=> Tribunale di Firenze, 4 giugno 2015
In caso di mediazione demandata,
la mancata attivazione del procedimento di mediazione entro il termine di 15
giorni disposto dal giudice, ex art.5, comma 2, d.lgs. n. 28/2010, e dunque la tardiva proposizione del
procedimento, comporta l’improcedibilità della domanda (I) (II).
(II) Per approfondimenti si veda Spina,Mediazione delegata: quali conseguenze senon è stata attivata nei termini?, Altalex, 2015.
Fonte: Osservatorio
Mediazione Civile n. 15/2016
Tribunale di Firenze
Sezione III civile
sentenza
4 giugno 2015
Omissis
Il sig. X ha chiesto disporsi la risoluzione per inadempimento
imputabile alla convenuta dell’atto transattivo di cui al verbale di
conciliazione in data 3.12.2009, con condanna della stessa a rimuovere i
manufatti eseguiti in parziale adempimento di esso e con condanna della
medesima al risarcimento dei danni, quantificati in € 25.000,00.
Y ha resistito alle domande, di cui ha chiesto il rigetto, avanzando a
sua volta domanda riconvenzionale per il pagamento dell’importo di € 4.944,62
oltre alla quota parte posta a carico dell’attore ed alle relative spese di
demolizione del manufatto.
Il procedimento, già incardinato presso la sezione distaccata di Empoli,
è stato istruito con prova per testi, in via documentale, e con CTU.
A seguito della soppressione ex lege della Sezione Distaccata, la causa
è stata trasferita presso la sede centrale ed assegnata a questo Giudice
(provv. Presidenziale 13.11.2013).
All’udienza 15.4.2014 l’ufficio ha disposto procedersi a mediazione
delegata nel termine di gg 15 ai sensi dell’art. 5, II co., D. Lgs. N. 28/2010
e successive modifiche.
Tale incombente non ha sortito esito positivo.
All’udienza 5.5.2015 è stata rilevata di ufficio la improcedibilità
delle domande proposte attesa la tardiva attivazione del procedimento di
mediazione.
Le parti hanno quindi precisato le conclusioni, confermando quelle di cui
agli atti introduttivi.
La causa è passata in decisione a seguito di discussione orale.
Le parti hanno depositato note conclusive autorizzate.
L’invio delle parti in mediazione (c.d. mediazione delegata o disposta
dal giudice) costituisce potere discrezionale dell’ufficio che può essere
esercitato “valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione ed il
comportamento delle parti” sempreché non sia stata tenuta l’udienza di
precisazione delle conclusioni. Ove la mediazione venga disposta, il suo
esperimento “è condizione di procedibilità della domanda giudiziale” (art. 5,
II co. D.Lgs. citato).
Ne segue che il mancato esperimento della mediazione vizia
irrimediabilmente il processo, impedendo l’emanazione di sentenza di merito.
Tale disciplina, finalizzata a favorire la conciliazione della lite con
l’intervento di soggetto terzo imparziale, non pone problemi di natura
costituzionale né appare lesiva dei precetti di cui alla normativa
sovranazionale sul diritto di azione e di accesso alla giustizia (Carta di
Nizza, CEDU).
Non vi è dubbio infatti che l’intento perseguito – deflazionamento del
contenzioso con positivi effetti sotto il profilo della ragionevole durata del
processo – giustifichi sotto il profilo razionale e costituzionale, da un lato,
il potenziamento degli istituti di definizione delle controversie alternativi
al processo, e, dall’altro, la sanzione prevista in caso di inottemperanza
all’ordine giudiziale.
Nessun dubbio può poi porsi circa la applicabilità della disciplina
della mediazione delegata ai procedimenti pendenti alla data del 21.9.2013,
data di entrata in vigore delle nuove disposizioni in materia di mediazione.
Invero, in assenza di una espressa diversa disciplina transitoria ed in
coerente osservanza del principio tempus regit actum, secondo cui la validità
degli atti processuali deve essere valutata con riferimento alla disciplina
vigente al momento in cui l’atto è compiuto, e non a quella in vigore alla data
di avvio del processo, non vi è alcuna ragione di ritenere l’istituto in
questione applicabile esclusivamente ai procedimenti avviati dopo la sua
entrata in vigore.
N’è d’altra sul punto si traggono spunti interpretativi diversi dal
disposto dell’art. 24 del D. Lgs. N. 28 (che differiva l’efficacia
dell’originario art. 5, comma 1, ai procedimenti avviati dopo il 21.3.2011),
posto che tale norma si riferisce espressamente alla mediazione ante causam,
oggi disciplinata dall’art 5, co. 1 bis, e non a quella delegata/demandata dal
giudice (art. 5, co. 2), così come novellata dal DL n. 69/13 conv. con modif.
nella L. 98/2013.
