DIRITTO D'AUTORE


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15 ottobre 2019

39/19. Principio di obbligatorietà dell’assistenza legale in mediazione: improcedibilità e sanzioni in caso di violazione; compatibilità col diritto Europeo (Osservatorio Mediazione Civile n. 39/2019)

=> Tribunale di Vasto, 9 aprile 2018

Il principio di obbligatorietà dell’assistenza legale nelle forme di mediazione obbligatoria sancito dal d.lgs. 28/10 è sicuramente compatibile, sotto il profilo della onerosità della procedura, con il principio comunitario della tutela giurisdizionale effettiva di cui agli artt. 6 e 13 della CEDU e art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (I) (II).

La condotta della parte che si reca personalmente al primo incontro di mediazione (nei casi di mediazione c.d. obbligatoria), rifiutandosi di farsi assistere da un avvocato e pretendendo di partecipare autonomamente agli incontri di mediazione, è illegittima perché assunta in violazione delle prescrizioni del d.lgs. 28/10. Nei casi di mediazione c.d. obbligatoria, l’assenza dell’avvocato di una o di entrambe le parti si traduce in un vizio di comparizione di uno dei soggetti necessari della procedura, che inficia la regolarità dello svolgimento della mediazione; se il rifiuto della assistenza legale proviene dalla parte istante, deve ritenersi che la condizione di procedibilità della domanda giudiziale non si sia avverata; se il rifiuto proviene dalla parte invitata, si verifica un presupposto per l’irrogazione della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 8, comma 4 bis, d.lgs. 28/2010, oltre che un fattore da cui desumere argomenti di prova, ai sensi dell’art. 116, secondo comma, c.p.c. (I) (II) (III).


(II) Per approfondimenti si veda SPINA, Mediazione, l’assistenza legale obbligatoria è compatibile con diritto europeo, Altalex, 2018.



Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 39/2019

Tribunale di Vasto
Ordinanza
9 aprile 2018
Omissis

1. Il giudizio introdotto da omissis ha ad oggetto una domanda di annullamento di un contratto finanziario per vizio del consenso e, pertanto, rientra nel novero delle controversie in materia di contratti bancari e finanziari, per le quali l’art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. n. 28/10 impone il previo esperimento del procedimento di mediazione come condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
2. Dal verbale del primo incontro di mediazione prodotto dall’attore, emerge che la banca odierna convenuta, costituitasi nel presente giudizio e ritualmente invitata a prendere parte alla mediazione, ha partecipato in videoconferenza, a mezzo di un proprio delegato, all’incontro all’uopo fissato dal mediatore, ma senza l’assistenza di un avvocato ed, anzi, espressamente rifiutandosi di farsi assistere legalmente, sebbene a ciò opportunamente invitata dal mediatore. Quest’ultimo, preso atto della impossibilità di “addivenire all’acquisizione del consenso previsto dall’art. 8 del D. Lgs. n. 28/10, nelle modalità conformi alla legge e al regolamento” (cfr. verbale dell’incontro del 06.06.2016), ha dichiarato chiuso il procedimento.
Si impone, a questo punto, la necessità di valutare, per un verso, la correttezza dell’operato del mediatore e, per altro verso, la legittimità del rifiuto opposto dalla banca a farsi assistere da un avvocato nel corso del primo incontro, al fine di adottare gli opportuni provvedimenti per la prosecuzione del giudizio. Il tema coinvolge la sottesa e dibattuta questione della necessarietà della assistenza legale in mediazione, rispetto alla quale il complessivo impianto normativo del D. Lgs. n. 28/10 non offre risposte chiare ed univoche, prestandosi ad interpretazioni contrastanti.
Da un lato, infatti, l’art. 5, comma 1 bis, del citato decreto statuisce che “chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di […] è tenuto, assistito dall’avvocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione” e l’art. 8, comma 1, prescrive che “al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato”, offrendo in tal modo un’argomentazione di carattere letterale ai sostenitori della tesi della obbligatorietà della assistenza legale delle parti in mediazione. Dall’altro lato, il successivo art. 12 stabilisce che “ove tutte le parti aderenti alla mediazione siano assistite da un avvocato, l'accordo che sia stato sottoscritto dalle parti e dagli stessi avvocati costituisce titolo esecutivo per l'espropriazione forzata, l'esecuzione per consegna e rilascio, l'esecuzione degli obblighi di fare e non fare, nonché per l'iscrizione di ipoteca giudiziale. Gli avvocati attestano e certificano la conformità dell'accordo alle norme imperative e all'ordine pubblico […]. In tutti gli altri casi l'accordo allegato al verbale è omologato, su istanza di parte, con decreto del presidente del tribunale, previo accertamento della regolarità formale e del rispetto delle norme imperative e dell'ordine pubblico”. Tale norma, regolando compiutamente sia il caso in cui le parti siano tutte assistite dall’avvocato, sia il diverso caso in cui ciò non accada, si presta ad essere interpretata nel senso che l’assistenza legale in mediazione è indispensabile solo al fine di attribuire efficacia di titolo esecutivo all’accordo raggiunto in mediazione, ma non è sempre necessaria: nell’ipotesi in cui taluna delle parti non sia assistita da un avvocato, l’accordo necessita di un decreto di omologa da parte del Presidente del Tribunale.
L’antinomia dei dati normativi innanzi esaminati esige un chiarimento interpretativo che tenti di comporre l’apparente contrasto: premesso che la formulazione letterale delle disposizioni di cui agli artt. 5, comma 1 bis e 8, comma 1, è inequivocabilmente chiara nell’imporre alle parti l’obbligo di essere assistite, per tutta la durata della procedura di mediazione, da un avvocato (cfr., in tal senso, T.A.R. Lazio, 26.01.2015, n. 1421; Trib. Torino 30.03.2016, n. 1770), l’unico plausibile significato che, ad avviso di questo giudicante, può essere attribuito al primo periodo dell’art. 12, che prefigura ipotesi di mediazioni in cui taluna delle parti non sia assistita da un avvocato, è quello per cui tale disposizione faccia riferimento ai casi di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 28/10, vale a dire alle mediazioni attivate su base volontaria, nelle quali l'esperimento del procedimento non costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
La chiave di lettura che qui si propone, per un verso, valorizza gli elementi di differenziazione delle due forme di mediazione: quella obbligatoria, in cui la previsione della assistenza legale obbligatoria è funzionalmente correlata alla necessità di fornire alle parti il supporto di una adeguata consulenza professionale per il corretto compimento di valutazioni e scelte dal cui esercizio possono derivare rilevanti conseguenze sul piano della effettività della tutela dei diritti dei soggetti protagonisti, prima fra tutte il rischio della declaratoria di improcedibilità della domanda giudiziale; e quella volontaria, il cui tratto distintivo risiede nella centralità del ruolo dell’autodeterminazione delle parti, come rimarcato anche dal considerando n. 13 della direttiva comunitaria n. 2008/52, da cui si desume che il carattere volontario della mediazione consiste non già nella libertà delle parti di ricorrere o meno a tale procedimento, bensì nel fatto che "le parti gestiscono esse stesse il procedimento e possono organizzarlo come desiderano e porvi fine in qualsiasi momento", senza l’obbligo di una previa assistenza legale, della quale le parti sono libere di decidere se avvalersi o meno.
