=> Tribunale di Salerno, 17 settembre 2020
La domanda risarcitoria
proposta dalle attrici, avendo ad oggetto il risarcimento dei danni arrecati
all'immobile di proprietà esclusiva delle stesse in conseguenza delle infiltrazioni
d'acqua provenienti dalla sovrastante proprietà esclusiva di altri condomini,
non rientra in alcuna delle ipotesi previste dall'art.
5bis d.lgs. n. 28/10. In particolare, non trattandosi, secondo la
prospettazione attorea, di infiltrazioni provenienti da beni condominiali, il
presente giudizio non ha ad oggetto controversie in materia di condominio ex
art. 71quater disp. att. c.c., ossia quelle derivanti dalla violazione o
dall'errata applicazione degli artt. 1117-1139 c.c. e 61-72 disp. att. c.c. (I)
(II).
(I) Si veda l’art. 5, D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 (Osservatorio Mediazione Civile n. 38/2018).
(II) Per approfondimenti si veda La mediazione nella riforma del condominio (Osservatorio Mediazione Civile n. 131/2012); si segnala altresì SPINA, Brevi note sull’ambito di applicazione della mediazione obbligatoria (Osservatorio Mediazione Civile n. 23/2012) e SPINA, Ambito applicativo della mediazione obbligatoria: interpretazione oggettiva o soggettiva? (Osservatorio Mediazione Civile n. 42/2012).
Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 8/2021(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)
Omissis
Preliminarmente va rigettata, in quanto infondata, l'eccezione di improcedibilità della domanda attorea per il mancato preventivo esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione di cui all'art. 5 d.lgs. n. 28/10.
Invero, la domanda risarcitoria proposta
dalle attrici, avendo ad oggetto il risarcimento dei danni arrecati
all'immobile di proprietà esclusiva delle stesse in conseguenza delle
infiltrazioni d'acqua provenienti dalla sovrastante proprietà esclusiva di
altri condomini, non rientra in alcuna delle ipotesi previste dall'art. 5bis d.lgs.
n. 28/10. In particolare, non trattandosi, secondo la prospettazione attorea,
di infiltrazioni provenienti da beni condominiali, il presente giudizio non ha
ad oggetto controversie in materia di condominio ex art. 71quater disp. att.
c.c., ossia quelle derivanti dalla violazione o dall'errata applicazione degli
artt. 1117-1139 c.c. e 61-72 disp. att. c.c. Sempre in via preliminare va poi
rilevato che, nelle note telematiche di precisazione delle conclusioni del
27/05/2020, l'attrice D'Am. Gi. ha espressamente rinunciato alla domanda di
risarcimento dei danni non patrimoniali subiti a causa ed in conseguenza delle
lamentate infiltrazioni, sicchè il presente giudizio attiene alla sola domanda
risarcitoria proposta da omissis, in
qualità di comproprietarie “pro indiviso” dell'appartamento alle stesse
pervenuto per successione “ab intestato” ad omissis
(circostanza non contestata e, comunque, evincibile dalla denuncia di
successione in atti), in relazione ai danni patrimoniali arrecati al predetto
immobile.
Tale domanda merita accoglimento per quanto
di ragione.
Invero, in primo luogo, i testi omissis. Tali circostanze hanno trovato
puntuale riscontro nella CTU espletata, nell'ambito del procedimento di ATP omissis.
Risulta, dunque, fondata la circostanza,
dedotta da parte attrice, della provenienza delle infiltrazioni dalla
sovrastante proprietà dei convenuti omissis,
con la conseguenza che questi ultimi vanno condannati al risarcimento dei
relativi danni, trovando la loro responsabilità fondamento nella custodia, ex
art. 2051 c.c., dell'appartamento di loro proprietà.
Infatti, secondo l'ormai consolidata
giurisprudenza di legittimità (cfr., ex multis, Cass. n. 27724/18, n. 2477/18,
n. 12027/17), la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia (art.
2051 c.c.) ha carattere oggettivo e, pertanto, perché possa configurarsi in
concreto è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia ed
il danno arrecato, senza che rilevi la condotta del custode e l'osservanza o
meno di un obbligo di vigilanza.
