=> Tribunale di Roma, 25 gennaio 2016
Il principio relativo alla riservatezza delle dichiarazioni delle
parti (art. 9 d.lgs. 28/2010) deve essere riferito al solo contenuto sostanziale
dell'incontro di mediazione, vale a dire al merito della lite. Ogni
qualvolta, invece, tali dichiarazioni, quand'anche trasposte al di fuori del
procedimento di mediazione, riguardano circostanze che attengono alle
modalità della partecipazione delle parti alla mediazione e allo svolgimento
(in senso procedimentale) della stessa, va predicata la assoluta liceità
della verbalizzazione e dell'utilizzo da parte di chicchessia. Difatti, il
mediatore non è né un collaboratore del giudice né un suo ausiliario, ma lo
schema della legge prevede, in sommo grado nella mediazione demandata, una
serie di link che non possono essere ignorati fra il procedimento di
mediazione e la causa (fra essi vanno ricordati in primo luogo la
condizione di procedibilità prevista dall'art. 5 c. 1-bis e 2, nonché le conseguenze della mancata partecipazione al
procedimento di mediazione senza giustificato motivo di cui all'art. 8 co. 4-bis, gli effetti nella causa della proposta del mediatore di cui
all'art. 13, l'efficacia di titolo esecutivo del verbale di accordo ove regolarmente
asseverato dagli avvocati che abbiano assistito le parti che hanno aderito alla
mediazione di cui all'art. 12 e, benché non espressamente affermato dalla legge, la producibilità
nella causa della relazione dell'esperto di cui all'art. 8 c. 4; ciò, in via generale, anche in relazione all'art. 96 c. 3 c.p.c. (I)
(II).
Con riferimento al primo incontro di mediazione (art. 8 c. 1) è necessario e doveroso che venga verbalizzata la ragione del
rifiuto a proseguire nella mediazione vera e propria. Ciò, sempre che la
parte dichiarante la esponga e chieda la relativa verbalizzazione: il
mediatore non è tenuto a richiedere ad essa la ragione di tale rifiuto, ma
neppure può esimersi dalla relativa verbalizzazione, ove richiesta dall'avente
diritto. In mancanza di qualsiasi dichiarazione, autorizzativamente
verbalizzata, della parte, sulla ragione del rifiuto di proseguire nel
procedimento di mediazione, tale rifiuto va considerato non giustificato (I).
Con riferimento all’incontro di mediazione di cui all'art 8 c. 5, solo in presenza di ragioni ostative formali/procedurali (si
pensi ad esempio ad un convocato in mediazione caduto vittima di un grave
incidente, per il quale è in corso la procedura per la nomina di un
amministratore di sostegno) può predicarsi realizzata validamente la
impossibilità di iniziare la procedura di mediazione e quindi la ragionevolezza
del considerare validamente concluso il procedimento di mediazione (con
l'inveramento della condizione di procedibilità e l'assenza di sanzioni). Tale
interpretazione è perfettamente in linea con la logica, il buon senso e la
Costituzione (I).
(II) Si veda l’art. 116, comma 2, c.p.c. in Codice di Procedura Civile, La Nuova Procedura Civile, 2016.
Fonte: Osservatorio
Mediazione Civile n. 50/2016
Tribunale di Roma
Sezione XIII
ordinanza
25 gennaio 2016
Omissis
Nella causa epigrafata, avente ad oggetto
la richiesta di risarcimento relativa ad un danno subito dall'attrice Omissis a seguito di un trattamento
estetico per la ricostruzione delle unghie, il giudice, dopo una breve
istruttoria, disponeva la mediazione demandata con ordinanza dell'11.5.2015.
Con tale ordinanza il giudice, oltre ad
indicare, secondo un modello procedimentale già positivamente sperimentato in
altre cause, i punti sui quali le parti in mediazione avrebbero potuto
utilmente dirigere ed approfondire la discussione con l'ausilio e la fattiva
presenza di un mediatore dell'organismo prescelto, evidenziava (icasticamente,
visto che il testo veniva redatto in neretto sottolineato), con significativo
avvertimento, la necessità della effettiva partecipazione delle parti al
procedimento di mediazione demandata (1) , invitando altresì il mediatore a
verbalizzare le dichiarazioni delle parti all'esito dell'introduzione del
procedimento da parte dello stesso mediatore, per le valutazioni di competenza
da parte del giudice nel caso la causa fosse proseguita (2) .
