=> Tribunale di Taranto, 2 maggio 2019
Va condiviso l’orientamento interpretativo secondo cui
la mediazione obbligatoria (cfr. art. 5, comma 1 bis, d.lgs. 28/2010) non si estende
alle domande riconvenzionali sollevate dal convenuto, o proposte da
eventuali terzi intervenuti; orientamento che appare maggiormente conforme alla
stessa ratio del tentativo obbligatorio di mediazione, identificabile in
ragioni di economia processuale,
conseguendone che dilazionare il processo per permettere l'esperimento del
tentativo di conciliazione, su domande ulteriori rispetto a quella
introduttiva, sarebbe contrario alle intenzioni del legislatore (I) (II).
(I) Si veda
l’art. 5, comma 1 bis, D.lgs. 4 marzo 2010
n. 28 (Osservatorio Mediazione Civile n. 38/2018).
(II) Tra le ragioni poste alla base dell’indirizzo interpretativo seguito
dalla sentenza qui massimata (invero contrastato da altro e contrario filone giurisprudenziale),
la stessa pronuncia esplicitamente osserva che “il procedimento di mediazione sulla domanda riconvenzionale non è
generalmente idoneo, dopo il fallimento del procedimento di mediazione sulla
domanda principale, a porre fine al giudizio (cfr. Tribunale
Reggio Calabria, 22 aprile 2014, in Osservatorio Mediazione Civile n. 42/2014;
Tribunale
di Palermo, 11 luglio 2011, in Osservatorio Mediazione Civile n. 29/2012)”.
Fonte: Osservatorio
Mediazione Civile n. 43/2019
Tribunale di Taranto
Sentenza
2 maggio 2019
Omissis
Con atto di citazione ritualmente notificato omissis s.r.l. ha convenuto in giudizio innanzi all'intestato
tribunale omissis s.r.l., deducendo
che con contratto stipulato il 25.08.2006 e registrato il successivo 28.08.2006
aveva ceduto in locazione in favore della società convenuta (poi resistente) i
locali di sua proprietà omissis per
un canone mensile di Euro 5.000,00 ridotto a Euro 4.000,00 per il primo anno e
a Euro 4.500,00 per il secondo, al fine di agevolare l'avvio della produzione,
e successivamente, a decorrere dal mese di ottobre 2010 e fino al dicembre 2011
a Euro 4.000,00 mensili; che i pagamenti non erano avvenuti con regolarità e
erano cessati dal settembre 2013 sino a novembre 2013, data di rilascio
dell'immobile; chiedeva pertanto che la convenuta (di seguito resistente) fosse
condannata al versamento della somma complessiva di Euro 82.076,06, di cui Euro
79.576,06 a titolo di canoni non corrisposti e Euro 7.500,00 a titolo di
risarcimento dei danni, detraendo la cauzione di Euro 5.000,00 versata al
momento della stipula del contratto.
Con comparsa di costituzione e risposta con domanda riconvenzionale
depositata in data 02.05.2014 omissis
s.r.l. si è costituita nel presente giudizio e ha, in via preliminare, eccepito
la nullità dell'atto di citazione, atteso che oggetto della domanda è materia
locatizia, per cui la stessa andava proposta con ricorso ex artt. 447 bis e 414
c.p.c.; ha, inoltre, eccepito la improcedibilità della domanda per mancato
esperimento del tentativo di mediazione e la nullità della domanda ai sensi
degli artt. 164, comma 4, e 163, comma 3, n. 4, c.p.c.; nel merito ha rilevato
l'insussistenza del credito per canoni di locazione, per effetto della
riduzione pattuita dal marzo 2013 a Euro 3.850,00 mensili e che l'IVA sino
all'ottobre 2013 era fissata al 21%; l'infondatezza della spiegata domanda risarcitoria;
ha proposto, quindi, domanda riconvenzionale di risoluzione contrattuale per
inadempimento della locatrice, consistito nella mancata consegna alla
conduttrice della documentazione indispensabile per lo svolgimento
dell'attività in relazione alla quale fu stipulato il contratto (istituto
scolastico), che aveva determinato il diniego dell'istanza per il
riconoscimento della parità scolastica da parte del Ministero dell'Istruzione,
dell'Università e della Ricerca; ha segnatamente dedotto che l'anticipata
risoluzione del contratto di locazione aveva cagionato danni alla società
convenuta pari a Euro 40.000,00; che era da ritenersi indebito, per effetto
della risoluzione del contratto, il pagamento dei canoni di locazione da giugno
2008 a giugno 2009 pari a Euro 48.000,00, di cui domandava la restituzione; che
era inoltre dovuta l'indennità per la perdita di avviamento commerciale ex art.