Atteso che tale tipo di responsabilità si
fonda non su un comportamento od un'attività del custode, ma su una relazione
(di custodia) intercorrente tra questi e la cosa dannosa, e poiché il limite
della responsabilità risiede nell'intervento di un fattore (il caso fortuito)
che attiene non ad un comportamento del responsabile, ma alle modalità di
causazione del danno, si deve ritenere che la rilevanza del fortuito concerne
il profilo causale, in quanto suscettibile di una valutazione che consenta di
ricondurre all'elemento esterno, anziché alla cosa che ne è fonte immediata, il
danno concretamente verificatosi.
È logica, pertanto, la ragione
dell'inversione dell'onere della prova prevista dalla citata norma, relativa
alla ripartizione della prova sul nesso causale: all'attore compete, infatti,
provare l'esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l'evento lesivo,
laddove il convenuto, per liberarsi, è tenuto a provare l'esistenza di un
fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso
causale, e, cioè, un fattore esterno (che può essere anche il fatto di un terzo
o dello stesso danneggiato) che presenti i caratteri del fortuito e, quindi,
dell'imprevedibilità e dell'eccezionalità (Cass. n. 2062/04).
Tali essendo, allora, i principi applicabili
nella controversia in esame, ritiene il Tribunale che mentre parte attrice ha
esaurientemente adempiuto il proprio onere probatorio, non altrettanto può
dirsi per quanto riguarda i convenuti, i quali non hanno positivamente
dimostrato, come sarebbe stato loro onere ex art. 2051 c.c., l'esistenza di un
fattore estraneo alla propria sfera di controllo, idoneo ad interrompere il
rapporto eziologico tra la cosa e l'evento lesivo, di un fattore esterno (anche
il fatto di un terzo o dello stesso danneggiato), avente, cioè, i caratteri del
fortuito (imprevedibilità ed eccezionalità). Di recente si è ribadito che “La
responsabilità ex art. 2051 c.c. impone al custode, presunto responsabile, di
fornire la prova liberatoria del fortuito e ciò in ragione sia degli obblighi di
vigilanza, controllo e diligenza, in base ai quali è tenuto ad adottare tutte
le misure idonee a prevenire e impedire la produzione dei danni a terzi, sia in
ossequio al principio cd. della vicinanza della prova, in modo da dimostrare
che il danno si è verificato in maniera né prevedibile né superabile con lo
sforzo diligente adeguato alle concrete circostanze del caso” (Cass. n.
8811/2020).
Infondate sono le eccezioni con cui i
convenuti, al fine di escludere la loro responsabilità, hanno sostenuto che: 1)
non fosse configurabile un rapporto di custodia con l'immobile in esame in
quanto lo stesso, all'epoca dei fatti, era disabitato e completamente
interessato da lavori di ristrutturazione edilizia non ancora ultimati; 2) le
infiltrazioni d'acqua sarebbero state determinate dall'abbondanza delle
precipitazioni atmosferiche e dall'ostruzione delle condutture fognarie
condominiali; 3) la responsabilità sarebbe comunque da addebitare all'impresa
appaltatrice dei lavori di ristrutturazione dell'immobile, in quanto effettiva
custode di quest'ultimo.
Ebbene, la prima e la terza eccezione, che
possono essere esaminate congiuntamente, non sono meritevoli di accoglimento in
quanto, ai fini dell'applicazione dell'art. 2051 c.c., deve considerarsi
custode chi di fatto controlla le modalità d'uso e di conservazione
dell'immobile dal quale provengono le infiltrazioni, essendo irrilevante che
tale immobile sia disabitato. Nel caso di specie, i convenuti Es.-Bu. avevano,
comunque, la disponibilità materiale e giuridica del loro appartamento, tanto
da averne consentito l'accesso all'impresa appaltatrice affidataria dei lavori
di ristrutturazione.