Sempre nella medesima ordinanza, il giudice
ricordava che "la mancata partecipazione (ovvero l'irrituale
partecipazione) senza giustificato motivo al procedimento di mediazione
demandata dal giudice oltre a poter attingere, secondo una sempre più diffusa
interpretazione giurisprudenziale, alla stessa procedibilità della domanda, è
in ogni caso comportamento valutabile nel merito della causa".
La causa in effetti proseguiva, e nel
verbale di mediazione del 6.7.2015, la mediatrice dott.ssa omissis dell'Organismo omissis,
dava atto che: erano comparsi OMISSIS
(attrice della presente causa) istante, assistita omissis (convenuta nella presente causa) convocata, assistita
dall'avv. omissis; aveva illustrato
alle parti compiutamente le modalità del procedimento di mediazione; aveva
invitato le parti ad esprimersi sull'interesse (sic, n.d.r.) a proseguire nella
procedura di mediazione; la parte attrice aveva manifestato il proprio assenso
all'avvio della procedura di mediazione; la parte convenuta NON manifestava il
proprio assenso all'avvio della procedura di mediazione; ed infine che le parti
dichiaravano l'esito negativo del primo incontro di mediazione, dando atto
della volontà delle parti di non dare prosecuzione al procedimento.
Va premesso che la verbalizzazione ad opera
della mediatrice delle suddette dichiarazioni delle parti è ammissibile e
corretta (salvo quell' "interesse" su cui si dirà in prosieguo). E'
opportuno, a tale proposito, esporre sinteticamente il quadro normativo in tema
di mediazione, riservatezza e verbalizzazione del mediatore.
Il procedimento di mediazione è improntato
alla riservatezza (3) il che sta a significare che al fine di consentire
l'effettiva possibilità delle parti di poter parlare liberamente senza la
remora che eventuali dichiarazioni a sé sfavorevoli possano essere utilizzate
nella causa, non si devono verbalizzare (da parte del mediatore) né possono
essere propalate da chiunque (compresi gli avvocati delle parti) tali
dichiarazioni che neppure possono essere oggetto di testimonianza et similia...
.
Occorre però perimetrare con esattezza
giuridica tale principio.
Che, in primo luogo, non vale, per espressa
disposizione di legge (art. 9 cit.) contro la volontà della parte dichiarante.
Inoltre, per coerenza logico-giuridica con
quanto testé osservato a proposito della tutela della libertà di dialogo che va
garantita alle parti, il principio relativo alla riservatezza delle
dichiarazioni delle parti deve essere riferito al solo contenuto sostanziale
dell'incontro di mediazione, vale a dire al merito della lite.
Ogni qualvolta, invece, tali dichiarazioni,
quand'anche trasposte al di fuori del procedimento di mediazione, riguardano
circostanze che attengono alle modalità della partecipazione delle parti alla
mediazione e allo svolgimento (in senso procedimentale) della stessa, va
predicata la assoluta liceità della verbalizzazione e dell'utilizzo da parte di
chicchessia.
Ed invero, in tale ambito una compiuta
verbalizzazione è necessaria al fine di consentire al giudice la conoscenza del
contenuto della condotta delle parti nello specifico contesto di cui trattasi;
conoscenza indispensabile in relazione alle previsioni del decr.lgsl.28/2010
relative alla procedibilità delle domande ed all'art.8 co. 4 bis (4) dello
stesso decreto, nonché, in via generale, dell'art. 96 III° cpc.
Sarebbe infatti un'assoluta aporia
prevedere da una parte che il giudice debba e possa sanzionare la mancata o
irrituale partecipazione delle parti al procedimento di mediazione e per contro
precludergli la conoscenza e la valutazione degli elementi fattuali che tale
ritualità o meno integrano. Per la medesima ragione, deve essere verbalizzata
dal mediatore la risposta di ciascuna delle parti interpellate alla fatidica
domanda (del mediatore) sulla possibilità di iniziare la procedura di
mediazione (art. 8 co. I° quinto periodo decr. lgsl. 28/2010).