34 L. n. 392 del 1978 e per i miglioramenti apportati al bene locato, pari a
Euro 20.000,00, oltre alla restituzione della somma di Euro 5.000,00 versata a
titolo di caparra.
All'udienza del 28 maggio 2014 veniva concesso termine di gg. 15 per
l'esperimento della mediazione obbligatoria.
Con memoria del 19.9.2014, la società ricorrente rideterminava, sulla
scorta dei rilievi di parte resistente in punto di riduzione del canone e IVA,
in Euro 67.944,94 la somma dovuta per canoni di locazione non versati, e
chiedeva all'istruttore l'emissione di ordinanza di pagamento ex art. 423
c.p.c. ovvero 186-bis c.p.c., istanza rigettata con ordinanza del 10.11.2014.
All'udienza del 18.03.2015, veniva disposto il mutamento del rito da
ordinario a speciale locatizio e assegnati alle parti termini per eventuale
integrazione degli atti introduttivi.
La causa, a seguito del mutamento del rito, è stata istruita a mezzo di
interrogatorio formale dei legali rappresentanti delle parti e prova per testi,
e infine, riservata per la decisione dal precedente istruttore ai sensi
dell'art. 190 c.p.c. all'udienza del 15.02.2017, è stata rimessa sul ruolo per
la discussione ai sensi dell'art. 447 bis c.p.c. e decisa all'udienza del 2
maggio 2019, con lettura in udienza del dispositivo e delle contestuali
motivazioni.
Le eccezioni preliminari.
Le eccezioni preliminari rilevate dalla società convenuta (e dalla
attrice quanto alla asserita improcedibilità della domanda riconvenzionale per
non avere la parte resistente esperito il procedimento di mediazione
obbligatorio per legge) sono infondate.
In punto di improcedibilità della domanda per mancato esperimento del
procedimento di mediazione obbligatoria, le eccezioni delle parti non meritano
accoglimento, atteso che la condizione di procedibilità è stata adempiuta
attraverso il rituale espletamento della mediazione ad opera della parte resasi
diligente (ovvero la società ricorrente) nel termine assegnato dal Presidente
Istruttore all'udienza del 28 maggio 2014 e pertanto non sussiste la eccepita
improcedibilità.
Secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale in materia,
invero, la mediazione obbligatoria non si estende alle domande riconvenzionali
sollevate dal convenuto, o proposte da eventuali terzi intervenuti.
Le ragioni poste alla base di tale condivisibile indirizzo
interpretativo possono essere così sintetizzate:
a) le disposizioni che prevedono condizioni di procedibilità sono di
stretta interpretazione, poiché introducono limitazioni all'esercizio del
diritto di agire in giudizio, garantito dall'art. 24 Cost., quindi la locuzione
"chi intende esercitare in giudizio un'azione", contenuta nel comma
1, art. 5, D.Lgs. n. 28 del 2010, sarebbe da intendersi come "chi intende
instaurare un giudizio";
b) vanno fatti salvi i principi di ragionevole durata del processo e di
equilibrata relazione tra procedimento giudiziario e mediazione, indicato nella
direttiva comunitaria 2008/52/CEE;
c) il procedimento di
mediazione sulla domanda riconvenzionale non è generalmente idoneo, dopo il
fallimento del procedimento di mediazione sulla domanda principale, a porre
fine al giudizio (cfr. Tribunale Reggio Calabria, 22 aprile 2014, in
Osservatorio Mediazione Civile n. 42/2014; Tribunale di Palermo, 11 luglio
2011, in Osservatorio Mediazione Civile n. 29/2012);
d) l'art. 5, comma 1-bis, D.Lgs. n. 28 del 2010, prevede la facoltà del
convenuto di eccepire il mancato tentativo di mediazione, sicché va considerato
tale "chi viene citato in giudizio", e non già "chi, avendo
promosso un'azione e , pertanto, notificato ad altri una vocatio in ius,
risulti a sua volta destinatario di una domanda, collegata a quella originaria";
e) non è opportuno consentire che vengano formulate domande
riconvenzionali al solo fine di costringere il giudice a mandare le parti in
mediazione, così da dilazionare i tempi del processo; infine
f) l'interpretazione propugnata dalla giurisprudenza di legittimità già
con riferimento all'art. 46 della L. n. 203 del 1982 e, cioè, che "
l'onere del preventivo esperimento del tentativo di conciliazione ... sussiste,
oltre che a carico dell'attore che agisce in via principale in giudizio, anche nei
confronti del convenuto che proponga una domanda riconvenzionale, secondo uno
dei criteri di collegamento previsti dall'art. 36 cod. proc. civ."(Cass.
18 gennaio 2006, n. 830).
