragioni della decisione di rimanere assente.
A tale riguardo, è opportuno precisare che la condotta della parte che non si reca al primo incontro di mediazione e si limita a rappresentare per iscritto all’organismo di mediazione la decisione di non partecipare allo stesso, eventualmente anche illustrandone le ragioni, va interpretata alla stregua di una assenza ingiustificata della parte invitata, che la espone al rischio di subire le conseguenze sanzionatorie, sia sul piano processuale che su quello pecuniario, previste dall’art. 8, comma 4 bis, del D. Lgs. n. 28/10. Questo perché, nello spirito della norma che disciplina lo svolgimento del procedimento di mediazione (art. 8), la partecipazione delle parti, sia al primo incontro che agli incontri successivi, rappresenta una condotta assolutamente doverosa, che le stesse non possono omettere, se non in presenza di un giustificato motivo impeditivo che abbia i caratteri della assolutezza e della non temporaneità.
Posta in questi termini l’obbligatorietà della partecipazione, deve ritenersi che la prassi, talora adottata dalla parte invitata, di anticipare per iscritto il proprio rifiuto di partecipare al primo incontro, costituisce un atto di mera cortesia, che però non ha alcuna idoneità a giustificare la deliberata assenza della parte e ad esonerarla dalle conseguenti responsabilità.
Quanto, poi, alla enunciazione dei motivi della mancata partecipazione, ove essi – come sovente accade – non riguardino le cause che impediscono oggettivamente alla parte (che pure vorrebbe, ma non ha la materiale possibilità) di essere presente al primo incontro, ma invece concernino le ragioni per cui la stessa ritenga di non volere iniziare la procedura di mediazione, occorre chiarire che, nell’attuale sistema normativo, non è mai consentito alle parti di anticipare la discussione sul tema della possibilità di avviare la mediazione, senza avere prima partecipato personalmente al primo incontro e recepito le informazioni che il mediatore è tenuto a dare circa la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. In altri termini, il diniego del consenso ad intraprendere un percorso di mediazione può essere validamente espresso solo se la manifestazione di volontà negativa che la parte esprime sia:
a) innanzitutto, preceduta da un’adeguata opera di informazione del mediatore circa la ratio dell’istituto, le modalità di svolgimento della procedura, i possibili vantaggi rispetto ad una soluzione giudiziale della controversia, i rischi ragionevolmente prevedibili di un eventuale dissenso e l'esistenza di efficaci esiti alternativi del conflitto;
b) per altro verso, supportata da adeguate ragioni giustificatrici che siano non solo pertinenti rispetto al merito della controversia, ma anche dotate di plausibilità logica, prima ancora che giuridica, tali non essendo, ad esempio, quelle fondate sulla convinzione della insuperabilità dei motivi di contrasto (cfr., sul punto, precedente pronuncia di questo tribunale sulle caratteristiche del rifiuto di proseguire oltre il primo incontro – Trib. Vasto, ord. 23.04.2016).
Parafrasando una terminologia invalsa in ambito medico, il dissenso alla mediazione, ai fini della sua validità, deve essere non solo personale, ma anche consapevole, informato e, soprattutto, motivato.
Orbene, quando la parte invitata, senza partecipare alle attività informative e di interpellanza da espletarsi al primo incontro, annuncia per iscritto la propria assenza, provvedendo ad illustrare le ragioni che la inducono a decidere di non voler iniziare una mediazione, si deve ritenere che il dissenso così manifestato non sia stato validamente espresso, perché – a prescindere dalla validità delle argomentazioni giustificative – la parte non si è posta nelle condizioni di esprimere una volontà consapevole ed informata. Ne deriva che l’organismo di mediazione non è tenuto a prendere in considerazione o ad esaminare nel merito detta comunicazione scritta, se non a fini strettamente attinenti a profili organizzativi e logistici per la celebrazione del primo incontro.
Sulla scorta delle considerazioni innanzi espresse, va rilevato che, nel caso in esame, la banca non ha partecipato al primo incontro ed ha illustrato i motivi di tale scelta in una lettera allegata alla comunicazione inviata alla segreteria dell’organismo di mediazione, del cui contenuto, però, il mediatore non ha dato conto nel verbale del primo incontro.