A tale proposito, oltre alla dichiarazione
consistente nella risposta alla predetta domanda, è necessario e doveroso che
venga verbalizzata la ragione del rifiuto a proseguire nella mediazione vera e
propria. Ciò, sempre che la parte dichiarante la esponga e chieda la relativa
verbalizzazione (peraltro nell'ambito delle attività del mediatore, sarebbe
buona prassi degli organismi fornire alle parti, oltre le informazioni che la
legge prevede, quelle relative allo stato della giurisprudenza sulle questioni
più rilevanti e di interesse in tema di mediazione).
Come si vedrà in prosieguo, la ragione del
non voler proseguire oltre l'incontro informativo non è affatto irrilevante per
la parte. E se, di sicuro, il mediatore non è tenuto a richiedere ad essa la
ragione di tale rifiuto, neppure può esimersi dalla relativa verbalizzazione,
ove richiesta dall'avente diritto. Ed invero ogni parte può esonerare il
mediatore dall'obbligo di riservatezza relativamente alle sue dichiarazioni
(cfr. art. 9 della legge). Ciò assume specifico rilievo nel caso in cui, come
quello in esame, la dichiarazione abbia notevole rilevanza nel contesto delle
varie norme che disciplinano il procedimento di mediazione.
Conclusivamente, il mediatore deve
trascrivere ogni circostanza - quand'anche consistente in dichiarazioni delle
parti - utile a consentire (al giudice) le valutazioni di competenza,
altrimenti impossibili, attinenti alla partecipazione (o meno) delle parti al
procedimento di mediazione ed allo svolgimento dello stesso, come pure le
circostanze che attengono al primo incontro informativo. In relazione al quale
la parte che rifiuta di proseguire può esporne la ragione chiedendo che venga
trascritta, con il correlativo obbligo del mediatore di verbalizzarla.
Il mediatore non è né un collaboratore del
giudice né un suo ausiliario, ma lo schema della legge prevede, in sommo grado
nella mediazione demandata, una serie di link che non possono essere ignorati
fra il procedimento di mediazione e la causa. Fra essi vanno ricordati in primo
luogo la condizione di procedibilità prevista dall'art. 5 commi 1 bis e 2,
nonché le conseguenze della mancata partecipazione al procedimento di
mediazione senza giustificato motivo di cui all'art. 8 co. 4 bis, gli effetti
nella causa della proposta del mediatore di cui all'art. 13, l'efficacia di
titolo esecutivo del verbale di accordo ove regolarmente asseverato dagli
avvocati che abbiano assistito le parti che hanno aderito alla mediazione di
cui all'art.12 e, benché non espressamente affermato dalla legge, la
producibilità nella causa della relazione dell'esperto di cui all'art. 8 co.
4 (5).
Una corretta verbalizzazione da parte del
mediatore delle circostanze che attengono a segmenti del procedimento di
mediazione che, in vario modo, rilevano e si riverberano nella causa, si
appalesa quindi più che utile, doverosa e necessaria. Ed il giudice svolge a
tale fine una fondamentale attività didattica e di raccordo, nella grande
varietà di condotte, non sempre approvabili, che emergono dall'esame dei
verbali degli organismi di mediazione
(6) .
La natura dell'incontro di mediazione di
cui all'art 8 co. quinto della legge (7) .
Sulla base di una interpretazione meramente
letterale delle norme (cf. pure il comma 2 bis 8 dell'art.5 della legge) ove le
parti, o una di esse, neghino, a domanda del mediatore, che sussista la
possibilità di iniziare la procedura di mediazione, si potrebbe ritenere che il
procedimento di mediazione sia concluso e la condizione di procedibilità della
domanda giudiziale realizzata.
L'erroneità di tale opzione interpretativa
è agevolmente dimostrabile.
Sarebbe a dire, in altre parole, che da una
parte la legge prescrive che per introdurre (o proseguire) la causa occorre che
venga esperito il procedimento di mediazione (che consiste in ciò che è ben
descritto nella lettera a. dell'art.1 della legge, nonché negli artt. 8 commi
2-4 ed nell'art.11 della legge) e dall'altra che anche se le parti (ed in
particolare il proponente la domanda) dichiarano di non voler effettuare la
mediazione (che conseguentemente non si è svolta) … la mediazione si considera
svolta e la procedibilità attinta ... . Un perfetto ossimoro. Aderendo a tale
accezione si deve postulare che le parti abbiano il diritto potestativo di
decidere di non svolgere la mediazione (finanche quando il giudice lo ha
ordinato !), ottenendo il medesimo vantaggioso risultato (procedibilità,
assenza di sanzioni per la mancata partecipazione) che la mediazione fosse
stata esperita davvero. Conclusione questa del tutto azzardata ed irrazionale.