L'orientamento qui condiviso appare, pertanto, maggiormente conforme
alla stessa ratio del tentativo obbligatorio di mediazione, identificabile in
ragioni di economia processuale, conseguendone che dilazionare il processo per
permettere l'esperimento del tentativo di conciliazione, su domande ulteriori
rispetto a quella introduttiva, sarebbe contrario alle intenzioni del
legislatore.
Quanto alla nullità della domanda per essere stata introdotta con atto
di citazione anzicchè con ricorso, deve osservarsi che con ordinanza emessa
all'udienza del 18.03.2015 è stato disposto il mutamento del rito da ordinario
a speciale locatizio e che le parti hanno ritualmente integrato gli atti
introduttivi mediante il deposito di memorie integrative nei termini all'uopo
concessi, con l'effetto che l'eccezione deve ritenersi definitivamente
superata.
In relazione alla nullità della domanda per violazione dell'art. artt.
164, comma 4, e 163, comma 3, n. 4, c.p.c., la domanda non presenta profili di
incompletezza ed indeterminatezza essendo stati esposti in modo sintetico ma
esauriente gli aspetti fattuali e giuridici che ne costituiscono il fondamento.
Nel merito, la domanda è fondata, per quanto di ragione. omissis
Tutte le ulteriori domande sono prive di fondamento e devono, pertanto,
essere rigettate.
Quanto alla ulteriore domanda di risarcimento del danno proposta dalla
società ricorrente, essa è rimasta del tutto sfornita di prova e, d'altronde,
la situazione dei luoghi, per come ricavabile dai rilievi fotografici prodotti,
peraltro privi di qualsiasi attestazione circa la data della loro effettuazione
e quindi non certamente riferibili al momento del rilascio, non attestano se
non problematiche di scarsissima entità e presumibilmente di modesto rilievo
economico.
Sul punto una CTU, la cui richiesta non è stata peraltro formalmente
reiterata dalla società ricorrente in sede di conclusioni, avrebbe natura
palesemente esplorativa, risultando inoltre inutilmente onerosa per le parti e
contraria ad esigenze di economia processuale.
In relazione alla domanda di risoluzione del contratto per
inadempimento proposta in via riconvenzionale dalla società resistente, con
conseguente domanda di restituzione dei canoni versati e risarcimento del danno
subito per effetto del mancato conseguimento delle autorizzazioni necessarie
all'esercizio dell'attività al cui esercizio il bene è destinato, deve
osservarsi che la specifica destinazione d'uso cui sarà adibito l'immobile
locato (nel caso di specie ad istituto scolastico) è di norma determinata da
quanto dichiarato e convenuto tra le parti nel contratto di locazione ovvero da
esso desumibile. Allorché per l'esercizio dell'attività prevista nel contratto
di locazione siano poi necessarie specifiche autorizzazioni amministrative, che
il conduttore non riesca ad ottenerle dai competenti enti pubblici per mancanza
di requisiti dell'immobile, potrebbe astrattamente sussistere una
responsabilità in capo al locatore.
Al fine di valutare se in effetti ricorra la responsabilità del
locatore occorre, tuttavia, a mente del più recente e restrittivo orientamento
della giurisprudenza di legittimità, accertare se sia stata stipulata una
espressa clausola contrattuale con la quale il locatore si sia assunto
l'obbligo di garantire l'idoneità del bene all'uso pattuito ovvero il
conseguimento delle necessarie licenze ed autorizzazioni, in quanto solo in
questa ultima ipotesi il locatore sarà responsabile, accertata l'inidoneità del
bene all'uso a cui è destinato o la mancata attivazione dell'obbligato
nell'ottenimento delle certificazioni richieste, ad agire per la risoluzione
del contratto e l'eventuale risarcimento del danno.
In punto di distribuzione dell'onere della prova, si afferma, peraltro,
con indirizzo ormai consolidato, che nei contratti di locazione relativi ad
immobili destinati ad uso non abitativo grava sul conduttore l'onere di
verificare con la dovuta diligenza che le caratteristiche del bene siano
adeguate a quanto tecnicamente necessario per lo svolgimento dell'attività che
egli intende esercitarvi, nonché al rilascio delle necessarie autorizzazioni
amministrative, con l'effetto che ove il conduttore non riesca ad ottenere tali
autorizzazioni, non è configurabile alcuna responsabilità per inadempimento a
carico del locatore e ciò anche se il diniego sia dipeso dalle caratteristiche
dello stesso bene locato.