Per altro verso, l’opzione interpretativa propugnata appare maggiormente rispettosa della ratio sottesa alla novella del D.L. 21 giugno 2013, n. 69 che, nel riformare la disciplina della mediazione, introducendo l’obbligo dell’assistenza dell’avvocato durante l’intera procedura di mediazione, ha inteso, in chiave protettiva degli interessi dei soggetti coinvolti in una controversia, attribuire una nuova centralità al ruolo del professionista forense, il cui compito è quello di accompagnare il proprio cliente nella procedura tutelando sia le sue pretese che i suoi interessi, da un lato lasciando a quest’ultimo la possibilità di partecipare attivamente nella gestione del conflitto che lo vede protagonista e, dall’altro, cercando di dissuaderlo da tutte quelle condotte elusive dell’obbligo di partecipazione effettiva alla procedura di mediazione che potrebbero avere gravi ripercussioni di tipo sanzionatorio, sia sul piano processuale che economico.
Peraltro, l’ulteriore conseguenza di tale scelta legislativa consiste nella progressiva emersione di una nuova figura professionale - quella dell’avvocato, esperto in tecniche negoziali, che “assiste” la parte nella procedura di mediazione - che si distingue dalla figura tradizionale dell’avvocato, esperto di tecniche processuali, che “rappresenta” la parte nel processo. Al professionista forense, in altri termini, è richiesta l’acquisizione di nuove competenze di tipo umano e relazionale (ad esempio, la capacità di ascoltare in modo attivo, di sapere rimanere in silenzio, la capacità di comunicare con il cliente e con le controparti e di trarre elementi dalla comunicazione verbale e non verbale, di essere empatici, nonché di comprendere gli interessi delle parti al di là delle pretese giuridiche avanzate), che si aggiungono a quelle di difesa tecnica di tipo tradizionale. Tali competenze professionali, presupponendo l’approfondimento di aspetti che vanno al di là di quelli giuridici ed appartengono alla sfera dei valori, dei sentimenti e delle emozioni che sono alla base di ogni conflitto, richiedono l’abbandono della logica avversariale e di scontro, tipica delle tecniche processuali e del negoziato di “posizioni” (ossia quello tradizionale ove ogni parte cerca di ottenere per sé il maggiore risultato possibile), per passare al negoziato di “interessi”, ove lo scopo è di intavolare un negoziato in modo collaborativo, volto a che il professionista comprenda il punto di vista dell’altra parte, per arrivare a una cooperazione con la stessa ed eventualmente al raggiungimento di un accordo condiviso ove questo sia possibile.
3. Dopo aver chiarito quali sono la ratio e la funzione della obbligatorietà della assistenza legale nelle forme di mediazione obbligatoria, è appena il caso di evidenziare come la normativa nazionale che impone l'obbligo per le parti di essere assistite da un avvocato per promuovere una procedura di mediazione non può ritenersi incompatibile con le norme di diritto comunitario.
È noto che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza n. 457 del 14.06.2017 ha stabilito che “il requisito di una procedura di mediazione come condizione di procedibilità di un ricorso giurisdizionale può rivelarsi compatibile con il principio della tutela giurisdizionale effettiva qualora tale procedura non conduca a una decisione vincolante per le parti, non comporti un ritardo sostanziale per la proposizione di un ricorso giurisdizionale, sospenda la prescrizione o la decadenza dei diritti in questione e non generi costi, ovvero generi costi non ingenti, per le parti, a patto però che la via elettronica non costituisca l'unica modalità di accesso a detta procedura di conciliazione e che sia possibile disporre provvedimenti provvisori nei casi eccezionali in cui l'urgenza della situazione lo impone”.
Tuttavia, contrariamente a quanto affermato da una recente giurisprudenza di merito (cfr. Trib. Verona, 27.02.2018) con riferimento all’istituto della negoziazione assistita, è opinione di questo giudicante che la disciplina nazionale del D. Lgs. n. 28/10 sulla mediazione obbligatoria non sia in contrasto con la penultima delle predette condizioni, dal momento che, pur non potendo prescindere dall'intervento di un difensore, il procedimento mediatorio non comporta costi ingenti per le parti.
All’uopo, deve innanzitutto precisarsi che la determinazione dei compensi di avvocato attualmente vigenti per l’attività di assistenza in mediazione deve essere effettuata, ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 e 20 del D.M. n. 55/14, sulla base dei parametri numerici di cui alla tabella n. 25, riguardante le prestazioni di assistenza stragiudiziale. Tali parametri, se confrontati con quelli fissati dalla tabella n. 2 per i giudizi ordinari e sommari di cognizione innanzi al tribunale di primo grado (generalmente applicabili in caso di instaurazione o prosecuzione del giudizio a seguito del fallimento della procedura di mediazione), sono di gran lunga inferiori a questi ultimi, attestandosi su valori che oscillano all’incirca da un terzo alla metà. A ciò aggiungasi che, facendo applicazione analogica delle disposizioni di