Oltre
l’obbligatorietà della mediazione tra comunicazione e migliore qualità del
servizio: il bilancio sociale per gli organismi di mediazione
Relazione del dott. Giulio Spina
VII Forum Nazionale dei Mediatori
19 novembre 2013
Roma - Camera dei Deputati
Fonte immagine: http://furumnazionaledeimediatori.net/wp/
Buon
pomeriggio,
ringrazio
gli organizzatori per l’invito.
Quando
mi è stato proposto di intervenire in un contesto così prestigioso e mi è stato
chiesto se avessi qualche idea da proporre ho pensato innanzitutto che siamo,
appunto, in un forum: un luogo di
incontro; un luogo di dialogo tra tutti gli operatori del settore della
mediazione; un luogo, in particolare, dove proporre e confrontarsi su
tematiche, non esclusivamente giuridiche, connesse all’approfondimento ed alla
diffusione della cultura della mediazione e della conciliazione.
E
allora, sconfinando forse imprudentemente dalla mia area di attività (quella
giuridica), vorrei condividere con voi una considerazione – tanto banale,
quanto, mi auguro, condivisibile – che ho in animo (e non solo io) da tempo: una cultura (in questo caso della
gestione del conflitto basata sulla logica della mediazione e della
conciliazione) non può essere imposta
con un obbligo normativo.
E
invece, mi pare, la diffusione della cultura della mediazione continua troppo
spesso ad essere riposta quasi esclusivamente nella previsione della sua obbligatorietà.
Sul
punto basti riflettersi::
- sull’ampio dibattito scaturito in ordine alla previsione, contenuta nella versione originaria del d.lgs. n. 28 del 2010, relativa alla mediazione c.d. obbligatoria ed all’ipotesi di giurisdizione condizionata prevista, in particolare, dall’art. 5, comma 1 (sanzione dell’imporcedibilità della domanda giudiziale in caso di mancato previo esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione per le materie di cui all’originario comma 1, art. 5);
- sulle conseguenze (e gli impatti concreti) della pronuncia C. Cost. n. 272/2012, che ha come noto sanzionato la previsione in parola solo per il profilo formale dell’eccesso di delega legislativa[1];
- sul dibattito sorto relativamente alla reintroduzione dell’obbligatorietà della mediazione e, poi, in ordine alla nuova riforma del d.lgs. cit. (attuata con la conversione in legge del c.d. decreto del fare dell’agosto 2013) che, come noto, ha tra l’altro: reintrodotto il meccanismo dell’improcedibilità, sebbene in via transitoria (art. 5, comma 1-bis); identificato il soddisfacimento della condizione di procedibilità nello svolgimento del primo incontro di mediazione, svolto con l’assistenza obbligatoria del legale (art. 5, commi 1 e 2-bis ed art. 8); collegato – in questo caso in modo definitivo – lo strumento della procedibilità della domanda giudiziale alla mediazione su invito (oggi su disposizione) del giudice (art. 5, comma 2)[2].
Noto,
d’altronde, è anche l’aspro (e non sempre proficuo, a mio parere) dibattito tra chi vede
nell’obbligatorietà della mediazione un mezzo irrinunciabile al fine di una
efficace diffusione della conoscenza della mediazione; chi, invece, intravede
in tale obbligo una inammissibile compressione del diritto all’accesso alla
giustizia; e chi, ancora, osserva come prevedere l’obbligatorietà di un
procedimento conciliativo contrasti con la ratio stessa dell’istituto, invece
fondato – come noto – sull’incontro delle libere volontà delle parti in lite.
La storia della
mediazione sembra quindi quasi esaurirsi nell’evoluzione normativa della sua
obbligatorietà e le speranze della sua effettiva e piena diffusione
inevitabilmente collegate a tale meccanismo.
