La mediazione delle controversie ambientali
Giulio Spina
Estratto da Ambiente & Sviluppo n. 5/2013
[…]
L’opportunità di
intraprendere un siffatto percorso appare notevolmente evidente proprio con
riferimento alle controversie in materia
ambientale, specie in quelle relative al danno ambientale ove, come noto, anche in linea con i principi
informanti la materia del risarcimento del diritto
ambientale di matrice europea[1], la priorità è quella
del ripristino dello stato dei luoghi
piuttosto che il mero risarcimento per equivalente monetario[2] (forma risarcitoria
ripristinatoria che anche la più recente giurisprudenza di legittimità descrive
come “ontologicamente più idonea di quella per equivalente a garantire
l’effettività dei risultati della reazione del soggetto leso dal lamentato
danno ambientale e della risposta giudiziaria che ne riconosca il fondamento”[3]).
Proprio in questa
peculiare caratteristica della disciplina del risarcimento del danno ambientale
emerge come anche il legislatore si sia preoccupato di dare priorità all’interesse reale sotteso alla lite
piuttosto che alla posizione di diritto da tutelare (ovvero alla tutela del
bene ambiente, nella concretezza della fattispecie di volta in volta in analisi)[4]; ciò posto, si
consideri come il ripristino dello stato dei luoghi possa in realità avvenire
con innumerevoli modalità con riferimento alle quali un consapevole dialogo tra
le parti potrebbe portare alla definizione
di modalità pratiche ripristinatorie non solo che soddisfino le stesse maggiormente,
ma che ne garantisca poi anche una più agevole realizzazione concreta[5]; vi sono inoltre minori
probabilità che nascano specifici contenzioni tra le parti in merito
all’esecuzione di un accordo volontariamente raggiunto tra le stesse, piuttosto
che con riferimento all’adempimento di un obbligo imposto da altri[6].
L’ampiezza degli aspetti che possono entrare
in una mediazione, che dunque non riguarda solo la definizione del singolo
elemento in controversia, ma che può ampliarsi sino a comprendere in senso più ampio l’interezza dei rapporti
tra le parti in lite, anche (e soprattutto) in una prospettiva futura,
risulta al riguardo elemento peculiare di tale procedimento, che ne suggerisce una
potenziale ed ampia applicazione proprio con riferimento a numerose tipologie
di controversie ambientali[7].
In questi termini appare evidente
come la mediazione […].
Estratto
da
Ambiente & Sviluppo
Consulenza epratica per l'impresa e gli enti locali
Ipsoa
n. 5 del 2013
[1] Al riguardo basta rimare ai principi espressi dalla
nota Direttiva n. 2004/35/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del
21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione
e riparazione del danno ambientale, nonché alla connessa procedura di
infrazione n. 2007/4679 attivata proprio nei confronti dell’Italia in tema di
risarcimento del danno ambientale in forma pecuniaria.
[2] Tale
forma risarcitoria (tutela reale) è considerata quale disciplina speciale
rispetto alle norme generali dettate dal codice civile in materia di
risarcimento del danno. Come noto, infatti, il c.d. Codice dell’ambiente
(D.lgs. n. 152 del 2006, nel testo oggi vigente) stabilisce: all’art. 311,
comma 1 che il Ministero dell’ambiente agisce per il risarcimento del danno in
forma specifica e, se è necessario, per equivalente patrimoniale; all’art. 311,
comma 2 che chiunque, realizzando un fatto illecito, o omettendo attività o
comportamenti doverosi, con violazione di legge, di regolamento, o di
provvedimento amministrativo, con negligenza, imperizia, imprudenza o in
spregio a norme tecniche, arrechi danno all’ambiente è obbligato al ripristino
della precedente situazione e, in mancanza, al risarcimento per equivalente
patrimoniale nei confronti dello Stato; all’art. 303, comma 1, lett. f), che i
richiamati criteri di determinazione dell’obbligazione risarcitoria in tema di
danno ambientale si applicano anche alle domande di risarcimento proposte o da
proporre ai sensi della legge 18 luglio 1986, n. 349, art. 18, in luogo, in
particolare, delle previsioni di cui al Titolo 9 del Libro 4 del codice civile.