cui all’art. 4, comma 1 del D.M. n. 55/14 (consentita dal principio generale sancito dal precedente art. 3), nella liquidazione del compenso per l’attività di assistenza legale in mediazione, il giudice può diminuire fino al 50% i valori medi di cui alla menzionata tabella, tutte le volte in cui la procedura di mediazione si sia interrotta al primo incontro o non abbia comunque condotto ad un proficuo esito conciliativo della controversia, in tal modo esercitando un potere di contenimento dei costi di assistenza difensiva che, per un verso, permette di adeguare il compenso dovuto all’avvocato alle attività da questi effettivamente svolte nel singolo caso concreto e, per altro verso, realizza l’obiettivo di ridurre i costi della procedura di mediazione, per evitare che il suo esperimento obbligatorio si traduca nella imposizione di un peso economico eccessivo a carico della parte che deve sopportarlo.
A tale fine si ispira anche la bozza di decreto ministeriale di riforma dei parametri forensi, attualmente in fase di approvazione, atteso che essa si basa sulla introduzione di valori medi di liquidazione per l'attività di assistenza nella mediazione e negoziazione assistita, prevedendo compensi distinti (ed, invero, significativamente contenuti) per ciascuna delle tre fasi (fase di attivazione, fase di negoziazione e fase di conciliazione) in cui vengono suddivise le procedure di mediazione e di negoziazione assistita obbligatorie. Tale suddivisione permetterà di circoscrivere la liquidazione dei compensi alle sole attività realmente svolte, in modo tale da limitare i costi delle procedure, soprattutto in quei casi in cui le stesse terminino con esito infruttuoso o si arrestino in una fase iniziale.
Ad ulteriore conferma della compatibilità col diritto comunitario della disciplina nazionale sulla mediazione obbligatoria, sotto lo specifico profilo della onerosità della procedura, deve aggiungersi che, per quanto concerne la posizione dei non abbienti, pur in assenza di una espressa previsione normativa, i principi e le garanzie costituzionali impongono di includere la mediazione obbligatoria fra le procedure accidentali o comunque connesse a quelle giudiziali cui l’art. 75 del D.P.R. n. 115/02 estende l’applicazione del patrocinio a spese dello Stato (cfr., in tal senso, Trib. Firenze, 13.12.2016). Questo significa che, per i soggetti in possesso dei requisiti economici per l’ammissione al beneficio del gratuito patrocinio, la liquidazione dei compensi spettanti all’avvocato per l’attività di assistenza svolta nella fase di mediazione stragiudiziale obbligatoria potrà essere effettuata a carico dell’Erario, così sollevando la parte non abbiente dall’onere di sopportarne i costi.
A quanto finora osservato occorre, da ultimo, aggiungere un’ulteriore considerazione: la valutazione in merito al carattere ingente dei costi di una procedura di A.D.R. obbligatoria deve essere condotta contemperando, da un lato, il diritto del professionista a vedere remunerata la propria attività professionale con un compenso dignitoso e proporzionato all’importanza, alla natura, alla difficoltà e al valore dell’affare, oltre che alla complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate e, dall’altro, il diritto del cliente a non farsi carico di oneri economici non adeguati alle proprie risorse economiche e ai benefici concretamente ottenuti come risultato della prestazione professionale del proprio difensore.
Nel caso in cui il procedimento di mediazione si concluda positivamente con il raggiungimento di un accordo amichevole, la parte avrà conseguito un risultato quantomeno equiparabile, sul piano della tutela dei diritti e degli interessi, a quello che avrebbe ottenuto con una soluzione giudiziale della controversia, con la differenza di aver sostenuto dei costi di gran lunga inferiori a quelli che avrebbe dovuto affrontare in caso di giudizio, com’è agevolmente riscontrabile dal confronto tra i parametri forensi per le prestazioni di assistenza stragiudiziale e quelli per le attività di rappresentanza in giudizio. Tale considerazione è già, di per sé sola, sufficiente ad escludere che i costi della procedura obbligatoria di risoluzione alternativa delle controversie che si sia conclusa con esito positivo possano essere considerati ingenti, posto che il fruttuoso esperimento della mediazione si è comunque tradotto in un vantaggioso risparmio di spesa per la parte.
Nel diverso caso in cui il procedimento di mediazione si concluda negativamente senza il raggiungimento di un accordo amichevole, il compenso dovuto all’avvocato per l’attività di assistenza legale sarà sicuramente più modesto, vuoi per la decurtazione che il giudice è legittimato ad applicare con il regime degli attuali parametri forensi, vuoi per la limitazione del compenso soltanto ad alcune fasi della procedura (nel futuro regime della riforma dei parametri forensi innanzi esaminata e di prossima approvazione). Ne consegue che, sebbene l’esito negativo della procedura comporta che i costi della stessa dovranno cumularsi con quelli del futuro giudizio, il modesto importo dei compensi professionali previsti sia dalla tabella attualmente vigente, sia da quelle di imminente entrata in vigore, è tale da far ritenere che essi assicurino un’equa remunerazione per l’attività professionale dell’avvocato e, allo stesso tempo, evitino alle parti di sopportare costi eccessivi.
