=> Tribunale di Palermo, 27 febbraio 2016
Si ritiene preferibile l’opzione interpretativa per cui la mediazione
obbligatoria non si estende alle domande nei riguardi di terzi chiamati in
causa: la ratio legis sottesa all’art.5 d.lgs. 28/2010 deve intendersi ragionevolmente limitata all’iniziativa
processuale che dà vita ad un processo e non si estende ai fenomeni di
ampliamento dell’ambito oggettivo del giudizio già avviato; è pertanto
preferibile intendere l’espressione “chi intende esercitare in giudizio
un’azione” come “chi intende instaurare un giudizio” (I) (II) (III).
(II) QUI la giurisprudenza in argomento:
(III) Per approfondimenti si veda Spina, La mediazione obbligatoria si applica anche alle domande riconvenzionali e alle domande di terzo? I contrapposti orientamenti nella giurisprudenza di merito(2011-2014), in Osservatorio Mediazione Civile n. 43/2014
Fonte: Osservatorio
Mediazione Civile n. 58/2016
Tribunale di Palermo
Sezione III
ordinanza
27 febbraio 2016
Omissis
Letti gli atti e
sciogliendo la riserva assunta all’udienza omissis;
rilevato che in
tale udienza la difesa del omissis,
terzo chiamato in causa, ha insistito
nell’eccezione di
improcedibilità dell’intero giudizio a motivo del mancato esperimento del
procedimento di
mediazione nei propri confronti, sebbene l’attore non abbia affatto esteso al
terzo le domande
risarcitorie proposte nei riguardi della omissis;
considerato che
l’art. 5 c.1-bis, D.Lgs. 28/2010, nell’imporre il preventivo esperimento di
mediazione a chi “intende esercitare in giudizio un’azione relativa ad una
controversia” nelle
materie
specificamente indicate e nel sancire che “l’esperimento del procedimento di
mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale”, non regola
espressamente le ipotesi in cui il giudizio, dopo la proposizione della domanda
giudiziale, si arricchisce di nuove domande o di nuove parti;
rilevato che parte
della dottrina e della giurisprudenza di merito, argomentando sulla base del
dato letterale e
della finalità deflattiva della mediazione, ha sostenuto che l’esperimento del
tentativo di
mediazione costituisca condizione di procedibilità non genericamente del
processo,
bensì della domanda
giudiziale, tal che ogni domanda (riconvenzionale, trasversale nei
confronti di altro
convenuto, del convenuto nei riguardi del chiamato in causa) dev’essere
preceduta dallo
svolgimento effettivo della fase di mediazione e l’assolvimento di detto onere
rende procedibile
non l’intero giudizio ma la singola domanda;
rilevato che da
parte degli stessi autori si è escluso che una simile opinione contrasti con il
dato testuale, che indica nel “convenuto” il soggetto legittimato alla
formulazione dell’eccezione di improcedibilità, sul rilievo che tale termine
ben potrebbe riferirsi all’attore rispetto alla domanda riconvenzionale o al
terzo , cui l’ambito soggettivo del giudizio sia esteso ai sensi degli artt.
