=> Tribunale di Vasto, 9 aprile 2018
Il principio di obbligatorietà
dell’assistenza legale nelle forme di mediazione obbligatoria sancito dal d.lgs. 28/10 è sicuramente compatibile,
sotto il profilo della onerosità della procedura, con il principio comunitario
della tutela giurisdizionale effettiva di cui agli artt. 6 e 13 della CEDU
e art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (I) (II).
La condotta della parte che si reca personalmente al
primo incontro di mediazione (nei casi di mediazione c.d. obbligatoria), rifiutandosi di farsi assistere da un
avvocato e pretendendo di partecipare autonomamente agli incontri di
mediazione, è illegittima perché
assunta in violazione delle prescrizioni del d.lgs. 28/10. Nei casi di mediazione c.d. obbligatoria, l’assenza dell’avvocato di una o di entrambe le parti si traduce in
un vizio di comparizione di uno dei
soggetti necessari della procedura, che inficia
la regolarità dello svolgimento della mediazione; se il rifiuto della
assistenza legale proviene dalla parte
istante, deve ritenersi che la condizione
di procedibilità della domanda giudiziale non si sia avverata; se il
rifiuto proviene dalla parte invitata,
si verifica un presupposto per l’irrogazione della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 8, comma 4 bis, d.lgs. 28/2010, oltre che un fattore da cui desumere argomenti di prova, ai sensi dell’art.
116, secondo comma, c.p.c. (I) (II) (III).
(II) Per
approfondimenti si veda SPINA, Mediazione, l’assistenza legale obbligatoria è compatibile con diritto europeo, Altalex,
2018.
(III) Si veda l’art.
8, comma 4 bis, D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 (Osservatorio Mediazione Civile n. 38/2018).
Tribunale di Vasto
Ordinanza
9 aprile 2018
Omissis
1. Il giudizio introdotto da omissis
ha ad oggetto una domanda di annullamento di un contratto finanziario per vizio
del consenso e, pertanto, rientra nel novero delle controversie in materia di
contratti bancari e finanziari, per le quali l’art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. n.
28/10 impone il previo esperimento del procedimento di mediazione come
condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
2. Dal verbale del primo incontro di mediazione prodotto dall’attore,
emerge che la banca odierna convenuta, costituitasi nel presente giudizio e
ritualmente invitata a prendere parte alla mediazione, ha partecipato in
videoconferenza, a mezzo di un proprio delegato, all’incontro all’uopo fissato
dal mediatore, ma senza l’assistenza di un avvocato ed, anzi, espressamente
rifiutandosi di farsi assistere legalmente, sebbene a ciò opportunamente
invitata dal mediatore. Quest’ultimo, preso atto della impossibilità di
“addivenire all’acquisizione del consenso previsto dall’art. 8 del D. Lgs. n.
28/10, nelle modalità conformi alla legge e al regolamento” (cfr. verbale
dell’incontro del 06.06.2016), ha dichiarato chiuso il procedimento.
Si impone, a questo punto, la necessità di valutare, per un verso, la
correttezza dell’operato del mediatore e, per altro verso, la legittimità del
rifiuto opposto dalla banca a farsi assistere da un avvocato nel corso del
primo incontro, al fine di adottare gli opportuni provvedimenti per la
prosecuzione del giudizio. Il tema coinvolge la sottesa e dibattuta questione
della necessarietà della assistenza legale in mediazione, rispetto alla quale
il complessivo impianto normativo del D. Lgs. n. 28/10 non offre risposte
chiare ed univoche, prestandosi ad interpretazioni contrastanti.