Invece,
mi pare, alla luce dei pochi anni di vita del nuovo istituto e per quanto prima
accennato, occorra andare oltre
l’obbligatorietà e trovare altre
vie, più efficaci per la diffusione della cultura della mediazione. Puntando proprio sulla logica dell’incontro, del dialogo e della comunicazione.
Tra
i vari strumenti che possono al riguardo utilizzarsi, ve ne è uno che, per così
dire, parte dal basso. Dai protagonisti del sistema: gli organismi di mediazione.
L’idea
che vorrei condividere con voi è la possibilità,
per un organismo di mediazione, di redigere un proprio bilancio sociale.
Per
anni ho partecipato alla realizzazione di bilanci sociali (anche per enti pubblici) e mi pare che tale
strumento possa trovare, nel campo della mediazione, applicazioni davvero molto
utili (sia per le attuali esigenze di cui si è accennato, sia per le assonanze
tra i due strumenti) [3].
In
sintesi, il bilancio sociale “è uno strumento
di rendicontazione che consente alle aziende di realizzare una strategia di comunicazione … in grado
di perseguire il consenso e la
legittimazione sociale … premessa per il raggiungimento di qualunque altro
obiettivo, compresi quelli di tipo reddituale
e competitivo”[4].
Tale
strumento si basa sul concetto di responsabilità
sociale, definibile come “responsabilità delle imprese per il loro
impatto sulla società”[5].
In
altri termini, si tratta della “consapevolezza
di un ente e del suo management delle ricadute
sociali che i comportamenti e le
decisioni interne hanno sulla società e
sul contesto di riferimento nel breve e nel lungo periodo”[6].
Il bilancio sociale è quindi uno strumento di rendicontazione
interna ed esterna:
- volto all’analisi dei risultati aziendali raggiunti, fornendo un quadro complessivo delle performance dell’azienda e della qualità dell’attività aziendale (esprimendo, così, “l’impatto complessivo dell’attività aziendale sulla società civile”[7]);
- volto a rappresentare il valore aggiunto creato dall’azienda e quindi a migliorarne la reputazione, favorendo il dialogo con tutti gli stakeholder (i portatori di interesse: collaboratori, partner, finanziatori, clienti, etc.);
- volto a definire strategia aziendali future;
- è uno strumento di trasparenza basato sul confronto tra il sistema valoriale cui l’azienda dichiara di ispirarsi e l’effettiva corrispondenza ad esso dell’attività posta in essere.
Nel
nostro caso, quindi, tale strumento:
- permetterebbe agli organismi un’analisi sia delle proprie potenzialità, che delle criticità operative e gestionali, puntando sul quel miglioramento della qualità del servizio di mediazione che da più parti si invoca;
- contemporaneamente, ha una forte valenza comunicativa verso l’esterno, mostrando l’impatto (positivo, che noi ben conosciamo, ma purtroppo ancora poco noto ai più) che un organismo di mediazione produce sulla comunità nella quale opera (contesto sociale, economico, territoriale, etc.), tra l’altro colmando quel deficit informativo che penalizza la piena operatività della mediazione.
L’idea,
in sintesi, che spero possa essere presto realizzata, è sperimentare l’applicabilità dello strumento del bilancio sociale ad un
organismo di mediazione, dimostrandone (e quindi sfruttandone nel concreto)
le potenzialità.
Vi
ringrazio per l’attenzione.
Giulio
Spina
Per
approfondimenti ed informazioni è possibile scrivere al seguente indirizzo
Fonte: Osservatorio
Mediazione Civile n. 86/2013
[1] Sul
punto si rimanda a G. Spina, L’illegittimità
costituzionale della c.d. mediazione obbligatoria per eccesso di delega
legislativa (nota
a Corte Costituzionale, 06-12-2012, n. 272), in La Nuova Procedura Civile n. 1
del 2013.
In argomento può farsi riferimento anche a: La mediazione dopo C. Cost. n. 272 del 2012, in Osservatorio Mediazione Civile
n. 15/2013 ed a G. Spina, Incostituzionalità della mediazione obbligatoria: la mediazione non è morta!, in Osservatorio Mediazione Civile n.