105 e 106 c.p.c, e si è sostenuto che, in simili casi, la trattazione congiunta
delle reciproche pretese dinanzi al mediatore piuttosto che dilatare i tempi
del processo potrebbe invece favorire la soluzione conciliativa a condizione
che in mediazione venga discussa non solo la nuova domanda bensì anche quella
principale;
ritenuto tuttavia
che diversi sono gli argomenti che inducono a ritenere preferibile l’opzione
interpretativa
contraria, per cui la mediazione obbligatoria non si estenda alle domande nei
riguardi di terzi chiamati in causa;
premesso infatti
che le disposizioni che prevedono condizioni di procedibilità, costituendo
deroga all’esercizio di agire in giudizio garantito dall’art. 24 Cost., non
possano essere interpretate
in senso estensivo
(Cass. 16092/12, 967/04), non può prescindersi dalla rigorosa interpretazione del
dato testuale, che prevede che l’improcedibilità sia sollevata dal convenuto,
qualificazione che il codice di rito annette al destinatario di una qualunque
domanda giudiziale,
bensì a colui che
riceve la vocatio in jus da parte dell’attore;
considerato,
peraltro, che l’evenienza di dove esperire, in tempi diversi e nell’ambito
dello
stesso processo,
una pluralità di procedimenti di mediazione, comportando un inevitabile,
sensibile
allungamento dei tempi di definizione del processo, è all’evidenza
difficilmente
compatibile con il
principio costituzionale della ragionevole durata del giudizio e con l’esigenza
di evitare ogni
possibile forma di abuso strumentale del medesimo, ciò che impone di
fornire
un’interpretazione costituzionalmente orientata del precetto normativo;
ritenuto altresì
che sostenere (in maniera del tutto logica e coerente con la ratio
dell’istituto)
che, una volta
ammessa la mediazione obbligatoria anche per le domande proposte da e nei
confronti dei
terzi, eventualmente distinguendola chiamata in garanzia propria da quella
impropria (escludendo soltanto nella prima la necessità del preventivo
esperimento del tentativo di mediazione, che si è già svolto nella domanda
principale), occorre che alla mediazione sia demandata l’intera controversia,
perché solo in tal modo essa potrà essere definita in via conciliativa, equivale
a gravare oltremodo la posizione dell’attore obbligato a farsi nuovamente carico
del costo dell’organismo di mediazione, pur avendo già invano sostenuto quelli
della mediazione sulla domanda principale;
ritenuto che, come
correttamente osservato da altri giudici di questo Tribunale, un’interpretazione
conforme alla normativa europea è anch’essa nel senso di escludere la
mediazione obbligatoria rispetto alle domande proposte da e nei confronti dei
terzi oltre che rispetto alle c.d. domande riconvenzionali inedite;
rilevato, infatti,
che la direttiva 2008/52/CE .costituente criterio guida della legge 69/09,
richiamata persino nel preambolo del D.Lgs. 28/10 si prefigge di garantire un
miglior accesso
alla giustizia
promuovendo metodi alternativi di risoluzione delle controversie in materia
civile
e commerciale
“garantendo un’equilibrata relazione tra mediazione e procedimento giudiziario”
(art. 1); essa inoltre “cerca di promuovere i diritti fondamentali e tine conto
dei principi riconosciuti in particolare dalla Corte dei diritto fondamentali
dell’Unione Europea”;
ritenuto che
l’allungamento dei tempi di durata del processo – già seriamente appesantiti
nelle
controversie per
responsabilità professionale sanitaria dai plurimi differimenti dovuti alle
chiamate in causa
dei sanitari e dei rispettivi assicuratori – connesso la nuovo tentativo di
mediazione
contrasterebbe di
fatto, oltre che con l’intento deflattivo, anche con il diritto alla
ragionevole
durata del processo
sancito dall’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’
uomo e dall’art. 47
della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea;
ritenuto che ne
risulterebbe dunque sacrificata quell’equilibrata relazione tra mediazione e procedimento
giudiziario che la direttiva del 21.5.08 in materia di mediazione civile e
commerciale si propone invece di assicurare;
ritenuto che, per
tutte le illustrate ragioni, la ratio legis sottesa all’art. 5 D.Lgs. 28/2010
deve
intendersi
ragionevolmente limitata all’iniziativa processuale che dà vita ad un processo
e non
si estende ai
fenomeni di ampliamento dell’ambito oggettivo del giudizio già avviato;
ritenuto pertanto
preferibile intendere l’espressione “chi intende esercitare in giudizio un’
azione” come “chi
intende instaurare un giudizio”, optando per un’interpretazione
costituzionalmente orientata e maggiormente conforme allo spirito delle richiamate
norme europee; ritenuto che non v’è pertanto, allo stato, ragione per
un’ulteriore arresto del procedimento, che deve invece proseguire verso
l’appendice di trattazione scritta preannunciata dalle parti;
ritenuto che,
avendone fatta richiesta, va a costoro accordato il rinvio ai sensi dell’art.
183 co.
6 c.p.c. ;
PQM
rigetta l’eccezione
di improcedibilità sollevata dalla difesa del convenuto; assegna alle parti i
termini di cui all’art. 183 co. 6 nn. 1,2,3, c.p.c. decorrenti dal omissis e rinvia la causa, per
l’adozione dei successivi provvedimenti, all’udienza omissis.