In particolare, si è condivisibilmente
sostenuto in giurisprudenza che “Nell'ipotesi di danni cagionati ad un immobile
sottostante a seguito di lavori di pavimentazione di un appartamento, la
responsabilità del custode ex art. 2051 cod. civ. è esclusa solo dal caso
fortuito, il quale non attiene ad un comportamento dello stesso custode ma al
profilo causale dell'evento, riconducibile non alla cosa che ne è fonte
immediata, ma ad un elemento esterno, che può consistere anche nel fatto di un
terzo. Ne consegue che, in caso di affidamento dei lavori in appalto, non
occorre verificare, al fine di escludere la responsabilità del custode committente,
se questi sia incorso in una "culpa in eligendo" nell'individuazione
dell'appaltatore, del progettista o del direttore dei lavori, ovvero se lo
stesso abbia lasciato loro piena autonomia, ma è necessario accertare se
l'esecuzione dei lavori commissionati a terzi presenti quei caratteri di
eccezionalità, imprevedibilità e autonoma incidenza causale rispetto all'evento
dannoso, tali da integrare il caso fortuito” (Cass. n. 20619/14).
Nel caso di specie, i convenuti, a parte che
non hanno provveduto a citare in giudizio l'impresa appaltatrice dei lavori di
ristrutturazione (essendo decaduti dalla relativa facoltà), non hanno offerto
alcuna prova del carattere eccezionale ed imprevedibile dell'esecuzione dei
lavori affidati a tale impresa.
Peraltro, per consolidata giurisprudenza, il
proprietario di un immobile non cessa di averne la materiale disponibilità per
averne pattuito, in appalto, la ristrutturazione, e pertanto, salvo che provi
il totale affidamento di esso all'appaltatore, è responsabile, ai sensi
dell'art. 2051 c.c. perché custode del bene, dei danni derivati ad un terzo,
avendo l'obbligo, al fine di impedire che essi si verifichino, di controllare e
vigilare l'esecuzione dei relativi lavori (Cass. n. 11671/18, n. 27554/17, n.
15734/11, n. 2298/04, n. 3041/99, n. 5007/96).
Nella specie, è del tutto mancata anche la
prova del totale affidamento all'impresa appaltatrice dell'appartamento in
esame, posto che l'aver affidato in appalto i lavori di ristrutturazione
dell'immobile non consente in alcun modo di desumere le modalità di affidamento
(totale o solo parziale) della custodia dell'immobile, né consente di escludere
che il proprietario- committente non sia affatto intervenuto a dare indicazioni
per la esecuzione dei lavori. Il totale affidamento del cespite deve, anzi,
escludersi se si considera che, come rilevato dal CTU, sono stati gli stessi
convenuti omissis a limitare i danni
arrecati alla sottostante proprietà delle attrici intervenendo con
l'apposizione di teli di plastica alle finestre, prive di infissi, del predetto
appartamento, così dimostrando di poter ancora esercitare poteri di intervento
e di vigilanza su tale immobile.
Per quanto attiene alla deduzione secondo cui
le infiltrazioni d'acqua sarebbero state determinate dall'abbondanza delle
precipitazioni atmosferiche e dall'ostruzione delle condutture fognarie
condominiali, trattasi ugualmente di circostanze rimaste del tutto
indimostrate.
In particolare, in tema di responsabilità ex
art. 2051 c.c., perché le precipitazioni atmosferiche possano integrare
l'ipotesi del caso fortuito, assumendo rilievo causale esclusivo, occorre che
esse rivestano i caratteri dell'imprevedibilità e dell'eccezionalità, ed il
conseguente accertamento, in particolare quello della ricorrenza di un “forte temporale”,
di un “nubifragio” o di una “calamità naturale”, presuppone un giudizio da
formulare - in relazione alla peculiarità del fenomeno - non sulla base di
nozioni di comune esperienza, ma con un'indagine orientata essenzialmente da
dati scientifici di tipo statistico (i cosiddetti dati pluviometrici) riferiti
al contesto specifico di localizzazione della “res” oggetto di custodia (Cass.
n. 30521/19, n. 2482/18).
Tale prova documentale non è stata
minimamente fornita dai convenuti, essendo del tutto insufficiente il generico
avviso di “allerta meteo” dagli stessi depositato.
Alquanto inverosimile risulta anche il
tentativo di coinvolgimento, nella presente controversia, del Condominio Parco
Caprino, in cui sono situati gli immobili oggetto di causa, posto che, come
rilevato dal CTU omissis (pag. 6
consulenza), una delle pluviali che parte dalla terrazza Es.-Bu. non è
collegata alla fognatura a piano terra, sicchè difetta del tutto il nesso
causale tra l'asserita ostruzione delle condutture fognarie condominiali ed i
danni subiti dalla proprietà attorea.
