=> Corte di appello di Perugia, 3 giugno 2021
Se è ancora discussa, anche in giurisprudenza, la natura del termine di
15 giorni assegnato dal Giudice per la mediazione e se debba intendersi
ordinatorio o perentorio, non sembra che vi sia altrettanta incertezza sulla “perentorietà”
del termine di tre mesi di sospensione del giudizio stabilito dall'art. 6, comma 1, d.lgs. 28/2010,
modificato dalla legge n. 98 del 9.8.2013, che non può pertanto essere
superato per consentire l’espletamento del tentativo di mediazione, come
espressamente previsto dalla norma. Del resto, non sembra potersi contestare
che tale carattere è insito nella ratio che ha ispirato la normativa introdotta
nel 2010, che ha un’evidente finalità deflattiva, ed è quindi diretto ad
impedire che la mediazione venga utilizzata come espediente per procrastinare
la risoluzione della controversia. Tale finalità trova ulteriore conferma nell’espressa
previsione, contenuta nel secondo comma dell’art. 6 cit., che esclude la
sospensione feriale (I).
(I) Si veda l’art. 6, comma 1, D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 (Osservatorio Mediazione Civile n. 38/2018).
Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 12/2022(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)
Omissis
Avverso la sentenza del Tribunale di Spoleto con cui veniva dichiarata
improcedibile l’opposizione al decreto ingiuntivo col quale veniva condannata
al pagamento della somma di € 45.520,69 in favore dell’II s.p.a. ha proposto
appello XX censurando la sentenza nella parte in cui ha ritenuto non
soddisfatta la condizione di procedibilità.
Con il primo motivo denunciano la violazione degli artt. 115 e 116
c.p.c. per omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi
della controversia sostenendo che è stata operata una lettura non corretta dell’art.
5 d.lgs. n. 28/2010 ove, sulla scorta del suo carattere perentorio, conduce a
sanzionare chi si sia attivato nell’espletamento della procedura di mediazione
dopo 15 giorni concessi dal Giudice nonostante la fattiva partecipazione alla
procedura della controparte e la sua conclusione con un verbale negativo. Nel
merito ha riproposto tutte le domande svolte in primo grado a fondamento dell’opposizione
e segnatamente quelle relative all’accordo raggiunto per la definizione della
situazione debitoria e in ordine alla usurarietà degli interessi applicati, all’applicazione
dell’anatocismo.
Si è costituita II s.p.a. chiedendo, in via principale, la declaratoria
di inammissibilità dell’appello ex art. 348 bis c.p.c. e, in via subordinata,
il rigetto. Ha sostenuto che: il Giudice di prima istanza si è limitato ad
applicare la regola normativa che prevede la possibilità di applicare termini
stretti al fine evitare che la procedura di mediazione possa costituire il
pretesto per dilatare i tempi del processo ed assecondare tattiche dilatorie e
defatigatorie; la partecipazione al giudizio di mediazione da parte dell’opposta
non sarebbe idonea a sanare l’inosservanza della regola processuale perpetrata
dall’opponente che aveva interesse al suo rispetto; aveva partecipato alla
mediazione al solo fine di eccepire l’attivazione tardiva per eventualmente
accettare null’altro che il pagamento dell’intero credito reclamato; il mancato
rispetto del termine concesso per il pagamento dell’importo accordato a
stralcio a colui che si era affermata debitrice e che in ragione dello sconto
aveva riconosciuto il debito aveva determinato la decadenza dal beneficio; nel
dedurre il superamento del tasso soglia la controparte non aveva indicato
quello che sarebbe stato applicato di volta in volta e nemmeno il periodo di
sforamento, doglianze che sarebbero state comunque irrilevanti trattandosi
eventualmente di usura sopravvenuta; la dedotta applicazione degli interessi
anatocistici era stata solo affermata.
L’eccezione di inammissibilità dell’appello non è attuale essendo stata
la controversia posta in decisione.
L’appello è infondato e va dunque rigettato.
E’ pacifico che l’opponente al decreto ingiuntivo ha introdotto la
mediazione sia oltre il termine assegnato dal giudice di 15 giorni, decorrenti
dall’ordinanza che l’aveva disposta, emessa all’udienza di prima comparizione
del 5.7.2016, sia quello successivo all’udienza di rinvio del 13.12.2016,
prevista per la verifica dell’esito del sub procedimento deflattivo, e, quindi,
oltre i tre mesi previsti dal d.lgs. n. 28/2010 per l’espletamento della
mediazione assistita. Infatti, la domanda di mediazione è stata depositata solo
il 19.12.2019.
Ora, se è ancora discussa, anche in giurisprudenza, la natura del
termine di 15 giorni assegnato dal Giudice per la mediazione e se debba
intendersi ordinatorio o perentorio, non sembra che vi sia altrettanta
incertezza sulla “perentorietà” del termine di tre mesi di sospensione del
giudizio stabilito dall’art. 6 comma 1 del d.lgs cit., modificato dalla legge
n. 98 del 9.8.2013, che non può pertanto essere superato per consentire l’espletamento
del tentativo di mediazione, come espressamente previsto dalla norma. Del
resto, non sembra potersi contestare che tale carattere è insito nella ratio
che ha ispirato la normativa introdotta nel 2010, che ha un’evidente finalità
deflattiva, ed è quindi diretto ad impedire che la mediazione venga utilizzata
come espediente, nella fattispecie da parte del debitore, per procrastinare la
risoluzione della controversia. Tale finalità trova ulteriore conferma nell’espressa
previsione, contenuta nel secondo comma dell’art. 6 cit., che esclude la
sospensione feriale.
Aderendo questa Corte a tale orientamento interpretativo, tanto basta
per confermare la sentenza di primo grado, seppure con motivazione parzialmente
differente.
Le spese del giudizio di appello seguono la soccombenza e vanno poste a
carico dell’appellante che va condannata a rifonderle all’appellata, liquidate
come in dispositivo ex art. 4 d.m. 10.3.2014 n. 55, come modificato dal d.m.
8.3.2018 n. 37, avuto riguardo alla semplicità della questione giuridica
trattata.
L’appellante è tenuta, ex art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 115/2002 al versamento dell’ulteriore contributo unificato di cui all’art. 13, comma 1 bis, d.P.R. 115/2002.
PQM
La Corte di appello di Perugia, definitivamente pronunciando, uditi i procuratori delle parti, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: rigetta l’appello proposto da XX avverso la sentenza omissis; condanna l’appellante XX a rifondere all’appellata II s.p.a. le spese del giudizio di appello che liquida in € 3.500,00, oltre il rimborso forfetario delle spese generali, iva e cap come per legge; dichiara che l’appellante è tenuta, ex art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 115/2002 al versamento dell’ulteriore contributo unificato di cui all’art. 13, comma 1 bis, d.P.R. 115/2002.
AVVISO. Il
testo riportato non riveste carattere di ufficialità.