=> Corte di Cassazione, 12 dicembre 2023, n. 34713
Il fatto che il legislatore abbia introdotto solamente nel 2018 una
specifica tabella recante i parametri di liquidazione del compenso per
l'attività svolta dall'avvocato nelle procedure di mediazione e di
negoziazione assistita, non comporta affatto che in precedenza dette attività
difettassero di autonoma rilevanza. Anzi, la circostanza che il legislatore
abbia avvertito la necessità di prevedere una tabella ad hoc, esprime piuttosto
il riconoscimento dell'autonomia di tali attività, che sono state
ritenute meritevoli di separata considerazione non solo rispetto
all'attività giudiziale propriamente detta, ma anche rispetto all'attività
stragiudiziale genericamente intesa. Dunque, la novella del 2018 non ha
conferito alla mediazione un'autonoma rilevanza che prima non aveva, ma ha
semmai preso atto del rilievo che tale attività ha sempre avuto,
dedicandole specifici parametri tabellari di determinazione del compenso. Ne
consegue che prima dell'introduzione del D.M. n. 55 del 2014, art. 20, comma
1-bis, l'attività di mediazione era pur sempre suscettibile di separata
liquidazione, ai sensi del comma 1 della norma in commento, quale attività
stragiudiziale svolta prima o in concomitanza con l'attività giudiziale, dotata
di autonoma rilevanza rispetto a quest'ultima.
Fonte: Osservatorio
Mediazione Civile n. 7/2024
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)
Cote di cassazione
sezione II
sentenza n. 34713
12 dicembre 2023
Omissis
Fatti di causa
1. Con ricorso ai sensi degli artt. 702-bis c.p.c. e D.Lgs. n. 150 del
2011, art. 14 l'avvocato T.S. adiva il Tribunale di Torre Annunziata al fine di
sentir condannare la TT s.r.l. al pagamento in proprio favore, a titolo di
compenso per le attività di consulenza stragiudiziale e assistenza giudiziale
prestate nell'interesse della convenuta in varie cause presupposte, intercorse
con le società PP. s.r.l. e VV s.r.l., del complessivo importo di Euro
140.683,36, pari alla differenza tra la maggior somma di Euro 162.904,36 - che
l'attore asseriva dovuta in forza di preventivo in atti - e l'acconto già
percepito di Euro 22.221,00. A fondamento della domanda il professionista esponeva
di aver svolto, in particolare, le seguenti prestazioni: (1) partecipazione ad
assemblee societarie ed organizzazione di incontri presso il proprio studio
finalizzati alla ricerca di una soluzione transattiva del contenzioso in essere
con le controparti, nonché introduzione di una procedura di mediazione
obbligatoria; (2) assistenza nel giudizio di appello introdotto dalla PP s.r.l.
avverso la sentenza n. 86/13 del Tribunale di Torre Annunziata; (3)
proposizione del ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di
Appello di Napoli n. 4238/14, definitiva del suddetto gravame; (4) proposizione
in danno della PP. S.r.l., in forza della sentenza n. 86/13, di un pignoramento
di quote sociali innanzi al Tribunale di Torre Annunziata e costituzione nel
conseguente giudizio di opposizione ex art. 615 c.p.c., introdotto
dall'esecutata; (5) intimazione alla PP. s.r.l. di sfratto per morosità;
costituzione, all'esito della fase sommaria, nel giudizio a cognizione piena,
nel quale veniva chiamata in causa la VV s.r.l.; esame della sentenza
definitiva del giudizio e parere in ordine alla eventuale proposizione di
appello.