Da un lato, infatti, l’art. 5, comma 1 bis, del citato decreto
statuisce che “chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una
controversia in materia di […] è tenuto, assistito dall’avvocato,
preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione” e l’art. 8, comma 1,
prescrive che “al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine
della procedura, le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato”,
offrendo in tal modo un’argomentazione di carattere letterale ai sostenitori
della tesi della obbligatorietà della assistenza legale delle parti in
mediazione. Dall’altro lato, il successivo art. 12 stabilisce che “ove tutte le
parti aderenti alla mediazione siano assistite da un avvocato, l'accordo che
sia stato sottoscritto dalle parti e dagli stessi avvocati costituisce titolo esecutivo
per l'espropriazione forzata, l'esecuzione per consegna e rilascio,
l'esecuzione degli obblighi di fare e non fare, nonché per l'iscrizione di
ipoteca giudiziale. Gli avvocati attestano e certificano la conformità
dell'accordo alle norme imperative e all'ordine pubblico […]. In tutti gli
altri casi l'accordo allegato al verbale è omologato, su istanza di parte, con
decreto del presidente del tribunale, previo accertamento della regolarità
formale e del rispetto delle norme imperative e dell'ordine pubblico”. Tale
norma, regolando compiutamente sia il caso in cui le parti siano tutte
assistite dall’avvocato, sia il diverso caso in cui ciò non accada, si presta
ad essere interpretata nel senso che l’assistenza legale in mediazione è
indispensabile solo al fine di attribuire efficacia di titolo esecutivo
all’accordo raggiunto in mediazione, ma non è sempre necessaria: nell’ipotesi
in cui taluna delle parti non sia assistita da un avvocato, l’accordo necessita
di un decreto di omologa da parte del Presidente del Tribunale.
L’antinomia dei dati normativi innanzi esaminati esige un chiarimento
interpretativo che tenti di comporre l’apparente contrasto: premesso che la
formulazione letterale delle disposizioni di cui agli artt. 5, comma 1 bis e 8,
comma 1, è inequivocabilmente chiara nell’imporre alle parti l’obbligo di
essere assistite, per tutta la durata della procedura di mediazione, da un
avvocato (cfr., in tal senso, T.A.R. Lazio, 26.01.2015, n. 1421; Trib. Torino
30.03.2016, n. 1770), l’unico plausibile significato che, ad avviso di questo
giudicante, può essere attribuito al primo periodo dell’art. 12, che prefigura
ipotesi di mediazioni in cui taluna delle parti non sia assistita da un
avvocato, è quello per cui tale disposizione faccia riferimento ai casi di cui
all’art. 2 del D.Lgs. n. 28/10, vale a dire alle mediazioni attivate su base
volontaria, nelle quali l'esperimento del procedimento non costituisce
condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
La chiave di lettura che qui si propone, per un verso, valorizza gli
elementi di differenziazione delle due forme di mediazione: quella
obbligatoria, in cui la previsione della assistenza legale obbligatoria è
funzionalmente correlata alla necessità di fornire alle parti il supporto di
una adeguata consulenza professionale per il corretto compimento di valutazioni
e scelte dal cui esercizio possono derivare rilevanti conseguenze sul piano
della effettività della tutela dei diritti dei soggetti protagonisti, prima fra
tutte il rischio della declaratoria di improcedibilità della domanda
giudiziale; e quella volontaria, il cui tratto distintivo risiede nella
centralità del ruolo dell’autodeterminazione delle parti, come rimarcato anche
dal considerando n. 13 della direttiva comunitaria n. 2008/52, da cui si desume
che il carattere volontario della mediazione consiste non già nella libertà
delle parti di ricorrere o meno a tale procedimento, bensì nel fatto che
"le parti gestiscono esse stesse il procedimento e possono organizzarlo
come desiderano e porvi fine in qualsiasi momento", senza l’obbligo di una
previa assistenza legale, della quale le parti sono libere di decidere se
avvalersi o meno.
Per altro verso, l’opzione interpretativa propugnata appare
maggiormente rispettosa della ratio sottesa alla novella del D.L. 21 giugno
2013, n. 69 che, nel riformare la disciplina della mediazione, introducendo
l’obbligo dell’assistenza dell’avvocato durante l’intera procedura di
mediazione, ha inteso, in chiave protettiva degli interessi dei soggetti coinvolti
in una controversia, attribuire una nuova centralità al ruolo del
professionista forense, il cui compito è quello di accompagnare il proprio
cliente nella procedura tutelando sia le sue pretese che i suoi interessi, da
un lato lasciando a quest’ultimo la possibilità di partecipare attivamente
nella gestione del conflitto che lo vede protagonista e, dall’altro, cercando
di dissuaderlo da tutte quelle condotte elusive dell’obbligo di partecipazione
effettiva alla procedura di mediazione che potrebbero avere gravi ripercussioni
di tipo sanzionatorio, sia sul piano processuale che economico.