Posto che, se si fosse trattato di ragioni oggettivamente impeditive della volontà della parte di essere presente, il mediatore avrebbe avuto il dovere professionale, non solo di darne atto nel verbale, ma anche di adottare ogni opportuna iniziativa finalizzata ad assicurare la presenza personale della stessa, ad esempio disponendo – se necessario – un rinvio del primo incontro (cfr., in tal senso, Trib. Vasto, ord. 23.06.2015, in tema di obblighi di verbalizzazione e di attivazione del mediatore), può ragionevolmente ritenersi, anche in considerazione dell’oggetto della controversia (accertamento della usurarietà dei tassi di interesse praticati nel contratto di mutuo) e della natura della parte invitata (istituto bancario), che le ragioni della mancata partecipazione al primo incontro vertessero sul merito della controversia e, come tali, non potevano – per le ragioni innanzi esposte – essere utilmente addotte dalla banca a giustificazione del proprio rifiuto di partecipare al primo incontro e, tantomeno, di iniziare la mediazione, atteso che il dissenso non solo appare fondato su argomentazioni delle quali non è possibile apprezzare la portata giustificativa, ma - prima ancora - non è stato preceduto dalla necessaria attività di informazione ed interpellanza riservata al mediatore al primo incontro ed, per di più, non è dato sapere se è stato espresso dalla parte personalmente (come la legge impone di fare) ovvero dal suo difensore (nel qual caso, sussisterebbe un ulteriore vizio di validità del dissenso).
Per tali motivi, visto che la parte invitata non ha partecipato senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, ricorrono i presupposti per adottare, ai sensi dell’art. 8, comma 4 bis, del D. Lgs. n. 28/10, una pronunciata di condanna della stessa (che si è ritualmente costituita in giudizio) al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio. La lettera della citata disposizione, in virtù dell’uso da parte del legislatore del tempo indicativo presente, induce a ritenere obbligatoria la pronuncia di condanna in questione ogniqualvolta la parte che non ha partecipato al procedimento non fornisca una idonea giustificazione alla propria condotta.
Sulla questione della applicabilità della predetta disposizione anche in corso di causa, questo giudicante ritiene che l’irrogazione della sanzione pecuniaria prescinda del tutto dall’esito del giudizio e non sia necessariamente subordinata alla decisione del merito della controversia. Conformemente a quanto affermato da una parte della giurisprudenza di merito (cfr., Trib. Termini Imerese, 09/05/2012; Trib. Mantova, 22/12/2015), la sanzione pecuniaria in questione può, dunque, ben essere irrogata anche alla prima udienza o, comunque, in un momento temporalmente antecedente rispetto alla pronuncia del provvedimento che definisce il giudizio.
In disparte della irrogazione della sanzione pecuniaria, questo giudice si riserva di valutare la condotta della banca di ingiustificata renitenza alla mediazione, sia ai fini della ammissione di eventuali mezzi di prova che ai fini della successiva decisione della causa, ai sensi degli artt. 116, secondo comma e 96, terzo comma, c.p.c., tanto più alla luce del successivo comportamento processuale assunto dalla banca convenuta, che in prima udienza ha chiesto, unitamente all’attore, un rinvio per effettuare un tentativo di definizione bonaria della causa, così manifestando un atteggiamento di apertura ad un possibile esito conciliativo della controversia, che avrebbe dovuto trovare la sua sede naturale di sperimentazione non all’interno del processo, bensì nell’ambito della procedura di mediazione, nella quale le parti potevano cogliere l’opportunità di arrivare ad una soluzione concordata del conflitto con possibilità di successo sicuramente maggiori di quelle raggiungibili nel corso del processo.
A prescindere dalle questioni relative alla procedura di mediazione obbligatoria, va rilevato che le parti hanno chiesto, alla scorsa udienza, la fissazione dei termini di cui all’art. 183, sesto comma, c.p.c. e che la richiesta deve essere accolta.
Si reputa, in ogni caso, opportuno, anche alla luce della proposta conciliativa formulata a verbale dall’attore all’udienza del omissis, sollecitare le parti a considerare l’opportunità e a valutare i vantaggi di una definizione transattiva della controversia, dalla quale deriverebbe la possibilità non solo di sottrarsi all’inevitabile alea del giudizio, ma anche di pervenire ad una immediata definizione della lite, evitando il prevedibile prolungamento dei tempi del processo e l’ulteriore aggravio di spese processuali.