Nella fattispecie è pacifico che, nel termine concesso all’udienza
15.4.2014, nessuna delle parti ha attivato la mediazione. Irrilevante e
tardivo, ad avviso del Tribunale, è poi il successivo esperimento della
mediazione su iniziativa della parte convenuta in data 8.7.2014 (cfr sul punto
quanto risultante dal verbale di mediazione depositato).
Trattasi, infatti, di adempimento posto in essere quando il termine ex
lege assegnato per l’esperimento (rectius: attivazione) del procedimento di
mediazione era già ampiamente scaduto.
Né d’altra parte giova obbiettare che, in difetto di legale espressa
previsione, il termine in questione non avrebbe natura perentoria, ma solo
ordinatoria (art. 152 c.p.c.).
Invero, secondo la giurisprudenza di legittimità, che si condivide, il
carattere della perentorietà del termine può desumersi, anche in via interpretativa
tutte le volte che, per lo scopo che persegue e la funzione che adempie, lo
stesso debba essere rigorosamente osservato (in questo senso Cass. n. 14624/00,
4530/04).
Non si dubita ad esempio, che, il termine per proporre opposizione a
decreto ingiuntivo di cui all’art. 641 c.p.c., pur non espressamente dichiarato
perentorio da tale disposizione, abbia tale qualità, sia perché tale
procedimento presenta taluni caratteri del procedimento impugnatorio, la cui
proposizione è secondo i principi generali sempre scandita da rigorosi termini
processuali, sia perché la mancata osservanza di tale termine comporta
esecutorietà del decreto ex art. 647 c.p.c.
Ritiene il giudicante che a conclusione analoga si debba pervenire in
caso di mancato rispetto del termine concesso dal giudice ex art. 5, II co.,
ultimo periodo D. Lgs. citato per il deposito della domanda di mediazione.
La implicita natura perentoria di tale termine si evince dalla stessa
gravità della sanzione prevista, l’improcedibilità della domanda giudiziale,
che comporta la necessità di emettere sentenza di puro rito, così impedendo al
processo di pervenire al suo esito fisiologico.
Apparirebbe assai strano che il legislatore, da un lato, abbia previsto
la sanzione dell’improcedibilità per mancato esperimento della mediazione,
prevedendo altresì che la stessa debba essere attivata entro il termine di 15
gg, dall’altro, abbia voluto negare ogni rilevanza al mancato rispetto del
suddetto termine. In proposito è solo il caso di rilevare che, anche a ritenere
di natura ordinatoria e non perentoria il termine di 15 gg per l’avvio della
mediazione, la mancata proposizione di tempestiva istanza di proroga comporta
inevitabilmente secondo la prevalente giurisprudenza, che si condivide, la
decadenza dalla relativa facoltà processuale (così, in materia di conseguenze
del mancato rispetto di termini ordinatori processuali, non prorogati, cfr, di
recente, Cass. N. 589/2015, n. 4448/13, e con pronunce più risalenti, Cass. n.
4877/05; 1064/05; 3340/97).
Il principio è stato da ultimo applicato nelle indicate sentenze della
corte di legittimità essenzialmente con riferimento al caso della violazione
del termine concesso dal giudice per l'assunzione dei mezzi di prova fuori
della circoscrizione del tribunale (art. 203, II co. c.p.c. secondo cui
“Nell’ordinanza di delega il giudice delegante fissa il termine entro il quale
la prova deve assumersi…”).
La S.C., confermando un orientamento già più volte espresso, con la
sentenza n. 589/2015, premesso che tale termine ha carattere ordinatorio, e che
quindi lo stesso è prorogabile, ex art. 154 cod. proc. civ., in caso di istanza
avanzata prima della scadenza del termine stesso, ha evidenziato che il suo
inutile decorso “comporta la decadenza della parte dal diritto di far assumere
la prova delegata, e non soltanto dal diritto di far assumere, per delega, la
prova medesima”.
Va pertanto senz’altro disatteso quel diverso e più risalente
orientamento, secondo cui “lo scadere di un termine ordinatorio … non produce
effetti preclusivi, conformemente al disposto di cui all'art. 152 c.p.c.,
sempre che non si sia verificata una situazione processuale incompatibile” (v.
Cass. Sez. Lav. N. 420/1998).
Né d’altra parte sul punto può valorizzarsi il diverso orientamento
giurisprudenziale, anche recentemente ribadito, formatosi in materia di mancato
rispetto del termine, ritenuto ordinatorio, per la attivazione del
contraddittorio nei procedimenti attivati con ricorso (tra le tante vedi SSUU
n. 5700/14; conforme Sez. I, n. 11418 del 22/05/2014).