Peraltro, l’ulteriore conseguenza di tale scelta legislativa consiste
nella progressiva emersione di una nuova figura professionale - quella
dell’avvocato, esperto in tecniche negoziali, che “assiste” la parte nella
procedura di mediazione - che si distingue dalla figura tradizionale
dell’avvocato, esperto di tecniche processuali, che “rappresenta” la parte nel
processo. Al professionista forense, in altri termini, è richiesta
l’acquisizione di nuove competenze di tipo umano e relazionale (ad esempio, la
capacità di ascoltare in modo attivo, di sapere rimanere in silenzio, la
capacità di comunicare con il cliente e con le controparti e di trarre elementi
dalla comunicazione verbale e non verbale, di essere empatici, nonché di
comprendere gli interessi delle parti al di là delle pretese giuridiche
avanzate), che si aggiungono a quelle di difesa tecnica di tipo tradizionale.
Tali competenze professionali, presupponendo l’approfondimento di aspetti che
vanno al di là di quelli giuridici ed appartengono alla sfera dei valori, dei
sentimenti e delle emozioni che sono alla base di ogni conflitto, richiedono
l’abbandono della logica avversariale e di scontro, tipica delle tecniche processuali
e del negoziato di “posizioni” (ossia quello tradizionale ove ogni parte cerca
di ottenere per sé il maggiore risultato possibile), per passare al negoziato
di “interessi”, ove lo scopo è di intavolare un negoziato in modo
collaborativo, volto a che il professionista comprenda il punto di vista
dell’altra parte, per arrivare a una cooperazione con la stessa ed
eventualmente al raggiungimento di un accordo condiviso ove questo sia
possibile.
3. Dopo aver chiarito quali sono la ratio e la funzione della
obbligatorietà della assistenza legale nelle forme di mediazione obbligatoria,
è appena il caso di evidenziare come la normativa nazionale che impone
l'obbligo per le parti di essere assistite da un avvocato per promuovere una
procedura di mediazione non può ritenersi incompatibile con le norme di diritto
comunitario.
È noto che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza
n. 457 del 14.06.2017 ha stabilito che “il requisito di una procedura di
mediazione come condizione di procedibilità di un ricorso giurisdizionale può
rivelarsi compatibile con il principio della tutela giurisdizionale effettiva
qualora tale procedura non conduca a una decisione vincolante per le parti, non
comporti un ritardo sostanziale per la proposizione di un ricorso
giurisdizionale, sospenda la prescrizione o la decadenza dei diritti in
questione e non generi costi, ovvero generi costi non ingenti, per le parti, a
patto però che la via elettronica non costituisca l'unica modalità di accesso a
detta procedura di conciliazione e che sia possibile disporre provvedimenti
provvisori nei casi eccezionali in cui l'urgenza della situazione lo impone”.
Tuttavia, contrariamente a quanto affermato da una recente
giurisprudenza di merito (cfr. Trib. Verona, 27.02.2018) con riferimento
all’istituto della negoziazione assistita, è opinione di questo giudicante che
la disciplina nazionale del D. Lgs. n. 28/10 sulla mediazione obbligatoria non
sia in contrasto con la penultima delle predette condizioni, dal momento che,
pur non potendo prescindere dall'intervento di un difensore, il procedimento
mediatorio non comporta costi ingenti per le parti.
All’uopo, deve innanzitutto precisarsi che la determinazione dei
compensi di avvocato attualmente vigenti per l’attività di assistenza in
mediazione deve essere effettuata, ai sensi del combinato disposto degli artt.
3 e 20 del D.M. n. 55/14, sulla base dei parametri numerici di cui alla tabella
n. 25, riguardante le prestazioni di assistenza stragiudiziale. Tali parametri,
se confrontati con quelli fissati dalla tabella n. 2 per i giudizi ordinari e
sommari di cognizione innanzi al tribunale di primo grado (generalmente
applicabili in caso di instaurazione o prosecuzione del giudizio a seguito del
fallimento della procedura di mediazione), sono di gran lunga inferiori a
questi ultimi, attestandosi su valori che oscillano all’incirca da un terzo
alla metà. A ciò aggiungasi che, facendo applicazione analogica delle
disposizioni di cui all’art. 4, comma 1 del D.M. n. 55/14 (consentita dal principio
generale sancito dal precedente art. 3), nella liquidazione del compenso per
l’attività di assistenza legale in mediazione, il giudice può diminuire fino al
50% i valori medi di cui alla menzionata tabella, tutte le volte in cui la
procedura di mediazione si sia interrotta al primo incontro o non abbia
comunque condotto ad un proficuo esito conciliativo della controversia, in tal
modo esercitando un potere di contenimento dei costi di assistenza difensiva
che, per un verso, permette di adeguare il compenso dovuto all’avvocato alle
attività da questi effettivamente svolte nel singolo caso concreto e, per altro
verso, realizza l’obiettivo di ridurre i costi della procedura di mediazione,
per evitare che il suo esperimento obbligatorio si traduca nella imposizione di
un peso economico eccessivo a carico della parte che deve sopportarlo.
