=> Tribunale di Rimini, 24 maggio 2016
L'istanza di rimessione
in termini quanto alla data di inizio del procedimento di mediazione,
adducendo di non aver potuto iniziarla a
causa di una malattia che non avrebbe permesso di accedere alla propria
casella di posta elettronica certificata, non può essere accolta qualora da
alcuna documentazione risulti provato
che la malattia che avrebbe afflitto il procuratore di parte le avrebbe
impedito di accedere alla propria pec per controllarne il contenuto.
L'istituto della rimessione in termini, applicabile a questo particolare istituto
della mediazione per analogia con l'art. 153 c.p.c. presuppone infatti la scusabilità dell'errore in cui è incorsa la
parte che lo ha invocato; la decadenza deve perciò essere stata determinata
da una causa non imputabile alla parte
in quanto causata da un fatto estraneo alla sua volontà (I).
In merito al disposto di cui all’art.5, d.lgs. 28/2010 secondo cui
qualora il mancato esperimento della mediazione venga eccepito dal convenuto o
rilevato dal giudice entro la prima udienza, quest'ultimo assegna alle parti il termine di quindici giorni per
l'avvio del procedimento in parola va affermato che detto termine ha natura perentoria in quanto la sanzione prevista dalla legge per la sua
inosservanza consiste nella improcedibilità della domanda; stante quindi la
gravità della sanzione non può ritenersi altrimenti ordinatorio il termine
assegnato (II).
Se il giudizio a cognizione piena (vuoi per estinzione
— anche se non espressamente richiamata dagli articoli 665-667 c.p.c. — vuoi
per declaratoria di improcedibilità) non sfocia in una pronuncia di merito che
prenda il posto dell'ordinanza di rilascio, ne deriva la stabilizzazione dell'ordinanza di rilascio in quanto difetta una
pronuncia di merito che si saldi a detta ordinanza (assorbendola, se si tratta
di pronuncia di accoglimento della domanda di condanna al rilascio;
caducandola, se si tratta di pronuncia di rigetto della domanda di condanna al
rilascio). A carico dell'intimato
opponente, non operoso in mediazione, resta quindi l'effetto della scelta di
non avere coltivato la propria opposizione e con essa le proprie eccezioni
finalizzate a paralizzare la domanda di condanna al rilascio del locatore. È
quindi possibile concludere nel senso che l'espressione "condizione di
procedibilità della domanda" di cui all’art.5 comma 1-bis, d.lgs. 28/2010 va correttamente
intesa con riferimento:
- alla domanda
di accertamento negativo del diritto al rilascio proposta
dall'intimato-opponente;
- alle ulteriori
domande (diverse da quella originaria di condanna al rilascio stante
l'intervenuta risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del
conduttore) proposte dal locatore e/o
dall'intimato (essenzialmente pagamento somme).
Tali domande restano travolte dalla pronuncia di improcedibilità del giudizio di opposizione
proposta dall'intimato; e ciò in quanto non risultano sorrette da una
pronuncia in sede di procedimento di convalida che sia idonea a sopravvivere
nella fase a cognizione piena (I) (II).
(I) Per approfondimenti sugli artt. 153 e 665-667 c.p.c. si veda di recente VIOLA, CODICE
DI PROCEDURA CIVILE con schemi, formule e approfondimenti(dottrina e
giurisprudenza), Cedam, 2016.
(II) Si vedano l’art. 5, D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 aggiornato al D.L. 132/2014 c.d. didegiurisdizionalizzazione conv. con mod. in L. 162/2014, in OsservatorioMediazione Civile n. 61/2014. Per
approfondimenti si veda SPINA, CODICE OPERATIVO DEI NUOVI ADR,Pacini ed., Pisa, 2016 (Osservatorio Mediazione Civile n. 64/2016).
Fonte: Osservatorio
Mediazione Civile n. 6/2017
Tribunale di Rimini
Sentenza
24 maggio 2016
Omissis
Con atto di
citazione ritualmente notificato omissis
intimava sfratto per morosità nei confronti di omissis, resasi morosa nel pagamento dei canoni di locazione da
marzo a luglio 2015 per complessivi euro 2.995,50 relativamente all'immobile
uso abitazione concessole in locazione con contratto sottoscritto in data
26.03.2007 sito in omissis, nel quale
veniva pattuito un canone di locazione annuale di euro 6.600,00, da pagarsi in
rate mensili anticipate ad oggi rivalutate in euro 573,86.
All'udienza di
convalida compariva in giudizio personalmente la conduttrice opponendosi allo
sfratto e richiamando la documentazione depositata in data 11.08.2015,
producendo in giudizio una propria missiva del 20.09.2014, una videata di un
ordine di bonifico del 04.09.2015 e una mail del 12.03.2015 a firma dell'avv. omissis.