Non solo. Immaginare che le parti in mediazione demandata (qual'è quella che ci
occupa) possano rapportarsi alle informazioni che il mediatore gli somministra
nel corso del "primo incontro" (“il mediatore chiarisce alle parti la
funzione e le modalità di svolgimento della mediazione”) come davanti ad un
quid novi che dischiuda loro, solo in quel momento, la prospettiva della
mediazione, è cosa confliggente con la realtà, posto che invero le parti sono
state già adeguatamente, abbondantemente e preventivamente informate di che
trattasi.
Una prima volta al momento del conferimento
del mandato (cfr. art. 4 della legge, norma particolarmente puntigliosa al
riguardo; che contiene anche una clausola di salvaguardia dell'informativa
mancata, con l'intervento supplettivo del giudice) ed una seconda, all'atto
della doverosa informativa dell'avvocato al cliente del contenuto
dell'ordinanza di mediazione demandata.
Ed ancora. “Il giudice, anche in sede di
giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e
il comportamento delle parti, può disporre l’esperimento del procedimento di
mediazione”. A fronte di tale impegno del magistrato, che presuppone lo studio
degli atti, la valutazione di opportunità, e l'individuazione del momento
migliore per la mediazione, e che si sostanzia infine nella redazione di un
provvedimento che può anche contenere - come l'esperienza sempre più spesso
attesta- utili spunti di discussione, il non pòssumus delle parti (o di una di
esse) si qualifica null'altro che mera ingiustificata renitenza ad un ordine
legittimamente dato dal giudice.
Quale che sia stato l'intento (non dei più
chiari e lineari) del legislatore, è necessario apprestare per le norme in
commento un'interpretazione in linea con la Carta Costituzionale. Va premesso
che per molto tempo, nel nostro Paese, il giudizio di costituzionalità delle
leggi è stato considerato, sotto ogni aspetto, monopolio e riserva della Corte
Costituzionale. Ciò in virtù della originaria (e tuttora immutata) scelta del
legislatore Costituente che ha privilegiato la formula del controllo di
costituzionalità accentrato su un solo soggetto, creato ad hoc, la Corte
Costituzionale. Le ragioni sono state molteplici e non è questa la sede per
esporle. Ciò che conta è che nel corso degli anni, il timore che i giudici
ordinari non fossero sufficientemente sensibili al controllo di
costituzionalità delle leggi è svanito superato dalla prova dei fatti, che
hanno dimostrato il contrario.
Ed è proprio in dipendenza della grande
attenzione ed interesse della magistratura alla conformità alla Costituzione
delle norme di legge, attraverso la rimessione degli atti alla Corte
Costituzionale, che si è da tempo avviato un processo inverso che si può
riassumere nella nota espressione della interpretazione costituzionalmente
orientata della legge da parte del giudice ordinario. Non si è pervenuti per
tale strada, né si potrebbe, ad un controllo di costituzionalità diffuso (per
il limite costituito dalla diversa previsione costituzionale) ed il giudice
ordinario non espunge le norme dall'ordinamento giuridico come fa la Corte.
Tuttavia, con l'avallo della stessa Corte Costituzionale, tale forma di
controllo contribuisce ad arricchire l'opera di adeguamento delle norme
ordinarie a quelle costituzionali (e, più prosaicamente, a sgravare la Corte da
una parte dell'ingente lavoro che la onera).
Detto ciò, resta da ricordare che uno dei
riferimenti elaborati dalla Corte (e che il giudice per quanto detto è
correlativamente autorizzato ad adoperare) per il vaglio di costituzionalità è
quello della ragionevolezza della norma sottoposta a scrutinio. Nel caso in
esame, l'interpretazione letterale che è stata supra esposta presta
visibilmente il fianco ad una fondata censura di incostituzionalità sotto
entrambi i profili che sono stati elaborati, per questo vizio, dalla Corte
Costituzionale. Che in un primo tempo aveva correlato la ragionevolezza
all'art. 3 della Costituzione, con la conseguente necessità, per accertare
l'irragionevolezza della norma, che fosse individuato il c.d. tertium
comparationis (che in questo caso esiste ed è evidente, consistendo
precisamente nel caso in cui le parti abbiano svolto effettivamente la
mediazione consentendo al mediatore di svolgere il suo lavoro).