PQM

disattesa ogni diversa richiesta, così provvede: condanna la convenuta omissis al versamento, in favore dell’Erario, della somma di € 237,00, pari all’importo del contributo unificato dovuto per il presente giudizio, in conseguenza della ingiustificata mancata partecipazione al procedimento obbligatorio di mediazione; assegna alle parti i seguenti termini perentori omissis; assegna alle parti termine di ulteriori dieci giorni, decorrente dalla scadenza del termine sub c), per depositare in cancelleria note contenenti una specifica proposta di definizione conciliativa della lite, da sottoporre all’esame della controparte; invita le parti, per la prossima udienza, a prendere precisa posizione sulla proposta e ad esplicitare le ragioni di un eventuale rifiuto, di cui il Giudice terrà conto ai fini della condanna alle spese, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., come modificato dall’art. 45, comma 10, legge 18 giugno 2009, n. 69; rinvia
la causa all’udienza omissis, per la verifica delle condizioni di una possibile conciliazione o, in difetto, per la discussione orale sull’ammissione dei mezzi istruttori e per l’adozione dei provvedimenti per l’ulteriore impulso del processo.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

17 gennaio 2017

4/17. Condizione di procedibilità: l’istanza di mediazione obbligatoria deve individuare con precisione la materia del contendere (Osservatorio Mediazione Civile n. 4/2017)

=> Tribunale di Verona, 15 dicembre 2016

In caso di mediazione obbligatoria ante causam, la condizione di procedibilità di cui all’art. 5 comma 1-bis, d.lgs. 28/2010 è soddisfatta se l’istanza di mediazione individua con sufficiente precisione la materia del contendere, esplicitando le relative ragioni (art. 4 comma 2, d.lgs. 28/2010) (I).

La mediazione esperita ante causam, non soddisfa la condizione di procedibilità di cui all’art. 5 comma 1-bis, d.lgs. 28/2010 qualora l’attore abbia posto a fondamento della domanda giudiziale pretese ulteriori da quelle menzionate nell’istanza di mediazione (I).


Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 4/2017

Tribunale di Verona
Ordinanza
15 dicembre 2016

Omissis

Rilevato che la mediazione esperita ante causam, per iniziativa dell’attrice, non soddisfa la condizione di procedibilità di cui all’art. 5 comma 1 bis d.lgs. 28/2010; infatti, nell’istanza di mediazione, prodotta su invito di questo Giudice, le ragioni della pretesa dell’attrice sono state indicate, testualmente, nella “applicazione di interessi illegittimi su n. 2 rapporti contrattuali”, e tale dicitura non individua con sufficiente precisione la materia del contendere poiché non esplicita la ragione della pretesa illegittimità dei citati interessi; inoltre l’istanza non precisa i rapporti intercorsi tra le parti poiché si limita a menzionare due, non meglio individuati, rapporti di conto corrente; ancora deve evidenziarsi come l’attrice abbia posto a fondamento della domanda giudiziale pretese ulteriori da quelle menzionate, nei termini assai generici sopra riferiti, nell’istanza di mediazione, vale a dire l’addebito della commissione di massimo scoperto e di spese nonché la responsabilità precontrattuale della convenuta; l’esplicitazione delle ragioni delle pretese oggetto di mediazione costituisce requisito di validità della procedura, come si evince dal disposto dell’art.4, II comma, d.lgs. 28/2010.