119/2012.
Per il testo della pronuncia si
veda C. cost. n. 272/12: incostituzionalità della mediazione obbligatoria per eccesso di delega legislativa, in Osservatorio
Mediazione Civile n. 128/2012.
[2] Si veda G.
Falco - G. Spina (a cura di), La nuova mediazione. Regole e tecniche dopo le
modifiche introdotte dal "Decreto del fare" (d.l. 69/2013, conv., con
mod., in l. 98/2013), Giuffrè, 2014 (presentazione del volume reperibile in Osservatorio Mediazione Civile n. 84/2013)
Per un
primissimo commento sull’attuale disciplina della mediazione si veda G. Spina, Le novità introdotte alla disciplina della mediazione civile dal c.d. “Decreto del fare”convertito in legge, in La Nuova
Procedura Civile n. 4 del 2013.
Per il testo normativo attualmente in vigore si consulti Decreto legislativo n. 28 del 2010 aggiornato alla legge n. 98/2013 di conversione del c.d. Decreto del fare, in Osservatorio
Mediazione Civile n. 67/2013, con utile Tabella di confronto: D.lgs. n. 28/2010 prima e dopo la riforma del 2013, in Osservatorio Mediazione Civile n. 66/2013.
[3] Tra i variegati
riferimenti normativi si segnalano, in prima battuta, i seguenti: Decreto
attuativo del Ministero della Solidarietà Sociale del 24/01/08 contenente le
Linee Guida per la redazione del bilancio sociale da parte delle organizzazioni
che esercitano l’impresa sociale; Delibera della giunta regionale della
Lombardia n°5536/2007; Legge Regionale n. 1 del 24.01.2008; Delibera Regionale
n. 5536 del 10.10.2007; Circolare G.R. (Direzione Generale Industria) n. 14 del
29.05.2009 e allegate “Indicazioni per la
redazione del Bilancio di responsabilità sociale”; Direttiva del Ministro del Dipartimento della Funzione
pubblica sulla Rendicontazione sociale nelle amministrazioni pubbliche
(direttiva 17/02/06, G.U. n. 63 del 16/03/06); Raccomandazione contabile n. 7,
“Il bilancio sociale delle Aziende non profit: principi generali e linee guida
per la sua adozione”, della Commissione “Aziende non profit” del CNDC; “Linee
guida per il reporting di sostenibilità” del Global Reporting Initiative per il
settore pubblico (Sector supplement for public agencies); “Standard per il
bilancio sociale nelle amministrazioni pubbliche” del Gruppo del Bilancio
Sociale, della comunicazione della Commissione europea 02/07/2002, COM (2002)
347 def., relativa alla “Responsabilità sociale delle imprese: un contributo
delle imprese allo sviluppo sostenibile; documenti elaborati da The Institute
of Social and Ethical Accountability (ISEA); “Il bilancio di genere come forma
di rendicontazione sociale e strumenti operativi” approvato dal Consiglio
Nazionale Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili il 20 marzo 2008; Principi
di Redazione del Bilancio Sociale elaborati dal Gruppo di Studio per il
Bilancio Sociale (GBS) del 2001; Standard Internazionali del GRI (Global
Reporting Initiative).
[4] Definizione fornita dal GBS - Gruppo
di Studio per il Bilancio Sociale composto da accademici, professionisti del
mondo della rendicontazione etico-sociale e della revisione contabile, costituitosi
in Italia nel 1998.
[5] Comunicazione della Commissione
al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale europeo e
al Comitato delle Regioni. Strategia rinnovata dell’UE per il periodo 2011-14
in materia di responsabilità sociale delle imprese del 25 ottobre 2011.
[6] Unioncamere, Rendicondazione
Sociale, Linee guida per le Camere di commercio, 2010.
[7] Unioncamere, Rendicondazione
Sociale, Linee guida per le Camere di commercio, 2010.