A tale fine si ispira anche la bozza di decreto ministeriale di riforma
dei parametri forensi, attualmente in fase di approvazione, atteso che essa si
basa sulla introduzione di valori medi di liquidazione per l'attività di
assistenza nella mediazione e negoziazione assistita, prevedendo compensi
distinti (ed, invero, significativamente contenuti) per ciascuna delle tre fasi
(fase di attivazione, fase di negoziazione e fase di conciliazione) in cui
vengono suddivise le procedure di mediazione e di negoziazione assistita
obbligatorie. Tale suddivisione permetterà di circoscrivere la liquidazione dei
compensi alle sole attività realmente svolte, in modo tale da limitare i costi
delle procedure, soprattutto in quei casi in cui le stesse terminino con esito
infruttuoso o si arrestino in una fase iniziale.
Ad ulteriore conferma della compatibilità col diritto comunitario della
disciplina nazionale sulla mediazione obbligatoria, sotto lo specifico profilo
della onerosità della procedura, deve aggiungersi che, per quanto concerne la
posizione dei non abbienti, pur in assenza di una espressa previsione
normativa, i principi e le garanzie costituzionali impongono di includere la
mediazione obbligatoria fra le procedure accidentali o comunque connesse a
quelle giudiziali cui l’art. 75 del D.P.R. n. 115/02 estende l’applicazione del
patrocinio a spese dello Stato (cfr., in tal senso, Trib. Firenze, 13.12.2016).
Questo significa che, per i soggetti in possesso dei requisiti economici per
l’ammissione al beneficio del gratuito patrocinio, la liquidazione dei compensi
spettanti all’avvocato per l’attività di assistenza svolta nella fase di
mediazione stragiudiziale obbligatoria potrà essere effettuata a carico
dell’Erario, così sollevando la parte non abbiente dall’onere di sopportarne i
costi.
A quanto finora osservato occorre, da ultimo, aggiungere un’ulteriore
considerazione: la valutazione in merito al carattere ingente dei costi di una
procedura di A.D.R. obbligatoria deve essere condotta contemperando, da un
lato, il diritto del professionista a vedere remunerata la propria attività
professionale con un compenso dignitoso e proporzionato all’importanza, alla
natura, alla difficoltà e al valore dell’affare, oltre che alla complessità
delle questioni giuridiche e di fatto trattate e, dall’altro, il diritto del
cliente a non farsi carico di oneri economici non adeguati alle proprie risorse
economiche e ai benefici concretamente ottenuti come risultato della
prestazione professionale del proprio difensore.
Nel caso in cui il procedimento di mediazione si concluda positivamente
con il raggiungimento di un accordo amichevole, la parte avrà conseguito un
risultato quantomeno equiparabile, sul piano della tutela dei diritti e degli
interessi, a quello che avrebbe ottenuto con una soluzione giudiziale della
controversia, con la differenza di aver sostenuto dei costi di gran lunga
inferiori a quelli che avrebbe dovuto affrontare in caso di giudizio, com’è
agevolmente riscontrabile dal confronto tra i parametri forensi per le prestazioni
di assistenza stragiudiziale e quelli per le attività di rappresentanza in
giudizio. Tale considerazione è già, di per sé sola, sufficiente ad escludere
che i costi della procedura obbligatoria di risoluzione alternativa delle
controversie che si sia conclusa con esito positivo possano essere considerati
ingenti, posto che il fruttuoso esperimento della mediazione si è comunque
tradotto in un vantaggioso risparmio di spesa per la parte.