Sulla scorta di tutte le riferite considerazioni, deve concludersi che il principio di obbligatorietà dell’assistenza legale nelle forme di mediazione obbligatoria sancito dal D.Lgs. n. 28/10 è sicuramente compatibile, sotto il profilo della onerosità della procedura, con il principio comunitario della tutela giurisdizionale effettiva, sancito dagli artt. 6 e 13 della CEDU e dall'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, in quanto non determina a carico delle parti, che devono sostenere il peso economico dell’attività di assistenza dei rispettivi avvocati, costi qualificabili come ingenti.
4. Venendo alla disamina delle questioni poste nel caso di specie e facendo ad esso applicazione dei principi di diritto fin qui enunciati, deve affermarsi che la condotta della parte che si reca personalmente al primo incontro di mediazione, rifiutandosi di farsi assistere da un avvocato (sebbene a ciò compulsata dal mediatore) e pretendendo di partecipare autonomamente agli incontri di mediazione, è illegittima perché assunta in violazione delle prescrizioni del D.Lgs. n. 28/10 che impongono alle parti l’obbligo di assistenza legale per tutta la durata della procedura di mediazione.
In altri termini, l’assenza dell’avvocato di una o di entrambe le parti si traduce in un vizio di comparizione di uno dei soggetti necessari della procedura, che inficia la regolarità dello svolgimento della mediazione.
Da ciò consegue che il rifiuto di farsi assistere da un avvocato, costituendo un comportamento antidoveroso assunto in violazione di un preciso obbligo di legge, espone la parte che decide di presenziare da sola alla procedura di mediazione al rischio di subire le conseguenze sanzionatorie, sia sul piano economico che processuale, previste dagli artt. 5 e 8, comma 4 bis, del D. Lgs. n. 28/10. In particolare, se il rifiuto della assistenza legale proviene dalla parte istante, deve ritenersi che la condizione di procedibilità della domanda giudiziale non si sia avverata, per la dirimente ragione che, ai fini della procedibilità, non è sufficiente esperire un procedimento di mediazione purchessia, ma è necessario rispettare tutte le condizioni di legge per un rituale e corretto svolgimento della procedura, prima tra tutte quella che impone alle parti di munirsi di un avvocato che le assista. Se, invece, il rifiuto proviene dalla parte invitata (come è accaduto nel caso di specie), lungi dal poterne dedurre l’improcedibilità della domanda giudiziale della parte istante, si verifica un presupposto per l’irrogazione – anche nel corso del giudizio – della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 8, comma 4 bis, D. Lgs. n. 28/10, oltre che un fattore da cui desumere argomenti di prova, ai sensi dell’art. 116, secondo comma, c.p.c.
5. Sulla scorta delle considerazioni innanzi espresse, va rilevato che, nel caso in esame, omissis s.p.a., nel corso del primo incontro, ha espressamente dichiarato di non volersi avvalere della assistenza di un avvocato.
In modo del tutto corretto, il mediatore, nella sua veste di soggetto istituzionalmente preposto ad esercitare funzioni di verifica e di garanzia della puntuale osservanza delle condizioni di regolare espletamento della procedura, ha dapprima invitato la parte riluttante a nominare un avvocato e, a fronte del perdurante rifiuto opposto dalla interessata, ha successivamente dichiarato chiuso il procedimento, prendendo atto della impossibilità di proseguire la mediazione nel rispetto delle condizioni imposte dalla legge.
6. Per tali motivi, visto che la parte invitata non ha correttamente partecipato - senza giustificato motivo - al procedimento di mediazione, ricorrono i presupposti per adottare, ai sensi dell’art. 8, comma 4 bis, del D. Lgs. n. 28/10, una pronuncia di condanna della stessa (che si è ritualmente costituita in giudizio) al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio. La lettera della citata disposizione, in virtù dell’uso da parte del legislatore del tempo indicativo presente, induce a ritenere obbligatoria la pronuncia di condanna in questione ogniqualvolta la parte che non ha correttamente partecipato al procedimento non fornisca una idonea giustificazione alla propria condotta.
Sulla questione della applicabilità della predetta disposizione anche in corso di causa, questo giudicante ritiene che l’irrogazione della sanzione pecuniaria prescinda del tutto dall’esito del giudizio e non sia necessariamente subordinata alla decisione del merito della controversia. Conformemente a quanto affermato da una parte della giurisprudenza di merito (cfr., Trib. Termini Imerese, 09/05/2012; Trib. Mantova, 22/12/2015), la sanzione pecuniaria in questione può, dunque, ben essere irrogata anche alla prima udienza o, comunque, in un momento temporalmente antecedente rispetto alla pronuncia del provvedimento che definisce il giudizio.
7. A prescindere dalle questioni relative alla procedura di mediazione obbligatoria, va rilevato che le parti hanno chiesto alla scorsa udienza la fissazione dei termini di cui all’art. 183, sesto comma, c.p.c. e che la richiesta deve essere accolta.
Si reputa, in ogni caso, conveniente sollecitare le parti a considerare l’opportunità e a valutare i vantaggi di una definizione transattiva della controversia, dalla quale deriverebbe la possibilità non solo di sottrarsi all’inevitabile incertezza dell’esito del giudizio, ma anche di pervenire ad una immediata definizione della lite, evitando il prevedibile prolungamento dei tempi del processo e l’ulteriore aggravio di spese processuali.