2. La TT s.r.l. si costituiva in giudizio eccependo, in via
preliminare, l'improcedibilità e l'inammissibilità della domanda, siccome
relativa al compenso per attività professionale svolta innanzi ad uffici
giudiziari diversi da quello adito (Corte di Appello di Napoli e Suprema Corte
di Cassazione); nel merito, disconosciuta la sottoscrizione del preventivo
riferita al proprio legale rappresentante, la convenuta contestava la debenza
degli importi richiesti dall'attore: quanto all'attività stragiudiziale, rilevandone
l'estraneità rispetto alle cause presupposte oggetto di domanda; quanto alla
procedura di mediazione, rilevandone la strumentalità, e dunque il difetto di
autonomia, rispetto all'attività giudiziale svolta; quanto alle prestazioni
processuali, eccependo l'esorbitanza delle somme pretese, calcolate su
scaglioni di valore non corrispondenti a quelli effettivi, nonché eccependo la
negligenza con la quale il difensore aveva espletato il mandato professionale.
La resistente eccepiva, altresì, di aver pagato al T. l'importo complessivo di
Euro 35.908,99 (anziché quello di Euro 22.221,00 dedotto dal professionista) e
concludeva per il rigetto della domanda, in ragione della somma, ritenuta
congrua e satisfattiva, già corrisposta.
3. Con ordinanza collegiale del 07.12.2017, il Tribunale di Torre
Annunziata disponeva preliminarmente la separazione della domanda afferente
alle prestazioni svolte dal T. innanzi alla Corte di Appello di Napoli e alla
Suprema Corte di Cassazione (per le quali declinava la propria competenza in
favore della Corte di Appello di Napoli, fissando alle parti termine perentorio
per la riassunzione del giudizio), dalla domanda riguardante le restanti
attività, svolte innanzi all'ufficio giudiziario adito dal professionista
(pignoramento di quote societarie e costituzione nella relativa opposizione;
sfratto per morosità e relativo giudizio di merito; nonché, quanto all'attività
stragiudiziale, procedura di mediazione obbligatoria disposta nel corso della
causa locatizia). Sul punto, relativamente all'an debeatur, il primo giudice
riteneva provato e non contestato che il professionista avesse svolto le
seguenti attività: (a) proposizione di un procedimento di mediazione relativo
alla causa di sfratto; (b) proposizione di un pignoramento di quote sociali e
redazione della comparsa di risposta a seguito di opposizione all'esecuzione;
(c) assistenza della TT s.r.l. nella fase sommaria e, successivamente, nella
fase a cognizione piena della causa di sfratto. Per quel che concerne il
quantum debeatur, dato atto di non poter prendere in considerazione il
preventivo versato in atti dal professionista, poiché al disconoscimento della
convenuta non aveva fatto seguito una rituale istanza di verificazione, il
Tribunale determinava il compenso facendo applicazione dei parametri ex D.M. n.
55 del 2014, alla luce dei quali, tenuto conto del valore delle cause
presupposte, liquidava i seguenti importi: (a) per la proposizione del
procedimento di mediazione, Euro 3.816,00; (b) per la proposizione del pignoramento
di quote, Euro 1.898,00; per la fase di studio e introduttiva del giudizio di
opposizione all'esecuzione, Euro 7.283,00; (c) per la fase sommaria della causa
di sfratto, Euro 10.707,00; per la fase a cognizione piena, Euro 27.804,00. Il
Tribunale di Torre Annunziata condannava quindi la TT s.r.l. al pagamento in
favore dell'avvocato T., a titolo di compensi professionali, dell'importo
complessivo di Euro 51.508,00 oltre accessori previdenziali e tributari, oltre
rimborso spese generali al 15% e interessi legali dalla domanda al soddisfo,
ponendo a carico della convenuta il 50% delle spese di lite, che compensava per
il restante 50%.
4. La TT s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta
ordinanza sulla base di sette motivi.
5. L'avvocato T.S. ha resistito con controricorso.
6. Con memoria depositata in prossimità dell'udienza la ricorrente
insistito nelle proprie richieste.