Il giudice si
riservava e con ordinanza resa fuori udienza in data 29.09.2015, ritenendo che:
“dalla documentazione versata in atti e dalle doglianze rappresentate in
udienza dalla sig.ra omissis non
risulta che abbia comunque pagato i canoni per i quali si discute, adducendo
unicamente di voler compensare tali somme con gli oneri condominiali per i
quali risulterebbe creditrice; di alcun pregio è altresì il bonifico del
04.09.2015, il quale non è dimostrato sia mai pervenuto al locatore, dato che
dalla videata prodotta si tratterebbe di un ordine revocabile e non della copia
della contabile, mentre l'ulteriore documentazione non contribuisce a provare
che la conduttrice abbia corrisposto neppure in parte i canoni arretrati. Per
quanto infine riguarda il pagamento dei 10 euro richiesti dal locatore a titolo
di lavaggio auto, come riportato all'udienza del 08.09.2015, tale questione
dovrà essere oggetto di idonea indagine demandabile in sede di merito”,
ordinava il rilascio dell'immobile, invitava le parti a tentare la mediazione
obbligatoria entro 15 giorni dalla comunicazione del provvedimento, mutava il
rito e fissava la prima udienza nel merito per il 04.02.2016, con termine per
deposito di memorie integrative per ambo le parti.
Nelle more il
procuratore di parte ricorrente con istanza del 10.11.2015 (reiterate in data
16.11.2015 e da ultimo il 15.12.2015) chiedeva di poter essere rimessa in
termini quanto alla data di inizio del procedimento di mediazione, adducendo di
non aver potuto iniziarla a causa di una malattia che non le avrebbe permesso
di accedere alla propria casella di posta elettronica certificata.
Purtroppo l'istanza
di rimessione in termini non può essere accolta, in quanto da alcuna
documentazione è provato che la malattia che avrebbe afflitto il procuratore di
parte ricorrente le avrebbe impedito di accedere alla propria pec per
controllarne il contenuto, anche perché alcuna documentazione medica è mai
stata depositata né nel fascicolo cartaceo né in quello telematico, sebbene
citata nelle reiterate istanze.
L'istituto della
rimessione in termini, applicabile a questo particolare istituto della
mediazione per analogia con l'art. 153 c.p.c. presuppone la scusabilità
dell'errore in cui è incorsa la parte che lo ha invocato. La decadenza deve
perciò essere stata determinata da una causa non imputabile alla parte in
quanto causata da un fatto estraneo alla sua volontà. Nel caso di specie la
malattia rappresentata dal procuratore di parte ricorrente (genericamente
indicata nella propria istanza e della quale allo stato si ignora la causa e la
tipologia) non le avrebbe comunque impedito di poter accedere al proprio
computer per controllare le mail, anche delegando tale incombente a terze
persone. Questo giudice ritiene quindi in primo luogo che non sussistano i
termini per concedere una rimessione nei termini come formulati dal ricorrente
ed in secondo luogo che l'esperimento del tentativo di conciliazione
obbligatorio sia condizione di procedibilità dell'azione. Ed invero, il d.lgs.
28/2010 che, all'art. 5 ha introdotto, quale condizione di procedibilità per le
controversie aventi ad oggetto i contratti locativi l'esperimento di un
procedimento di mediazione ai sensi del medesimo decreto, prevedendo che
altresì, qualora il mancato esperimento della mediazione venga eccepito dal
convenuto o rilevato dal giudice entro la prima udienza, quest'ultimo assegni
alle parti il termine di quindici giorni per l'avvio del procedimento in
parola.
L'articolo in
questione infatti recita: “chi intende esercitare in giudizio un'azione
relativa ad una controversia in materia di ... locazione ... è tenuto
preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente
decreto l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di
procedibilità della domanda giudiziale. L'improcedibilità deve essere eccepita
dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre
la prima udienza. Il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma
non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di
cui all'articolo 6. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata
esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni
per la presentazione della domanda di mediazione (comma 1) ... I commi 1 e 2
non si applicano: b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino
al mutamento del rito di cui all'articolo 667 del codice di procedura civile
(comma 2)”.
Tale termine ha
natura perentoria in quanto, come osservato dalla giurisprudenza di merito in
alcune recenti pronunce, la sanzione prevista dalla legge per la sua
inosservanza consiste nella improcedibilità della domanda; stante quindi la
gravità della sanzione non può ritenersi altrimenti ordinatorio il termine
assegnato.
Da ultimo merita di
soffermarsi sulle conseguenze che una tale pronuncia comporta sull'ordinanza ex
art. 665 c.p.c. con la quale il giudice ha disposto il rilascio dell'immobile,
in particolare se questa conservi o meno la sua efficacia.