PQM

Assegna alle parti il termine di 15 giorni, a decorrere dalla comunicazione della presente ordinanza, per presentare l’istanza di mediazione con riguardo alle ragioni delle pretese azionate in giudizio che non sono state oggetto della precedente mediazione e rinvia la causa all’udienza del omissis.


AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

12 gennaio 2017

3/17. Domanda di mediazione obbligatoria presentata oltre il termine di 15 giorni, improcedibilità dell’opposizione a decreto ingiuntivo (Osservatorio Mediazione Civile n. 3/2017)

=> Tribunale di Rimini, 10 maggio 2016

Se è vero che il termine per l'instaurazione del procedimento di mediazione, concesso dal Giudice ai sensi dell'art. 5 comma 1-bis, d.lgs. 28/2010 deve considerarsi ordinatorio, è, altresì, incontestabile che tale carattere del termine del quale si tratta non comporta che i tempi di avvio del procedimento predetto siano rimessi all'arbitrio delle parti, ove si tenga presente che l'art. 154 c.p.c. consente al Giudice di prorogare, su istanza di parte o di ufficio, il termine che non sia stabilito a pena di decadenza, solo prima della sua scadenza. Pertanto, se detto termine scade senza che nessuna delle parti abbia avviato il procedimento di mediazione o presentato motivata istanza di proroga di detto termine, va dichiarata l’improcedibilità della domanda per mancata instaurazione del procedimento di mediazione obbligatorio, restando irrilevante il deposito della domanda di mediazione successivamente alla scadenza del termine in questione (I) (II) (III).

La domanda che diviene improcedibile, nel giudizio che si instaura con l'opposizione a decreto ingiuntivo, è quella formulata nell'atto di citazione in opposizione e, all'improcedibilità del giudizio di opposizione, consegue il consolidarsi degli effetti del decreto ingiuntivo (cfr. art. 653 c.p.c.) (III) (VI).


(II) Il decorso di un termine ordinatorio, senza la presentazione di un'istanza di proroga, ha, quindi, gli stessi effetti preclusivi della scadenza del termine perentorio ed impedisce la concessione di un nuovo termine per svolgere la medesima attività, salva la remissione in termini, nel caso in cui la decadenza si sia verificata per causa non imputabile alla parte (cfr.: Cass. civ., sez. III, sent. 29 gennaio 2003, n. 1285; Cass. Civ. Sez. II 19 gennaio 2005 n. 1064).

(III) Per approfondimenti sulle questioni processuali si veda di recente VIOLA, CODICE DI PROCEDURA CIVILE con schemi, formule e approfondimenti (dottrina e giurisprudenza), Cedam, 2016.


Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 3/2017

Tribunale di Rimini
sentenza
10 maggio 2016

Omissis

Con ordinanza del 16 aprile 2015, il GI ha concesso alle parti termine di quindici giorni per l'avvio di procedimento obbligatorio di mediazione ex art. 5 comma 1-bis del D.lgs.4 marzo 2010 n. 28 e succ.mod., decorrente dalla comunicazione di detta ordinanza, avvenuta il 17 aprile 2015.
Le parti avrebbero dovuto avviare, dunque, detto procedimento entro il 2 maggio 2015. Il procedimento di mediazione non è stato instaurato entro il termine predetto. Tale circostanza, dedotta da omissis S.P.A., la quale non si è presentata all'incontro fissato dinanzi al mediatore, giustificando la mancata comparizione proprio con riferimento alla tardiva instaurazione del procedimento in questione, non è stata contestata dagli opponenti.
Del resto, l'assunto della opposta risulta avvalorato dal verbale redatto dal mediatore, ove si dà atto che il mediatore è stato nominato dall'organismo di mediazione adito solo il 3 agosto 2015, vale a dire dopo che erano trascorsi tre mesi dal 2 maggio 2015.
Rileva il Giudicante che deve, dunque, ritenersi pacifico che non sia stato espletato il procedimento di mediazione.
Va, in proposito, evidenziato che se è vero che il termine per l'instaurazione del procedimento di mediazione, concesso dal Giudice ai sensi dell'art.5 comma 1 bis del D. lgs 4 marzo 2010 n. 28 e succ.mod., deve considerarsi ordinatorio, è, altresì, incontestabile che tale carattere del termine del quale si tratta non comporta che i tempi di avvio del procedimento predetto siano rimessi all'arbitrio delle parti, ove si tenga presente che l'art. 154 c.p.c. consente al Giudice di prorogare, su istanza di parte o di ufficio, il termine che non sia stabilito a pena di decadenza, solo prima della sua scadenza.
Il decorso di un termine ordinatorio, senza la presentazione di un'istanza di proroga, ha, quindi, gli stessi effetti preclusivi della scadenza del termine perentorio ed impedisce la concessione di un nuovo termine per svolgere la medesima attività, salva la remissione in termini, nel caso in cui la decadenza si sia verificata per causa non imputabile alla parte (cfr.: Cass. civ., sez. III, sent. 29 gennaio 2003, n. 1285; Cass. Civ. Sez. II 19 gennaio 2005 n. 1064).
Ciò perché, diversamente argomentando, non solo si violerebbe il disposto normativo, ma si lascerebbe la parte interessata arbitra di decidere del corso temporale del procedimento, in contrasto con l'intenzione manifestata dal legislatore nel subordinare anche la possibilità di ottenere un'ulteriore proroga (oltre alla prima) alla concorrenza di motivi particolarmente gravi, e le si consentirebbe di procrastinare ad libitum il tempo stabilito per il verificarsi dell'effetto preclusivo voluto dalla legge (cfr.: Cass. Civ., sez. II, Ord. 6 maggio 2003, n. 6895; Cass. Civ., sez., II, sent. 10 gennaio 1998, n. 10174; Cass. Civ. Sez. II 19 gennaio 2005 n.1064).
Orbene, nel caso che ci occupa, il termine concesso dal Giudice ai sensi dell'art.5 comma 1 bis del D.lgs 4 marzo 2010 n.28 e succ.mod. è, come si è visto, scaduto il 2 maggio 2015 (il provvedimento di concessione del termine è stato comunicato alle parti il 17 aprile 2015), senza che nessuna delle parti abbia avviato il procedimento di mediazione o presentato motivata istanza di proroga di detto termine.
E' irrilevante, quindi, il deposito di domanda di mediazione, da parte di omissis S.R.L. e di omissis, successivamente alla scadenza del termine in questione, non avendo gli opponenti avanzato tempestiva istanza di proroga dello stesso, ed è, di conseguenza, pienamente giustificabile il rifiuto di omiddid S.P.A. di aderire ad un procedimento di mediazione tardivamente instaurato.
Ciò premesso, l'opposizione a decreto ingiuntivo, proposta da omissis S.R.L. e da omissis deve essere dichiarata improcedibile, per mancata instaurazione del procedimento di mediazione obbligatorio, di cui all'art.5 comma 1 bis D.lgs. 4 marzo 2010 n..28 e succ.mod.
La domanda che diviene improcedibile, nel giudizio che si instaura con l'opposizione a decreto ingiuntivo, è quella formulata nell'atto di citazione in opposizione (ed eventualmente con la comparsa di risposta o con la chiamata in causa di terzi), che è l'atto che dà origine al procedimento di opposizione, nell'ambito del quale l'opponente riveste la posizione processuale di attore. Tale posizione comporta, in sostanza, che l'onere di impedire che il decreto divenga definitivo è rimesso all'iniziativa processuale dell'ingiunto, posto che, senza opposizione o nell'ipotesi di estinzione dell'instaurato giudizio di opposizione, il decreto diviene definitivo. La considerazione svolta comporta che, in ossequio alle regole processuali proprie del procedimento speciale che ci occupa, alle quali, è opportuno ricordarlo, la disciplina in materia di mediazione non contiene deroghe espresse, all'estinzione (o, come nel caso che ci occupa, all'improcedibilità) del giudizio di opposizione consegue il consolidarsi degli effetti del decreto ingiuntivo (vedi art. 653 c.p.c.; in senso conforme Tribunale Firenze 30 ottobre 2014 e Tribunale Rimini 5 agosto 2014).