La destinazione dell'immobile può, allora, assumere rilevanza, quale
condizione di efficacia, quale elemento presupposto o, infine, quale contenuto
dell'obbligo assunto dal locatore nella garanzia di pacifico godimento
dell'immobile in relazione all'uso convenuto, solo se abbia formato oggetto di
specifica pattuizione, non essendo sufficiente la mera enunciazione, in
contratto, che la locazione sia stipulata per un certo uso, a maggior ragione
allorché vi sia stato il riconoscimento dell'idoneità dell'immobile da parte
del conduttore in relazione alla specifica destinazione (cfr. Cass., 3, n. 1735
del 25/1/2011; Cass., 3, n. 5836 del 13/3/2007; Cass., 3, n. 25278 del
1/12/2009: Cass. 3.12.2010, n. 1735; App. Milano, sent. n. 3525/2017, Cass.
sent. n. 11865/2015).
Tali principi sono stati di recente ribaditi, con ancora maggiore
vigore, dalla S.C. che con sentenza del 7 giugno 2018, n. 14731 ha affermato
quanto segue: " omissis ".
Sulla scorta di tali rigorosi principi interpretativi, va quindi
esaminata la fattispecie in esame. omissis
Conclusivamente, non sussistendo alcun espresso obbligo in capo al locatore di
assicurare l'ottenimento delle autorizzazioni amministrative necessarie per
l'espletamento dell'attività cui l'immobile era nello specifico destinato, non
può ritenersi ricorrere nella fattispecie in esame alcun inadempimento
contrattuale ascrivibile al locatore, il cui comportamento è stato invece
costantemente improntato a diligenza e buona fede, con l'effetto che devono
essere rigettate, in quanto infondate, le domande di risoluzione del contratto,
di restituzione dell'indebito e di risarcimento del danno.
Quanto al rimborso dei presunti miglioramenti, è del tutto verosimile
ritenere che le opere appaltate alla società L. s.r.l. con contratto del 3
luglio 2008 (v. fascicolo parte resistente allegato n. 7), vadano identificate
con gli "adattamenti" di cui hanno riferito i citati testimoni,
autorizzati dal locatore e da effettuarsi a cura e spese del conduttore, come
ammesso dalla stessa sig.ra G., legale rappresentante della società resistente
nel corso dell'interrogatorio formale.
In ogni caso, non è stato provato che essi sussistessero al momento del
rilascio, per cui la relativa domanda va anch'essa respinta.
Infine, non è fondata la pretesa della resistente di indennità per
perdita dell'avviamento ex art. 34 L. n. 392 del 1978, in quanto il conduttore
di un locale ad uso non abitativo ha diritto all'indennità per la perdita di
avviamento" in caso di cessazione del rapporto di locazione soltanto se
non dovuta a disdetta o recesso del conduttore stesso, ciò che nel caso di
specie deve ritenersi pacifico, in quanto è incontestato che la società
resistente ebbe a recedere dal contratto, rilasciando l'immobile in data
6.12.2013, come ammesso dal legale rappresentante della società resistente in
sede di interrogatorio formale.
Le spese.
Le spese processuali seguono la soccombenza e tenuto conto della
soccombenza di parte ricorrente su alcuni capi della domanda, questo giudice
reputa equo compensarle al 25 % tra le parti e quindi condannare la società
resistente al rimborso verso la parte ricorrente della parte residua, che si
liquida in Euro 700,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per compensi professionali,
oltre accessori come per legge.
PQM
Il Tribunale di Taranto, seconda sezione civile, in composizione
monocratica nella persona della dott.ssa Stefania D'Errico, sentita la
discussione della causa, decidendo sulla domanda proposta con atto di citazione
notificato in data 06.02.2014 dalla omissis
s.r.l., in persona omissis, nei
confronti della omissis s.r.l., in
persona omissis, con successivo
mutamento del rito da ordinario a locatizio, e sulla domanda riconvenzionale
proposta da quest'ultima nei confronti della società ricorrente a mezzo della
comparsa di costituzione e risposta con domanda riconvenzionale depositata il 02.05.2014,
così provvede: accoglie, per quanto di ragione, la domanda e, per l'effetto:
condanna la resistente omissis
s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., al pagamento in favore della
società ricorrente omissis s.r.l., in
persona del legale rappresentante p.t., della somma di Euro 62.944,06, oltre
interessi legali dal di' della singola maturazione del credito sino al saldo, a
titolo di canoni di locazione scaduti in relazione ai periodi indicati
nell'atto introduttivo del giudizio, in virtù del contratto di locazione
stipulato tra le parti in data 25.08.2006 e registrato il 28.08.2006, detratto
quanto versato a titolo di deposito cauzionale; rigetta ogni altra domanda;
dichiara compensate al 25% le spese processuali tra le parti; condanna la
resistente omissis s.r.l., in persona
del legale rappresentante p.t., al rimborso in favore della società ricorrente omissis s.r.l., in persona del legale
rappresentante p.t., della residua parte, liquidata come da motivazione, oltre
accessori come per legge.
Così deciso in Taranto, il 2 maggio 2019.
Depositata in Cancelleria il 2 maggio 2019.