Dal punto di vista
giuridico l'atto conclusivo del procedimento sommario di sfratto, quale è
l'ordinanza di rilascio, sebbene non idonea ad acquistare autorità di giudicato
in ordine al diritto fatto valere dal locatore, può essere qualificato come
provvedimento di condanna con riserva delle eccezioni del convenuto, i cui
effetti permangono fino a quando non viene emessa la sentenza di merito.
Il giudicante non
può negare che esiste tuttora un dibattito in merito alla natura di tale atto e
quindi in merito alle conseguenze in caso di estinzione del procedimento di
merito, ma la soluzione più aderente alla ratio dell'intero procedimento in
analisi sembra essere quella secondo la quale, se all'interno di un processo a
cognizione piena si inserisca un subprocedimento che si concluda con un
provvedimento sommario anticipatorio della soddisfazione del diritto di una
parte, nulla disponendo (il legislatore) circa la sorte dell'ordinanza, questa
non è disciplinata in via analogica dall'art.683, comma 1, c.p.c. ma
dall'applicazione analogica del principio desumibile dall'art. 653 c.p.c.
secondo cui l'efficacia del provvedimento sommario non cautelare non verrebbe
travolta dall'estinzione del giudizio a cognizione piena. In ossequio a tale
ragionamento, mutuato anche dalla costante giurisprudenza di legittimità, si
può affermare che l'estinzione del procedimento di merito non abbia effetto
sull'ordinanza di mutamento di rito, non travolgendola quanto ad effetti.
Se il giudizio a
cognizione piena (vuoi per estinzione — anche se non espressamente richiamata
dagli articoli 665-667 c.p.c. — vuoi per declaratoria di improcedibilità) non
sfocia in una pronuncia di merito che prenda il posto dell'ordinanza di
rilascio, ne deriva la stabilizzazione dell'ordinanza di rilascio in quanto
difetta una pronuncia di merito che si saldi a detta ordinanza (assorbendola,
se si tratta di pronuncia di accoglimento della domanda di condanna al
rilascio; caducandola, se si tratta di pronuncia di rigetto della domanda di
condanna al rilascio). A carico dell'intimato opponente, non operoso in
mediazione, resta l'effetto della scelta di non avere coltivato la propria
opposizione e con essa le proprie eccezioni finalizzate a paralizzare la
domanda di condanna al rilascio del locatore. E' ora possibile concludere nel
senso che l'espressione "condizione di procedibilità della domanda"
di cui al decreto legislativo 28/2010 va correttamente intesa con riferimento:
- alla domanda di
accertamento negativo del diritto al rilascio proposta dall'intimato-opponente;
- alle ulteriori
domande (diverse da quella originaria di condanna al rilascio stante
l'intervenuta risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del
conduttore) proposte dal locatore e/o dall'intimato "(essenzialmente
pagamento somme).
Tali domande
restano travolte dalla pronuncia di improcedibilità del giudizio di opposizione
proposta dall'intimato; e ciò in quanto non risultano sorrette da una pronuncia
in sede di procedimento di convalida, che sia idonea a sopravvivere nella fase
a cognizione piena. In tal senso si è di recente espresso il Tribunale di
Bologna il quale ha statuito nella sentenza del 17.11.20015 che, l'ordinanza di
rilascio, non impugnabile e idonea alla stabilizzazione, non risulta intaccata
dalla pronuncia di improcedibilità (anche perché essa è definita non
impugnabile dall'articolo 665 c.p.c., e quindi non è neppure
modificabile-revocabile).
Identica sorte
avrebbe l'ordinanza di rilascio, in caso di declaratoria di estinzione del
giudizio a cognizione piena.
Per tali motivi il
ricorso è improcedibile, mentre permangono gli effetti dell’ordinanza
provvisoria di rilascio resa in data 29.09.2015.
Le spese legali, in
ragione delle questioni ermeneuticamente complesse dove non si riscontrano
ancora pronunce stratificate e costanti della giurisprudenza, vengono
interamente compensate tra le parti.
PQM
Il giudice onorario
del Tribunale di Rimini, definitivamente pronunciando sul ricorso proposto da X
contro Y, ogni ulteriore domanda e/o eccezione disattesa, così provvede: dichiara
l'improcedibilità del presente giudizio stante la mancata attivazione della
mediazione obbligatoria, dando atto che risulta stabilizzata l'ordinanza
provvisoria di rilascio emessa in data 29.09.2015 nel procedimento di intimazione
di sfratto per morosità omissis
instaurato da omissis contro omissis; compensa tra le parti le spese
di lite.