Ragioni della decisione
1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: "Violazione
dell'art. 112 c.p.c., sotto il profilo dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 -
omessa pronuncia sull'eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.p.c. (rectius
c.c., ndr.)". La TT s.r.l. deduce di aver contestato il diritto al
compenso reclamato dall'avvocato T., quanto al pignoramento delle quote
sociali, perché la procedura era stata sospesa per difetto di titolo esecutivo
prima ancora del deposito dell'istanza di vendita, ed in seguito non era stata
più riassunta dal difensore; quanto alla causa di sfratto, perché il
professionista aveva erroneamente proposto un'azione di risoluzione per
inadempimento del contratto di locazione, in luogo dell'opposizione L. n. 392
del 1978, ex art. 36 specificamente prevista dall'ordinamento per la
fattispecie oggetto di causa, così cagionando la soccombenza della propria
assistita. La TT s.r.l. deduce di aver pertanto denunciato, sulla scorta delle
superiori premesse, che il contegno del difensore nell'espletamento del mandato
si era rivelato contrario ai doveri di correttezza, buona fede e diligenza professionale
qualificata ex art. 1176 c.c., comma 2, e di aver quindi sollevato eccezione di
inadempimento ex art. 1460 c.c., della quale il Tribunale non avrebbe tuttavia
tenuto conto, essendosi limitato a liquidare i compensi spettanti all'avvocato
T. per l'attività prestata nei giudizi presupposti, senza esaminare gli
inadempimenti che erano stati puntualmente dedotti dalla convenuta come fatti
impeditivi della pretesa avanzata dal professionista.
1.1. La censura è infondata.
Deve evidenziarsi che il giudice di merito, prendendo le mosse dalla
procedura esecutiva, ha liquidato il compenso spettante all'avvocato T.
limitatamente alle attività di predisposizione del pignoramento di quote
sociali e di costituzione nel giudizio di opposizione, sul presupposto che il
relativo espletamento era stato provato dal professionista e non era stato
contestato dalla cliente, mentre ha escluso che al T. spettasse il compenso per
il deposito dell'istanza di vendita, trattandosi di attività contestata del cui
svolgimento l'attore non aveva dato prova (cfr. pag. 4 dell'ordinanza
impugnata). Quanto alla causa locatizia, il Tribunale ha riconosciuto il
compenso al difensore per l'opera prestata in occasione della mediazione, della
fase sommaria e della fase a cognizione piena, trattandosi di attività che
oltre a non essere stata contestata dalla convenuta, era stata provata
dall'attore tramite i mandati a firma dell'assistita in calce agli scritti
difensivi, nonché tramite la produzione degli atti del giudizio (cfr. pag. 5
dell'ordinanza impugnata).
1.2. Il giudice di merito ha dunque ritenuto provato alla luce delle
risultanze istruttorie, avvalorate dal contegno processuale della convenuta,
che l'attore avesse adempiuto le prestazioni dedotte e che in relazione ad esse
avesse diritto al compenso. Tale ratio decidendi è sufficiente a travolgere sul
piano logico-giuridico l'eccezione di inadempimento della TT s.r.l. (peraltro
genericamente sollevata in funzione di un'azione di risarcimento del danno
riservata in separata sede), comportandone la reiezione implicita, senza che
possa dirsi integrata alcuna violazione del principio di corrispondenza tra
chiesto e pronunciato.
Come infatti risulta dai brani della comparsa di risposta riportati nel
corpo del primo motivo di ricorso, la TT s.r.l. si era limitata a dedurre che
la procedura esecutiva era stata sospesa prima del deposito dell'istanza di
vendita, per non essere più riassunta, e che nella causa locatizia era stata
proposta un'azione di risoluzione del contratto, risultata infondata, anziché
l'opposizione la L. n. 392 del 1978, ex art. 36 (norma, quest'ultima, che in
realtà non descrive un'azione giudiziale, ma l'opposizione che il locatore è
tenuto a manifestare al conduttore in caso di cessione a terzi del contratto di
locazione, entro 30 giorni da che ne abbia ricevuto notizia). Tali argomenti,
solo genericamente tratteggiati dalla convenuta, risultano inidonei alla
deduzione di specifici fatti impeditivi della pretesa attorea su cui si fosse
resa necessaria ed ineludibile un'espressa pronuncia da parte del giudice di
merito, risultando superati dall'accertamento del diritto al compenso maturato
dall'avvocato T., la cui obbligazione era del resto di mezzi e non di
risultato, in relazione alle prestazioni professionali di cui era stato provato
l'adempimento. Si deve infatti ribadire che non ricorre il vizio di omessa
pronuncia su un'eccezione di merito, qualora essa, anche se non espressamente
esaminata, risulti incompatibile con la statuizione di accoglimento della
pretesa dell'attore, deponendo per l'implicita pronunzia di rigetto
dell'eccezione medesima (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 24953 del 06/11/2020, Rv.