Nel diverso caso in cui il procedimento di mediazione si concluda
negativamente senza il raggiungimento di un accordo amichevole, il compenso
dovuto all’avvocato per l’attività di assistenza legale sarà sicuramente più
modesto, vuoi per la decurtazione che il giudice è legittimato ad applicare con
il regime degli attuali parametri forensi, vuoi per la limitazione del compenso
soltanto ad alcune fasi della procedura (nel futuro regime della riforma dei
parametri forensi innanzi esaminata e di prossima approvazione). Ne consegue
che, sebbene l’esito negativo della procedura comporta che i costi della stessa
dovranno cumularsi con quelli del futuro giudizio, il modesto importo dei
compensi professionali previsti sia dalla tabella attualmente vigente, sia da
quelle di imminente entrata in vigore, è tale da far ritenere che essi
assicurino un’equa remunerazione per l’attività professionale dell’avvocato e,
allo stesso tempo, evitino alle parti di sopportare costi eccessivi.
Sulla scorta di tutte le riferite considerazioni, deve concludersi che
il principio di obbligatorietà dell’assistenza legale nelle forme di mediazione
obbligatoria sancito dal D.Lgs. n. 28/10 è sicuramente compatibile, sotto il
profilo della onerosità della procedura, con il principio comunitario della
tutela giurisdizionale effettiva, sancito dagli artt. 6 e 13 della CEDU e
dall'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, in
quanto non determina a carico delle parti, che devono sostenere il peso
economico dell’attività di assistenza dei rispettivi avvocati, costi
qualificabili come ingenti.
4. Venendo alla disamina delle questioni poste nel caso di specie e
facendo ad esso applicazione dei principi di diritto fin qui enunciati, deve
affermarsi che la condotta della parte che si reca personalmente al primo
incontro di mediazione, rifiutandosi di farsi assistere da un avvocato (sebbene
a ciò compulsata dal mediatore) e pretendendo di partecipare autonomamente agli
incontri di mediazione, è illegittima perché assunta in violazione delle
prescrizioni del D.Lgs. n. 28/10 che impongono alle parti l’obbligo di
assistenza legale per tutta la durata della procedura di mediazione.
In altri termini, l’assenza dell’avvocato di una o di entrambe le parti
si traduce in un vizio di comparizione di uno dei soggetti necessari della
procedura, che inficia la regolarità dello svolgimento della mediazione.
Da ciò consegue che il rifiuto di farsi assistere da un avvocato,
costituendo un comportamento antidoveroso assunto in violazione di un preciso
obbligo di legge, espone la parte che decide di presenziare da sola alla
procedura di mediazione al rischio di subire le conseguenze sanzionatorie, sia
sul piano economico che processuale, previste dagli artt. 5 e 8, comma 4 bis,
del D. Lgs. n. 28/10. In particolare, se il rifiuto della assistenza legale
proviene dalla parte istante, deve ritenersi che la condizione di procedibilità
della domanda giudiziale non si sia avverata, per la dirimente ragione che, ai
fini della procedibilità, non è sufficiente esperire un procedimento di
mediazione purchessia, ma è necessario rispettare tutte le condizioni di legge
per un rituale e corretto svolgimento della procedura, prima tra tutte quella
che impone alle parti di munirsi di un avvocato che le assista. Se, invece, il
rifiuto proviene dalla parte invitata (come è accaduto nel caso di specie),
lungi dal poterne dedurre l’improcedibilità della domanda giudiziale della
parte istante, si verifica un presupposto per l’irrogazione – anche nel corso
del giudizio – della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 8, comma 4 bis, D. Lgs.
n. 28/10, oltre che un fattore da cui desumere argomenti di prova, ai sensi
dell’art. 116, secondo comma, c.p.c.
5. Sulla scorta delle considerazioni innanzi espresse, va rilevato che,
nel caso in esame, omissis s.p.a.,
nel corso del primo incontro, ha espressamente dichiarato di non volersi
avvalere della assistenza di un avvocato.
In modo del tutto corretto, il mediatore, nella sua veste di soggetto
istituzionalmente preposto ad esercitare funzioni di verifica e di garanzia della
puntuale osservanza delle condizioni di regolare espletamento della procedura,
ha dapprima invitato la parte riluttante a nominare un avvocato e, a fronte del
perdurante rifiuto opposto dalla interessata, ha successivamente dichiarato
chiuso il procedimento, prendendo atto della impossibilità di proseguire la
mediazione nel rispetto delle condizioni imposte dalla legge.