Ritenere, invece, che la mancata instaurazione del procedimento di mediazione comporti la caducazione del decreto ingiuntivo determinerebbe un risultato “eccentrico” rispetto alle regole processuali proprie del rito, in quanto si porrebbe a carico dell'ingiungente l'onere di coltivare il giudizio di opposizione o per impedire la revoca del decreto ingiuntivo, in contrasto con l'impostazione di tale procedimento quale giudizio soltanto eventuale, rimesso alla libera scelta dell’ingiunto (vedi Tribunale Firenze 30 ottobre 2014; Tribunale Rimini 5 agosto 2014).
Sul piano degli effetti concreti tale impostazione porterebbe ad un risultato opposto a quello –deflattivo per il sistema giudiziario – che l'istituto della mediazione persegue, imponendo ad una parte (l'opposto) che è già munita di titolo esecutivo (il decreto ingiuntivo), che si consolida nel caso di estinzione del giudizio di opposizione, e che può dirsi non interessata alla prosecuzione della lite, proprio perché già munita di un titolo, di attivarsi anche laddove l'altra parte (l'opponente) non si dimostri più interessata all'esito della stessa, come spesso avviene in caso di opposizioni dilatorie, dopo la pronuncia dei provvedimenti di cui agli artt. 648 e 649 c.p.c. In presenza di una situazione nella quale le parti si siano acquietate sul contenuto del decreto ingiuntivo, l'opposto verrebbe, quindi, onerato di proseguire il giudizio al fine di esperire un inutile procedimento di mediazione e sarebbe indotto a chiedere una pronuncia di merito, anche in presenza di un atteggiamento di sostanziale disinteresse alla lite dell'opponente.
Peraltro, in caso di mancato esperimento del procedimento di mediazione e di revoca del decreto ingiuntivo, la causa di merito verrebbe puntualmente riproposta, con conseguente neutralizzazione degli effetti deflattivi che il D.lgs.4 marzo 2010 n. 28 e succ.mod. si propone di raggiungere.
Del resto, la Suprema Corte ha, di recente (vedi Cass. Civ. Sez. III 7 ottobre -3 dicembre 2015 n.2469), evidenziato: ”La disposizione di cui all'art.5 del D.lgs n.28 del 2010 deve essere interpretata conformemente alla sua ratio. La norma è stata costruita in funzione deflattiva e, pertanto, va interpretata alla luce del principio costituzionale del ragionevole processo e, dunque, dell'efficienza processuale. In questa prospettiva, la norma, attraverso il meccanismo della mediazione obbligatoria mira a rendere il processo la extrema ratio.... Quindi l'onere di esperire il tentativo di mediazione deve allocarsi presso la parte che ha interesse al processo e ha il potere di iniziare il processo. Invero, attraverso il decreto ingiuntivo, l'attore ha scelto la linea deflattiva coerente con la logica dell'efficienza e della ragionevole durata del processo. E' l'opponente che ha il potere e l'interesse ad introdurre il giudizio di merito, cioè la soluzione più dispendiosa, osteggiata dal legislatore. E', dunque, sull'opponente che deve gravare l'onere della mediazione obbligatoria perché è l'opponente che intende precludere la via breve per percorrere la via lunga. La diversa soluzione sarebbe palesemente irrazionale perché premierebbe la passività dell'opponente e accrescerebbe gli oneri della parte creditrice. Del resto, non si vede a quale logica di efficienza risponda una interpretazione che accolli al creditore del decreto ingiuntivo l'onere di effettuare il tentativo di mediazione quando ancora non si sa se ci sarà opposizione allo stesso decreto ingiuntivo. E', dunque, l'opponente ad avere interesse ad avviare il procedimento di mediazione pena il consolidamento degli effetti del decreto ingiuntivo ex art.653 cpc. Soltanto quando l'opposizione sarà dichiarata procedibile riprenderanno le normali posizioni delle parti: opponente -convenuto sostanziale, opposto-attore sostanziale. Ma nella fase precedente, sarà il solo opponente, quale unico interessato, ad avere l'onere di introdurre il procedimento di opposizione: diversamente l'opposizione sarà improcedibile”.
Considerate la complessità della questione e la presenza di orientamenti giurisprudenziali di merito e dottrinali difformi, le spese di lite vanno interamente compensate (la Suprema Corte si è peraltro, pronunciata sul tema solo di recente)