659772; Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 12131 del 08/05/2023, Rv. 667614).
Il primo motivo deve essere pertanto respinto.
2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: "Violazione
degli art. 112 c.p.c., sotto il profilo dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4,
-omessa pronuncia sull'eccezione di pagamento". La ricorrente deduce che
il giudice di merito, nella liquidazione del compenso ritenuto spettante al
difensore, non avrebbe in alcun modo tenuto conto né dell'importo che la
convenuta aveva eccepito di aver già pagato con efficacia estintiva della
propria obbligazione, né della somma che lo stesso attore aveva dato atto di
aver ricevuto a titolo di acconto.
2.1. La censura è fondata.
La pronuncia impugnata è in effetti del tutto silente sulla questione
delle somme ricevute dall'avvocato T. prima dell'avvio del giudizio, pur
trattandosi di circostanza espressamente riconosciuta dall'attore (che nel
libello introduttivo aveva dato atto della ricezione di acconti per complessivi
Euro 22.122,00) e ribadita dalla convenuta (che nella comparsa di risposta
aveva dedotto di aver versato somme per complessivi Euro 35.908,99).
A differenza di quanto osservato in relazione al precedente motivo,
l'eccezione di pagamento non può ritenersi implicitamente esaminata e disattesa
per effetto della statuizione di accoglimento della domanda dell'avvocato T..
Si deve, infatti, osservare che il Tribunale, premesso di non poter prendere in
considerazione il preventivo versato in atti dal professionista, siccome
utilmente disconosciuto dalla convenuta, ha proceduto alla rideterminazione del
complessivo compenso spettante all'attore sulla scorta dei parametri tabellari
di cui al D.M. n. 55 del 2014, pervenendo alla determinazione dell'importo di
Euro 51.508,00. Sennonché, così determinate le competenze dell'avvocato T. per
l'opera prestata nelle cause presupposte oggetto di pronuncia, il Tribunale non
avrebbe potuto condannare la convenuta al versamento dell'intero ammontare,
senza prima esaminare l'eccezione di pagamento sollevata dalla TT s.r.l.: in
particolare, il giudice di merito, partendo dal pacifico presupposto che il
professionista aveva percepito un acconto di Euro 22.122,00, avrebbe dovuto
accertare l'eventuale maggior somma versata dalla cliente (che sosteneva di
aver pagato complessivi Euro 35.908,99), ed avrebbe dovuto quindi verificare
se, in che misura e a quali delle prestazioni dedotte dall'attore i versamenti
accertati fossero imputabili, tenuto conto della separazione delle domande del
T., disposta per ragioni di competenza, tra prestazioni esaminate direttamente
dal Tribunale ed altre devolute alla cognizione della Corte d'Appello di Napoli.
Solo dopo aver compiuto dette operazioni, il giudice di merito avrebbe
potuto quantificare l'importo effettivamente spettante all'attore. Il
Tribunale, non avendo a ciò provveduto, è incorso nel vizio di omessa pronuncia
denunciato dalla ricorrente con il motivo in esame, che risulta pertanto
meritevole di accoglimento.
3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: "Violazione degli
artt. 99 e 112 c.p.c., sotto il profilo dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, -
pronuncia in carenza di domanda e/o ultra petizione". La ricorrente deduce
che il giudice di merito, nel riconoscere all'avvocato T. anche il rimborso
delle spese generali al 15% sugli importi liquidati a titolo di compenso,
sarebbe incorso in ultrapetizione, non avendo il professionista proposto specifica
domanda in tal senso.