6. Per tali motivi, visto che la parte invitata non ha correttamente
partecipato - senza giustificato motivo - al procedimento di mediazione,
ricorrono i presupposti per adottare, ai sensi dell’art. 8, comma 4 bis, del D.
Lgs. n. 28/10, una pronuncia di condanna della stessa (che si è ritualmente
costituita in giudizio) al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di
una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il
giudizio. La lettera della citata disposizione, in virtù dell’uso da parte del
legislatore del tempo indicativo presente, induce a ritenere obbligatoria la
pronuncia di condanna in questione ogniqualvolta la parte che non ha
correttamente partecipato al procedimento non fornisca una idonea
giustificazione alla propria condotta.
Sulla questione della applicabilità della predetta disposizione anche
in corso di causa, questo giudicante ritiene che l’irrogazione della sanzione
pecuniaria prescinda del tutto dall’esito del giudizio e non sia
necessariamente subordinata alla decisione del merito della controversia.
Conformemente a quanto affermato da una parte della giurisprudenza di merito
(cfr., Trib. Termini Imerese, 09/05/2012; Trib. Mantova, 22/12/2015), la
sanzione pecuniaria in questione può, dunque, ben essere irrogata anche alla
prima udienza o, comunque, in un momento temporalmente antecedente rispetto
alla pronuncia del provvedimento che definisce il giudizio.
7. A prescindere dalle questioni relative alla procedura di mediazione
obbligatoria, va rilevato che le parti hanno chiesto alla scorsa udienza la
fissazione dei termini di cui all’art. 183, sesto comma, c.p.c. e che la
richiesta deve essere accolta.
Si reputa, in ogni caso, conveniente sollecitare le parti a considerare
l’opportunità e a valutare i vantaggi di una definizione transattiva della
controversia, dalla quale deriverebbe la possibilità non solo di sottrarsi
all’inevitabile incertezza dell’esito del giudizio, ma anche di pervenire ad
una immediata definizione della lite, evitando il prevedibile prolungamento dei
tempi del processo e l’ulteriore aggravio di spese processuali.
PQM
Disattesa ogni diversa richiesta, così provvede: condanna la parte
convenuta omissis s.p.a. al
versamento, in favore dell’Erario, della somma di € 237,00, pari all’importo
del contributo unificato dovuto per il presente giudizio, in conseguenza della
ingiustificata mancata partecipazione al procedimento obbligatorio di
mediazione; assegna alle parti i seguenti termini perentori, decorrenti dal
16/04/2018: a) termine di trenta giorni, per il deposito di memorie limitate
alle sole precisazioni o modificazioni delle domande, delle eccezioni e delle
conclusioni già proposte; b) termine di ulteriori trenta giorni, decorrente
dalla scadenza del termine sub a), per replicare alle domande ed eccezioni
nuove, o modificate dall’altra parte, per proporre le eccezioni che sono
conseguenza delle domande e delle eccezioni medesime e per l’indicazione dei
mezzi di prova e delle produzioni documentali; c) termine di ulteriori venti
giorni, decorrente dalla scadenza del termine sub b), per le sole indicazioni
di prove contrarie; assegna alle parti termine di ulteriori dieci giorni,
decorrente dalla scadenza del termine sub c), per depositare in cancelleria
note contenenti una specifica proposta di definizione conciliativa della lite,
da sottoporre all’esame della controparte; invita le parti, per la prossima udienza,
a prendere precisa posizione sulla proposta e ad esplicitare le ragioni di un
eventuale rifiuto, di cui il Giudice terrà conto ai fini della condanna alle
spese, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., come modificato dall’art. 45, comma 10,
legge 18 giugno 2009, n. 69; rinvia la causa all’udienza omissis, per la verifica delle condizioni di una possibile
conciliazione o, in difetto, per la discussione orale sull’ammissione dei mezzi
istruttori e per l’adozione dei provvedimenti per l’ulteriore impulso del
processo. Manda alla Cancelleria per la comunicazione della presente ordinanza
alle parti.
Vasto, 9 aprile 2018.
IL GIUDICE
dott. Fabrizio Pasquale