[3] Si
veda al riguardo Cass. civ. n. 22382 del 2012, la quale – in applicazione di
tali principi – ha affermato la tesi della potenziale officiosità dell’ordine
di ripristino (e cioè del risarcimento in forma specifica anche laddove
l’attore abbia richiesto esclusivamente una tutela per equivalente, essendo
ammissibile il passaggio dalla richiesta di tutela per equivalente a quella
reale, in chiave sollecitativa di una facoltà riconosciuta al giudice).
[4] In
questo senso, in dottrina, evidenziando come la mediazione ambientale rivesta occupi
in Italia ancora uno spazio di nicchia, è stata sottolineata le potenzialità
della valenza applicativa della mediazione proprio con riferimento alla materia
del risarcimento del danno ambientale (da intendersi, richiamando il dettato
normativo di cui all’art. 300 D.lgs. n. 300 del 2006, quale “deterioramento
significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o
dell’utilità assicurata da quest’ultima”) nonché delle connesse questioni
relative alla risarcibilità del danno non patrimoniale, magari di modesta
entità, che derivi da menomazione del rilievo istituzionale dell’ente
costituitosi parte civile. M. G. Imbesi, Il
valore sociale della mediazione ambientale, in Giureta - Rivista di Diritto
dell’Economia, dei Trasporti e dell’Ambiente, n. X del 2012, p. 517.
[5] In
questo senso è stato infatti osservato come “nell’eventualità di un’effettiva
compromissione delle matrici ambientali potrebbe, talvolta, risultare fruttuoso
lo svolgimento di un procedimento di mediazione – ad istanza di parte o su
sollecitazione del Giudice – in cui negoziare (meramente) le modalità del
ripristino dello stato dei luoghi, il risarcimento per le c.d. perdite
provvisorie (e, eventualmente, il danno non patrimoniale da menomazione del
rilievo istituzionale dell’ente). L. Giampietro, I procedimenti di mediazione in materia ambientale: spunti di
riflessione, Ambiente & Sviluppo, Ipsoa, n. 3 del 2011, p. 251.
[6]
Proprio con riferimento al ripristino è stato infatti osservato che “scegliere
la procedura conciliativa potrebbe, in linea teorica, rivelarsi utile per
limitare le contestazioni (e conseguenti contenziosi), incentrati sulla reale
efficacia degli interventi messi in atto”. L. Giampietro, I procedimenti di mediazione in materia ambientale: spunti di
riflessione, in Ambiente & Sviluppo, Ipsoa, n. 3 del 2011, p. 251.
Si ritiene tuttavia che l’utilizzo
della mediazione non possa essere circoscritto ai soli “casi di modesta
compromissione ambientale” (come quelli nei quali il ripristino comporti la
semplice rimozione di materiali non pericolosi), potendo l’istituto in esame –
sempre sulla base delle premesse sopra ricordate con riferimento all’ambito
applicativo del D.lgs. n. 28 del 2010 – trovare fruttuose applicazione anche (o
forse soprattutto) in situazioni più complesse.
Quanto agli accordi
conciliativi in materia raggiungibili in sede di mediazione va inoltre
ricordata l’importanza di definire, con sufficiente specificità, le modalità dell’eventuale
monitoraggio.
[7] Si
veda al riguardo la formulazione dell’art. 4, comma 2, D.lgs. n. 28 del 2010 in
ordine agli elementi dell’istanza di mediazione, con riferimento alla quale lo
stesso legislatore delegato precisa che essa è volta a delineare “una cornice
più snella rispetto a quella della domanda giudiziale, in quanto riferibile a
una contesa che investa un rapporto fonte di possibili plurime cause”.
Relazione illustrativa al decreto 4 marzo 2010, n. 28, in riferimento all’art.
4, comma 2.