3.1. La censura è infondata.
Occorre premettere che il vizio di "ultra" o
"extra" petizione ricorre quando il giudice di merito, alterando gli
elementi obiettivi dell'azione ("petitum" o "causa
petendi"), emetta un provvedimento diverso da quello richiesto
("petitum" immediato), oppure attribuisca o neghi un bene della vita
diverso da quello conteso ("petitum" mediato), così pronunciando
oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori
(Cass., Sez. 2, Sentenza n. 8048 del 21/03/2019, Rv. 653291; Cass. Sez. 3,
Ordinanza n. 16899 del 13/06/2023, Rv. 667848). Venendo al caso di specie, come
risulta dall'esame delle conclusioni rassegnate nel ricorso ex art. 702-bis
c.p.c., cui il Collegio ha accesso in ragione dell'error in procedendo
denunziato, il T. ebbe a richiedere la condanna della TT s.r.l. al pagamento
del compenso professionale "oltre I.V.A. e c.p.A. nella misura di legge,
oltre le spese ed oneri successivi; Con vittoria di spese e compensi difensivi"
(così a pag. 7 del ricorso ex art. 702-bis c.p.c.). La specifica richiesta di
maggiorazione del compenso di I.V.A., c.p.A., oneri e "spese"
consente di ritenere compreso nel petitum anche il riconoscimento delle spese
generali, le quali sono del resto dovute "in ogni caso" al difensore,
ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, art. 2, comma 2, (rubricato "compensi e
spese"), in aggiunta al rimborso delle spese documentate.
Non ricorre dunque il lamentato vizio di ultrapetizione, in quanto il
giudice di merito si è pronunciato nel perimetro della domanda proposta dal T..
Ne consegue che la censura deve essere respinta.
4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: "Violazione e/o
falsa applicazione degli artt. 4,18,19 e 20 del D.M. n. 55 del 2014 sotto il
profilo dell'art. 360 c.p.c., n. 3". La ricorrente deduce che il Tribunale
avrebbe erroneamente liquidato al professionista un autonomo compenso per la
proposizione del procedimento di mediazione obbligatoria nel corso della causa
di sfratto, trattandosi di prestazione stragiudiziale meramente ancillare
rispetto all'attività giudiziale espletata; osserva in particolare che la
mediazione, quale condizione di procedibilità della domanda, esperita peraltro
su invito del giudice, avrebbe dovuto essere ritenuta assorbita, ai fini della
determinazione del compenso, nelle fasi di studio e introduttiva della
controversia locatizia, cui era legata da un rapporto di strumentalità. La
ricorrente evidenzia che solo a seguito del D.M. n. 37 del 2018, non
applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, è stato previsto,
tramite l'aggiunta del D.M. n. 55 del 2014, art. 20, comma 1-bis, il diritto
del difensore ad un autonomo compenso per l'attività di mediazione prestata
prima o in occasione di un giudizio: sostiene che tale circostanza
confermerebbe che le prestazioni di assistenza rese nella procedura di
mediazione svolta anteriormente alla novella, in difetto di analoga previsione,
dovrebbero essere ritenute assorbite nella fase introduttiva del processo.
4.1. La censura è infondata.
Essa muove innanzitutto dall'erroneo presupposto che l'eventuale natura
strumentale dell'attività stragiudiziale escluda di per sé stessa il diritto al
compenso del difensore, comportandone ineluttabilmente l'assorbimento
nell'attività giudiziale. Trattasi di assunto destituito di fondamento, in
quanto, a mente del D.M. n. 55 del 2014, art. 20, ciò che esclude il diritto ad
un distinto compenso per l'attività stragiudiziale è che essa sia priva di
autonoma rilevanza, non che sia svolta in correlazione a quella giudiziale.
Detto in altri termini, il fatto che sia correlata all'attività giudiziale, o
preparatoria di essa, non comporta che l'attività stragiudiziale sia
necessariamente insuscettibile di autonoma valutazione ai fini della determinazione
delle competenze dell'avvocato che vi abbia prestato la propria opera (si
pensi, ad esempio, alla richiesta di risarcimento del danno che deve essere
necessariamente rivolta alla compagnia assicurativa in caso di sinistro
stradale, al fine di assolvere la condizione di proponibilità della domanda
giudiziale prevista dal D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 145).