PQM

Disattesa ogni diversa richiesta, così provvede: condanna la parte convenuta omissis s.p.a. al versamento, in favore dell’Erario, della somma di € 237,00, pari all’importo del contributo unificato dovuto per il presente giudizio, in conseguenza della ingiustificata mancata partecipazione al procedimento obbligatorio di mediazione; assegna alle parti i seguenti termini perentori, decorrenti dal 16/04/2018: a) termine di trenta giorni, per il deposito di memorie limitate alle sole precisazioni o modificazioni delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni già proposte; b) termine di ulteriori trenta giorni, decorrente dalla scadenza del termine sub a), per replicare alle domande ed eccezioni nuove, o modificate dall’altra parte, per proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande e delle eccezioni medesime e per l’indicazione dei mezzi di prova e delle produzioni documentali; c) termine di ulteriori venti giorni, decorrente dalla scadenza del termine sub b), per le sole indicazioni di prove contrarie; assegna alle parti termine di ulteriori dieci giorni, decorrente dalla scadenza del termine sub c), per depositare in cancelleria note contenenti una specifica proposta di definizione conciliativa della lite, da sottoporre all’esame della controparte; invita le parti, per la prossima udienza, a prendere precisa posizione sulla proposta e ad esplicitare le ragioni di un eventuale rifiuto, di cui il Giudice terrà conto ai fini della condanna alle spese, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., come modificato dall’art. 45, comma 10, legge 18 giugno 2009, n. 69; rinvia la causa all’udienza omissis, per la verifica delle condizioni di una possibile conciliazione o, in difetto, per la discussione orale sull’ammissione dei mezzi istruttori e per l’adozione dei provvedimenti per l’ulteriore impulso del processo. Manda alla Cancelleria per la comunicazione della presente ordinanza alle parti.

Vasto, 9 aprile 2018.
IL GIUDICE
dott. Fabrizio Pasquale

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità. 

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