L'interpretazione che si ripudia pone sullo stesso piano e somministra le
medesime conseguenze (avveramento della condizione di procedibilità, mancanza
di sanzioni per la parte renitente) ad entrambe le (pur diverse e opposte)
situazioni. Successivamente, ed allo stato, il parametro della ragionevolezza
viene dalla Corte Costituzionale non più rapportato all'art. 3 della
Costituzione, quanto individuato nella sostanziale disparità di trattamento tra
fattispecie omogenee, allorché la norma presenti una intrinseca incoerenza,
contraddittorietà od illogicità rispetto alla complessiva finalità perseguita
dal legislatore. Anche in base a tale parametro l'interpretazione letterale non
supera lo scrutinio di costituzionalità, essendo di tutta evidenza che solo in
presenza di ragioni ostative formali/procedurali (si pensi ad esempio ad un
convocato in mediazione caduto vittima di un grave incidente, per il quale è in
corso la procedura per la nomina di un amministratore di sostegno) può
predicarsi realizzata validamente la impossibilità di iniziare la procedura di
mediazione e quindi la ragionevolezza del considerare validamente concluso il
procedimento di mediazione (con l'inveramento della condizione di procedibilità
e l'assenza di sanzioni).
Tale interpretazione è perfettamente in
linea con la logica, il buon senso e la Costituzione. Invero salvaguarda le
parti dalla necessità dello svolgimento integrale della mediazione (con i costi
relativi) nei casi nei quali ragioni "pregiudiziali" non rendano
possibile, nel senso di utilmente svolgibile, l'esperimento conciliativo;
viceversa imponendolo, tutte le volte che la discussione possa concentrarsi sul
merito e sul contenuto del conflitto, senza che possa fare da usbergo al
soggetto renitente l'opinione di aver ragione e quindi di ritenere inutile
dialogare con l'altra parte (per quanto all'evidenza viziata dal punto di vista
logico, vera e propria aporia, è questa la più diffusa giustificazione che
viene offerta da chi non intende aderire e partecipare alla mediazione ) (9) .
In mancanza di qualsiasi dichiarazione,
autorizzativamente verbalizzata, della parte, sulla ragione del rifiuto di
proseguire nel procedimento di mediazione, tale rifiuto va considerato non
giustificato. Le conseguenze di tale rifiuto - ingiustificato- di procedere
nella mediazione sono sovrapponibili alla mancanza tout court della
(partecipazione alla) mediazione: non della mediazione, in virtù della dichiarazione
dell'istante-attrice di voler procedere.
Con quanto ne può conseguire.
Non può infatti essere oggetto di dubbio
che il mero incontro informativo (che, per come configurato dalla legge, nulla
ha a che vedere con lo specifico merito della controversia insorta fra le
parti), non possa giammai, e specialmente nella mediazione demandata, neppure
con i più acrobatici sforzi dialettici, essere parificato allo svolgimento
dell'esperimento della mediazione. La quale, giova ricordarlo, consiste nell'
“attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad
assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la
composizione di una controversia, anche con formulazione di una proposta per la
risoluzione della stessa” (così testualmente l'art. 1 co.1 lett. A della
legge).
Con tali premesse, non si ritiene
necessario disporre la consulenza tecnica medica sulla persona dell'attrice (e
sugli atti), essendo la causa matura per la decisione.
PQM
A scioglimento della riserva che precede,
rimette le parti davanti a sé all’udienza del omissis per le conclusioni e per la discussione ai sensi dell’art.
281 sexies cpc con termine per eventuali note autorizzate fino a dieci giorni
prima.
Roma lì 25.1.2016
Il Giudice dott. cons. Massimo Moriconi
(1) E' richiesta l'effettiva partecipazione
al procedimento di mediazione demandata, laddove per effettiva si richiede che
le parti non si fermino alla sessione informativa ". 2 E il mediatore
dovrà fissare a verbale quali siano state le posizioni delle parti al riguardo,
anche al fine di consentire al giudice le valutazioni di competenza,
relativamente alle condotta delle parti, ai sensi degli artt.5, 8 decr.lgsl. 28/10
e artt. 91 2 e 96 III cpc.