In tema di liquidazione degli onorari e diritti di avvocato, questa
Corte ha del resto affermato che la procedura camerale prevista dagli la L. n.
794 del 1942, artt. 29 e 30, pur essendo dettata solo per le prestazioni
giudiziali civili, va ammessa anche per le prestazioni stragiudiziali
realizzate in funzione strumentale o complementare all'attività propriamente
processuale (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 27305 del 30/11/2020, Rv. 659727; Cass.
Sez. 6-2, Ordinanza n. 20269 del 25/09/2014, Rv. 632363; Cass., Sez. 2,
Sentenza n. 920 del 21/01/2004, Rv. 569535; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 470 del
15/01/2003, Rv. 559702; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5700 del 18/04/2001, Rv.
546028; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10770 del 03/12/1996, Rv. 501005). Tale
consolidato orientamento, ancorché relativo alla diversa questione del rito
applicabile alle domande che cumulino la richiesta di liquidazione del compenso
per prestazioni giudiziali civili e prestazioni stragiudiziali, chiaramente
postula l'espresso riconoscimento che l'attività stragiudiziale strumentale a
quella giudiziale sia potenzialmente suscettibile di separata liquidazione, ove
autonomamente valutabile.
Il fatto, poi, che il legislatore abbia introdotto solamente nel 2018
una specifica tabella recante i parametri di liquidazione del compenso per
l'attività svolta dall'avvocato nelle procedure di mediazione e di negoziazione
assistita, non comporta affatto che in precedenza dette attività difettassero
di autonoma rilevanza. Anzi, la circostanza che il legislatore abbia avvertito
la necessità di prevedere una tabella ad hoc, esprime piuttosto il
riconoscimento dell'autonomia di tali attività, che sono state ritenute
meritevoli di separata considerazione non solo rispetto all'attività giudiziale
propriamente detta, ma anche rispetto all'attività stragiudiziale genericamente
intesa.
Dunque, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la novella
del 2018 non ha conferito alla mediazione un'autonoma rilevanza che prima non
aveva, ma ha semmai preso atto del rilievo che tale attività ha sempre avuto,
dedicandole specifici parametri tabellari di determinazione del compenso.
Ne consegue che prima dell'introduzione del D.M. n. 55 del 2014, art.
20, comma 1-bis, l'attività di mediazione era pur sempre suscettibile di
separata liquidazione, ai sensi del comma 1 della norma in commento, quale
attività stragiudiziale svolta prima o in concomitanza con l'attività giudiziale,
dotata di autonoma rilevanza rispetto a quest'ultima.
Alla luce delle considerazioni che precedono, ritenuto che il mezzo in
esame attinge il solo an del diritto al compenso per l'attività di mediazione,
mentre non solleva censure sul quantum debeatur o sui criteri di determinazione
applicati dal giudice di merito, il motivo deve essere respinto.
5. Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: "Violazione del
D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 5, sotto il profilo dell'art. 360 c.p.c.,
comma 1, n. 3. - violazione dell'art. 111 Cost., comma 6 dell'art. 132c.p.c.,
comma 1, n. 4, dell'art. 118, disp att. c.p.c. sotto il profilo dell'art. 360
c.p.c., comma 1, n. 4". La ricorrente sostiene che la motivazione del
provvedimento impugnato sarebbe meramente apparente quanto alla determinazione
del compenso riconosciuto all'avvocato T. per la proposizione del pignoramento
di quote sociali e per la costituzione nel giudizio di opposizione
all'esecuzione, in quanto il Tribunale si sarebbe limitato all'individuazione,
per ciascuna delle due prestazioni, di una somma onnicomprensiva ed unificata,
senza procedere alla relativa liquidazione per fasi, come prescritto dal D.M.
n. 55 del 2014, art. 4, comma 5, così da precludere ogni possibile controllo
sulla correttezza e legittimità del proprio operato.