PQM

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione assorbita o disattesa, così dispone: dichiara improcedibile l'opposizione proposta da omissis S.R.L., in persona del legale rappresentante, e da omissis, nei confronti di omissis S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, avverso il decreto ingiuntivo n. omissis; dichiara interamente compensatela le partile spese processuali.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

10 gennaio 2017

8-bis/17. Inaugurazione dell’anno giudiziario 2017 e mediazione (Osservatorio Mediazione Civile n. 8-bis/2017)

Nelle Relazioni relative alla cerimonia di Inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2017 tenutasi presso la Suprema Corte di Cassazione non si rinvengono significativi riferimenti all'istituto della mediazione civile di cui al d.lgs. 28/2010.

Si segnala, in tema di a.d.r., esclusivamente il riferimento alle misure incentivanti (relative al credito d'imposta) per negoziazione assistita ed arbitrato di prosecuzione.

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 8-bis/2017
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

2/17. Al primo incontro possono partecipare anche solo i difensori (Osservatorio Mediazione Civile n. 2/2017)

=> Tribunale di Verona, 28 settembre 2016

Non si condivide l’orientamento giurisprudenziale, invero prevalente, che assume che ai fini dell’assolvimento della condizione di procedibilità prevista dall’art.5 comma 1-bis, d.lgs. 28/2010 è necessario che partecipino alla mediazione le parti personalmente (assistite dai difensori) e non solo i difensori; difatti:
a. nessuna norma del d.lgs.28/2010 prescrive la presenza obbligatoria della parte alla procedura;
b. nessuna disposizione vieta alla parte di delegare alla partecipazione alla procedura il proprio difensore, cosicché il fondamento normativo della possibilità di attribuire ad esso una procura a conciliare ben può essere rinvenuto del disposto dell’art. 83 c.p.c.;
c. la valorizzazione della peculiare funzione del primo incontro, quale momento non solo informativo ma anche facilitativo della conciliazione non è da sola sufficiente a giustificare una deroga alla norma di carattere generale sopra citata;
d.l’opposta opinione determina una disparità di trattamento tra la parte che ha interesse alla realizzazione della condizione di procedibilità (generalmente si tratta della parte che intende agire in giudizio) e le sue controparti, perché solo la prima è esposta alla grave sanzione processuale ipotizzata (I).


Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 2/2017

Tribunale di Verona
sentenza
28 settembre 2016

Omissis

È opportuno premettere che questo giudice non condivide l’orientamento giurisprudenziale, invero prevalente, che assume che ai fini dell’assolvimento della condizione di procedibilità prevista dall’art. 5 comma 1 bis, d.lgs. 28/2010 è necessario che partecipino alla mediazione le parti personalmente (assistite dai difensori) e non solo i difensori (sul punto in esame, ex multis, Trib. Firenze 19.3.2014 est. Breggia; Trib. Pavia 9.3.2015 est Marzocchi; Trib. Vasto 9.3.2015 est. Pasquale; Trib. Roma sez. III 19.2.2015; Trib. Roma, 14.12.2015).
Tale indirizzo si fonda principalmente su un dato normativo letterale, ovvero i riferimenti che l’art. 8 comma 1, del d.lgs. 28/2010, nel descrivere le modalità di svolgimento della mediazione, fa alla parte e al difensore quali soggetti che vi partecipano.
In contrario deve però osservarsi che né questa norma, né altre del d.lgs. 28/2010, prescrivono la presenza obbligatoria della parte alla procedura, cosicché ad essa deve riconoscersi natura semplicemente descrittiva di quello che il legislatore ha pensato poter essere lo sviluppo della procedura. Al contempo nessuna disposizione vieta alla parte di delegare alla partecipazione alla procedura il proprio difensore cosicché il fondamento normativo della possibilità di attribuire ad esso una procura a conciliare ben può essere rinvenuto del disposto dell’art. 83 c.p.c. E’ proprio per questa ragione peraltro che quella facoltà viene solitamente inserita nelle procura alle liti. La valorizzazione della peculiare funzione del primo incontro, quale momento non solo informativo ma anche facilitativo della conciliazione (ulteriore argomento addotto a sostegno della tesi qui criticata), poi non è da sola sufficiente a giustificare una deroga alla norma di carattere generale sopra citata.
Sono però le conseguenze alle quali conduce l’opinione in esame a palesarne più chiaramente la fragilità. Essa infatti determina una disparità di trattamento tra la parte che ha interesse alla realizzazione della condizione di procedibilità (generalmente si tratta della parte che intende agire in giudizio) e le sue controparti, perché solo la prima è esposta alla grave sanzione processuale ipotizzata.
A ben vedere, l’orientamento qui divisato favorisce addirittura l’atteggiamento dilatorio della parte convenuta poiché questa potrebbe continuare, per un periodo di tempo indefinito, o non preventivamente definito, a farsi rappresentare in mediazione dal proprio difensore, impedendo la realizzazione del presupposto processuale e con essa l’accesso alla giustizia dell’attore. Proprio quest’ultima considerazione induce poi ad escludere che, anche a voler ritenere che il legislatore abbia previsto come obbligatoria la presenza personale della parte al procedimento di mediazione, l’inosservanza di tale prescrizione possa determinare l’improcedibilità della domanda giudiziale, anche qualora fosse l’attore a partecipare alla mediazione tramite il suo difensore.
Del resto tale conseguenza non solo non è stata contemplata dal d.lgs. 28/2010 ma, a ben vedere, è stata da esso implicitamente ma chiaramente esclusa. Il legislatore infatti ha previsto per la parte che non partecipa in nessun modo, senza giustificato motivo, alla mediazione obbligatoria ex lege, e tiene quindi un comportamento più grave di quello della parte che ci partecipa tramite il proprio difensore, la sanzione della condanna al pagamento del contributo unificato e la possibilità per il giudice di desumere dal suo comportamento argomenti di prova.
Tale impostazione viene però stravolta se si ricollega alla condotta meno grave una sanzione più severa della predetta quale l’improcedibilità della domanda.

PQM

Il Giudice unico del Tribunale di Verona, definitivamente pronunciando ogni diversa ragione ed eccezione disattesa e respinta, così decide: rigetta ---. Compensa tra attrice e convenuta omissis le spese processuali e condanna omissis al versamento all’entrata del bilancio dello Stato della somma di € 450,00.


AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

NEWSLETTER MENSILE SULLA MEDIAZIONE