(2) E il mediatore dovrà fissare a verbale
quali siano state le posizioni delle parti al riguardo, anche al fine di
consentire al giudice le valutazioni di competenza, relativamente alle condotta
delle parti, ai sensi degli artt.5, 8 decr.lgsl. 28/10 e artt. 91 2 e 96 III
cpc.
(3) Art. 9 decr.lgsl.28/2010 - Chiunque
presta la propria opera o il proprio servizio nell’organismo o comunque
nell’ambito del procedimento di mediazione è tenuto all’obbligo di riservatezza
rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite durante il
procedimento medesimo. Rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni
acquisite nel corso delle sessioni separate e salvo consenso della parte
dichiarante o dalla quale provengono le informazioni, il mediatore è altresì
tenuto alla riservatezza nei confronti delle altre parti. Art.10
decr.lgsl.28/2010 - Le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel corso
del procedimento di mediazione non possono essere utilizzate nel giudizio
avente il medesimo oggetto anche parziale, iniziato, riassunto o proseguito
dopo l’insuccesso della mediazione, salvo consenso della parte dichiarante o
dalla quale provengono le informazioni. Sulle stesse dichiarazioni e
informazioni non è ammessa prova testimoniale e non può essere deferito
giuramento decisorio.
(4) Dalla mancata partecipazione senza
giustificato motivo al procedimento di mediazione il giudice può desumere
argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo
comma, del codice di procedura civile. Il giudice condanna la parte costituita
che, nei casi previsti dall’articolo 5, non ha partecipato al procedimento
senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato
di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per
giudizio.
(5) Come ritenuto dalla giurisprudenza,
sono altresì verbalizzabili le operazioni ed il contenuto sostanziale della
consulenza in mediazione (cfr. ordinanza 17.3.2014 Tribunale civile di Roma
giudice Moriconi – http://www.quotidianodiritto.ilsole24ore del 18.3.2014) che
non si sostanziano in dichiarazioni.
(6) Ad esempio, a testimonianza di una
certa diffusa confusione che regna negli organismi, di certo alimentata dalle
imprecisioni della legge, non può tacersi che, nel caso in esame, erroneamente
nel verbale di mediazione dell'organismo presso il quale è stata svolta la
mediazione è scritto, verosimilmente con modulistica idonea a perpetuare
l'errore, che il mediatore ha richiesto alle parte ad esprimersi
"SULL'INTERESSE" a proseguire nella procedura di mediazione. Si
tratta di locuzione inventata dal mediatore (o meglio, verosimilmente,
dall'organismo, che pone in uso tali moduli). La legge dice altra cosa, parla
infatti di "possibilità" che come insegna la giurisprudenza - in
primis quella fiorentina, ordinanza Trib.Firenze Pres.Luciana Breggia
26.11.2014, ed a seguire ex multis Trib. Firenze, sez. specializzata imprese,
ord. 17/3/2014 e ord. 18/3/2014, in www.ilcaso.it ; Trib. Roma, ord.,
30.06.2014, in www.101mediatori.it ; Trib. Bologna, ord., 5.6.2014 in
www.adrmaremma.it; Trib. Rimini, ord. 16 luglio 2014, Trib. di Palermo ord.
16.7.2014 - attiene "a eventuali situazioni preliminari che possano
ostacolare l’esperimento di mediazione e non alla volontà delle parti di
proseguire" (così testualmente ord. Trib.Firenze 26.11.2014 cit).
(7) Art. 8: Al primo incontro e agli
incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono
partecipare con l’assistenza dell’avvocato. Durante il primo incontro il
mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della
mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le
parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura
di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento.
(8) Art. 5, c. 2-bis - Quando l’esperimento
del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda
giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al
mediatore si conclude senza l’accordo.
(9) E' di tutta evidenza
l'illogicità e la pochezza dell'argomento: il presupposto normativo e
assiologico dell'istituto mediazione è per l'appunto che vi sia una lite (che
mediante l'ausilio del mediatore si tenterà di comporre riannodando il filo del
dialogo e della comprensione reciproca delle rispettive ragioni), il che
sottoindente necessariamente che la parte è convinta di avere ragione e di non
condividere l'opinione e le pretese che giudica infondate, della parte opposta,
ché, in caso contrario, non esisterebbe neppure la lite!