5.1. La censura è inammissibile per difetto di specificità.
Il giudice di merito ha invero espressamente indicato i parametri di
determinazione del compenso spettante al professionista per l'attività
espletata nel corso della procedura esecutiva (applicazione delle tabelle ex
D.M. n. 55 del 2014; valore della controversia ricompreso nello scaglione fino
ad Euro 1.000.000) ed ha altresì individuato con chiarezza le prestazioni
oggetto di liquidazione (proposizione del pignoramento delle quote sociali;
cura delle fasi di studio e introduttiva del giudizio di opposizione), così
ponendo le parti nella condizione di verificare la correttezza e conformità a
diritto del proprio operato (cfr. pag. 5 dell'ordinanza impugnata).
La ricorrente, per parte sua, si è limitata a denunciare un
insussistente vizio di mera apparenza della motivazione, senza peraltro
avanzare specifiche censure in merito ai parametri di determinazione del
compenso adottati dal Tribunale, o al quantum liquidato in base ad essi.
Invero, onde correttamente contestare nella presente sede di legittimità la
liquidazione del compenso operata dal primo giudice, la TT s.r.l. avrebbe
dovuto specificare quale sarebbe stato, in ipotesi, lo scaglione di valore
applicabile alla causa presupposta e quali sarebbero stati i valori di tariffa
previsti per lo scaglione ritenuto applicabile: va in proposito data continuità
all'orientamento secondo cui, qualora il ricorrente lamenti la scorretta
applicazione di una determinata tariffa, o di uno scaglione della stessa, in
luogo di quelli cui il giudice di merito avrebbe dovuto fare riferimento, ha
l'onere di specificare, nel motivo di censura dedotto in Cassazione, le voci e
gli importi considerati in ordine ai quali il giudice di merito sarebbe incorso
in errore (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 30716 del 21/12/2017, Rv. 647175; Cass.
Sez. 1, Sentenza n. 18086 del 07/08/2009, Rv. 609456; Cass. Sez. 5, Ordinanza
n. 27020 del 15/11/2017, Rv. 64617), di indicare il valore della controversia (Cass.
Sez. 6-3, Ordinanza n. 2532 del 10/02/2015, Rv. 634324) e di dimostrare
l'attività effettivamente resa e quali siano state, in concreto, le violazioni
dei limiti tariffari (Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 7654 del 27/03/2013,
Rv.625598), perché solo in tal modo questa Corte viene posta in grado di
apprezzare quale sarebbe stato, in concreto, il pregiudizio economico che la
parte avrebbe subito per effetto del vizio denunciato.
Dunque, alla luce delle superiori considerazioni, la censura in esame
deve essere disattesa.
6. Il sesto motivo di ricorso è così rubricato: "Violazione del
D.M. n. 55 del 2014, art. 4 sotto il profilo dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n.
3. - nonché della tabella 5. PROCEDIMENTI PER CONVALIDA LOCATIZIA e della
Tabella 2 GIUDIZI ORDINARI E SOMMARI DI COGNIZIONE INNANZI AL TRIBUNALE ad esso
allegate sotto il profilo dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.". La TT
s.r.l. lamenta che il giudice di merito avrebbe duplicato i compensi spettanti
al professionista per la causa di sfratto, applicando sia la tabella n. 5
allegata al D.M. n. 55 del 2014 (per la fase sommaria), sia la tabella n. 2
(per la fase a cognizione piena), laddove nella fattispecie avrebbe dovuto
essere applicata - sostiene la ricorrente - la sola tabella n. 5,
specificamente prevista dal decreto ministeriale per i procedimenti di
convalida di sfratto e già comprensiva delle fasi di studio, introduttiva,
istruttoria e/o di trattazione e decisoria, senza alcuna distinzione tra fasi
sommaria e di merito. In subordine, la ricorrente deduce che la duplicazione
dei compensi avrebbe interessato quantomeno le fasi di studio e introduttiva,
necessariamente uniche nel caso di specie, e ciononostante liquidate
distintamente sia per la fase sommaria, sia per la fase a cognizione piena.