Invero in tali casi la mancata messa in notifica del ricorso e del
decreto di fissazione dell’udienza da parte del ricorrente è stata ritenuta
sanabile in applicazione analogica del disposto di cui all’art. 291 c.p.c., con
conseguente obbligo per il giudice, in caso di omessa notifica ovvero di
notifica tardiva, di assegnare nuovo termine, questa volta di natura
perentoria, per la rinnovazione della notifica fissando ulteriore prima
udienza.
In quella fattispecie infatti la deroga ai principi generali in materia
di effetti della violazione dei termini ordinatori è conseguenza della
applicazione analogica di specifica disposizione normativa (art. 291 c.p.c.),
riguardante il meccanismo di sanatoria della nullità della notifica dell’atto introduttivo.
Tale disposizione prevede che, “se il convenuto non si costituisce e il
giudice rileva un vizio che comporta nullità della notificazione della
citazione, fissa all’attore un termine perentorio per rinnovarla. La
rinnovazione impedisce ogni decadenza”.
Appare evidente che tale norma, per diversità di oggetto e materia, non
può essere applicata alla fattispecie, nemmeno in via analogica.
Si aggiunga che non risulta altra disposizione di ordine generale che
consenta, sia pure mediante ricorso all’analogia, la sanatoria del mancato
rispetto di termine ordinatorio non prorogato, in materia estranea a quella
delle formalità per la instaurazione del contraddittorio.
Né d’altra parte appare lecito fare riferimento in via analogica al
meccanismo di sanatoria previsto dal D. Lgs. N. 28/2010 e s.m.i. in caso casi
di mancato esperimento della mediazione nelle materie in cui la stessa è
obbligatoria ante causam (art. 5 co 1 bis).
Invero, considerata la natura speciale della disciplina della mediazione
“iussu iudicis”, e la espressa sanzione di improcedibilità prevista in caso di
inottemperanza, non appare ragionevole ammettere che, in caso di mancato
esperimento e/o esperimento tardivo della mediazione disposta dal giudice, sia
consentito alle medesime di sanare la propria inerzia mediante la concessione
di nuovo apposito termine.
D’altra parte nella mediazione obbligatoria ante causam il relativo
procedimento deve essere esperito prima del giudizio, e quindi d’iniziativa
dalle parti.
Ciò spiega perché, ove tale incombente non venga assolto, e la questione
sia eccepita dalla parte interessata o rilevata di ufficio, sia consentito
sanare l’omissione mediante successivo esperimento della stessa. Si è voluto
cioè, in coerenza con analoghe disposizioni processuali (si pensi al caso del
tentativo obbligatorio di conciliazione) evitare l’applicazione della grave
sanzione dell’improcedibilità per omissione che poteva essere frutto di mancata
conoscenza dell’obbligo normativo. L’improcedibilità in tal caso consegue infatti
solo al mancato esperimento della mediazione, ove non sia ottemperato l’ordine
del giudice di esperire la mediazione art. 5, I co. bis, D. Lgs. n. 28/10 e
ss.mm.ii.
Del tutto coerente con tale impostazione è l’aver previsto che il
mancato esperimento della mediazione disposta dal giudice ai sensi del II comma
della disposizione citata, comporti immediatamente, e quindi senza possibilità
di sanatoria, l’improcedibilità della domanda.
Deve pertanto concludersi nel senso che la mediazione tardivamente
attivata rende improduttivo di effetti il relativo incombente, provocando gli
stessi effetti del mancato esperimento di esso.
Ne segue quindi la applicazione della sanzione della improcedibilità
della domanda giudiziale.
Alla luce dei principi di diritto di cui sopra vanno pertanto sanzionate
con l’improcedibilità le domande principali e quella riconvenzionale proposte.
Resta assorbita ogni questione di merito.
Considerata la novità della questione e la circostanza che la stessa è
stata rilevata di ufficio, le spese di lite vanno interamente compensate. Le
spese di CTU, liquidate come in atti, per la stessa ragione vanno poste a
carico delle parti, metà per ciascuna, con spese di CTP compensate.
PQM
Visto l’art. 281 sexies c.p.c. il Tribunale di Firenze, III Sez. Civ.,
definitivamente decidendo, ogni altra e contraria istanza disattesa, così
provvede: dichiara improcedibili la domanda principale e quella riconvenzionale
proposte; compensa le spese di lite; pone le spese di CTU, liquidate come in
atti, definitivamente a carico delle parti, metà per ciascuna, con spese di CTP
compensate.
Il Giudice
dott. Alessandro Ghelardini