Ne deriva che al risarcimento di tali danni
vanno condannati i soli convenuti omissis.
Per quanto attiene alla quantificazione del
predetto pregiudizio, come si desume dalla CTU dell'omissis i lavori di ripristino da eseguire nella proprietà attorea
consistono nell'eliminazione dell'intonaco ammalorato mediante spicconatura,
nel risanamento dei ferri di armatura del solaio che, a causa delle
infiltrazioni, potrebbero risultare arrugginiti, nella preparazione delle
pareti e dei soffitti mediante stuccatura e rasatura, nonché nella
tinteggiatura delle superfici opportunamente preparate.
L'importo di tali lavori ammonta ad €
3.281,15, oltre iva, come da computo metrico allegato alla CTU, mentre non può
tenersi conto dell'ulteriore somma di € 150,00 per oneri comunali, atteso che,
come rilevato dallo stesso CTU, il Comune di Battipaglia, per tale tipo di
intervento edilizio di manutenzione, prevede la “comunicazione per attività
libera”, che è gratuita e non necessita dell'intervento di un tecnico
abilitato.
Ne consegue che i convenuti omissis vanno condannati, in solido, al
pagamento, a favore delle attrici, della somma di € 3.281,15 oltre iva.
Quanto al danno per ritardato pagamento,
trattandosi di debito di valore, sulla predetta somma, rivalutata anno per anno
secondo gli indici Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di impiegati ed
operai, sono dovuti, in adesione all'orientamento della S.C. (S.U. n.
1712/1995), gli interessi legali al tasso p.t. vigente, a partire dalla domanda
giudiziale (come richiesto in citazione), ossia dal 25/02/14, fino alla
pubblicazione della presente sentenza; da tale data, che segna la conversione
del debito risarcitorio di valore in debito di valuta, sono dovuti i soli
interessi legali sulla somma complessivamente liquidata all'attualità fino al
soddisfo.
Vanno poste a carico dei convenuti, in quanto
soccombenti, le spese giudiziali (liquidate in base ai valori medi del D.M. n.
55/14, scaglione da € 1.100,01 ad € 5.200,00) sostenute dalle altre parti,
comprese quelle del procedimento di ATP. In particolare, i convenuti devono
rifondere anche le spese giudiziali sostenute dall' omissis spa,
chiamata in garanzia dal Condominio Parco Caprino, atteso che, per consolidata
giurisprudenza, nel caso di chiamata in causa del terzo, le spese sostenute da
quest'ultimo, che non sia rimasto soccombente, non possono gravare sul
chiamante qualora questi non sia rimasto soccombente né nei confronti del
chiamato né nei confronti della controparte (Cass. n. 11743/03), sicchè il
relativo rimborso deve essere posto a carico della parte soccombente, ove la
chiamata si sia resa necessaria in relazione alla tesi sostenuta dal
soccombente e risultata infondata o comunque provocata e giustificata dalla
pretesa del medesimo soccombente (Cass. n. 12301/05; Cass. n. 7168/04), e ciò
anche se nei confronti del chiamato non sia stata proposta alcuna domanda o
emessa alcuna pronuncia di merito (Cass. n. 20609/17; Cass. n. 22234/14),
ovvero qualora manchi un diretto rapporto sostanziale e processuale tra il
soccombente e le altre parti del giudizio, dovendo le spese essere poste a
carico della parte che ha dato causa alla lite, azionando una pretesa
riconosciuta poi infondata (Cass. n. 5262/01).
PQM
Il Tribunale di Salerno, Seconda Sezione Civile, in persona del Giudice dott. Cesare Taraschi, definitivamente pronunciando sulle domande proposte omissis: accoglie la domanda di parte attrice e, per l'effetto, accertata l'esclusiva responsabilità di omissis, ai sensi dell'art. 2051 c.c., nella causazione dei danni arrecati all'immobile di proprietà delle attrici, condanna omissis, in solido, al pagamento, a favore di omissis, della somma complessiva di € 3.281,15 oltre iva, con interessi e rivalutazione come indicato in motivazione, a titolo di risarcimento dei danni patrimoniali; condanna omissis, in solido, al pagamento delle spese giudiziali omissis.
AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.