7. Il settimo motivo di ricorso è così rubricato: "Violazione del
D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 5, sotto il profilo dell'art. 360 c.p.c.,
comma 1, n. 3. -violazione dell'art. 111 Cost. comma 6, dell'art. 132c.p.c.,
comma 1, n. 4, dell'art. 118, disp att. c.p.c. sotto il profilo dell'art. 360
c.p.c., comma 1, n. 4". La ricorrente sostiene che la motivazione del
provvedimento impugnato sarebbe meramente apparente anche in relazione alla
determinazione del compenso spettante al professionista per la fase sommaria e
per la fase a cognizione piena della causa locatizia, in ragione della
liquidazione, per ciascuno dei due segmenti processuali, di una somma
onnicomprensiva e cumulativa, senza distinzione per fasi ai sensi del D.M. n.
55 del 2014, art. 4, comma 5.
7.1. Il sesto e settimo motivo di ricorso, che stante la loro evidente
connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati nei sensi di
cui in motivazione.
Le due fasi di cui si compone il procedimento per convalida di sfratto,
l'una sommaria, l'altra (eventuale) a cognizione piena, alla quale si fa luogo
in caso di opposizione dell'intimato, costituiscono articolazioni di una
struttura procedimentale essenzialmente unitaria: tanto si desume dal testuale
tenore dell'art. 667 c.p.c., secondo cui, a seguito dell'opposizione
dell'intimato, il giudice, assunti i provvedimenti previsti dagli artt. 665 e
666 c.p.c., dispone il mutamento del rito ai sensi dell'art. 426 c.p.c. e il
giudizio "prosegue" nelle forme del rito speciale. E' dunque il
medesimo procedimento introdotto dal locatore con la citazione per la convalida
di sfratto che, una volta chiusa la parentesi sommaria, continua a svolgersi
nella fase a cognizione piena ed è destinato a concludersi con la pronuncia di
accoglimento o di rigetto della domanda di condanna del conduttore al rilascio
dell'immobile locato (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8411 del 27/05/2003, Rv.
563613; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 15021 del 05/08/2004, Rv. 577083; Sez. 3,
Sentenza n. 12247 del 20/05/2013, Rv. 626372).
Nel caso di specie, il giudice di merito ha liquidato il compenso
spettante all'avvocato T. per l'attività prestata nella causa locatizia
considerando le relative fasi, sommaria e a cognizione piena, come due
procedimenti del tutto separati e distinti tra di loro, caratterizzati da
autonome vicende introduttive e definitorie, con conseguente pedissequa
applicazione di tutte le voci di entrambe le tabelle allegate al D.M. n. 55 del
2014, previste l'una per il procedimento sommario di convalida di sfratto,
l'altra per il giudizio a cognizione piena (oltre anche a quella stragiudiziale
per la mediazione). Il Tribunale avrebbe invece dovuto considerare le
peculiarità del caso specifico, valutando le specifiche attività effettivamente
espletate dal professionista in ciascuna delle due articolazioni
procedimentali, tenendo conto della duplicazione delle liquidazione di fasi in
un giudizio unitario, che nel suo effettivo dipanarsi è stato introdotto con la
notificazione della citazione per convalida di sfratto ed è stato definito, a
seguito di mutamento del rito, con la sentenza di rigetto della domanda. Sul
punto, invece, la sentenza ha omesso qualsiasi motivazione.
Nei limiti di cui si è detto, il motivo in esame merita pertanto
accoglimento.
8. Ne consegue la cassazione dell'ordinanza impugnata in relazione ai
motivi accolti, con rinvio della causa al Tribunale di Torre Annunziata, in
diversa composizione, per un nuovo esame del merito alla luce dei principi
indicati, nonché per la regolamentazione delle spese del giudizio di
legittimità.
PQM
La Corte accoglie il secondo, il sesto e il settimo motivo di ricorso,
rigetta il primo, il terzo e il quarto motivo; dichiara inammissibile il
quinto; cassa l'ordinanza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la
causa al Tribunale di Torre Annunziata, in diversa composizione, cui demanda,
altresì, la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.